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STUDII
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UNORARIU DKLLA SOCIETÀ FILOLOQICA DI LONDRA
E DI PARECGUIE ALTRE D' EUROPA
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COI TIPI DI GIUSEPPE BERIS ARDONI DI GIO.
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PREFAZIONE
Parecchi anni sono trascorsi, dacché seguendo il nuovo
impulso dato dai moderni filòlogi agli Studj linguistici
in Europa, ed eccitato dal vivo desidèrio di promuòverne
ed estènderne la cultura presso di noi, m^ accinsi a svòl-^
gere in una serie di separate Memòrie le principali no-
zioni suir origine e sullo sviluppo della nuova scienza,
sui fini ai quali tende, non che sui cànoni fondamen-
tali della medésima; ed affine di chiarirne T importanza
ed invogliar quindi la crescente generazione ad avviarsi
animosa nel nuovo campo, quanto vasto, altretanto fe-
condo d^ ùtili ammaestramenti, m^ avvisai di venir mano
mano sviluppando alcune delle moltéplici applicazioni di
tali studj alla ricerca delle orìgini delle nazioni, e quindi
eziandìo dei loro vicendévoli rapporti; a quella delle ori-
gini delle lingue dedotte dal loro organismo e dai natu-
rali loro elementi; e quindi al ragionato ordinamento di
alcune famiglie di lingue e dei rispettivi loro dialetti.
YI PREFAZIONE
Sebbene fra queste pòvere, ma coscienziose mie pro-
duzioni, alcune di maggior lena fossero da me publicate
in separati volumi, ciò nuliadimeno, ho preferito inse-
rirne .un maggior nùmero in alcuni dei nostri più accre-
ditati Giornali , allo scopo di rènderle con una maggiore
publicità eziandio più proficue. Se non che T esperienza
non tardò a dimostrarmi, che se i Giornali sono il mezzo
più acconcio a propagare rapidamente le nuove specula-
zioni scientìfiche e letterarrie, e perciò sommamente ùtili
al sociale progresso , essi non sono del pari atti a con-
solidarne la durévole tradizione, dappoiché, per la spe-
ciale natura delle òpere periodiche destinate per lo più
a svòlgere argomenti del giorno e d'occasione, Tappari-
zione d'un nuovo fascicolo caccia in disparte, e più spesso
copre d'oblio gli antecedenti, sicché nella confusa com-
pàgine degli svariati materiali sparsi qua e là in una serie
indefinita di volumi, torna poi malagévole e quasi im-
possibile, lo sceverare ed ordinare gli elementi omogènei
d'ogni singolo ramo di studj, nei medésimi racchiusi.
Egli è appunto perciò che^ lusingato dalla benèvola
accoglienza fatta successivamente ai ripetuti miei Sag-
gi, intesi a svòlgere principj scientifici, anziché argo-
menti d'occasione, stimai òpera non del tutto infrut-
tuosa il raccògliere in un solo volume e coordinare
ad un medésimo fine alcuni de' miei Scritti linguistici
sparsi nel Politècnico ^ nella Rivista Europea^ neìV En-
ciclopedìa popolare^ neWJnnuario Geogràfico italia-
nOy non che in alcune separate mie publicazioni, sce-
gliendo a tal uopo quelli, che per la natura dell'argo-
mento e pel modo col quale furono esposti, possono
considerarsi come parti di un solo tutto, valendo gli uni
PAEFÀ/lOMi VII
a complemento degli allri, sia collo sviluppo di nuove
dottrine linguìstiche, sia colla pràtica applicazione delle
medesime alla soluzione di speciali problemi.
Quindi ad un breve cenno istòrico suW orìgine , sullo
ss^ilappo e sullo scopo della Linguìstica, pàrvemi oppor-
tuno soggiùngere alcune generali considerazioni sul mo-
do, col quale essa potrebbe utilmente applicarsi alla
ricerca delle orìgini itàliche; e poiché enumerando ivi i
varii sistemi di alcuni moderni eruditi su questo argo-
mento, mi feci a dimostrare T insufficienza dei mezzi che
sono sin' ora in nostro potere, e la necessità dì premét-
tere Uno studio profondo e circostanziato sui moltéplici
dialetti sparsi in tutte le regioni della nostra penìsola,
come precipua guida nella ricerca delle orìgini di quelli
che li parlano, così ad aprire la via a questo incommen-
suràbile campo di studj nuovi e pazienti, ho cercato
sbozzare in due separate Memòrie un Prospetto topo^
yrà fico-statìstico delle nazioni straniere^ che in varii
tempi fissarono stàbile dimora nella nostra penìsola, non
che un generale Ordinamento delle lingue e dei dialetti
successivamente nella medésima parlatis
II primo fu da me tracciato allo scopo di mostrare allo
studioso, che imprende la disàmina d'uno speciale dialetto,
la necessità di sceverare gli elementi indìgeni e primitivi
del medésimo dagli stranieri , che perla fusione, o pel com-
mercio di straniera colonia vi fossero per avventura com*-
penetrati. Così, p. e., quello che indaga le orìgini del pò-
polo Vicentino non deve tener conto delle voci germàniche
introdotte in quel dialetto dalla colonia dei Sette Comuni,
se non per eliminarle; così quello che esamina gli sva-
riati dialetti della Sicilia e dell'Italia meridionale, deve
vili PREFAZIONE
sceverare le molle voci aràbiche, greche ed albanesi, non
che francesi e spagnuole importatevi dalle moderne emi-
grazioni, o dalle invasioni straniere. Devo peraltro av-
vertire, che quanto alle cifre numèriche delle singole
colonie da me riportate in questo lavoro, è d'uopo ri-
ferirle al tempo in cui fu da me per la prima volta pu-
blicato, vale a dire circa dieci anni addietro, non potendo
ora senza gravi difficoltà, ne importando punto al fine
precipuo pel quale fu dettato, il rettificarle giusta le va-
riazioni, che nel vòlgere di questo periodo dovettero ne-
cessariamente subire.
Quanto al secondo, vale a dire: all' Ordinamenttf delle
lingue e dei dialetti itàlici ^ esso fu da me proposto
come Prospetto generale delle varie parti d'un edificio
da elaborarsi. E poiché la natura d'una sémplice disser-
tazione non permetteva un esteso sviluppo d'ogni singola
parte principale, cosi a compiere quel Saggio, ho ten-
tato svòlgere più tardi in separata publicazione (0 i som-
mi capi d'una grande sezione, onde meglio chiarire, colla
pràtica applicazione dei fondamentali principj della scien-
za, la ragione ed il fine del piano generale da me propó-
sto. 1 cànoni principali sui quali, a mio avviso, dovrebbe
èssere elaborata ogni singola parte di quel Prospetto
furono da me compendiati nella Prefazione all'opera ac-
cennata, e più difl'usamente svolti in altra Memòria in-
serita nel Politècnico (2), che perciò stimai supèrfluo ri-
produrre nella presente Raccolta.
(1) Saggio sui Dialetti Gallo-itàlici, Milano jBernardonij i85/i.
(2) Sullo studio comparativo delle lingue. V. nel Politècnico^
Voi. 11^ pag. 161.
PREFAZIONE IX
La enumerazione impertanto delle anliclie e delle mo-
derne lingue itàliche non poteva cronologicamente or-
dinarsi senza un cenno istòrioo del modo col quale cia-
scuna si venne successivamente sviluppando e cedendo
alla sua volta il posto ad altre surte sulle sue rovine; e
siccome questi rùderi medésimi sono in gran copia dif-
fusi nelle svariate famiglie dei dialetti viventi, cosi il
successivo quadro topogràfico dei medésimi posto a ri-
scontro colle antiche sedi dei Carni, degli Euganei, dei
Galli, degli Etrusci, degli Osci, degli Umbri, dei Sabelli,
dei Lucani, dei Siculi, e di tante altre primitive tribù
italiane, varrà a mostrare al filòlogo, ove debba e possa
rintracciare le reliquie delle antiche Kngue rispettive, e
dedurne sicuri critèrii per la ricerca delle loro origini.
Non devo però lasciare di notare un errore sfuggitomi
neir ordinamento dei dialetti càmici e vèneti, avendo
collocato fra i primi il gruppo bellunese ^ che appartiene
essenzialmente ai secondi, e vale a collegare il gruppo
vèneto occidentale al centrale^ ossia il veronese ed il
trentino al trevigiano ed al padoi?ano. Per tal modo
dèvesi considerare la famiglia càrnica siccome racchiusa
fra il Tagliamento ed il Timavo, e non già fra quest'ul-
timo e la Piave, come erroneamente asserii nel corso
della rispettiva Dissertazione.
Nella stòrica enumerazione delle antiche lingue suc-
cessivamente parlate e scritte nella nostra penisola ho
resa manifesta la somma importanza della lingua romana
rùstica^ la quale come anello intermedio collega pa-
recchie antiche lingue alle moderne; ed essendo la sola
lingua indestruttibile liei suoi radicali elementi^ quali
sono i suoni e la forma, perché parlata senza -interru-
X PREFAZIONE
zionc dalle sìngole popolazioni, è ancora la sola alta a
rivelarci le orìgini dei dialetti viventi e i loro rapporti
colle antiche lingue, ben più che la latina, la quale,
mentre attinse in orìgine ai dialetti preesistenti gran
parte de' suoi materiali, ricevette poi da retori stranieri
alquante forme convenzionali.
Queste proprietà della lingua romanza, o piuttosto
delle lingue romanze, giacche, siccome ebbi a dimosti^re
nel corso di questi miei Studj (i), tante furono nei sècoli
di mezzo le lingue romanze, quanti i dialetti degli scrit-
tori contemporànei in tutta T Europa latina, m'indussero
a tracciare un sunto generale degli Studj instituili sin' ora
dagli eruditi d'ogni paese ad illustrazione delle medési-
me, affine di mostrarne l'estensione e l'importanza,
non che di appuntarne la varia direzione e le lacune.
Tra queste ebbi ad avvertire un troppo scarso nùmero
di produzioni intese ad illustrare il romanzo itàlico delie
varie provincie colla scorta dei rispettivi monumenti Iet-
terai], alcuni dei quali giacciono tutt'ora inavvertiti o
negletti in biblioteche pùbiiche e private; e quindi, cosi
in Saggio dei medésimi, come a corredo dei princìpj in
quella Dissertazione esposti , posi a raffronto alcuni com-
ponimenti èditi ed inèditi del XII e del XIII sècolo, nelle
lingue romanze lombarda, vèneta, e sicula. A questi
brevi Saggi da me prodotti in via d'Appendice e senza
quelle note illustrative, che sono atte a rivelarne l'im-
portanza scientìfica e filològica, ho ancora aggiunto con
separata prefazione il Poemetto inèdito di Pietro da Be-
scapè y da me testé publicato per la prima volta in picciolo
(i) Vèggasi a pag. 125, non che a pag. 168 e seg.
PUEFAZIONE XI
nùmero d* esemplari (i), e corredato di quelle note che
reputai più acconcie^ così ad agevolarne V interpretazione,
come a tracciare la pràtica applicazione delle dottrine
filològiche agli antichi monumenti di nostra lingua.
Appunto ad interrómpere l'austerità di quelle dottrine
ho inserito nella presente Raccolta alcuni Saggi di let-
teratura popolare, nei Ganti nazionali degli Epiroti e dei
Serbi, ciò che mi porse occasione a svòlgere le princi-
pali nozioni suir istòria, sul caràttere, non che sulla lin-
gua e sulla letteratura di quei pòpoli. Né mi parve inop-
portuno, in un librò inteso ad accennare le svariate
applicazioni degli studj linguistici, il soggiùngere alcune
considerazioni suir orìgine , sullo sviluppo e suW im-
portanza delle lingue Furbesche, da me premesse al-
cuni anni addietro a varj Saggi lessicali delle medésime.
Ivi infatti ho cercato brevemente adombrare, come un'at-
tenta disàmina delle proprietà costanti di quei gerghi di
convenzione, ed un raffronto dei medésimi colle sém-
plici lingue dei pòpoli più rozzi , possano rivelare allo
studioso, almeno in parte, il segreto processo della mente
umana nella formazione de^ primitivi linguaggi.
Ciò non pertanto, fra le molte applicazioni degli Studj
linguìstici, quella che propriamente costituisce lo scopo
primario della scienza si è il raffronto di tutti gli ele-
menti proprj dei sìngoli idiomi fra loro, allo scopo di
coordinarli e di raggrupparli nelle rispettive famiglie;
della qual finale tendenza^ non che del processo dalla
scienza seguito onde raggiùngerla , ho pure tracciato un
(1) Neir Opera: Poesìe lombarde inedite del sècolo XIII. Mila-
no, tip, Bernardoni^ 18»6. — Edizione di iBO esemplari numerati.
XII PREFAZIONE
Saggio nel generale ordinamento delle lingue germàni-
che e scandinàinclie y fondato suir anàlisi fonètica e gfa--
malicale delle medésime, quale venne proposto dal som-
mo filòlogo dottor Jacopo Grimin.
Tali sono le ragioni ed i fini che mi determinarono
ad unire e riprodurre coordinati questi miei sparsi e fug-
gitivi lavori nel presente Volume; nò perchè, richiaman-
doli forse dair oblìo, ardisco ridonarli alla luce, dèvesi
argomentare, ch'io vi attribuisca speciale importanza;
ne molto meno, ch'io pensi di poter imporre allo stu-
dioso i principj e le opinioni da me nei medésimi svi-
luppati; opinioni e principj ch'io sono pronto a rettifi-
care e modificare al cospetto di fatti diversi, o di più
validi argomenti; ma dichiaro solennemente, che venni
a ciò trascinato solo dall'indòmito desidèrio che nutro
da lunghi anni di vedere maggiormente diffusa presso di
noi la cultura di questi importantissimi studj, in un
tempo in cui elette e compatte schiere di benemèriti
studiosi d' ogni regione procèdono alacremente in tutti i
rami di questa scienza, e strappandoci quasi di mano i
preziosi monumenti legatici dagli avi nostri, ne fanno
da qualche tempo argomento prediletto delle pazienti e
dotte loro lucubrazioni.
Giacché egli è pur d'uopo il confessarlo, che alla in-
stancàbile operosità ovunque spiegata, ed all'appello
fattoci dagli stranieri con tanti colossali lavori che tutto
giorno ci piòvono giù dall'alpi, assai fioca rispose sin'ora
l'eco italiana. Egli è vero bensì, che questa clàssica terra
non fu mai priva d'ingegni privilegiati atti a serbare illibato
il pallàdio della glòria patria eziandìo nei linguistici lu-
di, dappoiché non appena si chiuse sulle onorate céneri
PREFAZIONE XIII
dei Maj, dei Rosellinì, dei Gastiglioni e dei Mezzofanli,
CI porse un Gorresio a rivelarci i tesori ietterarj del-
r India, come il Peyron illustrava non ha guari quelli
delPEgìtto; e ci è sicura mallevadrice di nuovi e polenti
ingegni nella generazione crescente; egli è vero altresì,
che alcuni benemèriti studiosi vanno qua e là del con-
tinuo illustrando con più o meno vasti lavori i rispet-
tivi dialetti, o parziali monumenti d'antiche lingue; ne
mancarono ai nostri giorni i generosi, che, sollevandosi
in più alte regioni delia scienza, s'accinsero ad imprese
ben degne dei nome italiano; ma i ripetuti sforzi dei Mar-
zoilo e dell'Ascoli rimasero sinora senza eletto, perchè
mal sorretti dal cittadino concorso, e il tributo che il Bel
Paese paga alia scienza è ben lungi dall'essere propor-
zionato alla naturale dovizia de* suoi mezzi.
lo ben m'avveggo, clie la severità d'un tal linguaggio
potrà per avventura dispiacere a taluni men curanti del
reale, che dell'apparente onor patrio, e sento quanto meno
si convenga a me, che in sommo grado abbisogno della
pùblica indulgenza; ma sento altresì che verrei meno
del tutto al propostomi fine, ove per tal riguardo avessi
a sopprimere una confessione sincera che reputo efficace
a conseguirlo; che se, in onta a questa schietta dichia-
razione, l'ingenua franchezza avesse per avventura ad
attirarmi addosso la sferza della critica, e peggio ancora
quella d'un ingiusto risentimento, sorretto dalia santità
dei fine, e forte nella coscienza del buon volere, non
lascerò di ripètere coli' Ateniese : Ballimi pure; ma
ascolla!
A prevenire impertanto ogni fallace interpretazione,
ed a provare col fatto quanto più mi stia a cuore il ce-
XIV PREFAZIO^E
lebrare solciincmenlc le glòrie patrie, anziché lo sco-
prirne le mende, valga una rapida ispezione degli scritti
del conte CarP Ottavio Castiglioni sommo filòlogo ed ar-
cheòlogo milanese, che mi compiaccio porre in fronte
armici pòveri Studj, onde ben più col suo nòbile esem-
pio, che non colle mie esortazioni, infervorare la facol*
tosa generazione crescente a seguirne le traccie.
XVI DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
tetre viole e i pallidi giacinti del sepolcro fra le splen-
dide corone di gloria perenne da lui cólte nell'operosa
sua vita. Dappoiché ben a torto si piange estinto colui ,
che vive nel puro affetto de' suoi concittadini; il cui nome
glorioso sta improntato con caratteri indelèbili nei fasti
delle lèttere e delle scienze; e che legò morendo alle età
future I preziosi frutti de' profondi suoi studj..
Incalzato dalla brevità del tempo concesso a tanto su-
bietto, non mi soffermerò punto a ricordare, come il conte
Cari' Ottavio traesse nel 1784 i natali da ricca famiglia
patrizia milanese, che sin dai sècoli di mezzo numerava
una schiera d'illustri antenati, assai benemèriti della pa-
tria, sia che nel bollore delle fazioni versassero il sangue
sul campo di battaglia a tutelarne l'indipendenza, sia che
dall'alto dei rostri od al fianco de' princìpi reggessero il
destino dei pòpoli , sia che insigniti della sacra pórpora
emergessero nei Concilj campioni della santità del Van-
gelo, sia che dalle cattedre universitarie o dal recesso
dei loro studj dettassero gli inconcussi precetti del diritto,
od insegnassero al Cortigiano i suoi doveri verso il prìn-
cipe, ai principi l'arte di governarcele nazioni (*\
(1) La famiglia Casliglioni fu già illustrala dal conte Pompeo
Litta fra le Celebri d'Italia. Nel vòlgere di sette sècoli d'esistenza
venne suddividendosi in più rami, ciascuno de' quali noverò parec-
chi uòmini distinti in ogni magistratura politica, militare e religiosa.
Per accennarne alcuni fra i principali, si distinsero nella carriera
dell'armi: Baldassare, che fu condottiere d'armati presso il duca
Filippo Maria Visconti , indi commissario generale degli esèrciti
sforzeschi ; Cristoforo, condottiere presso il marchese di Mantova, uno
degli eroi che si distinsero alla battaglia del Taro contro Carlo Vili;
Giannotto, Gran-Maestro dell'Ordine di s. Lazzaro; Sabba, procura-
tor Generale dell'Ordine Gerosolimitano, che difese Rodi contro i
-'-^-p^^-^.
DEL CONTE CARL' OTTAVIO CASTIGLIONI XVn
Oggimai le magnànime imprese degli avi non passano
più coi feudi in retaggio ai nepoli; né aquista gloria
Turchi. Fatto Commendator di Faenza^ vi fondò parecchi pii Isti-
tuti ^ e legò ai pòsteri^ morendo^ il celebre suo libro intitolato :
Ricordi^ nei quali si ragimia delle materie che si ricercano a un
^ro gentiluomo. Nella carriera ecclesiàstica emèrsero precipua-
mente: Goffredo^ che nel 1241 fu assunto al Pontificato col nome
di Celestino IV; i due Branda^ il primo dei quali^ dopo èssere stato
lettore di cànoni neiruniversità di Pavia, fu eletto véscovo di Pia*
cenza; nel Concilio di Pisa contribuì alla deposizione di Benedet-
to XIII e di Gregorio XII , non che all'elezione di Alessandro V,
Fatto cardinale ^ fu legato in Germania^ in Boemia, in Polonia e in
Ungheria; si distinse nel Concilio di Costanza, ove pure contribuì
alla pace della Chiesa , promovendo Martino V al Pontificato. Fu
successivamente véscovo di Lisieux, di Porto e di Sabina; emerse
nei Concìlj di Basilea e di Firenze; e legò, morendo, alla patria Tia-
signe Collegiata di Castiglione, ed un Collegio in Pavia: Il secondo
Branda fu prima véscovo di Como, poi ambasciatore in Francia,
vicario ducale in Genova, Comandante della fiotta pontificia a Cùr-
zela e governatore di Roma. Giovanni, che dopo èssere stato let-
tore neir università di Pavia , fu consigliere alla corte di Gianga-
leazzo Visconti ; indi véscovo di Vicenza. L'altro Giovanni, che dopo
èssere stato eletto successivamente véscovo di Coutance e di Pavia,
fu cardinale legato nella Marca d'Ancona. Giangiàcomo, che fu
lettore di diritto nel!' università di Pavia, indi arcivéscovo di Bari
ed abate di s. Abondio in Como. Nella carriera polìtica, scientifica
e letterària è assai ragguardévole la serie dei Castigiioni illustri.
Citerò solo fra i principali: Corrado che fu Podestà di Cremona, e
che autorevolissimo in patria sollevò i Torriani alla signorìa di
Milano; Franchino, che fu lettore di diritto nell'università di Pa-
via, poi consigliere alla corte di Filippo Maria Visconti, ambascia-
tore ai Fiorentini, ai Genovesi, ai Veneziani, alla Casa di Savoja;
caldo promotore della libertà milanese all' estinzione dei Visconti ,
e per ùltimo consigliere del Duca Francesco Sforza '^ Guido, che,
adottato in figlio dall'arcivéscovo Ottone Visconti, fu Podestà di
Como, e nel 12^^ àrbitro della pace concbiusa in Lomazzo ira i
3
XVm DELLA. VITA E DEGLI SCRITTI
colui, che porta seco i^ascendo un nome illustre; ma
bensì quei che lo illustra colla nobiltà delle proprie azioni.
Tale appunto, o Signori, fu il conte Cari' Ottavio Casti-
glioni.
Dotato dalla natura di tenace memòria, di acuta e lacile
Torriani e i Visconti; Guarnerio, già lettore di diritto neirunwer-
sità di Pavia, che fatto consigliere alla corte di Filippo M. Viscon-
ti, sostenne molte importanti ambascerìe , sicché fu investito del
feudo di Garlasco nella Lomellina; alla morte del Duca, essendosi
Milano costituita in repùblica, Guarnerio fu eletto al supremo ma-
gistrato de' Capitani; e quando la città cadde in potere dello Sfor-
za, fu il capo della delegazione spedita a Vimercate ad offrirne al
nuovo duca il dominio; Cristoforo, che per la profónda dottrina in
giurisprudenza fu surnominato Monarca delle leggi, e lesse suc-
cessivamente nelle università di Pavia , di Parma , di Torino e di
Siena; finalmente Baldassare^già confidente del marchese di Man-
tova, poi del duca d'Urbino, del quale fu ambasciatore a Londra,
a Milano, a Roma ed a Madrid; che militò contro i Veneziani, du-
rante la lega di Cambrai, e che fra l'anni , fra gli intrighi polìtici
ed il frastuono delle Corti, deltjò fra gli altri quell'aureo libro in-
titolato // Cortigiano, nel quale si mostrò non meno terso scritto-
re , che profondo politico e filòsofo. Né fa d'uopo rintracciare nel
sècoli trascorsi le celebrità della famiglia Castiglioni, la quale serbò
senza interruzione il proprio lustro sino ai giorni nostri ; dappoi-
ché il padre di Cari' Ottavio , il conte Alfonso, si rese sommamente
benemèrito della patria, coltivando con onore le scienze naturali,
e fungendo con retta mente e magnànimo cuore le alte magistra-
ture ; sicché creato conte dall' imperatrice Maria Teresa, fu poi sol-
levato alle somme dignità del regno dall'Augusto Monarca France-
sco I. Né si rese meno benemèrito del suo paese il cavalier Luigi,
fratèllo di Alfonso , che dopo alcuni viaggi in America introdusse
pel primo in Eiu*opa nuove piante ùtili all'agricoltura; riunì una
preziosa collezione di monete patrie da lui legata all'Ambrosiana;
e sostenne con onore la Presidenza dell'Academia di Belle Arti
in Milano, non che la dignità di Senatore del regno d'Italia.
PEL CONTE tARL^ OTTAVIO CASTIGLIONI XIX
penetrazione, di retto critèrio e di quanto costituisce un
potente e lùcido ingegno, sin dagli anni giovanili si rese
delizia delF affettuoso , non men che dotto genitore , il
quale profondamente versato nelle scientìfiche discipline,
sulle proprie orme lo vide procèdere a passi da gigante
nei clàssici studj, àvido di aprirsi il varco al campo incom-
mensuràbile della scienza, ove ben presto dovea congui-
stare tante splèndide corone. Nato ed educato perla scienza,
e strascinato da irresistìbile avidità di sapere, ei tutti ri-
volse gli anni suoi giovanili allo studio, togliendo le ore
al sonno ed ai passatempi , giacché era per lui sollievo
l'alternare le discipline scientifiche; e mentre erudiva la
mente alla scuola dei clàssici greci e latini colla scorta
del Prefetto dell' Ambrosiana D. Gaetano Bugatti , perfe-
zionava il già retto critèrio al crogiuolo delle matemàtiche
dottrine, guidato dal Padre Raccagni; e giovanetto ancora
s'addentrò negli artificiosi penetrali del càlcolo per modo,
che tutta percorse ed afferrò col lùcido ingegno la Mecà-
nica celeste del celebre La Place.
Sebbene del pari agévole a lui tornasse V addentrarsi
in ogni ramo scientìfico , sia che tendesse la mente alle
scienze naturali, nelle quali unitosi al genitore volgeva
dalla germànica neìV italiana favella ì pregiati lavori di
Sprengel e Link sulta fisiologìa vegetale, sia che sor-
retto dal presidente Maineri attendesse alle dottrine ed
alla stòria del diritto, nelle quali emerse per modo, da
misurarsi coi più valenti jurisconsulti, ciò nulla di meno
il prepotente suo genio sospingèalo sempre a coltivare di
preferenza gli studj stòrici e filològici, quasi presago del
sommo lustro eh' egli avrebbe ai medésimi recato.
Avvedutosi impertanto non potersi maturare qualsiasi
XX DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
studio senza la cognizione delle lingue più culle , onde
esaminare in ciascuna i rispettivi trattati , egli attese di
buon'ora alPaquisto delle medésime, e vi fece i più rà-
pidi e prodigiosi progressi. Senza far cenno della greca e
della latina, scopo fondamentale de' primi suoi studj, nelle
quali era sopra tutto profondamente versato, già sin dalla
giovinezza aveva egli appresa la tedesca in Vienna, ove
in sullo scorcio del passato sècolo lo avea condotto P av-
venturato genitore; per modo che quel feracissimo in-
gegno non ebbe d'uopo di lunghi studj, quando rivolse
la mente alla castigliana , alla portoghese , alla francese
ed alla valacca, tanto affini alla latina^ o quando volle
impossessarsi dell'inglese, della neerlandese , della fri-
sica, della danese, dell'islandese e dei molteplici dialetti
germànici e scandinàvici affini tra loro ed a parecchie
famiglie dell'Asia e dell'Europa. Né le cognizioni di tal
gènere dal Gastiglioni aquisite coi proprj studj e quasi
senza maestro, èrano superficiali, o dirette ad aquistarsi
una stèrile fama di poliglolto, ostentando, in pùbiico od
in privato, spettàcolo straordinario di prodigiosa memoria;
ma del pari modesto che sapiente, mentre studiava la fi-
losofia delle lingue , analizàndone gli elementi ed inve-
stigandone l'intimo organismo, considerava la cognizione
delle medésime come preliminari di più ùtili studj, come
materiali indispensàbili a procèdere nelle importanti di-
squisizioni stòriche ed etnogràfiche.
E perciò non fu egli pago delle molte lingue europee
antiche e moderne pienamente aquisite; ma rivolse ben
più severi studj, e consacrò lunghe veglie alla cognizione
dell'ebràica, onde aprirsi facile il varco alla famiglia delle
semìtiche dette volgarmente orientali ; e colla fermezza
DEL CONTE CARL' OTTAVIO CASTIGLIOM XXI
deir indòmito volere, colla costanza di chi, conscio delle
proprie forze, affronta ed atterra ogni ostàcolo, giunse
in breve tant^oitre , che fatto padrone della lingua arà-
bica antica e moderna , non che de^ dialetti de^ Bèrberi
ede^ Beduini , della lingua turca e della persiana, spaziò
con sicuro piede nel regno di quelle importanti lettera-
ture, e dettò ben presto alF £uropa T illustrazione de' più
astrusi monumenti orientali.
Con tanto apparato d'erudizione, con sì dovizioso te-
soro di materiali, non è maraviglia, se il Castiglioni svolse
con pienezza di dottrina le più ardue controversie scien-
tìfiche sottoposte al suo tribunale, e se coscienzioso e
diligente osservatore, ampliò di nuove ed importanti sco-
perte le scienze da lui con maggiore costanza e con ispe-
ciale predilezione coltivate.
Un primo Saggio bastévole a collocarlo fra i più distinti
filòlogi d'Europa diede egli sin dall'anno 1817, quando
gli furono comunicati dalF abate Angelo Maj , dottore
dell'Ambrosiana, i Còdici rescritti da quel benemèrito
Colombo delle biblioteche allora appunto scoperti; dap-
poiché sebbene raschiati in tarlate pergamene, sebbene
in caràtteri ed in una lingua in parte ancora sconosciuta^
e mascherati da estràneo scritto sovraposto , ei non tardò
a riconóscere i preziosi frammenti della gòtica versione
ulfilana del Vecchio e Nuovo Testamento, e concepì Tarduo
disegno di ridonarli alla luce, facendone tesoro per la
compiuta ristaurazione della lingua dei Goti.
• E noto, come sin dalla metà del IV sècolo, quando i
Goti già sommessi alle dottrine evangèliche stanziavano
ancora in Dacia, il loro véscovo UlGla volgesse nella na-
tiva lor lingua l' A. e N, Testamento, primo e forse ùnico
XXH DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
monumento letteràrio di queir importante idioma (^l Seb»
bene F originale di quel vasto lavoro andasse nelle poste*
riori emigrazioni smarrito, non vMia dubio che, traltàn-*
dosi del Còdice fondamentale del culto , se ne moHipli-*
cassero gli esemplari per òpera dei copisti, màssime ove
si consideri , che i Goti si diffusero in sèguito in varie
regioni , fondando separati regni in Italia , in Gallia e
nella penìsola ibèrica. Ciò non pertanto questa loro dis-
persione fra pòpoli inciviliti di vario stipite influì pre-
cipuamente ad alterare e modificare le primitive loro im-
pronte nazionali , e quando soprafatli da nuovi conqui-
statori scomparvero alla loro volta, fondendosi colle na-
zioni poco prima loro soggette, scomparvero altresì coi
monumenti le ùltime vestigia della lor lingua, come pur
troppo vennero meno del pari le vestigia sinora invano
desiderate delle lingue dei Franchi , dei Vàndali , degli
Alani ^ dei Marcomanni, dei Gepidi, degli Unni e di tanti
altri pòpoli sovvertitori delle romane provincie.
(I) La versione ulfilana può dirsi infatti il solo monumento su*
pèrstite della lingua gòtica , mentre non possono risguardarsi come
monumenti letterarii le poche reliquie d'altro gènere sin ora sco-
perte. Tali sono : un contratto di véndita fatto dal clero di S. Ana-
stasia in Nàpoli, il quale è scritto in latino, e contiene a' piedi
quattro testimonianze in lingua gòtica ; monumento che appartiene
al princìpio del VI sècolo, è fu publicato da Sjerakowsky e da
Massmann. Altro slmile manoscritto dello stesso tempo^ che esisteva
in Arezzo, col quale un diàcono goto chiamato Gottiieb vendeva
ad un altro detto Alamud un podere , era pure scritto in bàrbaro
latino , e la sola testimonianza di Gottiieb vi si legge ih lingua gò- ^
tica. Questi due monumenti furono publicati ed illustrati da Zahn
neir òpera : Fersuch einer Erlduterung der gothisclien Sprachiiber-
reste in Neapelund Arezzo^ ah cine Einladimgsschrift undBeihge
sum Ulphiìm von J. C Zahn, — Braunschweig ^ 180*.
DEL CONTE CARL* OTTAVIO CA8T1GLI0M XXirt
Per buona ventura non tutti i monumenti del gòtico
idioma furono dalie successive devastazioni distrutti, dap-
poiché alcuni frammenti della versione ulfiiana dei quattro
Evangelj si rinvennero in un Còdice del V secolo da gran
tempo serbato nel monastero di Werden in Westfalia,
d' onde dopo varie vicende passò a decorare la reale bi-
blioteca dTpsala. Questo Còdice prezioso, detto argènteo,
perchè le lèttere vi erano improntate con fogliette d'ar-<
gento , qual ùnico monumento supèrstite d' una lingua
da oltre dieci sècoli obliata, fu publicato sin dal 1665
dalle congiunte cure di Junius e di Marshall, colla versione
anglo-sàssone , e ristampato pochi anni dopo da Stiern- '
hielm a Stocolma, colle versioni islandese, svezzese, te-
desca e latina , onde stabilire , mercè il raffronto delle
lingue, l'antico nesso dei Goti colle nazioni germàniche
e scandinàviche (*).
Altro frammento della versione ulfilana dell'Epìstola
di s. Paolo ai Romani fu scoperto intorno alla metà del
sècolo passato da Knittel a Wolfenbùttel, in un palinsesto
(1) Lingua Smo-Gothica, etc.j locupletata et illustrata. Holmiwy
4071. Una terza edizione del còdice argènteo fu pure apprestata
dal D. Benzel, e publicata da Lve ad Oxford nel 1750 colla ver*
sione latina e con parecchie osservazioni gramaticali. Questo còdice
dal monastero di Werden fu primamente trasportato a Praga nel
sècolo XVII, allo scopo di sottrarlo alla devastazione della guerra ;
ma essendo questa città caduta in potere del conte Kònigsmark, il
còdice passò in proprietà degli Svezzesii, e fu quindi deposto nella
biblioteca di Stocolma. Quando Vossìo visitò la Svezia^ riuscì a fame
Taquisto e lo portò seco in Olanda. Qui fu nuovamente venduto
nel 1663 a Puffendorfio incaricato dal conte De la Cardie^ il quale,
dopo averlo fatto sontuosamente legare in argento^ lo porse in dono
alla biblioteca di Upsala.
XXIV DELLA VITA E DEGLI SCKITTI
deir oliavo sècolo, dello poi Còdice Carolino , perchè pu-
blicato nel 1761 a spese di Carlo duca di Brunswick.
Sul testo gòtico dei Còdice argènteo primo s' accinse il
valente filòlogo Hickes a determinare in un lavoro, gra-
roaticale il naturale organismo di quella lingua ^^\ e poco
dopo Edoardo Lye tentò compilarne il glossario (^); ma
Tuno e Taltro^ mal discernendo le svariate forme ed in-
flessioni delle gòtiche radici, le scambiarono sovente colle
anglo-sassoni, alle quali si sforzarono ravvicinarle,^ co-
m^ebbe a dimostrare più tardi Erasmo Rask nella erudita
prefazione alla sua gramàtica anglo-sàssone (^). Più tardi
una serie di ingegnose osservazioni gramaticali trassero
da quei due Còdici con più retto critèrio Ihre e Fulda a
Weissenfels (*), sebbene, come venne in sèguito chiarito
(1) Questa Gramàtica^ già piiblicata dall'autore sin dairanno 1689,
col titolo: Institutiones grammaticce Anglo-Saxonicas et Moeso-
Gothicce^ formò poi la prima parte della grand-opera intitolata: Lin-
guarum veterum septentrtonalium Thesaurus^ auctore Georgia Hi-
ckesio, Oxonii^ 1705.
. (2) Dictlonarium Saxonico-Gothico-Latinum^ auctore Eduardo
Lye, Accedunt fragmenta versionis ulpIiilancBj ec. Londini^ 1781.
(5) Angehaksisk Sproglcere^ tilligemed en kort Lassebog. Sto-
ckliolm^ 1817.
(4) Ihre J. Scripta vei^sionem ulphilanam et lingtiam Moeso-
Gothicam illustrantia. Edidit A, F. BUsching. Berolini^ 1775. —
Fulda F. K, Mòsogothische Sprachlelire und Glossar j letzteres
umgearbeitet f?on F, F. H, Reinwald^ in Ulphilas Bibeliiberse-
tzung^ herausgegeben von J. Ch. Zahn, Weissenfels^ 1805. —
Oltre alle òpere sin qui mentovate, parecchi scritti di singolare
importanza vennero più tardi in luce ad illustrazione cosi delle
reliquie della versione ulfilana , come della gòtica lingua , i quali
peraltro, lungi dall'avere servito di guida al Castiglioni, come ir-
refragabilraente attestano le date delle rispettive publicazioni ^
PEL CONTE CARL'OTTAVIO CASTICLIOM XXY
dal dottor Jacopo Grimm ^^\ non fossero scevre di ine-
sattezze e di errori; per modo che il gran problema sulle
forme primitive della lingua dei Goti rimase in parte ir-
resoluto, né la esiguità dei materiali supèrstiti lasciava
sperare un più felice futuro risultamento.
Mentre i più distinti filòlogi inglesi, tedeschi e Scandi-
navie! se ne disputavano invano la soluzione, da questo
remoto àngolo dMtalia comparve dMmprovviso nelF agone
GarF Ottavio C^stiglioni , colle doviziose relìquie dei pa-
linsesti ambrosiani , e sedendo àrbitro fra loro , coir au-
torità dei fatti avvalorala da una serie di osservazioni e
raziocinj, dissipò le dublezze, rettificò gli errori ed ar-
ricchì di nuovi elementi la gramàtica ed il lèssico sin al-
lora appena incoati.
Già sin dalPanno 1819 , associando la propria dot-
trina alle cure del benemèrito scopritore, publicò un primo
Saggio della versione ulfilana , preceduto da un' erudita
prefazione ; e producendo fra gli altri alcuni frammenti
dei libri d'Esdra e di Neemia, provò col fatto, come Ul-
fila traducesse non solo il N. Testamento, come s'era cre-
duto sin allora, ma altresì l'Antico C^). In sèguito attese
furono in quella vece maturati sugli scritti del Castiglioni medési-
mo. I principali sono : Skeireins ^ivaggeljons thairh Johannen-
Auslegung des E{>angelii Johannis in goth, Sp^ache ^ ecc. Erlàu-
tert und herausgegeben von /T. F. Massmann, Miincheriy 1854.—
Ul/ilas, Feteris et Novi Testamenti vei^sionis gothicw fragmenta^ etc.
Cum glossario et grammatica Gothica ediderunt H. C. de Gabe-
kntz et Loebe, Altenb, et Lipsice^ 1856-45. Voi. 2.
(1) Vedi: Deutsche Grammatik,^Gòttingen^ 1819-40.
(2) UlphilcB partium ineditarum in A mbrosianis palimpsestis ab
Angelo Majo repertarum specimen j conjunctis curis ejusdem Maji
e( Caroli Óctavii Castillioncei editum, Mediolani^ 1816.
XXVI DEIXA VITA E DEGLI SCRITTI
con pertinace costanza a decifrare gli incerti caràtteri
sulle sdruscite pergamene, sinché tutte ebbe recate salve
in porto le tàvole di quel naufragio. Nel 1829 diede alla
luce per intero la seconda epìstola di s. Paolo ai Gorinlj,
corredandola d' una versione latina , di profonde osserva*
zioni filològiche e di un nuovo glossàrio (M. ]NcI 1834/
onde soddisfare alF impazienza dei filòlogi settentrionali,
publicò senza versione, ma con ampio corredo di note,
i frammenti supèrstiti delle epìstole di s. Paolo ai Romani,
ai Gorintj ed a quelli di Efeso (^); nell'anno successivo
le relìquie di quelle che lo stesso Apòstolo dirigeva agli
abitanti di Galazia , di Filippi, di Golosse e di Tessalo^
nica (3); e compieva la diffìcile impresa nel 1839, met*
tèndo in luce i frammenti della seconda epìstola a que^
di Tessalònica, non che delle epìstole a Timòteo, a Tito
ed a Filemone (^),
4
(1) UlpIiilcB gothica i;ersio dwi Pauli ad Corinthm secundm,
quam ex Ambrosiance Bibliothecos palimpsestis depromptamj cum
interpretatione j adnotationibus ^ glossario ^ edidit Carolm Octavim
Castillionoeus. Mediolani j 1821);
(2) Gothicce versionis epistolarum dm Pauli ad Romanos^ ad
Corinthios primce^ ad Ephesios quce siipersunt, ex Ambrosiancd
Bibliothecw palimpsestis deprompta^ cum adnotaHonibu$ edidit .
C. O, CastillioncBUs, Mediolani^ 183*.
(3j Gothicas K>ersionis epistolarum divi Pauli ad Galatas^ ad Phi-
lippensesj ad Colossenses^ ad Thessalonicenses primw quw super-
sunt, ex Ambrosiance Bibliothecos palimpsestis deprompta^ cum
adnotationibus edidit C, O. CastillioticBUs. Mediolani^ 1835.
(k) Gothicw versionis epistolarum divi Pauli ad Thessalonicenses
secundwj ad Timotheum^ ad TUfjtmj ad Philemonem quce supersunt^
ex Ambrosiancs Bibliotliecce palimpsestis deprompta^ cum aànotatio-
nibus edidit C. O. Castillioìmus. Mediolanij 185ft.
DEL CONTE CARL* OTTAVIO CASTIGLIOM XXVII
Per tal modo , e per la copia dei preziosi materiali cod
coscienziosa diligenza ed instancabile zelo da lui serbati
alla scienza , e per la profonda dottrina colla quale li
Teone illustrando, ei fu a buon diritto salutato da tutta
Europa fra i più benemèriti ristauratori deir antica lingua
dei Goti, il primo che rivelasse in essa T anello di con*
giunzione tra le antiche lingue germàniche e le scandi-
nàviche.
Sebbene la solerte operosità richiesta dalla natura di
simili lavori , e la vasta dottrina indispensàbile onde in-
traprènderli e condurli a compimento, possano per avven-
tura bastare a riempiere ed illustrare V intera vita d^ un
uomo , ciò nulla di meno la publicazione della versione
ulfilana non fu se non una parte dei lavori e degli studj
svariati del nostro benemèrito concittadino , un Saggio
degli importanti servigj da lui più tardi tributati alle
scienze.
^ In fatti 9 nel tempo stesso in cui ristaurava colla ver- .
sione ulfilana la lingua dei Goti, dettava ancora pel primo'
airEuropa il Còdice fondamentale della numismàtica arà-
bica; e neiranno medésimo in cui produsse il primo Saggio
della gòtica versione, mise in luce quel miràbile capo-la-
voro, che sotto il sémplice tìtolo : Monete Cùfiche deWL R.
Museo di Milano y racchiudeva per la prima volta in bel-
Fòrdine disposta tutta la teòrica relativa all'illustrazione,
ben più che delle trecento monete cùfiche del Museo mi-
lanese, di tutte le moltéplici serie dei monumenti degli
Arabi. Invitato dal mio benemèrito antecessore Gaetano
Galtànep a voler ordinare nelP I. R. Museo le^ monete
aràbiche da lui in alcuni viaggi aquistate, il Castiglioni,
con quella magnànima benevolenza, colla quale finché
XXVIII PELLA VITA E DEGLI SCRITTI
visse era tutto di tutti, accondiscese di buon grado alF in-
vito, porgendo una compiuta illustrazione dei monumenti
che gli si posero inanzi , interpolata da erudite e pro-
fonde osservazioni , nelle quali la vastità della dottrina
gareggiava colla potenza delP ingegno. Ma quasi ciò non
bastasse air insaziàbile sua mente, volendo pur rèndere
ragione del mètodo da lui tracciato nella classificazione
di tante serie metàlliche, fece precèdere quell'arduo la-
voro da una prefazione, nella quale, col modesto tìtolo
di Osservazioni preliminari , dettò appunto i cànoni fon-
damentali della scienza, che saranno sempre sioura guida
agli orientalisti futuri.
Fedele intèrprete e depositaria della meravigliosa istòria
di quel pòpolo errante^ che dagli àridi deserti delF Arabia^
sospinto da religioso fanatismo, estese il vessillo di Mao-
metto dal Gange alf Atlàntico , dalle sorgenti del Nilo e
dai deserti dell'Affrica sin nel cdor dell' Europa , la Nu-
mismàtica cùfica abraccia un periodo stòrico di quasi nove
sècoli, e quindi suddivìdesi in tanti rami quanti furono
i regni da quel pòpolo fondati, non solo, ma quante an-
cora furono le sette religiose nelle quali si suddivise, e
quante le dinastìe che in quel lungo periodo si succèssero
nel Califfato o nel reggimento di tante separate regioni.
Ed appunto a tracciare questo quadro generale della
scienza coordinato sull'autorità dei monumenti, cominciò
col tèssere un' istòria delV Islamismo nei primi otto sè-
coli delV Egira considerato relativamente alla moneta.
Seguendo quindi il mètodo dell' Eckhel nella sua Doctrina
numorum veterum^ procedette alla disàmina delle epigrafi
relative alla religione, nella quale, svolgendo i dissìdii
delle varie sette islamìtiche, porse i caràtteri distintivi dei
DEL CONTe CAnL^ OTTAVIO CASTIGLIOM XXIX
rispettivi loro monumenti; dalle epigraG passò alla ispe-
zione delle imàgini, ciò che gli porse argomento a nuove
ed importanti osservazioni, mostrando nei monumenti degli
Arabi 1^ orìgine delle imprese aràldiche d^ Europa. 11 suo
breve escurso sui nomi e sul valore delle monete dei varj
Califfi è un profondo trattato di economìa pohtica fondato
sai sistema monetàrio dei medésimi , e comparato a quello
degli altri prìncipi d' Asia e d' Europa ; e le belle osser-
vazioni sui caràtteri improntati sulle monete dei varj Ca-
liffi e dei varj tempi^ colle quali chiudeva i preziosi preli-
minari , pòrgono una compiuta istòria delF àraba paleo- ^
grafia.
Non v'ha argomento, che il Castiglioni non isvolgesse
colla vasta erudizione del dotto, colla profondità del filò-
sofo, colla esuberanza e dignitosa modestia del vero sa-
piente; e dovunque rivolse il penetrante suo sguardo
lasciò improntate luminose tracciedel portentoso ingegno.
Tra le serie de' monumenti aràbici nelTaccennato capo-
lavoro illustrati tròvansi ancora i vetri, o paste di forma
simile a quella delle monete, le quali, perchè improntate
di epìgrafi cùfiche , del pari che le più antiche monete
degli Arabi, furono dagli eruditi collocale in questa classe.
Wormio pel primo sin dal sècolo XVll avea fatto cenno
di monete di vetro rinvenute in Sicilia (*); in sèguito
parecchie furono publicate per cura di Adler e di Asse-
mani, che le risguardàvano pure quali monete; e se più
tardi alcune epìgrafi ambigue destarono qualche duhio al
De Sacy, ad Olao Tychsen, ed a talun altro, ciò fu per
(I) j^pud Eilianum StonBum^ Opttscula, T. Il, pag, 2i0,
^XXn PELLA VISA T DEGLI SGUITTI
con sicuro volo tra i sècoli remoti, e seguendo la stòria
deir umano incivilimento presso gli antichi pòpoli , sor-
retto sempre dalFautorità dei monumenti da lui medésimo
per la prima volta illustrali, non solo dimostrò alF evi-
denza la propria scoperta , ma recò alla scienza nuovo te-
soro dMmportanti rivelazioni.
.Dopo una breve introduzione, nella quale vi^ne con
rara dottrina enumerando le varie sostanze che nel vòl-
gere dei sècoli valsero di moneta pel cambio universale
presso i varj pòpoli, e dove di passaggio rivendicò ai no-
stri padri r onore del sottile trovato della Carta mone-
tata ^^\ procede a dimostrare colF autorità delle epìgrafi
(!) Trattandosi di argomento^ che specialmente spetta alla stòria
del nostro incivilimento, gioverà qui riferire la Nota, nella quale
il Castiglioni compendiava sagacemente le ragioni precìpue della
propria induzione. « Le scoperte dei moderni, egli dice, ci hanno
fatto conóscere, che molte delle invenzioni slate attribuite agli
Europei derivano invece dalla Cina , d* onde penetrarono inosser-
vate in Europa, sia per mezzo delle relazioni di commercio aper-
tesi nei sècoli di mezzo fra quell'antico impero e gli Arabi, indi
colle repùbliclie d'Italia, sia più tardi ancora per quella comuni-
cazione che r immensa, sebbene effimera, estensione dell'impero
rdei Mogoli aprì fra l'Occidente e T ùltimo Oriente. Quando consi-
deriamo, che la carta monetata (u inventata alla Cina sino dal sè-
colo IX, che vi ebbe corso per più sècoli, che di là, durante ap-
punto la dominazione vogòlica, fu introdotta, sebbene per poco
tempo e con èsito infelice, nella Persia, saremmo tentati di cre-
dere con Langlès, che questa invenzione di tanta utilità, ma in-
sieme di tanto fàcile abuso, ne sia slata, come tante altre, di là in-
trodotta presso di noi. Consideriamo però d' altra parte , che la
Repùblica di Milano diede corso forzato alle sue carte di débito
sino dall'anno i^KO, Osserviamo inoltre, che il banco pùblico già
introdotto in Venezia sin dal sècolo XII, mercè di un prèstito for-
zato^ e chiamato in allora Càmera degli imprèstiti, vi aveva prò-
DEL CONTE CÀRL' OTTAVIO CASTIGLIOKI XXXIÌI
improntate sui vetri e col raffronto del Ipro peso con
quello delle monete corrispondenti, desunto cosi dai mo-
nnmenti, come dai sistemi monetar], che dessi èrano de-
stinati a constatare il giusto peso delle monete medésime.
Dopo una serie d'altre prove di fatto passa a dimostrare,
come quest' uso fosse già in pieno vigore sin dai primi
sècoli della monetazione islamìtica, e continuasse di poi
presso la dinastìa degli Ajubiti, e sotto ai Mamelucchi,
sin oltre al sècolo XIV; e come, sebbene proprio dell' E-
gitto, che somministrò il maggior nùmero di vetri cono-
sciuti, pure si estendesse ancora in Barbarìa, nelFlrak e
persino in Sicilia. Accenna quindi, come gli Arabi affatto
rozzi al tempo delle loro conquiste, dovessero derivare
qaesfuso dal culto Egitto, presso il quale Parte di lavorare
il vetro da èpoche remotissime avea raggiunto somma per-
fezione (^), e del quale, in onta all'opposta sentenza della
babilmente già dato orìgine alla circolazione delle carte di pùblico
débito; che in Milano, e cosi in Venezia, si diede corso alle carte
di débito liquidato ; e che invece alla Cina si emisero carte da rim-
borsare a tèrmine lontano. Osserviamo ancora, che tutti questi fatti
sono anteriori all'època in che la carta monetata fu introdotta dai
Mogoli in Persia, ed anche a quella in cui i Polo padre e zio dì
Marco intraprèsero i loro viaggi. Ciò considerato, verremo, crédo,
neir opinione, che allo stato attuale delle nostre cognizioni intorno
a quest'argomento non può aversi per dimostrato, e forse neppure
per probàbile, che tale invenzione ci venga dalla Cina. »>
(!) Basterà avvertire , come i diversi processi dell'arte vetrària
si trovino chiaramente rappresentati nelle grotte dipinte di Beni
Hassan ed a Tebe ; e come fra i varj antichissimi monumenti strap-
pati ai sepolcri siasi rinvenuta una palla di vetro verdógnolo, sulla
quale è improntato il nome del Faraone Amuneitgouri , che regnava
m sol princìpio della dinastia XVUl, vale a dire alla distanza da
Boi di circa tre mila ottocento anni.
XXXIV DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
moderna critica, difende T antichissimo incivilimento (*).
A provare la derivazione di quest'uso dall'antico Egitto
produce la testimonianza di varj monumenti congèneri
cosi dell'età faraònica, come -dei tempi della conquista;
(i) Le osservazioni del nostro Autore su questo grave argomento
sono così importanti^ ch'io reputo cosa ùtile riportarle letteralmente.
«Egli è vero bensì (così egli si esprime a pag. 51)^ che le scoperte
dei moderni hanno in gran parte scemata la fama di che godeva
un tempo la scienza degli antichi Egizj. È vero altresì , che colui
cui , dopo Champollion , la cognizione delle antichità di quella na-
zione va debitrice dei maggiori progressi, ha dimostrato con quella
estesissima erudizione di che è fornito, e con quel lùcido critèrio
che in esso lui sùpera rcrudizione stessa, come gli Egizj negli ùl-
timi perìodi della loro indipendenza , ed avanti le conquiste dei
Macèdoni, molto apprendessero da quei Greci, che i re nazionali ,
posta in non cale l'antica gelosìa, lasciarono stabilire in mezzo di
loro. Egli è vero d'altra parte, che la moderna crìtica vuole anno-
verata tra le fàvole la venuta di antiche colonie egizie che abbiano
dirozzato i Greci , e che nega persino ai Greci dei tempi omèrici
qualunque precisa contezza delle cose d'Egitto. Però (prosegue egli
in nota separata) i dati sui quali si vuole esclusa la venuta di an-
tiche colonie egizie nella Grecia sono fondali sopra assai déboli
congetture dedotte dalla poca simpatìa degli Egizj stessi pei viaggi
di mare. Una tal presunzione è per altro ben poca cosa a rispetto
della probabilità^ che Tantichìssima civiltà d'Egitto siasi comunicata
alla nazione greca, e più ancora a rispetto delle concordi tradi-
zioni dei Greci , che ci additano l' Egitto come autore del loro pri-
mo incivilimento. D'altra parte le turbolenze e le guerre civili che
agitarono l'Egitto all'època dei re pastori, e quelle che furono ca-
gione di tante mutazioni nella sede di quell'impero^ possono colà,
come altrove, èssere state cause di emigrazioni ». Di questo passo
egli procede poi coi più incalzanti ed irrefragàbili argomenti a di-
mostrare Tantichìssimo incivilimento dell' Egitto di gran lunga an-
teriore ai tempi, nei quali la Grecia era ancora avvolta nella bar-
barie , e il sommo grado di perfezione che colà raggiùnsero molte
arti e molte scienze.
DEL CONTE CAUL' OTTAVIO CASTIGLIOM XXXV
e risalendo agli antichi sistemi nìonctarj di quella regione,
si fa a dimostrare, come gli Egizj non avessero moneta
propria nazionale avanti la dominazione persiana, vale
a dire, nel tempo del màssimo loro splendore; ma attri-
buissero ciò nulladimeno, colle altre nazioni, ai metalli
nòbili l'universale rappresentanza del valore della merce,
ciò che appunto importò la necessità d'avere istromenti
atti alla non fallace verificazione del peso dei varj metalli.
Né potèasi a tal uopo scegliere sostanza più opportuna
del vetro . dappoiché né i metalli , né le altre sostanze
comunemente adoperate allo stesso uso offerivano eguale
guarentigia. E qui sorprende lo scòrgere, come quell'uomo
straordinario traesse argomento da questo fatto a di-
mostrare con una serie d'esempj tolti dalla storia degli
antichi pòpoli, che una nazione può raggiùngere un alto
grado di civiltà e di potenza senza avere moneta impron-
tata. Così appunto i vasti imperi del Messico e del Perù
più ricchi d' ogni altro in metalli nòbili , nell' èra antc-
columbiana èrano surti a gran potenza senza moneta di
sorta, né materia di cambio universale. Che se avèano
essi pure un sistema d'imposte e di gabelle,* le prime
veniano pagate col lavoro , le seconde con parti aliquote
delle merci. Cosi nella più remota antichità presso le più
eulte nazioni, ed ancora oggidi in molte contrade dell'Asia
e dell' Affrica , le conchiglie dette cauris furono e sono
la moneta corrente , come lo furono altresi lungamente
nella eulta Cina , ove conchiglia e ricchezza sono rap-
presentate con uno slesso caràttere. Cosi appunto ancora
adesso, come nei sècoli remoti, i Cinesi non hanno mo-
neta d'oro né d'argento, sebbene attribuiscano a questi
metalli V universale rappresentanza dei valori. Cosi gli
XXXVI DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
Ebrei non ebbero moneta propria avanti il regime dei
Maccabei. Cosi Roma ebbe solo moneta di bronzo sin oltre
la metà del V sècolo dalla sua fondazione ; né fra i rù-
deri delle potenti monarchie assira e babilonese si rin-
vennero ancora monumenti ai quali possa con ragione
attribuirsi caràttere di monete.
Ed ecco 5 o Signori, come il Castiglioni collegava le più
àrdue questioni scientìfiche, e metteva a contribuzione la
scienza universale alla soluzione d'un singolo problema.
INè qui sta il tutto; dappoiché riscontrando egli nelle mo-
nete delle varie dinastie che successivamente governarono
le Provincie poste lungo le coste affricane^ dalla Cirenàica
cioè sino alla Mauretània, nomi enigmàtici di città, sulr
l'origine, topografia e vicende delle quali la scienza errava
ancora in molte dubiezze , non pago d' aver compiuta
r illustrazione delle monete , volle che le medésime ser-
vissero ad illustrare l'antica geografia di quelle remote
regioni , ciò che compi quasi per incanto in appòsito la-
voro da lui publicato nel i826 in lingua francese, col
titolo : Mémoirc géographique et numismatique sur la
parile orientale de la Barbarie appelée Jfrikia par les
jirahes (*).
In questa Memòria , che come tutti gli scritti del
Castiglioni racchiude un ampio tesoro di nuove dottrine,
sorretto sempre dai monumenti e dalle testimonianze degli
scrittori, egli non solo venne ordinando per la prima volta
(1) Milan, de Vimprimerie L et R. 1826 , in-8.'' Questa Memò-
ria è poi seguila da un' altra intitolala : Becherches mr les Berbè-
res Athntiques anciens habitans de ces contrées.
DEL CONTE C\RL' OTTAVIO CASTIGLIOM XXXVII
un trattato geogràfico delFAfrikia degli Arabi (^); ma svolse
altresì con miràbile chiarezza la mal nota istòria delle
singole città di quella vasta regione dalla loro origine
sino alla formazione degli Stati moderni, assegnando a
ciascuna il suo vero posto, non che la rispettiva importanza
commerciale, militare e politica nei varj tempi. Per tal
modo, mentre i dotti orientalisti d^ Europa disputavano
a lungo fra loro sulla retta applicazione di alcuni nomi,
sul sito occupato da certe città, sulla dinastia o sul prin-
cipe al quale attribuire i monumenti affricani, la Memò-
ria del Gastìglioni apparve d' improvviso a spàrgere la
più vivida luce su quelle astruse controversie ; sicché da
quelPistante non furono più enigmàtici i nomi di Àfrikia,
di Malìdia, di Àbbasia, di Gairoan, di Mansoura, e d^ altre
città fondate od illustrate dagli Arabi; sin d^ allora fu
squarciato per sempre il velo che ravvolgeva le origini e
le vicende di Tunisi, di Tripoli e di Algeri, e furono asse-
gnali a ciascuna i monumenti che le spettavano. Che anzi,
quasi ciò non bastasse al compiuto sviluppo del propóstosi
argomento, ei volle ancora sotto forma di Note, poiché
male il comportava T ordinato processo del principale su-
bietto, svòlgere le orìgini de' Fathimiti, degli Almoravidi,
(1) VAfrìkia dei geògrafi orientali , oltre TAfrica propria dei
Romani composta delle due grandi provincie di Zeugitana e di
Byzacene, abracciava ancora le altre provincie marittime di Trì-
poli e di Nuraidia con una parte della Mauritania Casariensis ^ e,
giusta Topinione d'alcuni, ancora la Cirenàica. Inoltre, neir intemo
delle terre estendèvasi air Oasis d'Ammonee ad una parte del paese
dei Phazanii, Per tal modo, raffrontata alle divisioni geogràfiche
allaali, corrispondeva ai moderni Stati di Trìpoli e di Tunisi, alla
parte orientale di quello d'Algeri, all' Owd^ di Sioiiah^ a Gadamis,
t ad una parte del regno di Fezzan.
XXXVIII DELLA VITA E DEGLI SCIIITTI
degli Àlmohadi, degli Aglabili, non che ì destini di alcuni
re di Tunisi e di parecchie tribù separale , che alla lor
volta si ripartirono il possesso di quella vasta regione.
Per ùltimo , quasi ad Jppendice^ aggiunse ancora le più
ardite ricerche sulP origine dei Bèrberi atlantici, antichi
abitanti dell' Affrica settentrionale , rivelando pel pritno ,
col sussidio della lingua da loro parlata affatto distinta
dalla pùnica , sebbene affine alle semitiche , e mercè la
concorde testimonianza degli scrittori , la loro derivazione
daiPÀsia occidentale in età remotissima di molto anteriore
ai (empi stòrici de' Greci e dei Latini.
A tanta dottrina, a tanto lustro recato alle lèttere ed
alle scienze, era ben naturale, che l'Europa riverente
recasse débito tributo d' omaggio e di riconoscenza ; ed
infatti quasi tutti i più distinti Corpi scientifici si pregia-
rono annoverarlo fra i loro membri. Fra questi gioverà
ricordare le RR. Società asiàtiche di Londra e di Parigi ^
le RR. Academie di Svezia e Norvegia, di Baviera e di
Torino, la Società R. archeològica di Copenhagen, quella
della lingua tedesca in Berlino e la Econòmica agraria di
Perugia, non che FI. R, Academìa di Belle Arti in Milano;
e ben meritato contrassegno di slima gli largiva l'Augusto
Monarca Ferdinando I, quando nel i858 lo eleggeva al
seggio presidenziale dell'I . R. Istituto Lombardo di Scien-
ze, Lettere ed Arti. Voi foste testimonj, o Signori, con
quanta sollecitùdine e prudenza ei reggesse questo illustre
Corpo scientifico, ornamento precipuo della nostra me-
tròpoli; ne certo è da imputarsi a difetto di buon volere,
se nel troppo breve suo regime non gli fu dato impron-
tarvi orme più profonde della retta e magnànima sua
monte.
DEL CONTE CAKL' OTTAVIO CASTIGLIOM XXXIX
Sin qui ho tentato adombrarvi alcuni fra gli scritti di
quel grand' uomo , dai quali più chiara emerge la sua
vasta dottrina nelle scienze stòriche ed archeològiche ,
non che nelle lingue germàniche ed orientali propriamente
dette. Essa peraltro non era meno estesa nelle altre scienze,
Delle altre famiglie di lingue indo-europee, e persino nella
mogòlica, nella cinese e nella copta, alle quali avea rivolti
lunghi e pazienti sludj. Ne diede irrefragabile testimo-
nianza, allorché ragionando sul Lèssico della lingua copta,
publicato nel 1833 in Torino dal tanto benemèrito filò-
logo piemontese Amedeo Peyron, estese un trattato sui
caràtteri distintivi e sulT istòria di queirantica lingua; in-
slilui un confronto fra la natura della copta e quella
della cinese, non che tra i rispettivi loro sistemi di scrit-
tara ideogràfica; e svolse con rara dottrina i successivi
rtudii degli eruditi sui monumenti jeroglifici e demòtici
degli Egizj (*). Ne diede non meno lùcide prove, quando
illustrando il Còdice Cloziano publicato dall' erudito
Kòpitar a Vienna , si mostrò profondo conoscitore delle
lingue slave; e in onta alle dottrine proclamate dalla mo-
derna critica, capitanata da Dobrowsky, si fece a provare
la remota antichità delFalfabeto glagolitico che certamente
precorse al cirilliano ^^^. Ne diede convincenti ffrove, al-
(1) Quest'erudito lavoro del Castiglioni trovasi inserito nel Tomo
LXXXl deWsL Biblioteca Italiana^ a pag. 21, sotto il tìtolo seguente:
Lexicon linguai copticie^ studio Amedei Peyron equilis^ etc. Tau-
rini, 183B.
(2) Quest'importanle lavoro del Castiglioni trovasi inserito nel
Tomo LXXXll della Biblioteca Italiana, voi. 11 dell'anno 1836, a
pag. 260 e segg. , ove col modesto velo dell' anònimo , rendendo
ragione delFòpera intitolata : Glagolita Cloziamis, poco prima pu-
XL DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
lorcliè, commentando le Glossce di Malberga publicafe
da Leo, si mostrò del pari valente nelle lingue dei Celti,
blìcata in Vienna dal eh. Bibliotecario Barlolorameo Kòpitar, prese
a sviluppare uno de* più astrusi e controversi problemi della lin-
guìstica. L'opera che diede occasione a questo scritto era intesa
a publicare ed illustrare un còdice antichissimo in lingua slava con
caràtteri glagolìtici^ appartenente al conte Pàride Cloz di Trento,
dal quale prese appunto il nome di Glagolita Clozianus , e che
racchiudeva la traduzione di quattro omelie attribuite ai Padri gre-
ci, relative alla celebrazione dei misterj della Settimana Santa, cioè,
per la doménica delle Palme , per il giovedì , venerdì e sabbato
santo. Anzi tutto è d'uopo premettere, come le tante nazioni slave,
irrompendo sin dal VI sècolo dalle regioni orientali nel cuor del-
l'Europa, vi si iniziassero a civiltà, adottandone Tuso delle lètte-
re. Tre furono gli alfabeti dei quali fecero uso sino ai nostri gior-
ni ; il latino^ cioè, adoperato da tutti gli Slavi aggregati al» rito la-
tino, tranne gli Istriani ed i Dàlmati, che per antico privilegio ot-
tenuto dai romani Pontéfici celebrano la loro liturgìa slava, e fanno
uso dell'alfabeto glagolìtico affatto distinto da tutti gli altri d' Europa.
Esso è cosi denominato dalla voce slava glagol che significa parola,
ed è ancora il nome proprio della lèttera G. Il terzo alfabeto è U
cirillianOj cosi detto dal suo introduttore Cirillo, che nel sècolo IX
lo trasse dal greco, aggiungendovi alcune lèttere atte a rappre-
sentare i suoni slavi alla greca lingua mancanti ; e fu, ed è ancora
usato da tutti gli Slavi cristiani di rito greco , compresi i Russi ^
non che dai pòpoli Valacchi. Se conosciute èrano le orìgini degli
alfabeti latino e cirilliano, quelle del glagolitico furono soggetto di
controversi pareri; dappoiché, mentre da un lato una remota tra-
dizione ne attribuiva l'invenzione a s. Girolamo , dall' altro i dotti
Kohl, Banduri e Parlati, e negli ùltimi tempi il boemo Dobrowsky,
ne dimostrarono l'assurdità. Se non che, non conoscendosi a quel
tempo monumenti glagolìtici anteriori al sècolo XllI, lo stesso
Dobrowsky ne attribuì erroneamente l'invenzione intorno a quel
tempo, il qual errore ebbe l'universale sanzione degli eruditi, sino
alla comparsa del mentovato còdice Cloziano. Coll'autorità di que-
st'ultimo, che il benemèrito editore dimostrò appartenere al X e
DEL CONTE CARL* OTTAVIO CASTIGLIOM XLI
che nella scienza della legislazione; o quando invitato a
sciògliere alcuni dubj sulla natura delle lingue lètticlie,
dettò importanti osservazioni atte a dimostrare la remota
orìgine indiana delle medesime, non che la derivazione
dei Letti e dei Lituani dai Sàrmati degli antichi W. In
fors*aDche al IX sècolo ^ e colla testimonianza d* altri monumenti
l^golìtici preesìstenti, ma non bastevolmente sin' allora avverliti,
Kòpitar dimostrò compiutamente Tanteriorìtà dell'alfabeto glagoli-
lieo al cirilliano, il quale aveva anzi tolte al primo le lèttere man-
canti nel greco alfabeto. Ora il Castiglioni, che prima di Kòpitar
aveva' esaminato quel prezioso còdice, colse appunto l'opportunità
della sua publicazione a svòlgere con nuova erudizione e dottrina
quest'argomento, provando, come l'alfabeto glagolìtico fosse per
avventura la scrittura propria degli antichi Macèdoni ed Epiroti,
dai quali gli Slavi l'attinsero prima ancora d' irrómpere nel cuor
dell' Europa^ e come, anziché rassomigliare al rùnico, come tentò
dimostrare il dottor Jacopo Grimm , serbi maggiori punti di con-
tatto col samaritano. Procedendo quindi in una questione non meno
ardua e controversa, come si è quella di determinare, quale fra i
molti antichi dialetti slavi sia stato preferito e convertito in lingua
liturgica, concordando pienamente coli' opinione vittoriosamente
dimostrata dall'editore del còdice, che conchiuse in favore del dia-
letto raoravo-pannònico , la venne avvalorando con una serie di
Buove argomentazioni e nuovi esempj , confutando ancora l' oppo-
sta opinione dello stesso Grimm, che preferì derivare dal dialetto
dd Bùlgari le orìgini della lingua litùrgica degli Slavi.
(t) Mentre io stava maturando alcuni studj pel ragionato ordina-
mento del mio Atlante linguìstico d'Europa^ mi trovai avviluppato
nel vòrtice delle più disparate opinioni degli eruditi relative alla
elasfiiGcazione delie lingue dei PrUvSsi , dei Lituani e dei Lettoni ;
dappoiché gli uni le derivavano dalla latina, altri dalla greca, altri
dalla cèltica ; taluni ancora le risguardàvano come una miscela de-
rivata dall'accozzamento e dalla fusione dei pòpoli germànici e slavi;
mentre altri vi ravvisavano l'antichissimo tipo proto-slavo; ed altri
finalmente riconoscevano in quelle lingue uno stìpite primitivo e
dblinto dagli altri. Avendo quindi in tanti dissìdj comunicati i
XUI DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
breve, ne diede !e più chiare testimonianze in una serie
dì Scritti, cui troppo lungo sarebbe annoverare, in parlo
sparsi fra varj Giornali scientifici , ed in parte luti' ora
inediti, sulla filologìa comparata, e su tanti svariati ar-
gomenti, dei quali , comecché immaturi, sarebbe pur
desideràbile la publicazione ^*).
miei dubj al conte Castiglionì^ colla consueta sua gentilezza com«
pìacèvasi trasraètlermi le dotte considerazioni su quest'argomento,
che ho letteralmente inserite nella I.^ Parte deir Atlante medésimo,
a pag. 238 e seguenti, ove con quel lùcido critèrio che lo distin-
gueva si fece a dimostrare, che i pòpoli lèttici non èrano né Ger-
mani, né Slavi ; che le loro sedi corrispóndono a quelle degli anti-
chi Sàrmatì ; che ie tradizioni dei Lituani serbano ricordanza di
un Palemone che introdusse appo loro la civiltà romana, e che nel
tempo e nelle gesta coincide col Poleraone re dei Sàrmati del
Ponto ; e che quindi non potendosi méttere in dubio Tidentità delle
nazioni lèttiche e sarmàtiche, anche le loro lingue dèvonsi coor-
dinare come un ramo separato e distinto del grande stipite indo-
europeo.
(1) Essendomi stato concesso dalla gentilezza degli eredi l'esa-
minare i varìi manuscritti lasciati dal compianto nostro concitta-
dino, credo far cosa grata al lettore , trascrivendo per órdine di
materie un Indice dei medésimi , avvertendo , che alcuni constano
di sémplici note e materiali raccolti per un lavoro da farsi, altri
sono Dissertazioni più o meno incomplete. Tra gli studi! Ungili*
stici sono da notarsi i seguenti : Memoria sulle lingue e sulla in-
venzione dell* alfabeto j con un'Appendice sull'alfabeto cinese. — -
Sistema Zanelli sulle scritture sacre ed arcane, -i— analogìa fra il
Maltese e T/^rabo. — Sui segni fonètici ed ideogràfici, e figliazione
delle lingue^ giusta i princìpj di SchleiermacJier. — Osservazioni
filològiche sulle optare di Bopp e di Jacopo Grimm. — Le lingue
lèttiche appartengono allo stìpite indo-germànico. — Sopra un cò-
dice greco de' SS. Padri. — Di due versioni glagolìtica e slavo^
rutènica di un Salterio. — Sulla scrittura dei Bussi nel dèdmo
sècolo, e dell'alfabeto glagolìtico presso i medésimi. — Confronto
DEL CONTE CAUL' OTTAVIO CASTltìLIOM XLIII
Fornito dalla natura d^ una mente sì lùcida , di retto
sentire, e ricco di tanta dottrina, torna vano avvertire,
come il Castiglioni fosse in grado eminente religioso e pio,
dappoiché il vero sapiente primo fra tutti si prostra devoto
d^inanzi alF infinita Sapienza*, bensì è d'uopo avvertire,
ch'ei non ardeva già di quella stèrile pietà, che s'appaga
di ostentate pràtiche esterne, e che tìmida e sdegnosa ad
UD tempo s'impenna sbigottita ad ogni annunzio di so-
ciale progresso; ma di quella soda e santa pietà che sol-
leva l'uomo a venerare il Creatore nella piena contem-
plazione del creato , e che per mezzo della pura e tolle-
rante morale evangèlica, non che d' una vita onesta e la-
boriosa, Io sospinge ad ùtili e generose azioni. Dopo ciò
tra Valfabeto glagolìtico e cirilliano, — Sulla storia delle lingue
sliwe di Eichlioff, — Sulle Glosse malberghiane publicate da Leo.
— Memòria sull'autore dei frammenti gòtici dell'Evangelio di
9. Giovanni,
Fra gli studii stòrici ed archeològici noterò i seguenti : Memò-
ria sull'orìgine e sulla stòria primitiva dei Turchi Ottomani. —
Sulla Stòria delle Crociate di Michaud. — Lèttere sulla domi-
wizUme saracena nella Sicilia, — Bi alcuni Califfi illustri ( tra-
dazione dairàrabo). — Memòria intorno a due figurine di bronzo
iitepellite alla Stradella. — Memòria su di un' epìgrafe etrusca
illustrata dal Cicconi. — Memòria in confutazione di Link sul
Mondo primitivo. — Memòria sul cerchio luminoso ossermto nelle
Klissi totali di sole.
Fra gli studii politico-econòmici sono precipuamente da anno-
Terarsi i seguenti : Memòria sull' introduzione del sistema feudale
«eJ mezzodì dell'Europa. — Orìgine degli Statuti Comunali; oltre
id una serie ragguardevole di note Sui principali trattati polìtico-
econòmici. — Facciamo voti onde sia quanto prima publicata una
iceita di questi importanti scritti , i quali saranno per aggiùngere
Boovo lustro alla memòria del benemèrito autore.
XLIV DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
non dirò, com^egli, ch'era largo dispensatorc di consigli
e di dottrina a chiunque nel richiedeva, fosse ancora ql-
tremodo generoso verso T indigente; dappoiché egli è as-
soluto dovere del ricco distribuire il superfluo a prò del
bisognoso; dirò bensì, com' egli , eh' era rìgido ed avaro
solo verso se stesso, non prodigasse già le proprie ricchezze
in pùbliclie elargizioni, o con fini diretti a maturare ambi-
ziosi disegni; ma nel silenzio e nella gioja delF incolpàbile
sua coscienza profondesse a larga mano ben più che il
supèrfluo, con miràbile sapienza a prò del Culto, del pari
che dell'operoso . e dell'onesto cittadino, contento di gio-
vare con tutti i mezzi al miglior èssere sociale.
Integèrrimo e magnànimo cittadino egli amò sempre
di puro e sviscerato amore il proprio paese. Che se la mal
ferma salute affranta dalle veglie e dalia laboriosa sua vita,
le cure domèstiche, i prediletti suoi studj e più di tutto
l'innata modestia, gli vietarono di accettare le onorévoli
magistrature che il volo cittadino unànime gli conferiva,
non vegliava meno a tutelare e promuòvere la prosperità
e l'onore della sua patria, né meno sollecito accorreva
a confortarla e sorrèggerla coli' òpera e col consiglio.
E pure chi crederebbe, che in mezzo a sì profondi studj
ed a tanti colossali lavori, indefesso cultore dei domèstici
affetti, emergesse del pari per pietà figliale, conjugale af-
fezione e tenerezza paterna? Quell'uomo insigne che colle
assidue cure felicitò la vecchiaja del venerato genitore,
impareggiàbile marito, rese pur dolce la vita alla virtuosa
compagna (*), e padre affettuoso, attese ad informare
(l) La signora contessa Carolina Borromeo, alla quale si uni in
matrimonio sin dalPanno 4815.
DEL CONTE CAHL* OTTAVIO CASTICLIOM XLT
coi precetti e coIF esempio le non meno avventurate sue
figlie alle virtù dei parenti. Che più? Compiacente verso
i congiunti e verso gli amici, officioso verso i dotti cor-
rispondenti d'ogni nazione, che a lui ricorrèano quasi
a fonte d' universale dottrina , parca che la profonda sa-
pienza versata in tanta copia sulle do^te carte, in lui
congènita, fluisse spontànea dalla scorrévole penna, o
gli venisse dMmprovviso inspirata da un genio tutelare.
Sebbene affievolito dalla soverchia applicazione, seb-
bene colla vista oltremodo malconcia dai còdici e dalle
medaglie, quasi nulla avesse apprestato a prò della scienza^
già stava maturando vasti lavori sulle orìgini itàliche^
sulla economìa polìtica deW antica Roma^ suW elemento
orgànico della prosodìa greca e romana^ e sovr'altre non
meno importanti ricerche, quando le politiche vicende
che nel 1848 scossero da' suoi cardini tutta l'Europa e
minacciarono l'eccidio del suo paese, sórsero d'improvviso
a turbare la pace de' suoi studj , ed interrómpere i suoi
preziosi lavori. Esagitato dalla nera procella che mugghiava
sulla cara sua patria, dolente di non poterla soccórrere col
proprio consìglio , col cuore insanguinato torcendo lo
sguardo dal prospetto di maggiori sventure, cercò con-
forto all'anima straziata nella solitùdine d'una suburbana
sua villa. Di là mentre pietà paterna il traeva al ligure
apennino a confortare una figlia ammalata, sorpreso per
via da violento morbo , spirava nel bacio del Signore il
dieci aprile del 1849, prima ancora di compiere il Xlll
lustro.
Cosi si spense repente la troppo breve e preziosa vita
d'uno de' più splèndidi luminari d'Europa, d'uno dei più
benemèriti figli della metròpoli lombarda. Così scomparve
XLVI DKLLA VITA E DEGLI SCRITTI, EC
quel grande, la cui vita incontaminata e laboriosa legò
si ricco patrimònio alle scienze e sì pura eredità d' af-
fetti alla sua palria. Lode a voi, o magnànimi cittadi-
ni^ che, penetrali delF ammirazione e riconoscenza do-
vute alle sublimi sue virtù, ne voleste perpetuare la glo-
riosa memòria erigendone il simulacro nel santuario delle
scienze! Che se il nome venerando del Gastiglioni, già scol-
pito a caràtteri indelèbili nei fasti della scienza , vivrà
immortale nelle òpere monumentali da lui stesso appre-
state; s'egli vivrà mai sempre improntato nel cuore rico-
noscente de' suoi concittadini; quella effigie che oggidì gli
consacrate, varrà a ricordare allo straniero che vìsita la
nostra metròpoli, che in questa clàssica terra non è ancora
esausta la sorgente de' sommi ingegni; che Milano sa ap-
prezzare ed onorare come conviensi i benemèriti figli che
la illustrano; e varrà ad infiammare le future genera-
zioni a seguirne il magnànimo esempio.
ORIGINE E SVILUPPO
DELLA
LINGUISTICA
Volge appena la seconda generazione, dacché Y Europa tutta,
ammirando gli alti fini, e le importanti rivelazioni fatte nel corso
di pochi anni da due scienze novelle, dalla Geologia e dalla
Linguistica, ne segue ansiosa il progresso, e raddoppia i suoi
sforzi per condurle con rapidità al loro perfezionamento. Mira
luna a determinare gli annali della creazione, T altra quelli
del genere umano, cui piacque alla divina Provvidenza abban-
donare alle investigazioni dell* uomo. Il nostro globo è antico,
e Dio sa per quanti secoli s* aggirò nello spazio de* cieli, prima
che la sua crosta, elaborata dagli elementi, porgesse, raffred-
dandosi, conveniente asilo alla creazione vivente 1 Ora sconvolto
dal fuoco, ora sonunerso nel mare, questo suolo che ci dispu-
tiamo diede un tempo ricetto ad altra creazione, della quale
sussistono bensì le reliquie, ma non un solo motto tradiziona*
le. Dopo tanti secoli di universale ignoranza, solo a* di nostri
la geologia rivelò la prima, come, enumerando gli strati terre-
siri, analizzandone la giacitura e gli elementi, e studiandone i
ruderi vegetabili ed animali, giunger si possa a determinare
c<)n esattezza le età rispettive delle regioni e dei monti , le
4 OUIGIN^ K SVILUPPO
cause (iil'ferenli che precipuamente contribuirono alla loro for-
mazione, ed a ricomporre e conoscere buona parte di quella
creazione per tanti secoli ignota , che prestò soggetto a molti
favolosi racconti.
Dopo lunghi sconvolgimenti e misteriose vicende comparve
finalmente l'uomo, che si nomò sovrano della natura e, rapi-
damente moltiplicandosi, copri delle innumerevoli sue stirpi la
superficie terrestre. Queste la percorsero più volte da oriente
ad occidente, da borea ad austro; più volte cozzarono, si re-
spinsero si fusero a vicenda le une nelle altre ; più volte in-
civilirono, fondarono vasti regni, abbrutirono e scomparvero,
prima che la storia ne apprestasse ai posteri gli annali. Le
piramidi dell'Egitto, gli eiUfizii ciclopici, le vetuste necropoli,
le città sepolte dell' America, dell' Europa e dell' Asia, e gli in-
numerevoli monumenti disotterrati in Iberia, in ItaHa, e per-
sino nelle più settentrionali regioni dell'antico e del nuovo
mondo, attestano la rimota esistenza di grandi e potenti nazio-
ni, delle quaU serbiamo appena alcuni nomi. La notte dei se-
coli copri d'obbUo tante splendide generazioni, e ravvolse ne'
simbolici miti persino le origini d'Atene e di Roma, sorte sulle
rovine di civiltà anteriori, dal sepolcro di potenti e colte nazioni,
A spargere benefica luce su queste primordiali vicende del
genere utiiant), a svolgere ìa intricate fila che ne i^Ollc^ano le
molteplici stirpi, ed a svelak*e i rafiporti M le antiche e le
moderne generazioni, sórse appunto a' di nostri la linguistica,
interrogando il solo monumento indistruttibile, il linguaggio dei
popoli, e diede quindi cominciamento alle, proprie speculazioni
colà, dove la geologia poneva fine alle proprie.
La serie dei risuitamenti ottenuti nel breve spazio d' un mezzo
secolo comprese di maraviglia la generazione vivente, e v' im-
presse tale un desiderio di sviluppare tutte le molle e la re-
condita potenza di questi mezzi novelli, che ovunque sorsero
rapidamente società geologiche e linguistiche intese ad unire i
loro sforzi nella causa comune; ovunque furono instituiti ed
ordinati al medésimo fine profondi studii, onde consolidare le
fondamenta del nuovo edificio; e mentre gli uni, percorrendo
le più inospite e più rimote contrade, van tessendo l'istoria
del mondo materiale, gli altri cercano nella disamina dei mo-
derni e dei vetusti linguaggi quella dell' uomo.
DELLA LINGUISTICA. 5
In mezzo a questo generale movimento , non dobbiamo ri-
manere più oltre freddi ed inerti spettatori d'avvenimenti ch'e-
mergeranno un giorno ne' fasti dell'umana intelligenza; ma im-
pazienti di eccitare al nobile arringo con maggiore alacrità i
nostri connazionali, e nella fiducia di far cosa grata ai lettori,
ci proponiamo di porger loro in una serie continuata d' istorici
sunti le principali nozioni suU' origine e sullo sviluppo della
linguistica ; sulle fondamentali sue leggi e sulle utili applicazioni
delle medesime; sullo stato attuale di questo studio presso le
più colte nazioni d'Europa» non che sulle vicende delle preci-
pue letterature classiche e vernacole , onde si scorga dal già
fatto quanto ancor resti a farsi, e qual t^oro di cognizioni no-
velle possiamo riprometterci dall'incremento di questa scienza.
Incominciando dalla sua origine e dal suo sviluppo, e medi-
tando sulle cognizioni ottenute mercè lo studio comparativo delle
lingue in si breve tempo, non possiamo inunaginare, come tanti
milioni d' uomini lasciassero trascorrere si lunga serie di secoli,
senza avvertire questo vincolo naturale die msieme collega in
famiglie le più disgiunte nazioni, e rivela stretta fratellanza cosi
fra quei Greci e quei Persiani, che affrontavansi a Maratona
ed a Salamina, come fra quei Romani e quei Teutoni, che scan-
naronsi per secoli lungo le rive del Danubio e del Reno. Egli
è vero bensì, che nei passati tempi parecchi filosofi meditarono
suU' origine del linguaggio» ed accennarono ad alcune ovvie af-
Gnità di lingue disparate e lontane; ma la direzione e l'intento
loro erano ben diversi da quelli dell'odierna linguistica, iiien-
tre gli uni tendevano a fondare nuovi sistemi filosofici, mira-
vano gli altri a convalidare con prove di fatto la storia mo-
saica della dispersione del genere umano. Quindi gli uni, fra i
quali Maupertuis, Volney, Rousseau, Fortia d'Urban, il presi-
dente de Brosses, Herder e Bonnet, considerando l' uomo come
il mutum et turpe p^m degli antichi, cercarono nel successivo
sviluppo dello spirito umano l'origine del linguaggio; gli altri,
tra i quali Pezron, Webb, Astarloa, Sorreguieta, Bidassouet,
Lipsio, Scaligero, Bochart e Vossio, ammettendo una lingua ri-
velata all'uomo sin dalla sua prima creazione, rintracciarono
il primitivo tra gli idiomi conosciuti, e fra tante gratuite as-
serzioni non fu la più strana quella che fece belar l'uomo
nei boschi a guisa di capre, né quella del Secano, che riguar-
6 ORIGINE E SVILUPPO
dava r idioma Fiammingo come T interprete degli afletti dei primi
padri. Per tal modo , mentre con una sognata figliazione di
lingue vollero provare la discendenza dell' uman genere da una
prima coppia, distruggevano per avventura, senza avvedersi, la
mistica storia della torre di Babele, che rivelava loro una su-
bitanea e prodigiosa confusione di lingue!
Questa serie di vuoti sistemi derivò appunto dalF erroneo
assunto di discendere a priori dal principio ipotetico d'una lin-
gua primitiva generatrice di tutte le altre air affinità delle de-
rivate^ anziché salire a posteriori dall' aifinhà scambievole dr
alcuni linguaggi conosciuti alla scoperta del comune lor ceppo.
Dopo tante inutili dispute s'avvidero quindi, ch'era d'uopo can-^
giar sentiero, e fondare i principi! sulla collezione dei fotti, an-
ziché forzare i fatti alla norma di prìm^ipii prestabiliti. E per-
do le cure degli studiosi furono rivolte a compilare i vocabo^
larii delle lingue note, e tutti i viaggiatori imitarono l'esempio
dell* italiano Pigafetta, il quale, accompagnando Magellano nel
suo ipro intorno al globo, ebbe primo il pensiero di raccogliere
copiose serie di voci fra i popoli del Brasile, di Tehuel e del
Tidor. Allora furono poste a contribuzione le tante speculazioni
sulle lin^e straniere, intraprese nel secolo XVI, ond' estendere
le nuove dottrine religiose, alle quali riunendo i molti studii fatti
dai missionari di vario culto presso le più rimote nazioni, fu-
rono apprestati ben presto i materiali, che destarono più tardi
nella magnanima imperatrice di Russia il pensiero di compilare
un vocabolario imperativo di tutte le lingue del mondo^
Mentre gli imi andavano raccogliendo nuovi lessici in Aiàa,
in Africa ed in America, altri si diedero di proposito ad insti-
tuirne il confronto, e, approfittando delle preghiere cristiane vol-
tate in più lingue per cura di zelanti missionari, scelsero a
pietra di paragone l'orazione dominicale, della quale ben pre-
sto pubblicarono doviziose collezioni Schildberger, Pestello, Bi-
bliander, Gessner, Mùller, Ludeke, Stark, Wilkins e Ghamber-
layne, ampliate e riprodotte poscia da Pry, Marcel, Bodoni,
Hervas, Adelung e Vater.
Tra i benemeriti che prestarono maggior copia di materiali,
si distìnse precipuamente l'instancabile Hervas, il quale sin dal-
l'anno 1784 pubblicò un Catalogo delle lingue conosciute, cor-
redandolo di note suUa loro affinità e discrepanza ; compilò un
DELLA LINGUISTICA. 7
Vocabolario poUgloito con prolegomeni sopra cento cinquanta
lingue, e le illustrò con un Saggio pratico e coti dovizia di
osservazioni.
Sin qui per altro non si ebbero se non materiali informi a
sovente fallaci, confusi cataloghi di lingue, i cui nomi vennero
dagli uni e dagli altri gratuitamente scanibiati, ed una congerie
di sogni misti a verità mal digeste, che rallentarono ed impac-
ciarono il corso de* nuovi studii. Basti notare che, mcftttre il
Pigafetta offre una serie di voci proprie del sognato sftio Gi-
gante patagono, il Gessner porge nel Mitridate il Pater Noster
voltato nella lingua degli Dei d'Omero^ un altro ragioila sulla
fevella dei Titani, e il presidente Duret, nel Thrésor de Vhi^
Gioire des langues de cet univers, annovera persino la lingua
degli animali e degli uccelli.
In onta a simili stranezze, il pruno passo érti fatto, e to-
monque scarsi e fallaci i primi materiali si fos^ro, racchiude-
vano dò nullostante una congerie di fatti bastevole ad un ra-
gionato confronto. Il primo, che vi si accmse, fu quel potente
ingegno del Leibnitz, che, presentendo la sublime meta, cui lo
stadio comparativo delle lingue avrebbe un giorno raggiunto,
tràcdò la vera strada che sollevato 1* avrebbe a scieÉlza posi-
tiva, e ne pose i primi cardini. Egli eccitò primamente gli amici
a disporre in tavole comparative le voci delle varie lingue; li
invitò a confrontare 1* armeno ed il biscajno col copto, T alba-
nese col greco, col teutonico e col latino; e mostrò loro^ come
per questa via giunger si potesse alla scoperta delle origini e
delle migrazioni dei popoli antichi e moderni.
Per nrnla ventura, dopo di lui, la scienza prese betì diversa
direzione; perciocché, venuto questo studio aÙé mani d* uomini
dotati di men retto criterio e men sagace piotenza, degenerò
nel più arido e stentato studio etimologico, che traviò troppo
a lungo i filologi del secolo trascorso. L'imperfezione e la fal-
lacia dei materiali, la scarsezza de' linguaggi sin allora studia-
ti, e ristretti ai classici greci e latini, e tutCal più ai biblici
ed a qualche celtico dialetto, ed una ridicola vanità nazionale
diedero orìgine a molti errori e a disparati sistemi ; sicché, for-
zando ed alterando ad arbitrio le voci e il loro significato, gli
uni tentarono ridurre a celtico elemento, ciò che gli altri deri^
vavano dall' ebraico, dal greco, o dal latino, e che apparteneva
8 ORIGINE K SVILUPPO
per h) più a ben altre sorgenti. Per tal modo Menagio, Bullcn
e la numerosa schiera de* loro seguaci» fondatori dell^Àccademia
celtica di Parigi^ deturparono e screditarono per qualche tempo
quesf importantissimo studio.
Se non che i* inutilità dei loro sforzi rivelò finahnente T in-
sufficienza dei mezzi» e soprattutto quella del semplice confronto
dei lessici » onde » abbandonato il pomposo e fallace tirocinio
deir etimologia, venne riconosciuta la necessità di sceverare ne-
gli idiomi la materia dalla forma» e si procedette air analisi del
loro organismo. Parecchie lingue antiche e moderne dell* Asia»
deir Africa e dell* America furono quindi sottoposte ad esame» in
sussidio delle nuove spisculazioni; in breve se ne apprestarono
le grammatiche, decomponendole ne* loro precipui elementi» e
s*ìnstituirono per ultimo più giudiziosi confronti.
Già fin dal decUnare dello scorso secolo Giovanni Werdin,
conosciuto col nome di P. Paolino da S. Bartolommeo» illustrata
r antica lingua» la storia e la mitologia degli Indiani» tentò di-
mostrare di proposito r affinità del sanscrito e dello zendo col
latino e col germanico. Frattanto gli Inglesi» già divenuti arbi-
tri del destino dell* India» ed avvisando quanto per governare
i popoli importasse il conoscerli» fondarono scientifici stabili-
menti a Calcutta^ a Madras ed a Bombay» onde agevolare e
diffondere lo studio di quelle lingue; e ben presto vennero
in luce i pregevoU scritti di Gilchrist, Colebrooke» Wilson» Jo-
nes » Wilkins » Davis e di parecchi altri » intesi a tracciare
r illustrazione delle molte lingue indiane. Il loro esempio fu se-
guito da una schiera di dotti Tedeschi e Francesi» che impre-
sero ad illustrare le altre lingue d* Oriente semitiche» chinesi e
mongoliche» onde noi pagheremo un lieve tributo di riconoscenza
ai benemeriti Schlegel» Lassen» Humboldt» Klaproth^ Hammer»
Eichhorn fra i Tedeschi» ed agli instancabili Anquetìl du Pcr-
ron» Chezy» Remusat, Quatremère» Saint-Martin, de Sacy» Cliam-
pollion» Burnouf» tra i Francesi.
Fra i molti saggi comparativi che successivamente rivelarono
la fratellanza di tanti idiomi da secoli disgiunti^ venne prima-
mente in luce il profondo lavoro di Federico Schlegel Sulla
lingua e sulla sapienza degli Indiani, dopo il quale non fu più
dubbia la stretta affinità dbl sanscrito» vale a dire dell* antichis-
sima lingua sacra dei Bramini, col persiano» col greco» col la-
DELLA LINGUISTICA. 9
tino e col germanico. Allora, confrontando gli antichi coi moderni
idiomi, si vide manifesto, che il linguaggio è una distintiva im-
proDta delle nazioni, come la struttura dello scheletro, o il
colore della pelle; si conobbe, che le vicende delle lingue ac-
compagnano quelle dei popoli che le parlano; e si riguardò
quindi la linguìstica qual potente guida alla storia, nelF inda-
gare gli annali delle rimote, non che le origini delle moderne
generazioni, e come scorta sicura alF etnografia neir ordinamento
di tutta Fumana famiglia.
E perchè le lingue estinte, che precedettero e diedero ori-
gine alle moderne, tracciando le fasi successive che Y arte della
parola ebbe a subire neir avvicendarsi delle generazioni, apri-
rono più facile varco alla scoperta di tanti mutui rapporti, fu-
rono intraprese le più laboriose ricerche per la ricomposizione
e r analisi degli idiomi caduti in obblio; al qual uopo furono
disotterrati vetusti monumenti dell'antico e del nuovo mondo;
ritornarono in luce le anmiuffite pergamene da secoli sepolte
nei polverosi archivii, e furono salve tante preziose reliquie
deir antica letteratura, e di quella del Medio Evo.
A questi generosi studii, dei quali a buon dritto il nostro
secolo va superbo, siamo debitori appunto degli innumerevoli
scritti, coi quali Dempstero, Passeri, Lanzi, Cori, Yermiglioli,
Grotefend, Resini, Marini, Klenz, Spanemio, Remesio, ed altri
tentarono ricomporre i vetusti italici idiomi; Astarloa, Bidas-
souet, Erro, Larramendi e Humboldt illustrarono gli antichi ibe-
rici; Knittel, Ihre^ Stiernhehn, Zahn^ Massman, Gròter, Nye-
rup, Thorkelin, Hickes, Afzelius, Rask, Schmeller, Wiarda,
Schwartzenberg , Bosworth, Grinun, Graff, ed altri molti, ri-
composero, restituirono in onore gli antichi linguaggi gotico,
islandese, frisico, sassone, anglo-sassone, francico ed alemanno.
E in questo nobile arringo, fhi l' altre città d' Italia fa pur bella
comparsa la nostra Milano, ove^ la Dio mercè, vive tuttora
quel forte ingegno ^ che, sprezzando gli agi dell'avito retaggio,
1 NeUa Biographie UniverseUe ancienne et moderne , voi. VII , pubblicata
Tanno scorso a Parigi, non si sa per quale equivoco,- o mal digeste ricer-
che, tracciandosi la biografia del conte Carr Ottavio Gastiglioni, ne fu attestata
la morte sin dalFanno i826. Facciamo voti, onde il benemerito lombardo
possa ridersi ancora lunghi anni di queste tipografiche imprese, a vantaggio
della scienza, ed a conforto di quelli che sanno apprezzare il valore de' suoi
giorni I
10 ORI€I!IE B SVILCPPO
illo^tfò aldme antiche lingue d'Oriente, descrivendo le monete
cufiche del Gabinetto Numismatico , e ristanrò sui tarlati Re-
scritti dell'Ambrosiana gran parie delle gotiche Tersioni evan-
geliche d'Ulfila, poi^endo cosi alla scienza nuova messe d*os-
serva2iofii novelle per la ricostruzione di quella lingua. A questi
medesimi studii la scienza va debitrice delb monumentale gram-
matica comparativa di tutte le lingue indo-europee di Francesco
Bopp, di tutti gli idiomi germanici antichi e moderni di Jacopo
Grimm, degli scandinavici di Petersen, di tutti i latini di Ray-
nouard, non che dei profondi lavori, coi quali Dobrovirsky, Lin-
de, Schaffarìk, Kollar, Raradschisch e Hanka, illustrarono le an-
tiche e moderne lingue slave; Haittaire, Bumouf, Facius, Stur-
tius, Thiersch, David ed altri le antiche e moderne elleniche;
ed una eletta schiera di benemeriti studiosi rivelarono all' Eu-
ropa tante lingue dell' Oceania, dell' Africa e dell'America.
Fra le conquiste fatte dalla scienza negli ulthni tempi, iflerita
distinto seggio la recente scoperta della lìngua saera di Persia,
nella quale Zoroastro dettava le salutari sue instituzioni. É noto,
come sin dalla fine dello scorso secolo, quando i caratteri chi-
nesi ed i geroglifici egiziani, dopo la celebre invenzione della
Tavola dì Rosette, attirarono l'attenzione della dotta Europa,
Chardin e Cornelio Lebrun, copiassero per la prima volta dalle
mura diroccate dei palagi dì Persepoli, alcune iscrizicmi in ca-
ratteri sin allora sconosciuti. Sebbene la novità e la strana forma
di quei segni avessero da principio dato luogo a dubitare, se
fossero ornamenti destinati a decorare le porte realf, anziché
segni di scrittura ordinata, ciò nuUostante, dappoiché il celebre
Niebuhr con una diligente relazione ne pubblicò esatti facsimile,
non si tardò a riconoscerli per vere iscrizioni. Sin d'allora t
viaggiatori che visitarono l'Asia meridionale andarono in traccia
di tali monumenti, sicché in breve V Europa ebbe doviziosa rac-
colta d'iscrizioni cuneiformi, tratte dalle rovine di Persepoli,
d'Ecbatana, di Ninive e di Babilonia, per cura degli Harford,
Jones, Moricr, Ouseley, Ker Porter, Roberto Stewart, Bellino,
Ridi, Prudhoe ed altri molti, che successivamente percorsero
l'Asia Minore, l'Assiria, la Caldea e la Persia.
Mentre gli uni erano intenti alla ricerca dei materiali, altri
fecero ingegnosi tentativi, onde svolgere il recondito significato
(li quo' monumenti, i quali senza dubbio porger doveano testi-
DELLA LINGUISTICA. Il
monian2à ed illustrazione agli annali d' Oriente. Tychsen, Mùn*
ster, Lichtensteiti , Niebuhr e Grotefend, diedero principio a
quest' ardua impresa con erudite Memorie, nelle quali accenna-
rono ai mezzi che avrebbero precipuamente giovato alla solu-
zione del gran problema. Grotefend più perspicace, e più av-
venturato, precorse gli altri, e seguendo sagacemente l'ipotesi,
che alcune brevi iscrizioni esprimessero nomi istorici, riuscì
agevolmente a leggere quelli di Serse, Dario, Istaspe, e fissò
per tal modo il valore di alcune lettere, le quali agevolarono
la scoperta del valore delle altre. E perciò dobbiamo ingenua-
mente attestare, che, se Grotefend non riuscì poscia ad inter-
pretare compiutamente le iscrizioni persepolitane, e se più tardi
ebbe il torto di ostinarsi in un sistema di lettura insufQciente
a svolgere le difficoltà dei monumenti, egli ebbe ciò nutlostante
il merito d* avere aperta, primo fra tutti, la via, e gettata la
pietra angolare per Tedificio della persiana paleografia.
É manifesto, che, per procedere nella lettura delle iscrizioni
cuneiformi, era d'uopo conoscere primamente la lingua nella
quale erano state dettate, e che questa potevasi a buon dritto
supporre un antico dialetto persiano, come Ai appunto confer-
mato dal fatto. Ora questo indispensabile sussidio mancava a
Grotefend, del pari che agli altri paleografi, dappoiché, sebbene
alcuni monumenti dell* antica Persia fossero stati prima d'allora
tradotti, ciò nulla di meno ignoravansi ancora parecchie fra le
antiche sue lingue, e richiedevansi molti studii preliminari che
ne determinassero Y organismo e le leggi fondamentali. E perciò
vani riuscirono i tentativi fatti nel tempo stesso da Saint-Martin,
da Price e da quanti s'accinsero a quest'impresa.
Cosi il gran problema dell'alfabeto cuneiforme rivelò la ne-
cessità di premettere la soluzione d'un altro più grave, qual
era la ricostruzione degli antichi dialetti persiani, in particolare
della lingua di Zoroastro. La cognizione già raggiunta della lin-
gua sacra- dell' India, alla quale lazenda era collegata con vin-
coli stretti di fratellanza, i fausti risultamenti ottenuti da Silvc"
stro De Sacy nella interpretazione delle iscrizioni pehlvi dei
Sassanidi, ed i confronti fra queste lingue ìnstituili, giovarono
al compimento della difficile impresa. La lingua zenda fu com^
piutamente illustrata, mercè le cure sagaci d' Eugenio Burnouf,
e sin d'allora la lettura e l'interpretazione delle iscrizioni cu^
12 OUIGINE £ SVILUPPO
Deiformi fu assicurata; perocché Burnouf e Lassen, quei due
medesimi ingegni, che poco prima avevano unito i loro sforzi
per la ricomposizione della lingua pali, non tardarono ad ap-
plicare separatamente la cognizione della lingua poc*anzi ristau-
rata ad una lettura congetturale delle leggende persepolitane, e,
sebbene per vie diverse, giunsero alla meta quasi inaspettata
delle loro ricerche. Primo Burnouf annunciò all'Europa Tim-
portante sua scoperta nel commentario suir Yaf na , libro reli-
gioso dei Parsi, fin dal 1823, e la sviluppò più diffusamente
nella Memoria intorno a due iscrizioni cuneifimni trovate presso
Hamadan. lì dottor Lassen frattanto pubblicava nel tempo stesso
a Bonn il suo lavoro mtitolato : Die altpersischen Keil-Inschriften
von Persepolis. Entzifferung des Alphabets^ und Erklarung des
Inlialts; nel quale, provata T insussistenza del sistema di Grò-
tefend, propose un nuovo metodo fondato sulla natura degli
antichi idiomi persiani, applicandone l'ingegnoso principio alle
iscrizioni persepolitane in modo, da non lasciare alcun dubbio
sulla rettitudine ed importanza della scoperta.
II risultamento finale d'ambedue questi metodi, sebbene se-
paratamente imaginati e per vie diverse condotti, è affatto iden-
tico, mentre ciascuno porge identica interpretazione delF iscri-
zione medesima, e le poche loro varianti, lungi dall' influire
sul complessivo sistema ortografico, appartengono solo agli ele-
menti più variabili in tutte le lingue, quali sono le vocali e le
finali flessioni. Checché ne sia, la consonanza dei loro principii
nei punti principali del soggetto, e le mirabili applicazioni fatte
di poi con tanto successo al compiuto svolgimento di molte leg-
gende rinvenute più tardi, confermano irrevocabihnente l'esat-
tezza delle loro dottrine.
Abbiamo accennato ai particolari di questa linguistica scoperta
per adombrare a quali alti fini essa tenda, ed a quante utili
rivelazioni possa un giorno pervenire , ove sia retta da menti
sagaci e spoglie di prevenzioni. Infatti, chi avrebbe mai potuto
credere, che le sparse rovine di Ninive e di Babilonia, rimaste
per tanti secoli mute, avrebbero rivelato un giorno gli avveni-
menti politici, le tradizioni religiose e gli scambievoli rapporti
di nazioni, delle quali la storia serba appena alcuni nomi? Chi
avrebbe imaginato cinquant' anni addietro^ che nel cuore del-
l' Oriente sarebbesi rinvenuta un giorno una lingua, la quale,
DELLA LINGUISTICA. 15
mostrando alle nazioni attonite d'Europa i loro mutui vincoli
di fratellanza, avrebbe rivelata altresì Y origine delle loro scienze
e della prisca loro letteratura? Chi avrebbe potuto credere, che
la lingua di Cicerone e di Virgilio, aveva comuni gli elementi
con quelle dei Goti e dei Franchi sovvertitori dell' impero; e
che quelle poetiche leggende e filosofiche dottrine delle quali
gloriavasi la dotta Grecia, non erano se non svisate tradizioni
e guaste rimembranze d'una civiltà anteriore, che, trasportata
dalle falde degli Imalai sugli scogli dell'Arcipelago, v'incominciò
con vario aspetto un'era novella? Non v'ha dubbio: quei clas-
sici idiomi, ai quali testé si prodigava il nome di madritingue,
e che si divisero per secoli l'esclusivo onore di lingue colte,
non sono più pel linguista , se non dialetti affini e derivati , i
quali hanno comune colle lingue credule barbare l'origine!
Colla scorta di tanti preziosi materiali, si venne con rapidità
mirabile tessendo un vasto ordinamento di lingue ^ sulla cui
norma furono classificate tutte le nazioni antiche e moderne del-
l' orbe. Fin dal principio del nostro secolo, Giovanni Cristoforo
Adelung imaginò il vasto progetto di ordinare In un quadro
generale tutte le lingue dell'Asia, dell'Europa, dell'Africa, del-
l'America e dell'Oceania, ripartite in famiglie, e suddivìse nei
loro dialetti, corredandolo di molteplici notizie sulla loro strut-
tura e letteratura, non che di saggi pratici e bibliografiche in-
dicazioni. Questo lavoro con eroica fermezza e vastissima eru-
dizione incominciato, fu poi condotto a termine da Vater, per
l'immatura morte dell'autore; esso contiene un'immensa con-
gerie di preziose, sebben maldigeste, notizie ; e porta in sé tutti
i pregi ed i difetti comuni per lo più ad ogni primo tentativo
d'una vastissima impresa. Klaproth, percorsa l'Asia da levante
a ponente, da settentrione a mezzogiorno, ci porse un Atlante
linguistico della medesima, nella sua Asia polyglotta, ove co-
ordinò le innumerevoli nazioni che la coltivano, sulla norma
delle lor lingue. Humboldt, pubblicò importanti lavori su quelle
dell' America, nell' intento di stabilirne una fondata classificazio-
ne; ed altri instituirono confronti su quelle dell'Africa e del-
l' Oceania.
Allora per la prima volta il celebre Malte-Brun, applicò di
proposito tante utili speculazioni all'etnografia, nel suo Compen-
dio di geografia universale, ampliandole colle proprie osserva-
14 OaiGlNE E SVILUPPO
zioni; e più tardi fu imitato da Adriano Balbi, il quale ebbe
ancora il lodevole pensiero di compilare separatamente in un
Aliante etnografico del globo, il frutto di tanti studii, redigendo
la classificazione compiuta di tutte le nazioni antiche e moder-
ne, fondata sulle loro lingue. Se non che, il compilatore di quel
libro altro non fece, se non ripetere i vecchi errori, aggiungen-
done parecchi dei propri; giacché se appena fosse penetrato
sul limitare della linguistica, non V avrebbe confusa e scambiata
ad arbitrio colla etnografia, essendo questa una sola delle molte
applicazioni di quella; non avrebbe ripartito per regioni tante
lingue disparate, non avendo verun rapporto la natura degli
idiomi coi luoghi nei quali sono parlati, e trovandosi sovente
in regioni diverse linguaggi affini d*una stessa famiglia; non
avrebbe confuso le lingue lettiche tra le slave, né la pehlvi tra
le semitiche, né la turca e la ciuvassica tra le mongoliche, lin-
gue di natura affatto diversa ; enumerando poi gli italici dialetti,
non avrebbe per c^to confuso e collegato in manipoli il ge-
novese col piemontese, il bergamasco col bolognese, il bresciano
col parmigiano e col jferrarese, né posto fra i dialetti occitanici
il valdese, ch'é pretto piemontese.
A porgere un saggio pratico del vero ordinamento filosofico
dei linguaggi, adombreremo per ultimo la grande divisione, da
noi altrove diffusamente svolta, di tutte le lingue dell* orbe in
tre classi, alle quali per avventura corrispondono i tre princi-
pali stipiti, nei quali Tuman genere fu dai fisiologi ripartito.
La prima classe comprende le lingue semplici, ossia afiatto prive
d* artificio grammaticale; la seconda comprende le o^fimve; la
terza le inflessive.
Nelle prime ogni idea ed ogni modificazicme della medesima
è rappresentata da un segno o da una parola speciale, la qua-
le, rimanendo sempre inmiutabile ed inflessibile, non può rice-
vere, né dare modificazion di valore alle parole colle quali fmina
una proposizione. Non ammettendo quindi né declinazioni, né
conjugazioni, né parole composte con altra legge, fuorché per
via di semplice sovrapposizione, ne viene, che indefinito é in
queste lingue il numero delle radici, e nulla la sintassi. A que-
sta classe appartengono le lingue delle regioni orientali dell* A-
sia, in particolare la chinese e le sue affini, nelle quali appunto
é fondata per avventura la ragione sufficiente della condizione
DELLA LINGUISTICA. 1 5
Stazionaria delle nazioni che le parlano, come pure della somma
difficoltà d'impararle; mollo più facile essendo T ordinare nella
propria mente un determinato numero di leggi granmiaticali ,
che non un'indeterminata e pressoché inesauribile congerie di
separate radici.
Le lingue della seconda classe son quelle che, deternùnato
un numero più o meno ragguardevole di radici atte a rappre-
sentare la serie delle idee principali, ne esprimono poscia le gra-
duazioni, le modificazioni ed i rapporti, per mezzo di affissi e
di suffissi; vale a dire, affiggendo al principio o alla terminazione
delle radici medesime altre parole, le quali, staccate, hanno de-
terminata significazione lor propria. À questa classe apparten-
gono pressoché tutte le lingue indigene dell* America, la copta,
le basche anticamente diffuse su quasi tutta la penisola iberica,
delle quali poche reliquie sopravvivono fra le balze de' Pirenei
occidentali; e le finniche, le quali possono eziandio collocarsi
nella terza classe, facendo uso simultaneamente di affissi e d'in-
flessioni. A questa classe medesima potrebbero altresì ascriversi
le lingue celtiche, le cui principali inflessioni corrispondevano
in origine a pronomi, avverbii ed articoli, e nelle quali per
conseguenza l'uso posteriore di premettere T articolo ed il pro-
nome ai nomi ed ai verbi, serbando le flessioni, forma altret-
tjtnti pleonasmi.
Le lingue della terza classe son quelle che esprimono le mo-
dificazioni ed i rapporti delle idee, alterando in varia foggia le
jadici primitive, sia mutilandole , sia variandone le vocali o le
consonanti radicali, sia mutandone le desinenze, ciò che appunto
i grammatici distinguono coi nomi di conjugazione e declina-
zione. É quindi chiaro che, mercé quest' ing^oso artificio, le
lingue inflessive possono esprimere con picciol numero di ra-
dici una varietà indeterminata di idee, precisandone i mutui rap-
porti, ciò che le seìnplici non possono conseguire, se non con
un numero indeterminato di voci. Nelle lingue inflessive esiste
quasi un principio vitale, mercè cui possono variare all'infi-
nito, senza cangiare natura, mentre le semplici^ collo sviluppo
delle idee, cangiano la materia e la forma. La vera cogni-
zione delle prime consiste nell' abbracciare d'un colpo d'occhio
il complesso delle leggi sulle quali sono modellate; quella delle
seconde nell' imparare a memoria l' infinita serie di voci sta<>-
16 ORlfilNB E SVILUPPO
catc\ proprie d' ogni singola idea. Perciò appunto suol dirsi ,
che al più erudito Ghinese non basta il corso della vita per
apprendere la propria lingua; mentre F Europeo^ col soccorso
dell* artificio grammaticale, può impararne simultaneamente pa-
recchie.
Da ciò appare manifestamente assurdo eziandio T intento di
quelli che impresero a ricondurre tutte le lingue del globo ad
ud solo stipite primitivo, mentre nessun fatto storico ci addita
una sola lingua semplice, trasformata in lingua inflessiva j o
viceversa ; che anzi veggiamo la più antica fra le lingue sem-
plici conosciute , cioè la chinese, attraversare quaranta e più
secoli in tutta la primitiva semplicità, senza assumere una sola
forma grammaticale, a malgrado deir incivilimento cui giunsero
da età rimota le nazioni che la parlano; e d* altronde scorgiamo
la più colta e perfetta tra le note favelle inflessive, ossia la san-
scrita, perdersi nella uotte d'una rimotissima antichità.
In simil guisa, indagando lo speciale organismo dei singoli
idiomi, si procedette alla suddivisione di ciascuna classe in fa-
miglie, delle famiglie in gruppi, dei gruppi in lingue distinte,
e delle lingue in dialetti. Di mano in mano che si procedette
neir ardua disamina, apparve sempre più manifesta l'impor-
tanza della cognizione dei dialetti parlati , per salire a quella
degli antichi idiomi caduti in oblivione; ed a tal uopo s'insti-
tuirono laboriose ricerche in tutte le parti d'Europa. Gli alti
fini di questa scienza ottennero finalmente eziandio la prote-
zione dei governi, sicché in parecchie città d'Europa l'inse-
gnamento delle lingue orientali, già fondato ad illustrazione delle
dottrine religiose, non fu più ristretto alle sole semitiche; ma
vi si aggiunsero la sansci*ita e la chinese; in parecchi luoghi
sorsero oggimai cattedre di linguistica, dalle quali scaturirono
importanti lavori ed allievi di belle speranze; sicché ci giova
sperare, che in breve tempo questa scienza otterrà l'alto seggio
che le si compete.
Impazienti di vederla protetta e promossa anche fra noi, ci
siamo proposti di svolgerne, in una serie continuata di ragiona-
menti, la storia, T intento, le leggi e lo stato attuale presso tante
nazioni, nella fiducia di far cosa grata ai benemeriti del nostro
paese. Valgane frattanto questi primi cenni ad accendere fra i
nostri concittadini T amore per una scienza che , sebben nata
DELLA LINGUISTICA. ^ 17
iosa, ci porge ancora vastissimi regni a conquistare : e que-
rra lombarda, che amministrò le corazze e gli scudi al-
)pa feudale; che prima insegnò agli altri popoli Tarte dei
navigabili, e diede air agricoltore i prati perenni; che
air astronomo i primi germi del calcolo trascendentale, al
:o la Pila, al legislatore il Libro dei delitti e delle pene ,
emulare un giorno le altre nazioni eziandio nello studio
arativo delle lingue!
La ricerca delle Origini Italiche fu soggetto di molti studii
e degli sforzi di meriti ingegni nel secolo scorso. Varii sistemi
furono con vario sfoggio dVerudizione e con maggiore o mi-
nore apparenza di verità institoiti; e parecchi vdumi comparvero
successivamente alla luce, senza che per questo si giungesse allo
scioglimento dell* intricato problema. Ne fti causa T insufficienza
dei mezzi , e più ancora la fatale consuetudine di premettere i
principii alla ricerca degli elementi che doveano costituirli. E
perciò, quando il mondo scientifico fu stanco di sistemi, abban-
donò r impresa alle future generazioni.
Frattanto dalle sparse notizie de' naviganti e de' misMonarii,
riunite e coordinate da' moderni filologi, venne a poco a poco
sviluppandosi la Linpistica, le cui opportune amriìcazioni alla
storia svolsero sin da principio le ignote origini di alquante na-
zioni antiche e moderne , e rivelarono in altre sorprendenti
rapporti di mutua affinità. Allora tornò in campo eziandio l'abban-
donata questione delle Origini Italiche^ la quale, a nostro con-
forto, non solo occupa oggidì la mente di chiari ingegni ita-
liani, ma è scopo altresì delle profonde lucubraziont di valenti
scrittori stranieri.
"t*
La ricerca delle Orìgini Italiche fu soj^etto di molli sludii
e degli sforzi di meriti ingegni nel secolo scorso. Varii sistemi
furono con vario sfoggio d'erudizione e con maggiore o mi-
nore apparenza di verità instiluiti; e parecchi volumi comparvero
soecessivamente alla luce, senza che per questo si giungesse allo
sdi^iimento dell* intricato problema. Ne fti causa F insufficienza
dei mezzi, e più ancora la fatale consuetudine di premettere i
principii alla ricerca degli elementi che doveano costituirli. E
perciò, quando il mondo scientifico fu stanco di sistemi, abban-
donò r impresa alle future generazioni.
Frattanto dalle sparse notizie de' naviganti e de' misMonarii,
rionite e coordinate da' moderni filologi, venne a poco a poco
sviluppandosi la Linpistica, le cui opportune applicazioni alla
storia svolsero sin da principio le ignote origini di alquante na-
zioni antiche e moderne, e rivelarono in altre sorpretklenti
rapporti dì mutua affinità. Allora tornò in campo eziandio l'abban-
donata questione delle Origini /tanche^ la quale, a noetro con-
forto, non solo occupa oggidì la mente di chiari ingegni ita-
liani, ma è scopo altresì delle profomle locubrazioni di valenti
scrittori stranieri.
22 , ' ' DELLA LINGUISTICA
CuBghi e sudati lavori compajono iiittogiorno alla luce iu
Germania, in Bretagna, in Francia ed in Italia, intesi a trac-
ciare le migrazioni, a svolgere le origini, a determinare le an-
tiche sedi e le vicende dei Reti , degli Etrusci , de' Tirreni , dei
Pelasgi, dei Celti, dei Siculi, dei Bruzi, e di quanf altre genti,
ripartitosi un tempo il suolo della nostra penisola, colla vicen-
devole loro fusione diedero origine alla nazionalità italiana. Sono
abbastanza note le erudite opere di Niebuhr, Mùller, Zeuss,
Diefenbach, Leo, Grotefend, Lepsius, Fernow, Steub, Betham,
Troja, Corcia, Mazzoldi, Bianchi-Giovini, Balbo, e di tanti altri
italiani e stranieri più o meno rivolte al medesimo fine. Se non
che le differenti vie da ciascuno calcate, il vario modo d'in-
terpretare le antiche leggende e le testimonianze multiformi de-
gli scrittori, la diversa applicazione delle' teoriche linguistiche
alle loro indagini, e quindi la discrepanza dei rispettivi loro ri-
sultamenti, non valsero per avventura a spargere sinora sulla
nostra primitiva istoria quella copia di luce, che dovevamo ri-
prometterci da tanti lucidi ingegni, dai profondi e coscienziosi
loro studii.
Confortati dal vedere tanti sommi in Europa prediligere le
cose nostre, prodigandovi le dotte lor vegUe, impazienti di rac-
corne pur una voka il frutto , allontanando la moltiplicazione
dei sistemi, e conscii dell'importanza della Linguistica ioT simili
studii, ove sia opporiunamente applicata, reputiamo util cosa il
richiamare F attenzione degli studiosi allo stato attuale della
medesima , tracciando gli estremi confini della sua infliieiua ,
vale a dire, determinando fin dove, nella presente condizioiie
di studii, ^aa valga a coadjuvare lo storico nella speciale ri-
cerca delle Origini Italiphe, si per difenderla dall'insultante ac-
cusa di fallace ed inutile, scagliatale da taluno, come per fre-
nare l'imprudente foga di altri, che^ attribuendole illimitata fX)-
te&za , tentano forzarla ad imprese superiori agli attuali suoi
mezzi.
N<H noo ci tratterremo a confutare la strana asserzione del
signor Mazzoldi, il quale, prendendo a disamina il grave argo-
mento delle Origini Italiche, eliminò di tutto punto dalla que*
stione la Linguistica, qual mezzo inutile e fallace, preferendo poi
riprodurre, in prova d'un vecchio e riprovalo sistema da lui
guasto e svisato, confusi brani di antichi scrittori, scelli all'uo-
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 23
po, mutilati e sovente interpretati a caprìccio. Invitando ì lettori
air esame delle Origini Italiche del Guarnacci, ed alla confa-
tazione del libro del signor Mazzoldi pubblicata dal nostro be-
nemerito lombardo Bianchi-Giovini, ci ristringeremo ad avverti-
re, non essere lecito, a chiunque osa intraprendere siffatti stu-
dii, l'ignorare l'importanza d'una scienza coltivata con gloria
da tanti luminari d'Europa, ed alla quale, comeccliè nascente, il
mondo^scientiflco va debitore di molle importanti rivelazioni. Se
la Linguistica sol consistesse nel classificare a capriccio, o a
sorte, come fece il Balbi^ i nomi delle antiche e moderne lin-
gue, confondendo le note colle ignote, le semitiche colle giapeti-
che, o colle camitiche, senza badare ai mezzi, né al fine, la
sentenza del signor Mazzoldi meriterebbe plauso d'equità; ma,
grazie a Dio, essa procede ben altrimenti, mentre, diretta ad
alti fini, e provveduta di potenti mezzi, indaga quello che igno-
ra, asserisce sol ciò che prova, e rivela quello che scopre ^
Egli è omai tempo, che procediamo pur tutti per questa via,
associando fraternamente e con retta coscienza i nostri agli
studii altrui, giacché solo dalia concorde alleanza delle scienze
afQni può Scaturire quella verità che cerchiamo, e che il mondo
ha diritto di esigere da noi!
Molto meno ci faremo a tessere le lodi della Linguistica, o
accecati da esagerata prevenzione per una scienza, che da molti
anni forma il soggetto primario de' nostri studii , tenteremo re-
stringere a questa sola il privilegio di rivelare le origini delle
i lì Balbi, neW Atlante etnografico del globo, enumera fra le lingue greco-
latioe quelle che parlarono un giorno i Frigj, i Trojan! , i Bitinii, i Lidj, i
Cani, i Licj, i Cimmerii, i Tauri, i Traci, i Mesi, i Daci, i Macedoni, gli Uli-
rj, i Pannoni, i Veneti, i Siculi, e tanti altri popoli, dei quali la scienza ignora
tuttora r origine, non che le lingue ed i rapporti. Che anzi, se fosse lecito
instituire qualche yerisimile congettura sui loro nomi proprii, e sulle poche
voci, per avventura storpiate, serbateci dagli antichi scrittori, saremmo co-
stretti a crederle di famìglie tanto diverse dalla greco-latina, quanto più ne
differiscono le forme ; a questa credenza siamo pure condotti dalla testimo-
nianza degli antichi storici greci, i quali, parlando degli lllirj, dei Macedoni,
e di parecchi altri fra i popoli surriferiti, d* unanime, accordo asserirono, che
parlavano barbaro, vale a dire non greco. Questo brano deiril((anle etnogra-
fico, che non è de' peggiori, basta a porgere idea del modo col quale quel
libro fu compilato.
Veggansi su questo argomento le nostre osservazioni nella prima parte
M'Aitante linguistico d'europa, la continuazione del quale $ta sotto i
lurchi.
H DELLA LINGUISTICA
nazioni, eliminando tante altre scienze affini ed importanti. Lungi
da ciò» consci! della soa breve esistenza, della vasta carriera
che tuttavia le rimane a percorrere, e perciò ancora delle mol-
teplici sae imperfezioni, è nostra mente esporne con esattezza
lo stato attuale, ed i mezzi de' quali può valersi oggpdl , onde
prendere utile parte neir astrusa ricerca delle nostre orìgini.
La Linguistica, come abbiamo nel precedente discorso accen-
nato , comecché nata rigogliosa, è ancora ne' suoi prìmordii, e,
sebbene coronata di brillanti scoperte, attende ancora chi ne
raccolga e ne coordini le leggi fondamentali, ne sviluppi le va-
rie membra, e ne colleghi sapientemente i destini a quelli delle
scienze affini. Abbiamo ciò non pertanto avvertito, in qual modo,
ricostruendo con pochi ruderi parecchie fra le antiche lingue
cadute in obblio, pervenisse nel breve corso d' un mezzo secolo
incirca a determinare con mirabile evidenza le origini di varie
schiatte asiatiche ed europee, non che a scoprire rapporti di
fratellanza tra disparate e lontane nazioni. Ài molti esempii pro-
dotti ad illustrazione di quel rapido cenno potremmo ora ag-
giungerne una lunga serie, se pur fosse d'uopo dimostrarne IV
lilità e l'importanza; e però non è più lecito dubitare, che, in
parità di circostanze, e per identiche vie, possa raggiungere,
col tempo e con opportune applicazioni, la scoperta di nuove
origini e di nuovi rapporti. Solo è mestieri avvertire, che la filo-
logia comparata, del pari che tutte le scienze positive, procede
gradatamente dal noto all'ignoto, ch'essa pure abbisogna dei
dati del problema prima di tentarne la soluzione, che cioè ha
d'uopo di tante equazioni quante sono le incognite che ricerca;
e che in conseguenza, prima di tutto, deve indagare e stabilire
questi dati, senza i quali anche i suoi sforzi tornano inutili ed
infruttuosi. Cosi, prima di giungere a determinare le origini e
le afìGnità di tante schiatte indiane, persiane ed europee, o a
collegare in famiglie tante tribù asiatiche, africane, o americane,
essa dovette col lungo studio de' dialetti parlati, e colla scorta
dei monumenti, ricostruire alcune fra le estinte favelle; col sus-
sidio di queste pervenne alla cognizione di altre, sinché, ap-
prestati per tal modo i necessari! materiali, potè institnire i con-
fronti, fondare i suoi ragionamenti, e pronunciare i giudizi.
Ora, sebbene lunghi e severi studii venissero in vani tempi
iuslituiti intorno alle antichità italiane, pare questa raccolta di
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 25
materiali necessarii onde procedere alla disamina delle origini
dei popoli è lungi ancora dall'essere compiuta; né sappiamo ,
se potrà compiersi un giorno , giacché non possiamo creare i
monumenti, né far risorgere i morti per interrogarli; e quindi
avvisiamo, che, se é avventato giudido il dichiarare la scienza
per questo One insufficiente e fallace, non é meno immaturo
consiglio, nel suo stato attuale, Y invocarne con piena fiducia gli
oracoli.
Infatti la storia ci enumera una serie di popoli primamente
stanziati sul nostro suolo, i quali da migliaja d'anni scompar-
vero senza lasciar traccia di sé, né delle loro lingue. A quelli
ne successero altri, che alla loro volta cedettero il posto a no-
velle genti novellamente giunte da rimoti lidi, e con esse si fu-
sero; e quest'alterna vicenda, o commistione, si rinnovò più
volte in tutte le regióni della penisola, e in ogni direzione, prima
che la storia ne seguisse le orme, o ne fermasse reminiscenza,
tranne alcuni nomi. Ora questi nomi stessi, unica reliquia di
tante genti, guasti e storpiati dagli scrittori^ talvdta erano col-
lettivi, e comprendevano parecchi popoli confederati, o raccolti
sotto un medesimo freno; talvolta apponevansi dal conquistatore
al conquiso, sebbene d'origine diversa, come avvenne durante
l'etnisca confederazione, e sotto la romana repubblica, e come
ancora a' di nostri udiamo appellarsi Romano U paciOeD pastore
valacco, e romana chiama la propria lingua il riscattato clefla
dell'Arcipelago; talvolta ancora furono dati a capriccio dagli sto-
rici posteriori all'uno o all'altro popolo, per sceverarli fra di lo-
ro, dinotandone le principali consuetudini, come é chiaro dai
nomi dei Gimmerii^ dei Lucumoni e d'altrettali, che suonano in
greca favella abitatori delle grotte, e dei boschi, senza racchiu-
dere verun indizio che alluda alla rispettiva loro nazionalità.
Berciò Tirreni, Pelasgi, Liguri, Veneti, Euganei, Ausonii, Etru-
sci, Lucani, Bruzi, Marsi, Piceni, Sanniti, Siculi, Aurunci furono
sempre oscuri nomi di molteplice e vaga significazione per l' im-
par^e indagatore delle origini. Ciò non pertanto, storiche te-
stimonianze, la enorme pluralità de' viventi dialetti italiani e i
pochi monumenti che si vanno qua e là dissotterrando^ ci fanno
concordi non dubbia fede, che tutti questi popoli avevano lin-
guaggi proprii e distinti; e questi pure interamente scomparvero,
senza che ne venisse serbata notizia, giacché gli storici antichi
26 DELLA LINGUISTICA
si curarono meno delle lìngue e delle schiatte, che delle favole
e dei riti superstiziosi; e più tardi la politica dei regnanti, il
ferro e il fuoco dei combattenti e V orgoglio nazionale degli
scrittori romani, o tentarono fondere nella conquistatrice le molte
nazioni conquise, o distrussero le vestigia della primitiva loro
civiltà, sprezzarono e ne occultarono ad arte le origini e le
lingue. Basta avvertire, come tanti scrittori romani non ci tra-
mandassero un solo cenno intorno alla lingua dei Cartaginesi,
coi quah sì disputarono per qualche secolo il dominio dei inari;
nulla c'insegnassero della lingua etrusca, nella quale si rappre-
sentavano commedie in Roma ai tempi d' Augusto e molti anni
dopo di lui; né facessero bastevole menzione delle tanto favelle ibe-
riche, celtiche, germaniche e traci lungo tempo soggette al loro
dominio. Appunto per queste ragioni gli studiosi, che nei passato
secolo tentarono svolgere le nostre origini, brulicando fra le an-
tiche macerie^ o spigolando testimonianze fra gli antichi scritto-
ri, fondarono solo vaghi sistemi che si distrussero a vicenda, e
lasciarono- più intricata la questione.
In tanta inopia di mezzi sorgeva appunto ai di nostri la Lin-
guistica, novella face atta per avventura a diradare il bujo di
tante tenebre, ed essa pure fu ben presto da parecchi studiosi
interrogata. Ma questi non avvertirono, che, per rispondere alle
intempestive loro dimando, essa avea d'uopo conoscere, non
solo le antiche lìngue italiche, ma altresì quelle delle circostanti
regioni che contribuirono a popolare le nostre; e che dell' in-
determinata congerie di lingue parlate un tempo nella nostra
penisola non conosciamo sinora, oltre alla greca, alla latina ed
all'osca, se non qualche svisato dialetto della celtica, ed assai
poco r etrusca; meno ancora sappiamo delle lingue degli antichi
Fenicj, dei Trojanì, dei Pelasgi, dei Traci, dei Tirreni, e di
tante altre genti, che, per istorica testimonianza, fondarono sta-
bili e separate colonie sul nostro suolo. Come potea quindi la
Linguistica instituire confronti e pronunciare giudizii su quello
che ignora? Né giova richiamarla alla scorta dei monumenti,
mentre molte fra le antiche lingue mancano affatto di monu-
menti scritti, altre ne hanno di troppo esìli. Arrogo, che i Gre-
ci, gli Etrusci, i Celti ed i Latini estesero più o men lungamente
il loro dominio sopra una maggiore o minor porzione della pe-
nisola, ove imposero a vicenda a nazioni diverse, collegate solo
APPLICATA ALLA RICKRCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 27
(la una stessa legge, i rispeltivi linguaggi, e quindi fallaci, o al-
meno dubbii sarebbero anche i giudicii fondati sui monumenti,
giacché egualmente male si apporrebbe colui, che, scoprendo
parecchie iscrizioni etrusche nelle venete provincie, attribuisse a
quella popolazione etrusca origine, come chi la giudicasse latina
per copia di latini monumenti.
Resa per tal modo manifesta T impossibilità d'applicare nel
presente stato di cose la filologia comparata alla ricerca delle
nostre Origini, non ne viene, ch'essa non abbia a provvedersi
un giorno dei mezzi necessarii a riempire questa importante la-
cuna della storia d'Italia. Che anzi, se i vecchi idiomi scom-
parvero, se il tempo e le conquiste ne distrussero le tracce, e
se gli antichi scrittori li ignorarono, o vollero farceli ignorare,
vi sono tuttavia de' monumenti indestrnttibili, mercè i quali essa
potrebbe per avventura ricostruirli, o determinarne almeno l' in-
dole e la cognazione. Tali monumenti sono i viventi dialetti, e
i nomi proprii de' monti, de' fiumi, de' paesi e de' luoghi, i quali
sopravvissero alle rovine di tante superbe città ed alle nazioni
dalle quali furono innalzate.
Abbiamo altrove dimostrata l'invincibile tenacità dei popoli
nel serbare le forme e gli elementi che costituirono le primi-
tive lor lingue, anche a traverso le migrazioni e le conquiste,
e in onta alla violenta sovrapposizione di nuove favelle ^ Ab-
biamo allora notato, fra i principali e più distintivi eletnenti dei
linguaggi parlati, la pronuncia, o il sistema sonoro, il vocabo-
lario, ossia la raccolta delle voci proprie di ciascuna lingua, la
grammatica^ o il vario modo di comporlo e d'infletterle, e la
sintassi, o meglio il sistema concettuale proprio d'ogni singola
popolazione. Una lunga serie di esempi attinti alla storia delle
lingue meglio conosciute ci rese agevole il dimostrare l'impos-
sibilità della totale distruzione di questi elementi, senza la di-
struzione del popolo che fi ha succhiati col latte; ne abbiamo
evidenti prove sotto gli occhi nella lingua turca, alla quale l'araba
conquista potè imporre bensì la massa de' proprii vocaboli, non
già dettare le proprie forme; e nel linguaggio degli Scandinavi,
nel quale troviamo la doviziosa congerie delle radici germaniche
1 Sullo studio comparaiivo delle lingue. Memoria inserita oel II volume
del Politecnico,
28 DELLA LINGUISTICA
sottoposta a nmtazioni, a leggi ed a forme per avventura anti-
chissime, di natura affatto diversa dalF organismo delle stesse
germaniehe Svelle.
Ora» non v' ha regione in Europa, che sopra egiial sqperfieie
seii)i tante discrepanti varietà di pronuncia, quante l'Italia,
prova non dubbia della pluralità delle antiche sue iinpi^ giac-
ché veggiamo, i luoghi nei quali prevalgono i suoni nasali dei
Celti, gli aspirati degli Etrusci, la h dei Greci, e simiK, cor-
rispondere precisamente alle antiche sedi assegnate a qua' me-
desimi popoli dagli scrittori ; per modo che si potrd)bero, colla
sola scorta delle varie pronuncio, delineare almeno le principali
divisioni deir antica geografia. I vocabolari dei singoli dialetti,
sebbene ricevessero dalF unità romana, e più tardi sotto T in-
fluenza d'una sola lingua scritta geniale, l'impronta iuu(brme
e concorde della lingua del Lazio, hanno ciò nullostante mag-
giore apparenza che realtà di simiglianza, mentre, analizzati con
attenzione, rivelano a vicenda migliaja di radici esclusivamente
proprie dell'uno o dell'altro, estranee aUa latina, e quindi ba-
stevoli a provare le enormi varietà degli elementi primitivi che
li costituiscono K II fatto generalmente palese della somma dis-
sonanza delle vernacole nostre Svelle, per la quale il Genovese
non è da verun altro inteso, né il Lombardo dal Napolitano, né
il Calabrese dal Veneto, né il Friulano dal Bolognese, e vice-
versa, in onta alla comunanza della massa delle radici, attesta
la molteplice varietà delle flessioni di queste presso le singole
popolazioni. E per ultimo, se si porranno a riscontro le ma-
niere del dire, gli idiotismi, l'ordine rispettivo delle varie parti
del discorso, saranno manifeste in tutti i volgari dialetti altret-
tante forme e favelle distinte italianamente vestite.
Ciò premesso, siccome non v'ha dubbio, che questa radicale
dissonanza di pronuncia, di radici, di flessioni e di sintassi de-
riva per lo più dalla natura dei primitivi idiomi d'ogni singola
nazione, gli elementi dei quali passarono successivamente in re-
taggio dall'una all'altra generazione^ cosi egli é certo che, qoa-
i Di questo fatto porgiamo una prova manifesta nel Saggio sui Dialetti
GaUo'Italici, prossimo a comparire in luce, nel quale abbiamo inserite alcune
migliaja di voci esclusivamente proprie di questi dialetti. Avvertasi però, che
questa serie è appena un Saggio, e che quel numero potrebbesi agevolmente
moltiplicare con apposite diligenti indagini.
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 20
lora venisse con dilìgenti studìi deterniinata in tutte le sue parli,
e per ogni minima regione d'Italia, si potrebbe per avventura
stabilire con bastevole fondamento il numero degli antichi idiomi
sinorft sooiiosetuti; sarebbero tracciati i confini, entro i quali
ciascmio fii ub tempo parlato, non che i principali rapporti della
mutua loro aYBnità o discrepanza ; si potrebbe talvolta coi po-
chi ruderi per tal modo raccolti e sceverati , col sussidio dei
nomi proprii ridonati alle primitive loro forme, e dei monumenti
saperdtiU , ricostniime forse qualche brano , che ne riveli Yin-
dote distintiva; e finalmente, instìtuendo un equo confronto colle
antiche lingue conosciute, perverremo un giorno a conoscere
con certezza, o almeno con martore probabilità, a quali delle
antiche schiatte rispettivam^te appartenessero. Allora solo po-
tremo avventurane ad interpretare le mistiche leggende e le
oscure tesfiniònianze degli storici antichi, le quali, anziché in-
ceppare i nostri passi, vaminno a spargere nuova luce sulFa-
*perto sentiero, e gioveranno a guidarci più oltre nelle nostre
ricerche. Vha dunque un mezzo, col quale può la Linguistica
coadjuvare lo storico nella ricerca delle Origini Italiche; ma
questo mezzo richiede la piena cognizione di tutti i nostri dia-
letti viventi, la quale non può essere, se non il rìsultamento fi-
nale di lunghi e coscienziosi studii fatti su tutta la penisola da
molte persone bene intenzionate^ che, bramose di scoprire la
verità, si spoglino d'ogni anteriore prevenzione^ e rinunciando
alla dfimera gloria di costruh^ da sole ingegnosi sistemi , uni-
scano i IcNTo irforzi diretti sop^a un medesimo piano ad uno
stesso fine, e raccolgano con pazienza i materiali necessarii al
solido monumento <^ deve illustrare la patria comune.
Per mala venttn^ colali studii, lungi dall' essere compiuti, o
alméno inoltrali^ ebbero appena principio ai nostri giorni, e
questo pure con malfermo passo, con varia critica e direzione
diversa. Solo podii vocabolarii di alcuni dialetti principali com-
parvero sinora alla luce affatto insufficienti ed oltremodo im-
perfetti, perchè ristretti per lo più alla favelht delle grandi città,
e perciò difettosi del dovizioso j^trimonio delle campagne e dei
monti assai più ricchi di vetuste radici, perchè più tenaci nel
conservarie; che anzi, la sola favela della can^dgna e dei monti
può dirsi propriamente la favella nazionale d'una regione, non
^lo perchè più pura, ossia meno guasta dal progresso della
50 DELLA LINGUISTICA
civiltà^ ma altresì perchè le schiatte vi si mantengono illese da
commistioni straniere, mentre la popolazione delle grandi città
d' ordinario può riguardarsi come una miscellanea di genti più
meno disparate, insieme raccolte per ragioni politiche o com-
merciali, e necessariamente esposte di continuo a rimesccdarsi
con sempre nuovi elementi. Inoltre i benemeriti cdmpilatori dei
vocabolarii già pubblicati, ai quali ciò non pertanto attestiamo
pubblicamente la nostra più cordiale riconoscenza, diressero uua-
nimi le loro indagini a chiarire al popolo la lingua italiana, am-
maestrandolo a tradurre italianamente il proprio dialetto, senza
curarsi della scelta, dell* organismo, della derivazione, dei rap-
porti, delle circostanze delle voci, ciò che rende pressoché
inutile al Linguista T opera loro; che se taluno, sedotto dalla
consonanza di alcune voci, si avventurò nel difficile campo del-
r etimologia, egli mh*ò soprattutto a far pompa d'ingegno, od a
sfoggiare una vana erudizione, forzando senza misura cosi le
forme estrinseche, come il significato dei vocaboli, e raccozzando
ad un tempo fra le parole d*uu medesimo dialetto le. più di-
sparate analogie semitiche, indiane, slave, basche, celtiche, gre-
che e latine antiche e moderne, quasi che tutta la congerie de-
gli umani linguaggi avesse potuto concorrere alla formazione
d'un solo dialetto, o si volesse ancora ai nostri giorni ricondurre
per questa via tutte le lingue ad un solo principio, vale a dire
al supposto idioma primitivo generatore di tutti gli altri.
Noi non ci faremo ad esaminare di quanto vantaggio tornar
possano indagini di simil fatta in libri speciabnente diretti alla
istruzione popolare; rammenteremo bensì, altra cura essere la
raccolta e F ordinamento delle voci d*un dialetto, altra T investi-
gazione delle loro origini. Se per la prima bastano sano crite-
rio, perseverante pazienza ed indefesse indagini, la seconda ri-
chiede ben altra dote di severi studii, vasto corredo di cogni-
zioni e perspicacia d'ingegno; e perciò gioverà forse rammentare
a taluno quel sempre memorabile detto: Sutor, ne ultra crepi-
damf Prima di sottoporre all'analisi etimologica le voci d'un
dialetto, devono queste subire una lunga elaborazione prepara-
toria, senza la quale ogni indagine tornerebbe frustranea; vale
a dire, è d'uopo prima di tutto separare le voci primitive, di
strana forma ed esclusivamente proprie di ciascun dialetto, da
quelle di forma evidentemente latina, comuni a molti dialetti,
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 31
(lei pari che da tutle le moderne successivamenle introdolle dalla
conquista, dal commercio, dalla moda o dal progresso delle arti
e delle scienze. Queste voci devono quindi rappresentare ogget-
ti, idee semplici proprie di tutti i tempi, quali sono i nomi
della terra e del sole, delle piante e degli animali indigeni e si-
mili, eliminando anche fra quesU quelli che fossero per avvenlwa
importati in età posteriori. Depurata per tal modo la scelta delle
voci atte ad essere sottoposte a confronto, è necessario ridurle
con perspicacia alla loro più semplice forma radicale, sceverando
il semplice dal composto , il significato primo e diretto di cia-
scuna dal traslato, ed eliminandone le accidentali flessioni. Solo,
dopo che i materiali saranno per tal modo preparati e disposti,
sarà lecito al linguista sottoporli al confronto cogli elementi delle
antiche lingue note, per investigarne i rapporti di simiglianza;
al qual uopo eziandio non potranno mai bastare le apparenti
analogie di forma e di suono, troppo spesso prodotte dal caso,
essendo ristretto il numero de' suoni naturali, e più ancora dei
segni convenzionali impiegati a rappresentarli; ma dovranno al-
tresì essere convalidate da un concorso di circostanze e di razio-
cìnii, cui solo una mente perspicace e spoglia di prevenzioni può
con sicurezza instituire.
Queste brevi considerazioni, che unite ad altre parecchie ci
proponiamo di svolgere su più ampia tela ne' successivi ragio-
namenti, basteranno a far conoscere quanto pochi ed imperfetti
siano gli studii linguistici intrapresi finora, atti ad agevolare
r illustrazione delle antiche e delle viventi lingue d'Italia; e
quindi apparirà dì leggeri manifesto, quanto immaturi fossero i
tentativi fatti per determinare con questo mezzo le origini ed
i rapporti delle nazioni che le parlano. Abbiamo premessa questa
rapida dimostrazione a priori d'una tesi che ci si offeriva spon-
tanea allo sguardo, anziché esporla a posteriori, manifestando
r insufficienza, o meglio la discrepanza dei risultamenti finali di
quanti impresero ad illustrare le nostre origini; e ciò, 1."* per-
chè ci parve più util cosa il provvedere all'avvenire, tracciando
la via più acconcia che dobbiamo percorrere, anziché arrestarci
a deplorare i trascorsi del passato; %"* perché non volevamo
esporci alla taccia immeritata d'ingratitudine verso quei genero-
si, che primi rivolsero i loro studii ad illustrare la patria co-
mune, ed ai quaK attestiamo stima e riconoscenza per le molle
3!2 bELLA LINGUISTICA
loro Utili speculazioiH. Ciò non pertanto, a porgere qualche prova
dì fatto di quanto siamo venuti in breve esponendo, aggimge-
remo ancora le poche osservazioni che ci si affacciarono più ov-
vie nella lettura di alcuni recenti trattati su questo ai^^omento,
e che ci pajono più atte a convalidare il nostro assunto; ma non
lasceremo nel tempo stesso di dichiarare, essere nostra inten-
zione, non già il detrarre punto dai nobili e preziosi stiidii al-
trui, bend l'associarvi, quali essi pur siano, anche i nostri, nella
stessa guisa, e per la sola ragione, che vi associamo pure i no-
stri voti e le nostre speranze.
Fra i benemeriti, che aj^iicarono negli ultimi tempi la Lin-
guistica alla soluzione del gran problema delle Origini Italiche,
emersero Guglielmo Betham coi suoi lunghi studii sugli Etrusci,
Federico Steub, che institui laboriose indagini sull* origine dei
Reti, Cesare Balbo, che tentò svolgere complessivamente la fu-
sione delle schiatte in Italia, ordinando una serie di severi studii
sulle primitive istorie della medesima, e Niccola Corcia, il quale,
imprendendo a descrivere la storia del regno delle Due Sicilie,
indagò negli antichi nomi superstiti F origine degli Itali meridionali.
Betham, neir opera intitolata Etrwria-CeUica, testé pubbli-
cata in due volumi a Dublino, tentò dimostrare X identitii delle
lingue etrusca ed irlandese, e T origine fenicia d'entrambe.
Per la prima parte del suo difficile assunto, si sforzò interpre-
tare col mezzo della vivente favella iberno-celtica i principali
monumenti etrusci, vale a dire le celebri tavole di dubbio, e le
iscrizioni di Perugia e di Monfalcone. Per la seconda instilul eru-
diti ed ingegnosi confronti fra le antiche mitologie, e, forzando
le testimonianze degli storici, volle provare la migrazione dei
Pelasgi dalla Fenicia, e l'identità loro cogli antichi Etrusci. Da
quanto abbiamo premesso è facile imaginare la somma diflicoltà
di instituire un confronto fra la lingua etrusca, si poco sinera
conosciuta, e l'irlandese, non che l'impossibilità assoluta (H ri-
scontrarla colla fenicia affatto ignota. Era quindi naturale , che
l'autore dovesse supplire coli' ingegno e coli' imaginazione al di-
fetto dei mezzi. Infatti, per raggiungere con sicurezza il suo
scopo, egli dovette allungare, o restringere all'uopo le voci etni-
sche dei monumenti, dividerne le sillabe od unirle a suo grado,
|)ermutandone, o sopprimendone le lettere, sinché giunse a for-
marne altrettante voci, che nell'irlandese favella hanno qualche
APPLICATA ALLA RICERCA D£LLE ORIGINI ITALICHE. 33
signiOcazione. Ma tutte queste voci irlandesi» per tal modo rac-
cozzate e disposte, anziché rappresentare un senso continuato,
formano altrettanti indovinelli, mancanti per lo più del verbo
principale, e spesso ancora del soggetto o dell' attributo; e per-
ciò r autore ebbe ricorso a nuove trasposizioni, ad arbitrarie ag-
giunte e violenze, sicché pervenne finalmente, non senza copia
d'ingegno, ad ordinarle in periodi, traendone quel complessivo
contesto che meglio conveniva al suo sistema, formando cioè de'
monumenti etrusci altrettante descrizioni di spedizioni marittime,
nautiche informazioni ; mezzo molto acconcio a provare V iden-
tità degli Etrusci coi Fenicii, popolo, per testimonianze storiche,
fra tutti gli antichi eccellente nell'arte del navigare.
Noi non ci tratterremo un solo istante a provare l'insussistenza
di tali ragionamenti, giacché egli è a tutti palese, che in simil gui-
sa, e con egual forza d' argomentazioni, sarebbe agevole il provare
l'identità della lingua etrusca colla ebraica, colla bascuense, colla
cinese, o coli' indiana, e formare delle tavole eugubine altrettanti
trattati di pastorizia, o peregrinazioni nel deserto, o precetti bra-
minici, buddistiche tradizioni; avvertiremo in quella vece, non
essere questo il metodo, col quale suole e deve procedere la scienza
nelle sue investigazioni , e deploreremo tanti studii prodigati ,
e tante veglie inutilmente spese da uno scrittore, la cui vasta
erudizione, da miglior criterio diretta, poteva condurre a solidi
risultamenti, ed i cui generosi sacrificii meritavano senza dubbio
miglior guiderdone. Se, nell'ignoranza in cui siamo dell'orga-
nismo proprio della lingua etrusca , e nella scarsezza dei mezzi
concessi per rintracciarlo, é lodevole consiglio il tentarne, anche
a sorte, un confronto con altre lingue note, per iscoprirne i rap-
porti, non é però lecito, onde avvalorare un'opinione prestabilita^
Talterame le forme, o il creare elementi che non esistono; peg-
gio ancora r ostinarsi nell' asserire ciò che il buon senso ricusa,
ed il fatto smentisce. Per lo studioso che con retta coscienza indaga
la verità, anche la scoperta della discrepanza fra due lingue è
un utile servigio tributato alla scienza, un passo fatto nella limga
carriera che deve percorrere; ma, il ripetiamo francamente, non
è qaesta la via più dbetta, né molto meno la più sicura; prima
di tutto è d'uopo apprestare i materiali, e determinare con pre-
cisione qual sia l'organismo d^i antichi idiomi, per poterne
inslitaire con cognizione di causa i confronti.
54 DELLA LliNGUlSTlCA
Non molto diversa da quella di Betham si fu la via calcata
da Federico Steub nelle sue ricerche suir orìgine dei Reti. Que-
sto filologo tedesco, ammettendo con Betham, una sola essere
stata la stjrpe anticamente diffusa dal Tauro asiatico a Salisbur-
go, dal Bosforo ai Pirenei, che per mezzo di due grandi mi-
grazioni, runa per terra e F altra per mare, invase tutta T Eu-
ropa meridionale, ed attribuendole pelasgica origine, restrinse
le sue indagini a provare T affinità dei Reti cogli Etrusci, e
quindi la derivazione di questi da quelli; concordando in ciò
cogli archeologi del secolo scorso, i quali, sull* ipotesi delF uni-
versale celticismo, fecero pure scendere gli Etrusci dalle Alpi, e
li dissero derivati dai Reti. Anche lo Steub tentò dimostrare la
sua tesi mercè il confronto delle lingue retica ed etrui^a; ma,
se questa è sinora assai poco nota , quella non lo è punto ,
e le deboli sue reliquie consistono in pochi nomi incerti di
persone e di luoghi, più o meno guasti e mutilati dalle succes-
sive generazioni di stipiti diversi. Lo Steub ciò nullostante ne
raccolse con diligenza un ragguardevole numero sui libri e
sui luoghi stessi componenti l'antica Rezia, e li confrontò cogli
etrusci dei vasi e dei sepolcri. Sin qui rese utile servigio alla
quistione ; se non che, non trovando spontanea quella corrispon-
denza di forme e di suoni eh' egli aveva imaginato, il dotto au-
tore si studiò fabbricarla coir ingegno e colla violenza, perocché
non era già stato indotto dall'analogia dei nomi a supporre
l'affinità delle stirpi retica ed etrusca, ma bensì a rìtrosoy dal-
l' opinione prestabilita di quest' affinità a cercare e forzare le
omonimie. Quindi con ingegnoso artificio si fece ad alterare cosi
le retiche voci come le etrusche, pretestando la necessità di
ricondurle alla loro forma primitiva; permutò ad arbitrio gli
elementi che le componevano; trattò come se fossero retiche
alcune voci d'origine per avventura celtica, o germanica; ed
avvalorando in tal guisa le proprie argomentazioni, diede per
dimostrata un' opinione meramente gratuita.
Non è d' uopo ripetere, come questo erroneo processo dello
Steub derivasse naturalmente dall' insufficienza dei mezzi impie-
gati; piuttosto dimanderemo, con quanto maggior sicurezza e
forza d'induzione non avrebbe egli potuto sviluppare le pro-
prie indagini, e forse ancora dimostrare la sua tesi, se, anziché
arrestarsi a pochi nomi incerti e fallaci, avesse depurato i pri-
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 35
milivi elemenli dei dialetti ora parlati nella Rezia e nelFEtru*
ria, e ne avesse instituito, scevro da prevenzioni, un giudizioso
confronto? I nomi proprii prestano senza dubbio un forte argo-
mento a quello che indaga le origini delle nazioni; ma anch*essi
devono essere consultati con molta circospezione, né possono
mai da soli aver forza di prova, se non siano convalidati da
una serie di circostanze. Infatti, senza avvertire alle molteplici
modificazioni, che devono aver subito nel corso di tanti secoli,
per opera di tante stirpi diverse, e per le quali parecchi fra loro
smarrirono quasi del tutto le primitive sembianze, sappiamo an-
cora per esperienza, come non lieve parte degli antichi nomi ve-
nissero imposti dai conquistatori ai luoghi conquistati, o come
altri, serbando pure la stessa significazione, venissero trasportati
più volte dairuna air altra lingua. Cosi la parte settentrionale
d' Italia fa prima denominata Etruria transpadana, indi Gallìa ci-
salpina, e poi suddivisa in Venezia ed Insubria; cosi la piccola
Alba fondata in Bessarabia dai Romani^ la quale presso il Moldavo
colono serba ancora oggidì T antico nome di Citati Alba, fu detta
più tardi Weissenburg dal vicino Germano, prese il nome di
Ackerman quando cadde in potere dei Turchi, e quello di Biel-
gorod sotto la russa dominazione. Quanti esempi di simil fatta
non ci porge la storia di tutte le nazioni antiche e moderne?
e perciò, con quanta circospezione non dovrà lo studioso pro«
cedere prima di fondarvi i propri giudicii?
Cesare Balbo, rinomato per una serie di studi! fsitti sulle isto-
rie della nostra penisola, non che dei popoli eh' ebbero colla
medesima più o meno diretti rapporti , non s' addentrò abba-
stanza nelle linguistiche discipline, per poter avvalorare colle
proprie speculazioni le opinioni da lui stabilite sopra studii alla
linguistica estranei, sebbene tendenti ai medesimo fine. Ciò nul-
tostante, riconoscendo l'importanza e T autorità della filologia
comparata, non lasciò d' invocarla più volte in sussidio delle pro-
prie argomentazioni, quando imprese a tracciare sommariamente
la fusione delle schiatte in Italia. Ivi, senza arrestarsi punto sui
particolari, posta la grande partizione primitiva delle schiatte in
semitiche, camitiche e giapetiche, premise fra gli altri, come
ilimostrati, e dalla filologia sanciti, i seguenti principii : che tutte
; le genti primamente venute ad abitare T Europa, tranne i Fé-
V i^icii ed i Pelasgì, furono giapetiche ; che giapetiche sono tutte,
56 DELLA LINGUISTICA
quasi tutte le genti Indiane, tutte le Cinesi, e tutte quelle
fino a' nostri di vaganti nel settentrione dellAsia, comprese già
sotto i varii nomi di Geti, Sciii, Tartari, Mongoli, Cinesi, e via
via; che i primi popoli venuti in Europa furono i Jonii ed i
Tirreni; che i Jonii già stanziati nelle isole e penisole greche,
propagandosi oltremisura, diedero origine alle tre grandi schiat-
te : ellenica, la quale popolò la Grecia ; siculo-ligure-iberica, la
quale occupò tutte le marine occidentali d* Italia, le meridionali
della Gallia, e le orientali d'Iberia; e la celtica, che posterior-
mente occupò le due falde meridionale e settentrionale ddle
Alpi; e che i Tirreni, dopo avere stanziato momentaneamente
in Tracia, passarono in Italia, al cui mare ulteriore diedero il
proprio nome. Restringendosi quindi esclusivamente all' Italia ,
enumera fra i suoi primitivi abitanti gli stessi Tirreni, suddivi-
dendoli in Taurisci, Etrusci ed Osci; gli Iberi, che suddivide in
Liguri, Itali e Siculi; e gli Ombroni pure suddivisi in Insobri,
Yilombri, ed Olombri. A tutte queste schiatte da lui dilaniate
giapetiche aggiunge ancora pochi Fenici! e molti Pelas^, i quali,
congiunti cogli Etrusci e cogli Osci, scacciarono gli Iberi ed i
Celti, e fondarono T etnisca potenza, e più tardi, respinti dagli
stessi Etrusci, scomparvero, sia riprendendo la via del mare,
sia confondendosi nelle italiche popolazioni. Mentre fondavasi per
tal modo Fctrusca confederazione nel centro della penisohi, gli
Ellenì stabilirono un* altra civiltà nelle regioni meridionali della
medesima, ed i Celto-Galli, respingendo alla lor volta gli Etru-
sci, si stabilirono nella parte settentrionale; sicché, verso il 400
di Roma la nazione italica era un rimescolio di genti tirrene,
ed iberiche, e celto-umbre, e fenicie, e greche, e pelasgiche, e
celto-galliche, e cimbriche.
Noi non sappiamo a quali fonti il dotto scrittore attingesse le
surriferite testimonianze; siccome peraltro esse per la maf^r
parte sono opposte ai risultamenti dalla filologia conseguiti , ed
in parte superiori alle sue forze, cosi stimiamo opportuno porre
in .chiaro il vero stato della questione. E lasciando in disparte
la primitiva divisione generale delle schiatte in semitiche, cami-
tiche e giapetiche, la quale non fu mai constatata dalla scienza
delle lingue, perchè troppo lontana, e per avventura affatto in-
dipendente, osserveremo, come la filologia comparata, anziché
racchiudere, escludesse sempre dalla denominazione convenzio-
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGLM ITALICHE. o7
oale di giapetiche parecchie fra le lingue indiane, tutte le cine-
si, e le innumerevoli parlate nell'Asia setlenlrionale dai popoli
erranti citati dal signor Balbo, le quali tutte, sotto ogni aspetto,
offrono caratteri affatto diversi da quelli delle ludo-Europee, che
rappresentano il puro tipo comunemente detto giapetico. A que-
sta assoluta disparità di lingue si aggiunge il tipo fisiologico delle
medesime nazioni asiatiche, il quale differisce da quello delle
caocasiche per modo, che, se fosse lecito supporre nella umana
tamiglia pluralità di specie, ne formerebbe una fra le più di-
stinte. La filologia poi non ha mai eliminato, né poteva elimi-
nare dalla grande iamiglia giapetica la lingua pelasgica, della
quale non ha potuto scoprire sinora F origine, né T organismo;
nulla importando il nome proprio di quella nazione, sul quale
r autore sembra fondarsi, e che, per la forma, può essere giape-
tico del pari che semitico. Meno ancora essa potè constatare la
divisione della stirpe Jaonia proposta dallo storico piemontese,
alla quale anzi si oppongono le sue positive speculazioni.
Lasciando a parte la supposta consanguineità dei Siculi, dei
Ligqri e d^i Iberi, la quale solo allora potrà essere attestata
quando vengano rivelate le loro favelle rispettive, egli è certo,
che dalle poche reliquie delle antiche lingue iberiche tutt* ora
superstiti fra le inospitali gole de' Pirenei occidentali, non si è
potalo sioiNra scoprire il minimo nesso d'origine fra queste e
le altre lingue europee, s^natamente T ellenica e la celtica,
da le quali tutte i dialetti bascuensi differiscono essenzialmente
in ogni riguardo. Nessun rapporto di simil fatta ci svelarono i
pochi monumenti dissotterrati delle vetuste lingue iberiche ca^
(Iute in oblivione, i quali attendono ancora chi ne svolga i mi-
steriosi caratteri. Che anzi, nn diligaite esame del sistema fo-
nico boscnense, e delForti^rafia di parecchi moniunenti, rese
più verisimile la supposizione (comecché gratijuta) di im nesso
semitico, per la quale ciò nonpertanto furono pure instituili vani
confronti E perciò, lungi dal riconoscere vincoli di fratellanza
fra gli antichi popoli iberici, gli Elleni ed i Celti, la Linguistica
li risguarda piuttosto come schiatte distinte.
Dalle molte osservazioni sin qui premesse é altresì manifesto,
quanto estranea esser debba questa scienza all'altra divisione
proposta dal signw Balbo dei primi abitatori d'Italia, dei quali
tuttavia ignora interamente le lingue. Fondandosi sulle storiche
e)8 DELLA LhNGUISTlCA
tradizioni, essa può bensì prendere a prestilo i variì nomi di
Tirreni, Peiasgi, Etrusci, Liguri, Ombroni ed altretali, e ripetere
col nostro autore, che la nazione italica, verso il 400 di Roma,
era una confusa miscela di questi e d* altri popoli; ma mn non
ravvisiamo in ciò, se non una petizion di principio, mentre ci
resterà poi sempre a dimandare, chi fossero i Tirreni, i Pe-
lasgi, ec., ciò che vale lo stesso : quali furono le italiche ori-
gini? Intendiamoci bene. La ricerca delle nostre origini non è
già una semplice questione di nomi, ma bensì di stirpi. Si tratta
di conoscere, non solo come si chiamassero, ma a quale schiatta
appartenessero i nostri maggiori, e con quali altre si fondesse-
ro, per determinare quali e quanti rapporti di consanguineità
ci collegano alle altre nazioni antiche e moderne. Finché non
siano determinate queste stirpi e questi mutui rapporti, a che
ci giova sapere, se i nostri primi padri si chiamassero Tirreni,
Pelasgi ed Iberi, piuttosto che Aborìgeni, Opici, o Satumìi?
Quest* ignoranza delle stirpi, alle quali tante primitive nazioni
rispettivamente appartenevano ,, deve altresì renderci più cauti
neir aggrupparle in manipoli, come fece il nostro autore, il quale
(né sappiamo per qual ragione) riunì in una sola stirpe i Tau-
risci, gli Etrusci e gli Osci; in un altra i Liguri, gli Itali ed i
Siculi, e ne fece una terza degli Insubri, dei Vilombri e degli
Olombri. Sebbene eziandio a queste gratuite asserzioni potessimo
agevolmente opporre alquante osservazioni, per le quali più ve-
risimile apparirebbe la varietà di stirpe, cosi fra i Taurisci e gli
Etrusci, che fra gli Insubri e gli Olombri, ciò nulF ostante, nel-
l'assoluta mancanza di prove atte a determinare con certezza
qualche positivo elemento su questo soggetto, ci restriDgeremo a
notare, che un tale ordinamento dei primitivi popoli italici sup-
pone quella serie di fatti e di speculazioni, che gli studiosi vanno
da lungo tempo invano rintracciando, e che, per quanto possa
essere per avventura conforme al vero, e fondato sulla testimo-
nianza di alcuni scrittori, esso é tuttavia meramente ipotetico, e
sopratutto assai lontano dal poter conseguire la sanzione della
filologia comparata. Solo dopo che si saranno partitamente stu-
diati i nostri dialetti, e che ne verranno precisati i rispettivi con-
fini, essa potrà pronunciare i suoi giudicii sulle primitive, stirpi;
allora forse potrà sancire in tutto, o in parte, le divinazioni del
signor Balbo, o piuttosto ci porgerà un ordinamento diverso d'un
APPLICATA ALLA RICERCA DELLE ORIGINI ITALICHE. 30
maggior numero di schiatte, delle quali cliiederemo invano i nomi
alla storia, ma conosceremo le origini e le fratellanze.
Dalle esposte premesse Fautore passa a determinare l'anzia*
nilà delle varie schiatte europee, deducendola dalla rispettiva pò-
sizion loro da occidente ad oriente, e stabilisce, che le posteriori
in collocazione dovettero essere pure posteriori in tempo. Lo
stesso abbiamo noi pure esposto e reso manifesto ali* occhio nella
Carta generale delle lingue parlate in Europa; ma, seguendo ap-
punto lo stesso ragionamento, egli avrebbe dovuto accordare V o-
nore dell* anzianità altresì alle finniche nazioni sospinte e relegate
neir estremo settentrione dalle posteriori immigrazioni germani-
che e slave, come lo furono nelf estremo occidente i Cambrì ed
i Gaeii, forse nel medesimo tempo ; e meglio considerando le isto-
rie e le lingue del freddo settentrione, già popolato da numerose
ed ignote nazioni, sin da tempi anteriori ad ogni istorica remi-
niscenza, avrebbe dovuto restringere la sua proposizione gene-
rale, ed accennare le immigrazioni dei Jonii e dei Tirreni tutt'al
più fra le prime che vennero a popolare V Europa meridionale,
giacché Don sappiamo quando la settentrionale venisse abitata, e
non abbiamo verun fondamento, né Y ignoranza, o il silenzio de-
gli storici ce ne dà il dritto, per supporta affatto deserta, mentre
numerose nazioni s* aggiravano e s* incalzavano lungo le coste
meridi<mali. Tentiamoci dagli occhi la benda : tutti questi sistemi di
Fenicii, di Jonii, di Tirreni e di Pelasgi, sempre vuoti di senso,
che occuparono gli studiosi dei secoli trascorsi, e che sotto varii
aspetti si vanno riproducendo ai nostri giorni, furono fabbricati
suir autorità degli scrittori greci e romani, senza tener conto, che
i Greci, o ignorarono, o non curarono quanto era accaduto al
di là deir Eusino e del Danubio, e che i Romani sorsero troppo
tardi sulle rovine di civiltà anteriori, per poterci istruire sulle
proprie origini, non che su quelle delle nazioni che li prece-
dettero. Gli scogli deir Arcipelago e la Tracia, la Magna Grecia
e le sponde del Mediterraneo, ecco tutto il teatro della primitiva
storia d* Europa. Ma, viva Dìo! e al di là dell* Eusino, delFA-
driatico e dell'Alpi, queir immensa Europa, che ci scagliò addosso
per tanti secoli le sue innumerevoli orde, non era forse per anco
spuntata fuori dalF Oceano, o aspettava ancora deserta, che i figli
dei Tirreni e dei Jonii abbandonassero il ridente cielo della Gre-
cia e d* Italia, o che altri popoli affini lasciassero le fiorite sponde
40 DELLA LINGUISTICA
deir Eufrate e delF Indo, per andare a raggiungere le belve delle
sue interminabili foreste ? Pur troppo, le istorie della Grecia e
dì Roma formarono per lungo tempo la principal parte della sto-
ria universale del mondo; oggidì, mercè il progresso, abbracciano
solo la storia primitiva d'Europa; speriamo, che non tarderanno
molto ad essere riconosciute per quello che sono, vale a dire, per
la storia particolare di due singole nazioni. Egli è ormai tempo,
che scuotiamo questo giogo servile impostoci da noi medesimi.
Impariamo dai Greci e dai Romani quello che seppero, o che vol-
lero insegnarci ; studiamoli attentamente, ed interpretiamoli come
conviensi; vi scopriremo per avventura maggior copia di dottri-
na, e minor numero d' errori ; ma non imitiamo il credulo Mu-
sulmano, che indaga nel Corano Finvenzion della polvere e Tap-
plicazion del vapore. Se le antiche istorie non bastano, abbiamo
aperto dinanzi agli occhi il libro della natura, sul quale ornai la
Geologìa e la Linguìstica ci hanno tracciato ed ordinato due serie
di novelle osservazioni. Perchè vorremo ancora fabbricare i libri
sui libri, ed i sistemi sui sistemi?
Noi non seguiremo il signor Balbo negli ulteriori suoi ragiona-
menti, ove, ignorando o sprezzando i più chiari elementi ed i
rìsultamenti pia certi della filologìa, ora attribuisce origine cel-
tica agli antichi Macedoni, ora chiama illusione la fratellanza
delle genti teutoniche ed indiane, e sconvolge gratuitamente il
positivo ordinamento della scienza; e trasandiamo queste erronee
opinioni tanto più volentieri, quanto più sono ovvie e ci allonta-
nano dalla questione principale dell^ nostre orìgini. Solo ci basta
di avere rivendicata, contro la gratuita asserzione dell' autore, la
filologia comparata da errori, cui, lungi dal sancire, solennemente
riprova, e d'aver per tal modo fatto palese, che, se essa è in-
sufficiente per ora alla soluzione del gran problema, è almeno
bastevole a preservarci da parecchi falsi sistemi.
Con più savio accorgimento procedette il signor Corcia, il
quale, nei prolegomeni alla storia del regno delle Due Sicilie ,
imprendendo a svolgere le origini di quelle popolazioni, fondò le
proprie indagini sulle omonimie etnografiche e geografiche. Egli
rese infatti non lieve servìgio alla scienza, scoprendo ed ordi-
nando una serie di nomi propri! dell'antico Saunio e d'altre re-
gioni meridionali d' Italia , e confrontandoli diligentemente con
altri simili di suono dell' antica. Tracia e dell'Asia minore, ciò
APPLICATA ALLA RIGKRGA DELLE OUIGINI ITALICHE. il
che per avventura, quando venga completato ed esteso ad altre
regioni, potrà valere un giorno a consolidare, o controbilanciare
le opinioni che saranno per sorgere dagli studii ulteriori. Ciò
nonpertanto, non potendo noi con si scarsi materiali associare
i nostri giudicii a quelli del chiaro autore, osserveremo, che, se
il fatto importante delle omonimie, opportunamente avvertito e
convenientemente ripetuto, è un mezzo efficace per la ricerca
delle origini dei popoli, esso deve peraltro essere considerato
qual mezzo puramente ausiliario, e non mai primario; mentre
la ripetizione dei nomi proprii in regioni appartate e lontane non
prova sempre F identità d'origine fra le rispettive loro popola-
zioni; ma. talvolta segna appena la traccia d'una migrazione
d' un popolo, talvolta la sua diffusione, o piuttosto la diffusione
del suo potere per mezzo di posteriori conquiste; del che abbiamo
i più chiari e ripetuti esempi ndle antiche e moderne storie,
Arroge, che se questa ripetuta consonanza di nomi, avvalorata
da altri argomenti, è atta a ccmstatare F affinità o T identità
d'origine fra due popoli, essa non lascia sovente meno indeter-
minata per questo F origine stessa. E perciò, mentre invitiamo
con grato animo il signor Corcia e gli altri studiosi italiani e
stranieri, che progrediscono per questa via, a persistere nelle
utili loro indagini, e ad arricchire di nuovi fatti la scienza, li
esorteremo ancora a sospendere i loro giudicii, finché altre ricer-
che di natura diversa, ed altri fatti linguistici possano compiere
r esame, e maturarne le induzioni.
Gonchiudendo questi brevi cenni, ci pare bastevolmente dimo-
strata dalla ragione e dai fatti F insufficienza degli scarsi mezzi
che abbiamo, per risolvere col mezzo della Linguistica il gran
problema delle origini italiche, e quindi la necessità d' apprestare
prima di tutto gli opportuni materiali. Perciò non cesseremo dal
raccomandare ai nostri connazionali lo studio dei singoli dialetti
viventi, massime di quelli che si parlano nelle campagne e nei
monti, come più atto a guidarci pel dritto sentiero. Né lascieremo
per ultimo di ripetere, che simili studii devono essere instituili sce-
vri da prevenzioni, spogli di sistemi^ e liberi dall' influenza del-
l' orgoglio nazionale, giacché si tratta di rintracciare la verità, e
non già di constatare un imaginario principio.
La ricerca delle nostre origini non è diretta a promuovere
ui>' inutile gara colle altre nazioni, contendendo loro anteriorità
42 DELLA LINGUISTICA APPLICATA ALLA UICERCA, ECC.
di natali, nobiltà di schiatta, priorità d'incivilimento; ma bensì
a scoprire chi furono i nostri maggiori, onde stabilire quali rap-
porti di fratellanza ci collegano agli altri popoli, e diradare una
volta le dense tenebre, che ravvolgono la prima isioria del
genere umano. L' Italia, da qualunque stirpe traesse i suoi primi
abitanti, sia che prima svolgesse nel proprio seno i germi del-
l' umana civiltà, sia che li ricevesse dai Fenicii, dai Pelasgi, dai
Tirreni, dai Greci, non ha bisogno di mendicare veruna
gloria, né teme verun confronto colle nazioni più incivilite del
mondo antiche e moderne. Nessuno le ha mai conteso il vanto
d'aver contribuito fra le prime a stabilire e consolidare le
fondamenta della sociale civiltà; nessuno ignora, come più volte
ella ne fosse il centro primario, dal quale emanarono per secoli
raggi vivificanti di luce a rischiarare le più lontane regioni dei-
Torbe; ma anch'essa alla sua volta fu avviluppata nelie tenebre
dell'ignoranza, ed attinse al fuoco delle altre nazioni la scintilla
che doveva riaccendere la spenta fiaccola della propria sapienza.
Ciò nonpertanto, insegnante o insegnata, dominatrice o doma,
essa fu sempre grande; ed appunto perciò, qualunque sia per es-
sere il frutto delle future sue speculazioni, con un pacifico e
coscienzioso consorzio di studii, manifesti ancora adesso la pro-
pria grandezza nelle virtù de' suoi figli, anziché nei aatali dei
suoi maggiori.
III.
PROSPETTO
TOPOGRAFICO-STATISTICO
DELLE
COLONIE STRANIERE
D'ITALIA
Se abbracciamo con un solo sguardo la forma e la posizione
della nostra penisola, e ne misuriamo colla mente le prolungate
sponde, i cui porti numerosi porgono facile accesso egualmente
all'Asiatico ed alF Africano, che all'Ibero, al Gallo, al Tèulono,
al Sàrmata ed allo Scita, scorgiamo di leggeri, come la nume-
rosa popolazione che la coltiva e la illustra, constar possa di
cento disparati elementi, ravvicinati e frammisti dal caso, o dalla
conquista. La tradizione in fatti e la storia ci additano in ogni
tempo straniere colonie, che, dalle opposte rive d'Asia, d'Africa
e d'Europa approdando sull'italo suolo, ne dirozzarono le de-
serte campagne, vi innalzarono città, se ne disputarono il pos-
sesso. Gli Etrusci, ed i Fenici! dall'Africa, i Liguri dall' Iberia,
i Pelasgi e gli Elleni dalla Tracia e dagli scogli dell'Arcipelago,
i Veneti dalla Paflagonia, gli Albani dalla Troade, i Celti dal
Norico, dalla Galiia e dalla Rezìa, ne invasero da rimotissimì
tempi ogni contrada, e se ne ripartirono a vicenda il dominio. Se
non che tutte queste nazioni diverse, strette più tardi ad un solo
freno, e insieme riunite coi vincoli indissolubili d' una sola lingua
e d' un solo culto, formarono sotto i consoli latini un solo po<
polo, che si chiamò per alcuni secoli Romano, e che più tardi,
frammisto ad altri clementi, fu detto Italiano.
46 COLONIE STRANIERE
Quando la signoria romana, agitata da intestine discordie, ed
oppressa dalle novelle instituzionì, mal seppe difendere i suoi
lontani confini del Danubio e del Reno, novelle stirpi, dal set-
tentrione irrompendo, ne invasero le scompaginate province, e
numerose schiere d' Unni, Vandali, Goti, Bizantini , Lombardi,
Franchi e Normanni straziarono a vicenda le itale contrade, vi
fondarono stabile domicilio, e a poco a poco, seguendone gli
usi, il culto e la lingua, si confusero coi vinti. Più tardi ancora
gli Arabi dal mezzodì, i Tèutoni dal settentrione, i Greci, i Va-
lacchi e gli Albanesi dalF oriente, i Francesi, i Catalani e gli
Spagnuoli dair occidente , varcando e rivarcando le inutili sue
naturali barriere, dettarono alternamente alF Italia le loro leggi,
vi fondarono stabili colonie, e vi consolidarono un potere, che
durò sino a' di nostri. Sebbene però tanti disparati elementi
antichi e moderni abbiano impronte indelebili tracce sulle sin-
gole popolazioni italiche, sicché lo straniero che scende dall'Alpi
possa agevolmente discernere la stirpe Celtica dalla Slava, la
Ligure dalFEtrusca, la Latina dalla Sabella, ciò nuUadimeno
riserbandoci a svolgere di proposito in più vasto lavoro * que-
sta varietà d'origini e di dialetti, risguarderemo per ora tutte
le singole popolazioni italiche siccome parti integranti d^una sola
famiglia, e solo distingueremo come straniere quelle colonie, le
quali, sebbene da vari secoli formino parte delia popolazione
d' Italia, ne coltivino il suolo, ne osservino le leggi, pure ser-
barono in gran parte la primitiva lor lingua, e rimasero stra-
niere in mezzo agli Italiani.
Di queste colonie appunto volendo or noi porgere un succinto
prospetto^ gioverà per maggiore chiarezza dividerle in vari
gruppi, avuto riguardo alle lingue da loro parlate, e seguendo
da settentrione a mezzogiorno il posto da loro occupato nella
penisola. Tali gruppi sono: 1." germanico; 2."* slavo; Z!" fran-
cese; if!" valacco; B.** catalano; 6." greco; 7.* albanese; 8.* ara-
bico; ai quali potremo aggiungere gli Ebrei, gli Armeni ed i
Zingari, che in maggiore o minor numero diffusi su tutta la pe-
nisola, rimasero per varietà di culto, o di lingua e di costumi,
sempre stranieri nei luoghi da loro per vari secoli abitati.
\ Vedi VAUante Unffuiiiico d'Europa, Milano 18il, e raa conti aaazioae.
d' ITALIA. 47
l."" Colonie Germaniche.
Considerando F Italia geograficamente, vale a dire ne*s«oi
naturali confini, troviamo diverse colonie germaniche da anti-
chissimi tempi stanziate nella più settentrionale sua parte, ed
ivi distinte per lingua e costumi. Esse, avuto riguardo ali* ori-
gine ed alla varietà de' rispettivi dialetti, dìvidonsi in Burgundi
e Bavari.
Burgundi. Dalla vetta del Monte-Rosa scendono verso mez-
zogiorno e verso oriente, quasi raggi concentrici, alcune valli,
fra loro disgiunte da erte costiere dMnospiti monti, le quali dai
rapaci torrenti che le percorrono presero i nomi di Val Lesa,
Val Sesia, Val Sermenta, Val Mastallone e Val Anzasca. I loro
abitanti, sebbene soggetti al governo di Piemonte, ed attorniati
in parte da Italiani, offrono importante materia di studii, rive-
lando germanica origine nella fisica loro costituzi(me, nella fog-
gia del vestire, nel modo di fabbricare le abitazioni, in molti
costumi domestici e rurali, e finalmente nei loro dialetti. Ciò
non pertanto il continuo contatto ed il commercio c<^i Italiani
circostanti, e la preponderante influenza del governo, nel volgere
dei secoli, hanno reso quasi impercettibili queste tracce nella
parte inferiore di tutte queste valli, caoseellandovì del tutto 1* im-
pronta caratteristica della lingua, alla quale furono sostituiti i
dialetti italiani confinanti, e solo venne serimta la favella germa-
nica con alcune speciali costumanze nei villaggi più elevati, presso
i perpetui ghiacci del Rosa, ove «ssai tardo e fiacco giunge 1* im-
pulso deir affollata società del pian». Questi villaggi sodo: nella
Val Lesa, la Trinità di Gressooey^ eolle frazioiii di s. GiMMiio e
di s. Pietro, alla sorgente del torrente Lesa, composto di 260
abitanti; s. Giovanni di Gressoney, eolle frazioni di Schamsil,
Zer Trina ed Albezon, di 900 abitanti ; ed Issime colle sue fra-
zioni di Zerta, Gabi, Njelle e Drìssig-stig, abitato da 1600 tede-
schi. Nella Val Sena pnqirianieiile delta, ossia Val-Grande, con-
serva anc(H^ un antico dialelto della lingua tedesca il solo comune
di Alagna, composto di 750 abitanlL Netta Valle Sermeala, delta
ancora Val-Pitta, o Val-Pìeoola, H solo Gonmne di Rma^ posto
presso le sorgenti del Sermenta^ ed abitato da 374 pastori Nella
Valle Mastallone il solo Comune di Rimcfla, divìso in tredici Can-
toni pittoricamente disposti sol peafio diPa msnlipiai e eompo-
4.8 COLOIflB STRANIERE
Sto di 1290 abitami. Finalmente nella Valle Ànzasca rimane il
Comune di Macugnaga, alle sorgenti delF Ànza; presso le ghiac-
etme orientali del Rosa^ composto di 630 abitanti.
A malgrado dell'importanza loro, tutte queste colonie, for-
manti insienìe 2(800 abitanti, rimasero per vari secoli sconosciu-
te, inosservate fra gli inospiti loro monti, e solo in sul principio
del nostro secolo il benemerito Orazio Benedetto di Saussure vi
chiamò T attenzione dei dotti, quando calcò la prima vdta le in-
contaminate nevi del Monte-Rosa. Nel 1832 seguirono le sue
tracce il consigliere Hirzel ed il colonnello Von Welden, i quali,
nella descrizione del loro viaggio, pubblicarono alcune notizie
intomo a quelle colonie. Più tardi, nel 1836, raccolse e pubblicò
nel giornale Dos Ausland ^ un piccolo Saggio del dialetto di
Rimella Massimo Schottky; e finalmente, dopo appositi via^ sui
luoghi, e più maturo esame, pubblicò una compiuta illustrazione
di quanto spetta a queste colonie il professore Alberto Schott,
nelle due opere: Die Deutschen am Monte-Rosa. Zùrich^ 1840;
Die Deutschen Colonien in Piemont, ihr Land, ihre Mundart
und Herkunft, Stuttgart und Tubingen^ 1842. Per modo che
possiamo riguardare le piemontesi colonie tedesche come una sco-
perta de' nostri giorni.
Sebbene molte rettificazioni far si potrebbero sulP importante
lavoro di Schott, e particolarmente nei Saggi da lui recati di
quei dialetti, che da noi confrontati sui luoghi rispettivi, ap-
parvero oltre modo inesatti, xìò nuUadimeno dalle moltiplid
sue ricerche storiche e linguistiche, sonmiariamente conformi alle
nostre osservazioni ed ai nostri giudicii, appare dimostrato: che
le colonie tedesche del Monte-Rosa da vari secoli sono stabilite
negli attuali lor monti, essendovi penetrate per le inospite gole
che le dividono dal vicino Vallese; che discendono in linea retta
da quei Burgundi, che nel V secolo dell'era nostra fondarono un
potente regno sulle sponde del Rodano e delF Aar, e che, sotto-
messi nel VI alla signoria franca, formarono pur sempre uno
stato separato; che mentre nell'opposta valle del Rodano i loro
consanguinei ripartili fra le corone di Germania e di Francia,
smarrirono a poco a poco le primitive nazionali loro impronte,
i Dos Ausland, ein Taffhlatl f'dr Kunde des geisligen und sittlichen Le-
beni der Vtflker. N. 95, 93 deiranno 1836.
h ITALIA. i9
questi, protclli dalle inospitaii balze e dai perpetui ghiacci che li
circondano, serbarono in gran parte l' antico linguaggio dei loro
padri, giacchò i dialetti da loro attualmente parlati hanno molti
caratteri comuni colf antica lingua teutonica meridionale (alchoch-
deuisch)y quale si serba nei monumenti dd secoli XI e XII;
che questi dialetti furono in varia guisa modificati e corrotti per
1 influenza dei dialetti circostanti, e del commercio coi popoli
vicini, essendo quelli di Gressoney, Issime e Rimella i più puri,
sebbene corrotti d* Italiano, ed il dialetto di Macugnaga tendendo
alle moderne forme del Vallesano. E siccome , dacché il sociale
progresso tende a ravvicinare ed unire in una sola famiglia tanti
popoli d* origine varia, tra loro disgiunti da enormi distanze e da
naturali barriere, anche questi dialetti vanno dileguando a gran
passo , onde cedere il posto alle lingue prevalenti della massa
centrale, cosi egli è pur dimostrato, che farebbe cosa molto
utile alla scienza quegli, che raccogliesse, finché si può, e sal-
vasse dair etemo oblio tante preziose reliquie dei costumi di un
popolo celebre nella storia, a monumento della sua origine e
dispersione.
Alaeugnaga e la sua valle oppartengono air ampio bacino della
Toce, formato da molte picciole valli parallele, e politicamente
soggetto al Piemonte. Anche gli abitanti di questo bacino, seb-
bene da lunga stagione fatti italiani, manifestano nelle forme del
corpo e nei costumi germanica origine, e quivi pure solo nelle
parti più elevate fu serbato e parlasi tuttora un corrotto dia-
letto della lingua tedesca. Questi luoghi, oltre al mentovato co-
mune di Macugnaga, sono: nella Valle di Vedrò, ì villaggi di
Simpein o Sempione, e di Ruden o Gondo, presso le sorgenti
del torrente Vedrà, i quali politicamente dipendono dal cantone
svizzero Vallese, e geograficamente appartengono ali Italia, con-
tando circa 450 abitanti ; nella più alta Valle Formazza, o Pom-
mat, presso le sorgenti della Toce, trovasi il Comune di Poni-
niat, colle sue frazioni Bettelmatt, Kerbachi, Àuf der Frutt, Frutt-
wall, Wald, Zum-stag ed Unterstalden, che insieme ricettano
G20 abitanti tedeschi. Da questa elevata regione altra piccola
colonia si diffuse più verso oriente, e varcando il vicino passo del
Purea, andò a formare il piccolo Comune di Bosco, composto di
350 abitanti, neir opposta Valle Rovana, frazione della Val Mag-
gia dipendente dall' italiano Cantone Ticino.
50 COLONIE STRANIEUE
A. provare l'origine germanica della popolazione atluate di
tutto il bacino della Toce, oltre alF uniformità dei costumi comuni
a tutti i villaggi^ presta argomento il Comune di Ornavasco, ii
quale, sebbene situato nella parte inGma della valle principale,
presso lo sbocco della Toce nel lago Maggiore, solo ai nostri
giorni- e colla crescente generazione attuale, perdette Fuso della
lingua tedesca, parlata ancora da molti vecchi ; e persino la vicina
valle di Strona, le cui acqijfò affluiscono neir infimo tronco della
Toce, serba non dubbie impronte germaniche, mentre la meta
superiore ha una speciale foggia di vestire simile a quella dei vi-
cini Tedeschi, e quasi tutti gli abitanti serbano frequenti rapporti
commerciali con varie parti della Germania, ove alternano U loro
soggiorno.
Ciò premesso, appare ancora di lej^ieri dimostrato, che questa
colonia deriva immediatamente dalla famiglia dei vidqi Yallesani,
coi quali serbò sempre molteplici rapporti. OUre ali* analogia dei
dialetti Vallesani coi tedesdii della Val Formazza, ed alla con-
sonanza dei nomi propri di famiglia, che trovansi ripetuti in
ambe le falde del Sempione, presta ancora forte argomento un'an-^
tica tradizione degli abitanti d'Ornavasco, per la quale €|;lino ere-
donsi originari di Glys, presso Brieg nel Vallese; ed in (alti varie
lapidi sepolcraU attestano l'antica usanza di quei coloni di tra-
sportare le spoglie dei loro trapassati da Ornavasco sino al ci-
mitero di Glys, varcando ogni volta il dirupato e periglioso SeuH
pione, il cui passaggio fu agevolato ed assicurato solo a* di aostri.
GU abitanti di Sempione e di Gondo formano propriamente una
continuazione naturale dei Vallesani, come pure i pastori di
Pommat e di Bosco, i quali più agevolmente comunicano col
Vallese, che non colle valli sottoposte. A tutti questi fatti ag-
giungeremo r autorità del professore Hardmeyer il quale, nella
sua descrizione della Val Ma^a ^ cosi si esprime: « Gli abi-
tanti di Bosco sono collegati coi Vallesani sup^iori, per mezzo
dei Tedeschi di Val Formazza. Anche il dialetto di Bosco, e il
modo di fabbricare le case hanno tanta rassomiglianza con quelli
del Vallese superiore, da non potersi aver alcun dubbio sulla
comune loro derivazione. » Altre colonie dì Vallesani traspor-
tarono in vari tempi il loro domicilio in altre più o meo lou-
1 Dos tcssinische Thal MiQffia und sohie Vtimwsigungeìu ^icb, 1841.
d' ITALIA. 51
lane regioni, e vcggonsi lulfora isolate e distinte per lingua
e costumi fra i popoletti romanzi dell* alta e bassa Engadina, e
nelle vallate di Rheinwald , di Savien e di Wals ; altre final-
mente, ai tempi dell'emigrazione dei celebri Walser, erano pe*
netrate sin nell* italica Val Pregallia e in Val Tellina, d'onde a
poc3 a poco scomparvero, o si fusero c(^r indigeni ; per modo
che nessun germanico abituro conserva ancora il nativo linguag-
gio in quest'angolo settentrionale d'Italia attorniato da germa-
nica stirpe.
liavari. Seguendo verso oriente la naturale barriera dell' Alpe,
entriamo nel vasto bacino dell'Adige, ove Salumo e le sue valli
laterali segnano la divisione della stirpe italiana dalla teutonica.
Ciò nullostante, se, inoltrandoci a destra ed a sinistra dell'Adige,
nelle sottoposte valli, osserviamo i nomi dei monti, dei torren-
ti, dei villaggi e simili, ed analizziamo le forme, i costumi, ed
i dialetti degli abitanti, siamo costretti a conchiudere, che la ger-
manica famiglia un tempo estendevasi alquanto lungo le rive
dell'Adige e del Brenta, sino all'italica pianura. A monumento
di questa antica diffusione della stirpe germanica, rimangono, in
alcuni punti elevati delle valli appartenenti a questi due fiumi,
diversi villaggi, i quali serbano tutt'ora antichi dialetti e co-
stumi germanici , e formano quasi altrettante isole tedesche nel
mezzo dell'italica famiglia. Questi villaggi politicamente appar-
tengono parte al Tlrolo italiano, parte alle Venete provincie di
Verona e di Vicenza, e sono: nel Tirolo italiano, sul versante
occidentale del monte Palù, dal quale scaturisce il torrente Fer-
sìna, i Comuni di Fierozzo, Frassilongo, Roveda e Pergine, i cui
abitanti ammontano a circa 12S0; nella Valle Sugana, presso
le sorgenti del fiume Brenta, sono tedeschi i villaggi di Vignola,
Levico, Borgo, Roncegno e Torcegno, i cui abitanti sono in nu-
mero di 1540, e sono distinti dagli Italiani cx)ir oscuro nome di
Mòccheni. Più verso mezzodì, sovra un picciolo torrente sorge
il tedesco villaggio di Folgaria composto di 918 abitanti e nella
vicina valle ad oriente, presso le sorgenti delfAstioo, parlano un
ircrmanico dialetto il villaggio di Lavarone, ed i piccioli cascinaggi
ili Laste Basse, Gà rotte, Brancafora, ricetto di circa 600 pa-
stori. Finalmente, scendendo più verso mezzogiorno sino alle du-
plici sorgenti del Leno, trovansi Terragnuolo e Val Arsa pure
abitate da un migliaio di Tedeschi.
52 COLONIE STRANIERE
Ora, se dall'origine del Leno varchiamo l'alf)e che separa il
Tirolo dalle Venete provincie, discendiamo nei XIH Comuni Ye^
ronesi, in cui 9,000 abitanti parlavano tutti, non. ha guari, un
antico dialetto gemiMie^', e rimontando aioo alle sorgenti del-
TAsUco, troviamo fra qtmto torrente ed il fiume Brenta i Vii
Comuni VicentioH i cui abitanti, sebbene in numero di 30,000
e dovunque a(toniiatii da Italiani, ancora verso la fine ddio scor-
so secolo parlavano germanici dialetti. Se non che^ il seoessa-
rio commercio coi popoli circostanti, e T influenza dei governo,
in alcuni secoU cancdlarono nella massima parte questa nazio-
nale impronta nei XIII Comuni Veronesi, dei quali solo i più
elevati villaggi di Chiazza e Campo-Fontana, abitati da 1300
pastori, usano ancora del proprio dialetto nella famigliare cor-
rispondenza; e nei VII Comuni Vicentini, ove pure k maggior
parte degli abitanti sostituì il veneto al dialetto nazionale, i soli
villaggi di Foza, Asiago, Roana, Canova, e Rozzo, con alcuni
cascinaggi appartati, e sparsi sul pendio dei monti, fimno uso
ancora della nativa favella negli lisi comuni della domestica vi*
ta. Per ultimo, dalla valle del Brenta passando nella vicina e
più spaziosa valle della Piave, e rimontando questo fiume sin
presso alle sue sorgenti, trovasi il villaggio di Sapada, nella
provincia friulana, abitato da circa 600 pastori, ahe parlano un
germanico dialetto, sebbene tutti gli abitanti della stessa valle
siano italiani; ed a mezzogiorno di Sapada, varcando Focta ca-
tena che separa il bacino della Piave da quello del TagKlln^u-
to, scoi^onsi presso le sorgenti di questo fiume i due piccioli
villaggi appellati Sauris di sopra e Sauris di sotto, pure abi-
tati da pastori parlanti germanica favella, tra gli Italiani.
Sebbene le storiche tradizioni ed un cumulo di afiinità e di
analogie rendano manifesta la comunanza d' origine in tutte que-
ste colonie, ciò nullostante, mercè la varietà dei loro dialetti,
vennero risguardate in ogni tempo quali membri di &miglie dif-
ferenti, peroccliè le colonie tirolesi, più vicine alla massa ger-
manica, colla quale serbarono continui rapporti, modificarono e
modellarono le forme del loro dialetto, seguendo il successivo
sviluppo di quello della gran massa, e le colonie* venete air in-
contro, staccate molto prima da quella, e separate da fl»ggiori
distanze, isolate nei loro monti, ed in continuo commercio cogli
Italiani, ai quali sempre furono geograficamente e .politicamente
I)' ITALIA. 55
aggregate, serbarono più a lungo le antiche forme del dialetti»
primitivo^ corrompendolo solo con voci ed idiotismi italiani.
Questa circostanza, e il non comune fenomeno d'un popolo
straniero ed ignoto stanziato da tempo immemorabile in mezzo
air italica famiglia , attrasse di buoB* ora T attenzione di vari
dotti italiani e stranieri, e diede origiDe a favolose leggende;
mentre gli uni lo riguardarono come rdiqoia di quei bellicosi
Cimbri, die, sconfitti da Mario presso Verona , cercarono rifu-
gio fra le balze dei vicini monti ^; altri come reliquia degli
Unni, che, dopo T ultima sconfitta sofferta da Attila, colà rico-
verarono*; altri come avanzo dei Goti 3; altri dei Tiguriut ^;
altri dei Danesi '; e quindi attribuirono loro a vicenda lingua
cimbrica, unna, gotica; teutonica, danese, senza curarsi di esa-
minare da vicina i fatti che asserirono.
Il primo, che svolse con sana critica la quistione intorno alForigine
di queste colonie, si fu T abate Agostino dal Pozzo, sul finire del
l>assato secolo, le cui Memorie istoriche delle popolazioni alpine,
dette Cimbriche ec. furono pubblicate a Vicenza solo neiranno 1820.
Similmente vari Tedeschi, fra i quali Leibnitz, FuJda, Oberlin, e
Stemberg, fondati sui caratteri di quei dialetti, riconobbero la non
dubbia origine delle colonie che li parlavano dalie tribù bavaresi
ed alemanniche, le quali sin dai primi secoli delFèra nostra inva-
sero le alpi noriche e le retiche; e meglio d'ogni altro, dopo un
diligente esame sui luoghi stessi, illustrò i tedeschi coloni delle
venete provincie, il benemerito Dottor Andrea Schmeller nella
dotta Memoria Ueber die sogeìiannten Cimbemder Vllund XIII
Communen aufden venedischen Alpen, und ihre Sprache, letta
nel ISS^, ed inserita nelle Memorie della R. Accademia di
scienze di Monaco. Da questo pregevolissimo lavoro emettono
spontanee le seguenti induzioni, al completo scioglimento del gran
4 Saraina, Le Historie e fatti dfii Veronesi. Verona 1542; Panvinio, Anti-
quitates Veronenses, Veronae, 1648; Marco Pezzo, De* Cimbri Veronesi e Vi-
centini, con uo Dizionario Cinibrico. Verona, 4763; Maffei, Verona illustrata;
Muratori, Ahtiquitaies Italicae; Bettinelli, Risorgimento d' Italia; ce. ec
2 Aifooso Loschi, Compendj Historiei. Vicenza i604.
3 Mariani, Historia di Trento, Trento 1673.
4 Gio. Costa Pruck, Disquisitio de cimbrica origine populorum ^^Uenlinas,
veronenses, tridentinas ac saurias alpes incolentium.
5 Zago, Calvi, Pogliino, Dalie Laste, Salmou, Tcutori ed Altri.
54 COLONIE STRANIERE
problema ; che cioè, gli abilanti tedeschi delle Venete proviticie,
del pari che quelli delle mentovate valli tirolesi, diibcro origlile
comune colle popolazioni germaniche del Tirolo, dell'Austria, della
Baviera, derivando, come queste, dagli antichi Bavari ed Ale-
manni; che, siccome i due bacini dell* Adige e del Brenta un
tempo furono inondati dalle medesime tribù, le quali a poco a
poco si ritirarono verso il norte, o, sotto T influenza immediaU
del romano incivilimento, cangiarono liugua e costumi, fonden-
dosi negli Italiani, cosi i Tedeschi delle Venete provincie fonda-
rono altrettante isole sulla vetta dei loro monti ; e che finalmente
restando cosi divisi dai loro consanguinei, e meno soggetti al-
r influenza del sociale progresso, vi conservarono più a lui^o
le antiche forme della propria lingua, [a qua'e ser^a manifesta
affinità colla teutonica dei se^i XII e XIII ^
2." Colonie Slave.
Come i Tedeschi occuparono F Italia a settentrione, gli Siavi
vi penetrarono da oriente, e vi presero più vasto e più durevole
domicilio. Riguardando sempre la catena delle Alpi come natu-
rale confine della medesima, le nazioni slave occupano la massi-
ma parte dell* Istria e quasi tutta la regione montuosa, compresa
fra la catena delle Alpi carniche e 1* Adriatico, ove formano porte
dei governi di Trieste e di Carniola, nei Regno d*Iliriaf. per
modo che per quest'angolo orientale d'Italia con più di iii9one
potrebbesi indagare, quali colonie italiane o straniere siano
frammiste agli Slavi. Questi, avuto riguardo ai dialetti che par-
lano, dividonsi in Istriani o Serbo- Iliriiy e Slovenzi, o Virukh
Ilirii; ì primi occupano propriamente la penisola istriana, le
cui città e borghi principali solamente sono abitati da on po-
polo veneto, ed ammontano a 90,000 abilanti in circa; i se-
condi sono diffusi a settentrione della stessa penisola, dall' Adria-
tico, presso il Timavo, sino alle Alpi carniche, in tutto il cir-
i Quelli che bramassero più eslese notizie sulle colonie germaniche d^e Ve-
nete Provincie, potranno consultare ancora lo scritto di Benedetto GioTanelli
iDtitofato: Dell'origine dei VII e XUI Comuni, Trento, 18S6» ore ia massima
parte è riprodotta l'opera del Dal Pozzo; e la bella Memoria di Gabriele Rosa,
inserita nella Rivista Europea (N. 8 e 9 del i845), ove trovansi con sana
critica compendiate le opinioni dei vari scrittori.
b ITALIA. 5S
culo ili Gorma , d* onde sì estendono , ad occidente sin fev
entro la veneta provincia del Friuli , ad oricnlc ed a settentrione
sin nella Camiola e nella Carinzia, formando ima sola sUrpe cogli
abitanti di queste due r^ioni. Insieme ammontano a l!20,000
circa, dei quali 20,000 appartengono alla popolazione del Friuli.
Parlando di questi popoli , noi non temeremo ora alzare il velo
che ne copre le origini , né molto meno ci faremo ad indagare
il tempo del loro stabilimento in queste terre; ci basterà accen*
nare che, sebbene prevalesse sin quasi ai nostri giorni Topinionc
di molti scrittori, che assegnavano alla prima com|)arsa degli
Slavi in Europa il VI secolo dell' èra nostra, ciò nuilostante,
dopo le erudite indagini ed i molteplici argomenti prodotti nelle
profonde opere di Schaibrik, Kollar, Kadiubek ed altri, appare
più verisimile ranticliissimo loro stabilimento in Europa, non
che r orìgine slava di alcune popolazioni settentrionali d'Italia.
Riserbandod a dare, in luogo più opportuno, maggiore sviluppo
a quest'importante argomento, avvertiremo solo, che l'antica
diffusione delle nazioni slave nelle Venete provincie al di qua
dell'Isonzo, viene fatta manifesta da molti nomi di villaggi, città,
monti, fiumi e torrenti, di non dubbia origine slava. A monu-
mento irrefragabile di questo fatto, trovansi ancora nel Friuli,
frammezzo agli italiani , poche reliquie di Slavi, che in numero
di 5400 conservano costumi nazionali, ed un corrotto dialetto
della lingua >inda. Questi pochi pastori vivono nel villaggio di
Ruslis posto nel centro della valle del Kesìa, piccolo torrente
che mette foce nel Tagliamento presso Resciutta. i vicini vil-
laggi nella stessa Mille sono: Ossèaco, Gniva, Stolvizza, Po-
viey, Corìlis, Clin; i monti che racchiudono la valle chiainansi
Posposi ,,Canin, Brumand, Plananico, Stolac, ZIebac, nomi tutti
di forma ed origine slava. Alcuni via^atori, che mossi da
scientifica curiosità percorsero questa valle, credettero scoprirvi
una piccola colonia di Serbi; ma i caratteri del dialetto ivi
jtariato non lasciano verun dubbio sulla consanguineità di quelli
*dl>itanti coi vicini Slovenzi di Garinzia. Dobrowsky ne inslitnì un
pìccolo confronto sul Dizionario vindico di Osualdo Gutsiiian, i\
riconoscendo Fidenlifà delle due favelle, ne diede nel suo Slavìii '
1 Vegjrasi l)v''rvwr,hy' s Slavhi, Prif. ti^'^i. p.ii:. MS. Vcbcr <li-' SUncu ini
TUh «-l'I.
56 COLONIE STRAMEUK
1111 Saggio, ove nolo alcune voci italiane innestale nel dialetto
(li Resia pel continuo commercio coi popoli circostanti.
Discendendo poi verso mezzogiorno, nel cuore del Friuli
stesso, troviamo i villaggi Pocenia, Precenìco, Glaunico, Sciau-
nico, Corizza, Gradisca, Strica, lovanizza, Stupizza, Castrini-
vizza, e molti altri nomi di radice evidentemente slava; d'onde
possiamo con fondamento asserire, che questa nazione un tempo
erasi inoltrata di molto in questa parte settentrionale d'Italia.
5." Colonie Francesi.
La numerosa popolazione di tutte le valli Cisalpine comprese
fra la catena del Monte Bianco e il Monte lìosaf sebbene e
geograGcamente, e politicamente italiana, parla tuttavia un dia-
letto corrotto della lingua francese meridionale, distinta dagli
scrittori col nome di lingua d'oc. Essa ammonta ad oltre 78,000
abitanti, in massima parte pastori, e coltiva specialmente le
scoscese valli di Challant, Pellina, Ferrex, e la principale valle
d'Aosta, della quale tutte le altre sono altrettanti rami collate-
rali f sino al grosso borgo di Chàtillon , che , sulla strada po-
stale, divide il dialetto piemontese dal francese.
Questi popoli, lungi dall'essere una colonia straniera colà
trapiantata in tempi meno remoti, altro non sono^ se non una
delle primitive celtiche tribù, che ripartivansi ai tempi d«Ua ro-
mana repubblica il settentrione d'Italia; e derivano direttamente
da quei bellicosi popoli Salassi, che, sottomessi da Augusto,
ricevettero sin d' allora colla legge anche la lingua latina. Più
tardi furono da Carlo Magno aggregati al Franco dominio, e
quando questo fu ripartito fra i suoi successori, gli Aostani
cogli abitanti delle vicine valli sino alla costiera che divide la
Valle Challant dalla Val Lesa , formarono parte del r^o di
Francia propriamente detto , mentre la Val Lesa e le successive
convalli del Rosa appartennero al Regno Germanico; della qual
antica divisione politica sono mirabile ed irrefragabile monu-
mento gli idiomi francese e tedesco tuttavia superstiti, e colà
separati dalla medesima costiera di monti. Finalmente , dopo
lunga e volubile vicenda , passarono gli Aostani sotto la signoria
dei Conti di Savoja , e si serbarono fedeli a quella Casa sino ai
di nostri. Per tal modo vi fu a poco a poco introdotto e radi-
h ITALIA. 57
calo un dialetto romanzo, che da principio assimilavasi a quelli
delia vicina Savoia, e più tardi fu corrotto^da voci ed idiotismi
piemontesi , dacdiè il ducato d* Aosta venne aggregato al governo
di Piemonte.
Questo dialetto estendevasi, non ha guari, in tutta la parte
meridionale della stessa valle, come attestano i nomi di quasi
tutti i villaggi disposti sulle due rive della Dora, quali sono:
Saint-Vincent, Ussey, Chamlon, Monljouet, Bard e simili; ne
fanno fede altresì i rispettivi dialetti oltremodo commisti di voci
ed idiotismi francesi ; se non che tutte queste tracce vi si vanno
di continuo cancellando per la prepotente influenza del com-
mercio e del governo; il dialetto piemontese vi acquista tutto
giorno nuovo terreno, ed è già penetrato sin nel cuore della
classe più elevata della capitale; sicché egli è assai probabile,
che un giorno eziandio questo estremo l^nbo d'Italia sia per
divenire interamente italiano.
4.** Colonie Valacche.
Quando il musulmano torrente , irrompendo dall' Asia, iriigò
di cristiano sangue le (M*ientali regioni d'Europa, e, cangiati in
voluttuosi Harem i palagi de' greci imperatori, fece scintillare
la mezza-luna colà dove torreggiava il vessillo di Cristo, una
folla di nazioni atterrite, fuggendo l'inesorabile scimitarra, ab-
bandonò al barbaro conquistatore il suolo nativo , e, trascinando
seeo i simulacri d^li avi , cercò scampo nelle vicine province.
Greci, Albanesi, Bùlgari, Serbi e Valacchia dalla Mesia, dalla
Macedonia^ dall'Epiro e dalla Tessalia, si sparsero in gran nu-
mero, parte lungo l' Illirico sino alle isole del Quarnero e Del-
l'Istria; parte, varcando il Danubio» o i Carpatici, cercarono
rifugio in Ungheria e in Transilvania ; e parte, attraversando
il mar Jonio , si gettarono sulle opposte rive della penisola ita-
lica della vicina Sicilia. Dovendo or noi far menzione solo di
quelli, che, ricoveratisi entro gif italici confini, vi presero sla-
bile domicilio, e vi si mantennero come stranieri sino ai di
nostri, accenneremo a pochi Valacchi, a molti Greci e ad un
maggior numero di Albanesi.
I Valacchi propriamente si diffusero in massima parte dal-
l'antica Dacia in Transilvania e per entro i comitati meridionali
dell'Ungheria; alcune picciole colonie per altro, percorrendo
58 COLOiNIE STRANIERE
rilìrico, s'inoltrarono sino alla penisola istriana da noi consi-
derata entro i naturali conflni deif Italia. Sebbene appaia, che
da principio vari fossero i grappi di fuggitivi colà ricoverali,
ciò nuUostante i soli abitanti del piccolo villaggio di Cepich,
composto di 5^0 pastori, nel distretto di Bellay, serbano an-
cora i costumi e la lingua dei loro padri. Il dialetto dii loro
parlato è affatto simile a quello dei Valacchi di Temesvar nel
Banato, ciò che rivela il primitivo loro vincolo di consangui-
neità con quella numerosa nazione. Affatto privi di coltura eser-
citano quasi esclusivamente la pastorizia, e, se si eccettui qualche
canzone popolare, la loro letteratura restringesi alla versione
delle quotidiane preghiere, delle quali poliremo un Saggio in
un trattato speciale dei dialetti istriani.
Relìquie d'una colonia valacca sembrano ancora nelF Istria
i 4080 abitanti di Dignano, non che i 1130 di Valle, i quali
dagli Slavi che li circondano sono chiamati Latini. Questi con-
servano un particolar. modo di vestire diverso da tutti gli altri
della penisola, e parlano un dialetto italiano distinto dal veneto
delle altre città , lungo il litorale istriano. Siccome per altro
molto affine al dialetto di Dignano e di Valle è ancora quello
che parlano i 10,450 abitanti della città di Rovigno, cosi sem-
bra ancor più verisimile, che queste popolazioni, anziché ap-
partenere alle migrazioni inoderne, derivino direttamente dalle
antiche romane colonie stabilite quasi ad un tempo neiriliria
e nella Dacia, le quali vi conservarono, a traverso tante vicetfée,
r antico romano dialetto, diverso perciò dal veneto della peni-
sola, ivi trapiantato più tardi col dominio della veneta re-
pubblica.
Tracce delF esistenza d'altra colonia valacca trovansi final-
mente nella vicina isola di Veglia, alla distanza di quattro miglia
dair antica Coritta, in alcune vallette, distìnte nel linguaio
dell'isola col nome di Poglizze. Ivi alberga una pacifica fa-
miglia di circa 800 individui, ì quali, sebbene informati sui
costumi ilirìci ed avvezzi airilirica favella, serbano tuttavia Fin-
certa tradizione, che un tempo gli avi loro parlassero un latino
sermone. Parecchi ruderi di costruzione romana superstiti, al-
cune monete e qualche medaglia romana ivi escavate attestano
infatti, che un tempo in quelle amene vallette stanziava una ro-
mana colonia; ma ciò che soprattutto merita allcnzionc si è,
d' ITALIA. 59
che quelli iuculti pastori serbano ancora l'orazione Dominica e
la Salutazione angelica in un dialetto valacco, il quale, come il
mentovato di Cepich , è simile a quello di Temesvar ! Da questo
fatto, rinforzato dalla tradizione del luogo, sembra quindi veri-
simile Forigine valacca eziandio di questa piccola colonia, la
quale, attomiata ed oppressa dal preponderante numero di Slavi ,
ne adottò col tempo gli usi e la favella.
b*."" Colonie Albanesi.
Il ragguardevole numero degli Albanesi e dei Greci stanziati
da secoli neiritalia meridionale, e la somma discrepanza dei
loro costumi da quelli dei popoli italiani che li circondano, at-
trassero più volte r attenzione dei viaggiatori e degli scrittori,
sicché in vari tempi furono pubblicate più o meno estese rela-
zioni intorno alla loro origine ed alla loro comparsa in Italia.
Se non che il rito greco-unito professato un tempo dal massimo
numero, la contemporanea esistenza di nazioni diverse nelle
medesime regioni, la provenienza loro comune dalla Grecia o
dalle terre limitrofe^ e l'ignoranza delle loro lingue in quelli
che impresero ad illustrarle, diedero origine ai più favolosi rac-
conti, dappoiché gli uni riguardarono tutti quei popoli indistin-
tamente come Greci, altri come Arabi, altri li credettero Zin-
gari, altri finalmente scambiarono gli Albanesi coi Greci, e
viceversa, o confusero coi moderni i Greci antichi. Ora sic-
come nella parte più meridionale della penisola esistono infatti
separate e distinte colonie greche ed albanesi; siccome vi si
trovano infatti colonie greche da lunga età colà stabilite e co-
lonie greche moderne; siccome vi sono eziandio varie truppe di
Zingari nomadi e tracce non dubbie d'arabe colonie; cosi, a
depurare la verità da tanti erronei racconti, ed a svolgere con
chiarezza quest'intricata miscella, preciseremo primieramente i
luoghi abitati dall'una o dall'altra nazione, per procedere poscia
alla esposizione dei fatti, che sparger possono più sicura luce
sulla loro origine e sulla loro istoria.
Gli Albanesi, che formano la massa principale, erano un
tempo in numero assai maggiore, mentre colf avvicendarsi delle
generazioni obliarono in parte i primitivi costumi, e si fusero
eogli indigeni. Ciò nulla di meno quelli che vi conservarono sino
tìO COLONIE STRANIERE
ai di nostri lingua e costumi nazionali sono ancora in numero
considerevole, ammontando quasi a 86,000 individui. I luoghi
da loro esclusivamente abitati sono i seguenti:
Nella Calabria Ulteriore.
Luoghi,
Amato
Andati
Arietta
Casalnuovo
Teda . .
Zaagarona
Diocesi,
Nicastro .
Belcastro .
S. Severino
Gerace . .
Nicastro .
Nicastro .
Popolaz
4,407
Nella Calabria Citeriore.
Acqua Formosa
Cast«Dreggio .
Cavallari zzo
recarvi to .
Cerzeto .
Civita . .
Falconara
Farneta .
Firmo . .
Frascineto
I.un^ro .
Macchia .
Marri . .
M. Grassano
Piataci
Porcile
Rota .
S. Basilio . .
S. Bened. Ullano
S. Caterina
S. Cosmo
S. Demetrio
S. Giacomo
S. Giorgio
S. Lorenzo
S. Martino
S. Sofia . .
Serra di Leo
Spezzano .
Yaccarizzo
Cassano .
Anglona .
S. Marco .
S. Marco .
S. Marco .
Cassano ,
Tropea
Anglona .
Cassano .
Cassano .
Cassano .
Rossano .
Bisignaao .
S. Marco .
Cassano .
Cassano .
Bisignano .
Cassano .
Bisiffnano .
S. Marco .
Rossano •
Rossano .
Bisignano .
Rossano .
Rossano .
Bisignano .
Bisignano .
S. Marco .
Rossano .
Rossano .
Nella Basilicata.
Barile . . . . Mal era . .
Brindisi . . . Matera . .
Casalnuovo di Noia Anglona .
Maschite . . . Matera . .
S. Costantino . Anglona .
i,218
356
560
4,065
520
-1,472
1,565
263
958
4,600
2,570
475
3Ug
4,215
4,420
550
814
1,500
1,330
850
544
1,500
750
1,200
950
1,140
1,200
280
4,700
4,000
30,842
8,260
2,060
880
2,780
1,420
^ Nella Capitanata.
Luoghi. 1
Campomarino .
Chiuti ....
Casalnuovo . .
Casalvecchio
Porto-Caanone
S. Croce di Mi-
gliano . .
S. Paol^ . . .
Ururi é • . •
Nella
Faggiano . .
Martignano .
M. Parano .
Roccaforzata
S. Giorgio .
S. Martmo •
S. Marzano .
Sternazia
Zollino . .
')ÌOCBiL l
^opolaz.
Larino . p
. 924
Larino . . ,
4,230
Volturara . .
1,850
Vollurara . .
4,643
Larino . ,
. 515
Larino . .
3,220
S. Severo . .
5,850
Larino . . .
1,234
13,465
RA d'Otranto
.
Taranto . .
1,030
Otranto . .
595
Taranto • .
720
Taranto . ,
310
Taranto .
1,242
Taranto «
325
Taranto .
750
Otranto . .
1,280
Otranto .
, 592
6,84i
Nell* Abruzzo Ulteriore.
Badessa . . . Penna . . .
Nell* Isola di Sicilia.
S20
Contessa . . .
Mezzojuso . •
Palazzo Adriano
Piana de* Greci
S. Cristina . .
Girgentì
Palermo
Girgentì
Monreale
Girgentì
40,090
3,000
4,623
5,450
5,920
720
19,743
Totale.
Calabria Ulteriore 4,407
Calabria Citeriore 30,812
Basilicata 40,090
Capitanata 13,465
Terra d' Otranto 6,844
Abruzzo Ulteriore 220
Isola di Sicilia 19,743
85,551
!>' ITALIA. GÌ
Pochi anni sono trascorsi, dacché gli Albanesi formavano aU
Iresi la popolazione esclusiva d'allri villaggi, cosi sul continen-
te , come in Sicilia , e sono fra gli altri : parecchi villaggi del
monte Gargano, la cui numerosa popolazione era on tempo in-
teramente epirotica, ed ora ha per la maggior parte adottato
lingua e costumi italiani; ed in Sicilia erano albanesi i vil-
laggi di Bronte , Biancavilla , S. Michele e S. Angelo , che si
fusero nella popolazione siciliana» serbando però varie tracce
della primitiva loro nazionalità.
Ora tutti questi popoli separati non approdarono in Italia ad
uno stesso tempo, ma in vari gruppi, da parti diverse, a più
meno lunghi intervalli, si raggiunsero sulle italiche spiagge,
dopo che, sconfitti da Maometto II, si videro esposti al furore
ed alla vendetta dd Turchi. I primi comparvero verso Tanno
1440 in Calabria, ove militarono sotto la condotta di Demetrio
Reres Gastriota, il quale, pei servigi tributati al re Alfonso I, ot-
tenne da lui terre e privilegi, e fu nominato governatore della
Calabria ulteriore. Suo figlio Giorgio Gastriota , soprannominato
Scanderbeg, prestò non meno importanti servigi a Ferdinando I
figlio d'Alfonso, rintuzzando valorosamente la celebre rivolta
dei baroni, ed ottenne dal re il ducato di Ferrandina ed il
marchesato della Tripalda, onde nuove colonie albanesi vi ap-
prodarono dall'Epiro, e vi si stabilirono sin dal 1460 incirca.
Caduto Scanderbeg nella sanguinosa guerra contro i Turchi,
suo figlio passò con numerosa banda in Italia, ed ottenne nei
1467 terre e privilegi dallo stesso Ferdinando, per le beneme-
renze del padre. In seguito la protezione accordata agli Alba-
nesi dai re di Sidlia attrasse ogni anno molle famiglie di pro-
fughi dalla Grecia e dall'Epiro, sino alla fine del 1478, in cui
quella regione cadde interamente in potere del Gran-Signore.
iSe con ciò terminarono quelle migrazioni , perocché le continue
vessazioni soiTerle di poi dagli Epiroti rimasti sotto il giogo
musulmano, ed il favore loro accordato in Italia da Carlo V,
attirarono nuove colonie nell'anno 1534 e nei successivi, a
popolare le regioni più meridionali del regno di Napoli. Altre
ancora vi penetrarono sotto il dominio di Filippo II , e sebbene
r austera politica dei viceré abbia poscia interrotto per qualche
tempo il corso a queste frequenti migrazioni, pure furono rin-
novate più tardi sotto il regno di Carlo III , il quale fondò il
62 COLONIE STRANIERE
lìcggimenlo reale macedone nella propria armata , concesse vasto
territorio nelf Abruzzo ad una nuova colonia, e favori nel 1736
la fondazione d' un vescovato di rito greco , e d* un collegio de-
stinato air educazione dei giovani albanesi. Altro vescovato greco
institui più tardi in Sicilia il re Ferdinando IV, ed accolse ge-
nerosamente in Brindisi una nuova colonia, accordandole terre
e privilegi *.
Per tal modo l'Italia meridionale venne popolata da un no*
mero ragguardevole d'Albanesi^ molti dei quali, come aecen-
nanmio, nel corso di quattro secoli adottarono la lingua, la
religione ed l costumi degli Italiani. Essendo venuti separatamente
in Italia, e in vari tempi, senza l)eni, non poterono mai formare
un corpo nazionale, né abitare un'intera città; ma dispersi per
le valli e per le montagne, in piccoli ed appartati villa^^^ ri-
masero sempre estranei al progressivo incivilimento. Il loro
culto era in origine greco-scismatico; ma a poco a poco pre-
valse l'influenza dei vescovi latini per modo» che quasi due
tem sono attualmente cattolici. La loro lingua è Tepirotica,
detta ancora albamse o skipelar^ divisa però in molte varìetà>
dappoiché non solo vi sì distinguono i vari dialetti mirdito, liapo^
tosco e sciamuro, ma ancor l'idrioto, e si quelli che questo vi sono
più meno misti d'italiano, d'arabo, o di greco, a norma del tempo
e del luogo che occupano. Un esteso prospetto di queste varie
favelle, corredato di Saggi e di filologiche osservazioni, formerà
r argomento d'un' opera che daremo in breve alla luce. Frat-
tanto quelli che bramassero estese notizie intorno ai costiuni,
al culto ed ai particolari destini di quest'importante nazione,
potranno consultare le Croniche ed Antichità di Calabria pub-
blicate da fra Girolamo Marafiolti sin dalla fine del secolo XVf ,
e l'esteso trattato del Rito Greco in Italia del vescovo albanese
Rodotà. Parziali descrizioni dello stato di queste colonie tro-
vansi ancora nella Vita del conte d'Osmna scritta da Gre-
gorio Leti , nei Viaggi in Calabria ed in Sicilia di Bartels , e
nel più recente Viaggio in Italia di Stolberg ; ma più vaste e
i Fra gli Albanesi dell* isola di Sicilia i primi che \i si stabilirono in colo-
nia furono quelli di Contessa, indi gli abitanti di Mezzojuso, poi sopravven-
nero quelli di Palazzo Adriano, e per ultimo quelli di Piana de' Greci, una
parte dei quali, ruggendo al tempo del feudalismo, andò a fondare la colonia
di S. Cristina.
d' ITALIA Ce"!
più csallc informazioni Irovansi racchiuse nella Geografia Uni-
versale del sempre celebre Maitcbrun, e nelle preziose mono-
grafie de' suoi Annales des Voyages intese all' illustrazione delle
nostre colonie, fra le quali raccomandiamo il coscienzioso la-
voro del benemerito albanese Angelo Masci, che ci servi di guida
nel presente Prospetto; sopra tutto poi commendiamo le inte-
ressanti Memorie dell' epirota prof. Giovanni Schirò, che ci co-
municò parecchie delle presenti notizie.
Quanto alla lingua , sebbene l' epirotica parlata in Albania ed
in Macedonia sia stata illustrata in parte con grammatiche e di-
zionari dal P. Maria da Lecce, da Xylander, e dal P. Bianchi,
ciò nulladimeno nessuno , per quanto ci consta , imprese ancora
ad esaminarne i corrotti dialetti d' Italia , se si eccettuino due
vocabolari manuseritti, uno dei quali serbasi nel Seminario
Greco-Albanese di Palermo , opera di certo Calciano di Mezzo-
jiiso arcivescovo di Durazzo, e l'altro, opera dell'abate Ni-
colò Ghetta, è posseduto da monsignor Giuseppe Crispi, au-
tore d' una Memoria sulla lingua albanese , il quale , con altri
dotti connazionali, sta ora compilando un vasto Vocabolario Al-
banese-italiano.
Oltre alle mentovate, altre piccole colonie albanesi trovansi
stanziate sulle coste dell'Istria, e propriamente nel villaggio di
Peroi composto di 21 Ò abitanti, poche miglia discosto da Pola,
e nel territorio di Parenzo, ove alquante famiglie albanesi vi-
vono sparse in appartati casolari. Nessun documento istorico
determina con precisione il tempo della loro comparsa in questi
luoghi; solo è noto, che la veneta repubblica, con privilegio
del 26 novembre 1657, per mezzo del suo rappresentante Gi-
rolamo Priuli, accordò ad una diecina di famiglie albanesi gui-
date da certo Miho Draicovich , e sfuggite alla oppressione ot-
tomana , quello spazio di terra che forma appunto il territorio di
Peroi. Quelle poche famiglie componevano allora settantasette
individui, che nel corso di due secoli triplicarono. Questi pure
conservano lingua e costumi nazionali, e professano il rito gre-
co. Arroge per ultimo una dozzina di famiglie albanesi stan-
ziale da secoli in Venezia per ragion di commercio, nella par-
rocchia di S. Cassiauo, ove ammontano a 50 individui incirca.
g4 colonie straniere
6." Colonie Greche.
Se rammentiamo, che l'Italia meridionale era irn tempo abi-
tata da greci coloni , dai quali ricevette T antico nome di Ma-
gna Graecia; che gli imperatori bizantini nei secoli di mezzo
vi fondarono per ben due volte stabile dominio, e die il solo
Mar Jonio la separa dalla Grecia, non saremo sorpresi» tro-
vandovi anche ai di nostri interi villaggi abitati da greche co-
lonie. Se non che le terribili vicende alle quali nel volgere dei
secoli andò soggetta, e le successive invasioni di Romani, di
Greci, d'Arabi, di Normanni, dì Francesi e di Spagnuoli, agi-
tando e fondendo le varie stirpi , distruggendo gli starici mq^Br
menti, e confondendo nella barbarie le antiche tradizioni, spar-
sero un fitto veto sulle origini di tante popolazioni, parte delle
quali sembrano indigene delle terre da loro abitate, e parte vi
si stabilirono in tempi moderni, onde sottrarsi al ferreo giogo
dei Turchi.
1 luoghi da loro attualmente occupati sono: nella Cìalabrìa
Ulteriore, la città, i monti ed i contorni di Gelso, ove amr
monj^no a poche migliaia; il territorio di Reggio, iu |MurtÌG0-
lare nei contorni di Braucaleone sopra SpaKivento, le picoole
ciltà di Bova, Amygdalia, Leucopetra, Agatha, ed i villaggi di
Misoripha, di Cardetum e di Pentedactylon. Molti Gre^ vivono
ancora sparsi in maggiore o minor numero su vari pmiti Bella
Terra d' Otranto, per modo , che insieme ammontano ad oltre
18,000 individui, serbando ancora greca favella, e profeH|j|jo
in massima parte il rito greco. '
La varia alterazione dei loro dialetti, e la mescolanza. delle
moderne colonie colle antiche, non ci permettono ili precisare
il tempo del rispettivo loro stabilimento in Italia* Interrogando
gli scrittori e i documenti dei vari tempi, troviamo non duUìie
tracce della presenza non mai interrotta di colonie greche nella
parte più meridionale della nostra penisola. Senza rimontare agli
antichissimi tempii nei quali è indubitato, che la massa prin-
cipale de' suoi abitanti era greca , vi troviamo nel IX e nel X
secolo deirèra nostra stabilito il greco dominio, onde furoflv
celebrate le greche scuole di Nardi e d'Otranto, dalle quali
emerse il Teologo Pietro Chry.solamo , e nelf XI secolo vi fiori
il celebre istorico greco Barlolommco Basiliano nativo di Ros-
d' ITALIA. 65
sano in Calabria. Durante il Normanno dominios reggiamo di-
stinta in Sicilia ed in Calabria la lingua greca dalla nordica ,
dair italiana e dalF araba» e vi troviamo scritte nel greco idioma
le dotazioni di varie chiese. Sotto gli imperatori della Casa di
Svevia vi furono tradotte nella stessa lingua le costituzioni det-
tate da Federico II, per uso dei sudditi greci di quel regno,
e molli greci documenti trovansi pure sparsi in quelli archivi,
appartenenti ai tempi dei principi Angiovini. Nel secolo XIV
vari dotti calabresi, tra i quali Barlaam e Leonzio Pilato, si
spacciavano nativi della Grecia, e dettavano dalla cattedra in
Firenze i precetti della propria lingua. Nel XV secolo il celebre
medico Galateo asseriva , che ai tempi di sua giovinezza gli
abitanti di Gallipoli parlavano greco ; il che ripeteva nella prima
metà del XVI Àscanio Persio, parlando degli abitanti di Cali-
mera, di Maglie, di Martano e di Capo-di-Leuca. Il geografo
calabrese Gabriele Barri ci racconta, che la chiesa di Rossano
nella Calabria Citeriore conservò lingua e rito greco sino a' suoi
tempi (1600), e che gli abitanti delle città e dei villaggi si-
tuati nell'estrema punta meridionale della Calabria parlavano il
medesimo linguaggio. Non interrotte sono le testimonianze degli
scrittori posteriori delF esistenza di greche colonie nelle mede-
sime regioni, onde ci sembra di poter con fondamento con-
chiudere , che buona parte dei greci coloni delF Italia meri-
dionale sono reliquie d'una molto più numerosa popolazione,
colà da tempi assai rimoti stabilita, e che, mentre dall'una
parte, un gran numero, coli' avvicendarsi delle generazioni, per-
dette le naturali primitive impronte, adottando la lingua ed i
costumi d'Italia, altri invece, nella parte più meridionale, for-
marono quasi un nocciolo, intomo a cui molli esuli moderni
successivamente si raggrupparono.
Altra piccola colonia di Greci Malnoti trovasi stanziata nel
villaggio di Cargese in Corsica, poco discosto da Ajaccio, ed
ammonta a circa 640 individui. Questi ricoverarono colà da
Maina nell'anno 1676, guidali da Costantino Stefanopulo, e vi
trapiantarono il proprio rito , la lingua ed i costumi propri. Per-
seguitati a lungo, per causa di religione, dai montanari dei vi-
cini villaggi di Niolo e di Vico , i quali più volle li assalirono e
saccheggiarono, quei poveri esuli dovettero cercare sovente ri-
^igio in Ajaccio, ove alcunie . famiglie presero stabile domicilio.
66 COLONIE STRANIERE
La foro Ubgua da principio era la romaica y ottia greca mo-
derna; ma r incessante commercio coi vicini isoltai li costrinse
a far oso dell* italiana e della francese, che parlano eon pari
facilità , raerbando la nativa solo fra le domestiche pareti*
Finalmente parecchie centinaia di Greci sc^giomano da lunga età
nei principali porti dell'Italia superiore, ove formano altrettante
colonie, avendovi chiese di vario rito, stabilimenti di commercio,
e collegi destinati ali* educazione delia loro gioventiìu Sebbene
siano più meno diffusi in pressoché tutte le città marittime
dell* Adriatico e del Mediterraneo, tuttavia trovansi in maggior
numero nel porto di Venezia, ove oItre|MBiS8ano 600 individai,
in quello di Trieste^ ove ammontano à 500 inclita, «d fi U-
vorno, ove oltrepassano ir numerò di 400. I^ è poadde
determinare con esattezza il tempo del loro stabiliìtneiito in
questi luoghi, essendovisi raccolti a poco a poco, in vàri tenq»,
per. ragion di commercio, da varie parti del continente e delle
isole greche. Quei di Venezia per altro, vi si recarono in mas-
sima parte dalle iisole Jonie, sin dal tempo in cui queste di-
vennero balia^ delja veneta repubblica. Quantunque nelle lóro
scuole si insegni la lingua greca antica e la moderna, é -nel riti
ecclesiastici facciano uso della greca letterale, ciò ndlostante,
negli usi civili, adottano per lo più il dialetto della città , nella
quale soggiornano.
7.* Colonie Catalane.
Il viaggiatore, che, percorrendo la penisola, odi frammisti al
poètico accento italiano i suoni teutonici, slavi, fraifoeai, valacdii,
albanesi e greci, non sarà meno sorpreso, approdando nelle va-
rie sue isole, d'incontrarvi ancora 1* amoroso linguaggio degli an-
tichi Giullari e il rauco accento dell'Arabo del deserto.: Abbiamo
testé accennato allsr colonia greca dell* isola di Corsica; passando
da questa nella vicina Sardegna, vi troviamo la dtlà ed i con-
torni d* Alghero abitati dà una colonia di circa 8000 Catalani,
i quali, sebbene attorniati da italici dialetti e retti da italiche
leggi, vi conservano la patria lingua ed i costumi spagnnoli.
Questa colonia prese ivi stabile dimora sin dall'anno 15S4, io
cui Pietro IV re d' Arragona, scacciandone i Genovesi, uni quel
territorio ai pròpri dominii. Penetratavi in tal modo, e diyeìoinla,
D ITALIA. 67
dopo alcune generazioni, indigena del suolo conquistato col san-
gue, e dirozzato col sudore dei propri maggiori, vi serbò in-
contaminato il nazionale retaggio ancora dopo, che la volubile
dispensiera dei regni la sottomise a dominio straniero.
8.^ Colonie Arabe.
L' isola di Malta, del pari die tutte le altre del Mediterraneo,
soggiacque a vicenda airaatica dominazione de*^Fenicii, dei Greci
e dei Romani. Caduto l'impero, fu conquistata sin dalla metà
circa del secolo VII dai Saraceni^ onde vi si formò un'araba
colonia, la quale, in cinque secoli di dominazione, vi stabilì coi
propri costumi anche la Kngua. NelFanno 1427, gli abitanti
della città e del Utorale, stanchi del decrepito governo saraceno
ed infiammati da zelo di religione, insorsero contro i dominatori,
ed assistiti dal conte Rudero di Sicilia , riuscirono in breve a
liberarsi. Per tal modo cangiarono col governo eziandio il culto;
ma la favella, che avea gettate profonde radici in tutta la po-
polazione di Malta e di Gozzo, rimase a monumento dell'arabo
dominio; né la ragguardevole colonia colà introdotta nell'anno
1530 dai cavalieri dell'Ordine Gerosolimitano, che ne acquista-
rono il dominio, valse ad estirparla. Ciò nuli' ostante, dopo quel
tempo, essendosi colà stabilite molle famiglie di varie nazioni,
il dialetto locale vi assunse molte voci spagnuole, francesi, ingle-
si, e sopratutto italiane, e vi perdette buon numero delle primi-
tive sue forme.
Varie e strane furono le opinioni dei dotti, che scrissero in-
torno la medesima, tra i quali Abela, Qantar, Grevio, Boccar-
do, Scaligero, Nìedersled ed altri la dissero, a vicenda, derivata
dalle antiche lingue ebraica, samaritana, siriaca, cartaginese, fe-
nicia, greca ed araba. Arrigo Majo pretese dimostrarla affine alla
punica, nel suo Specimen linguae punicae in hodiema Meliten-
Htum super siiiis (Jessae, 1718); ed Agius Soldanis tentò ag-
giungervi novelle prove nel suo libro intitolato: Della lingua
punica usala dai Maltesi, ec. (Roma, 1750). Con tutto ciò
dalla stessa opera di Soldanis, che racchiude un Saggio di gram-
matica ed una lista di vocaboli, emerge chiaro; che la lingua
maltese è un dialetto della lingua araba occidentale, ossia afri-
cana, misto di molte voci tratte sopratutto dalle Ungue latine.
68 GOLOmE STRANIERE
Questo dialetto è parlato obn maggior purezza negli ìnlemi vil-
laggi, detti casaiiy nei quaK la pronuncia è varia ; ina non cosi,
che vi si possano discemerè d&detti dilferenti. Ofelia dttà di
Valletta poi, capo-luogo deiri9(da e resMetea del governo, il
dialetto arabo è relegato tra il vulgo, mentre la lingua civile
è r italiana.
Altre colonie arabe esistevano, non ha guari, nella prossima
isola di Sicilia ed in Calabria!, già invaUe più volte dalle orde
saracene. Ne abbiamo una téaliDioiiiaMa in Ugoie Falcando^ il
quale asserisce che un tempo, interi vilìàggi erano: popolati da
Saraceni. Inoltre il celebre storico Signorèlli (Voi. I^ pag: i?7)
racconta, come Fimperatore Federico II fecesse traq)ortare una
coloma di Saraceni dalla Sicilia a Lficera-di-Pagani^ é'onde si
^rsero in tutta la Capitanata; ma di cjuesle pópolaiiott nòe
appare o^di veruna traccia, se si eccettuino alcune* voci aparse
nei dialetti meridionali, sia che pia tardi facessero ritorno
ai lidi africani, sia che si fondessero, come è più veriaimile,
negli indigeni.
Finalmente restano tracce d'un' antica araba colonia nella
provincia Suldtana in Sard^na^ i cui abitanti, ancora detti Mau-
relli, sono riguardati da alcuni come discendenti da quei Mauri,
che, per testimonianza di Procopio, espulsi dall'Africa ai tempi
di Belisario, furono deportati in Sardegna, e si .stabilirono nei
monti prossimi alla metropoli dell'isola. Sebbene però la costitu-
zione fisica, i costumi e la proimncia dei MaurelU- concorrano in
favore di quest'opinione, ciò nullostante, essendo tott'òrar ai^
mento dì controversia prèsso gli scrittori, ed avendo essi da lunga
età adottati i costumi e la lingua 4ei ISardi, noli pottiaado an-
noverarli fra i coloni stranieri.
9." Colonie Israelitiche.
Gli Ebrei, che, colla loro diffusione sulla massima parte del-
l' orbe, porgono uno de' più interessanti fenomeni nella storia
delle umane stirpi, sono sparsi altresì in gran numero sulla no-
stra penisola, ove alritano principalmente le dita ed i porti ma-
rittimi^ formandovi altrettante colonie separate raccolte per lo
più in appartati quartieri, e professandovi il culto mosaico. Dai
più recenti censimenti dri vari Stali d'Italia il loro numero
d' italu. G9
ascende ad olire 40,000 individui, i quali sono ripartiti nel modo
seguente :
NsLtE Province Illiriche.
Trieste < 4,é00
Gradisca 760.
Gorizia ;. %hO
3,100
Nel Regno Lombardo-Veneto.
Milano 280
MantoTa ^ 8,«00
Sabbionetta, Vìadaiia, OstigUa, y
Boicolo^ Rivarolp, Goyer- 5 900
nolo, eoe. ecc. )
Venezia i,960
Padova 600
Rotilo 390
Verona 760
Treviso 100
Udine 60
Vicenza 60
7,630
Nel Rbono di Sardegna.
Torino . 1,600
Vercelli 60|0
Acqui 6Q0
Casale 780
Alessandria 6S0
Genova 360
Cbieri, TUno, Ivrea, Biella,
Asti, Cuneo, Carmagnola
Mondov), GherasQO, Salnz
zo, ecc. ecc.
Nel Ducato m Parma.
Parma
Firenzuola .......
Borgo S. Donino . . ' . . .
Bdsseto
GuastaOa
HoBticeDi
Colomo e Sortgna ....
Corte Maggiore
Moo
6,820
Nbl Ducato di Moiwna.
Modena 1,340
Beggio 770
Finale 310
Correggio 300
Carpi 160
Novellerà 100
BresceOo 30
3,710
120
idO
70
70
13(»
60
80
30
6S0
Nel Granducato oi Toscana.
Livorno : . . . 4,710
Fiiwnze 720
Siena 390
Pisa . 370
PitigUano 340
Arezzo 80
Ebrei erranti l^K)
7,060
Ne«|.i Stati Pa^TiFiai.
Roma *»*>0
Ancona
SeoigRUia
. . . . \. . 1,330
...... .^00
Pesaro ... ^00
Urbino ' . 160
Ferrara 1,600
Lugo 300
Cento 160
Perugia, Bologna^ Spoleto,
Temi, Gubbio^ ecc. ecc.
•■•i
450
10,090
Nel Regno dsua Due Sicilu.
Ebrei erranti 3,000
TOTAUL
In tutta la penisola . .
40,190
70
GOLONie STRANIERE
E ancora argoménto di' contmvéMa fra fH epéHà il lampo,
in cui questa singolare nazione prese stabile doniicitio iti Italia.
Non essendo ora nostra intesone il .di^utere quesV intricato
problema, ci basterà notare ^(
potrà emergere per avrénlura'
a parte le favolose leggende
apparizione degli Ebrei in II
Giacobbe e dei re pastori,
prima che la Giudea fosse riè
kraeliti viveano dilSust nel roi
ii &tti più importanti dai <|uali
più fondato giudicio. Lasciando
iche, per le quali la prima
•rimonterebbe sino ai tempi di
|ii ò indubitato, cbe uii ]»^Io
a romana provincia, molli
mpero; egli è certò^jbresi
che, allorquando le civili discordie Ij espul^^ dalle. nifA idei
Giordano e dalle mura di GeruLalemispe, Ima moltitudine 4'«mi1ì,
regnaiido Erode, cercarono tìfisio a* piedi del Gampido|^6. l' te-
trarchi e i re di Giuda diieserp più volte soccorso alla rcilÉina
repubblica, per salvare il miimbckto scettro di Daviddcy .099-
dando ambasciatori a RoihaJ'lto sitesso Erode vi approdai per
ben tre volte; ed Àgrippa yi:iòg^omò parecchi anni con molli
de* suoi. Égli è quindi assai va*isimile, che sin d' allora alqì^ti
Ebrei si sUibilissero ndla capmle del mondo e in altre 'città
d'Italia. Infatti, verso la fine dej i^egno d'Augusto, più di 30,000
indivìdui, di questa nazione ffrono annaverati fi» j^i .abitanti
del qtiartiere di Tfj^tevere ; e Strabene ci attesta, cbe a^suoi
tempi assai poche eriamo le ci(t i d'Italia, dhe non racchiudiÉMBro
mercanti e liberti israelitiei. fii |<^tiesti pochi fatti d sembrit di
Soter con ragione conchìndere »< che almeno qu ^^'^^, É^^
eirèra cristiana molti Etrrei stanziavano in i^ime^Mp.4#i
nostra penisola, ove perseguitai, respinti. e riolifniatìiMl^ vote,
a poco a poco si diffusero dalle, Alp^ sino al itiRlr<iMit
Se antichissimo è lo stabilinlento degli Ebrei in raìiii'^''' Àpn
tutte però le attuafi colonie vi' penetrarono ad un tempo; che
aiizi è provato dalla storia, come il maggior numero vi si suc-
cedesse a poco a poco, dà vaHe parti d- Asia e d'Swdiia, in
tempi diverei, dì stano in mano che le persecuzioni rdigime
gravitarono Ài|^ di lóro. Peri ùfotare alcune epoche priti^inlSr,
accenneremo, come al tempo ideile Crociate, perseguitati e j^-
scritti a morte in Gernoania , molti Ebrei cercassero nJ^Q. in
Italia. Altri vi approdarono p|à tardi dal Portogallo, ed:4dtri
dalla Spagna, dopo che il cefebre editto di Fili{qpo. II H pro-
scrisse dalla penisola iberica,, d'onde ricoverarono nei prmcipali
D ITALIA. 71
porli del Mediterraneo e dell'Arcipelago, risospinli dal loro de-
stino sino a Costantinopoli ed in Asia. Perciò appunto distin-
guonsi ancora nel eulto mosaico in Italia quattro diversi riti,
l* italiano cioè, il tedesco, lo spagnuoio ed il portogliesc, dai
quali possiamo arguire Fanteriore soggiorno di quelli che li
professano, non che il tempo del rispettivo loro stabilimento
nei vari luoghi. Da questa osservazione appunto appare più ve-
risimile, che gli Ebrei stanziati negli Stati Pontificii e nelle
più inteme regioni della penisola, siano i più antichi d'Italia;
che buona parte di quelli che vivono diffusi nelle provincie set-
tentrionali della medesima, vi prendessero domicilio sin dal XII
secolo; e che le principali colonie marittime , m particolare
quelle del Mediterraneo, vi approdassero in buon numero <lalla
Spagna e dal Portogallo in tempi moderni, come, per quelli di
Livorno, fanno non dubbia fede e il dialetto commisto di voci
spagnnole, ed alcune preghiere ancora oggidì recitate in Hngua
castigliana.
Avvertirem per ultimo, che, mentre nei luoghi sopra notati gli
Israeliti formano generalmente altrettante colonie, i soli duemila
incirca del regno di Napoli vivono dispersi^ erranti, dappoìcliè,
dopo r ultima loro espulsione da quel regno, avvenuta sotto Carlo
III, verso la metà del secolo scorso, non è più loro permesso
riunirsi in comunità, ed appena fu loro j^cesso poco terreno
presso Napoli ad uso di Campo-santo.
Quelli che bramassero copiose notizie sui destini di questo
popolo interessante, dall'epoca della sua dispersione sino a noi,
potranno consultare la Storia filosofica degli Ebrei di Capefigue,
r anteriore di Schudt, ed il pregevole lavoro, che sta ora ap-
punto pubblicando su questo argomento il benemerito nostro
lombardo Bianchi-Giovini.
IO."* Armeni e Zingari.
Ci rimane finalmente a far menzione degtt Armeni e dei Zin-
gari, i quali, sebbene propriamente non formino colonie separate
in Italia, perchè sparsi ed erranti, ciò nulladSiBeno, per la loro
dimora non mai interrotta da più secoli , formano parte della
sua popolazione.
Gli Armeni, dopo la distruzione del loro regno in Asia, avve-
nuta nel primo periodo del secolo XV,., si disseminarono nelle
occidentali regioni d'Europa, e precipuamente cercarono asilo
72 COLONIE STRANIERE
nei vicini imperi >di Russia e d* Austria. Un raggoardetole nu-
merò di questi esuli passò da quel tempo in TrfnsiWania , in
Ungheria ed in Galizia, ove occupano oggidì interi villaggi, e
popolano alcune città. Altri si diffusero in pari tempo, lungo
le spiagge del Mediterraneo e dell* Adriatico, nei prindpaii porti
di Grecia, di Spagna, di Francia e d* Italia, affidando ad un
esiguo commercio la propria esistMua; onde i}ualdie cénlintio
vive ancora sparpagliato nei porti di Trieste» Ven^da, Genova,
Ancona, Livorno e Napoli. In Veneiia, e propriam^te iti un
isolotto ddla veneta laguna > trovasi pure da alcuni seqcrii sta-
bilito un armeno chiostro dell* ordine di Mediitar^v retto da un
arcivescovo, ove una eiaquantina di giovani Armeni sono istMiti
da monaci laboriosi e parenti, cosi nel culto cattolico ^ come
nei principali idiomi d* Asia e d* Europa, onde pl*apagarei semi
della civiltà éurq)ea tra i loro connazionali, colle fersioni a
stampa dette opere classiche d'ogni nazione. SI gii uni^ die gii
altri fanno uso del proprio idioma nelle domestiche pareti, par-
lando ancora AeH* esterno commercio, il dialetto deHe città da
loro abitate.
I Zingari erano un tempo diffiùisi nella penisola ih nòmefo
assai maggiore, che non ai nostri ^omi; men^e, dapo che
provvide leggi posero un freno al vagabondaggio, la maggiop
parie di questi nonu||^ Indiani si disperse per enUro le loresCe
deir Ungheria e della Germania, ed appena qualche centintio
è ancora superstite fra le montagne deir Istria e ddb Galiiiria.
Poche famiglie vivono eziandio erranti negli Stati PMIifidi, nel
Regno Lombardo-Veneto e nel viono di Sardegna, eoniBtrfBQ-
dovi colla rapina e eoi vagabondaggio mia oiiiterti ei|vreeariii
indipendenza. A))biamo per altro tutta ragione di cròffre, die,
mercè la paterna vigilanza dei Governi y eziandio queste podie
reliquie spariranno ben presto dal suolo italiano.
Sull'orìgine e sulla prima apparizione in Europa di questo
popolo misterioso ragionarono a longo in dotte opera paraìochi
moderni scrittóri >d^ ogni nazione; onde stimiamo inopportooo
dilungarci ora Ié vane ripetizioni. Siccome d'altronde è Metro
proposito di perire in breve in un trattato speciide il frutto
delie nostre speculazioni su quest'argomento, ed un*iHaBtra-
zione -della Ungila zìngarica, da^oi con molte fatiche e dispendi
studiata, non già sui pooiii libri faliad, ma al oeq)9tto di qual-
che centinaio di Zkigari appartenenti a varie ragioni d* Europa,
D ITALIA.
77^
cosi riputiamo superfluo l'avventurare in questo luogo un arido
cenno, affatto sterile, perchè sfrondato d' argoménti e di prove»
Raccogliendo ora in un solo manipolo i dispersi ramoscelli
di nazioni diverse da noi sin qui partitamente annoverati ,
veggiamo circa seicento quaranta mila stranieri divenuti indi-
geni d'Italia, mercè un soggiorno non mai interrotto di più
secoli. L'importanza di questo fatto ci indusse a sottoporlo
air attenzione dei nostri connazionali, giacché la maggior parte
delle mentovate colonie furono interamente, o in parte, obliate
da quelli, che in vari tempi impresero a descrivere la nostra
penisola ed i suoi abitanti. Onde meglio riuscire nel nostro
scopo, abbiamo attinto le molteplici notizie che siam venuli
esponendo sui luoghi stessi, o alle più autorevoli fonti rispet-
tive; se qualche fatto apparirà per avventura meno esatto, in-
vitiamo i nostri compagni di studio ad emendarlo, nella spe-
ranza, che vorranno condonare le inesattezze sopra, tutto alla
natura di simili ricerche, nelle quali le cure più solerti riescono
sovente frustranee. Confortati dalla coscienza del buon volere e
dalla speranza d'aver potuto riempire, almeno in parte, un'impor-
tante lacuna nella statistica italiana, saremo tanto più solleciti
nel pubblicare in breve una illustrazione delle lingue proprie
di queste medesime colonie, quanto più vicina ci sembra, pel ra-
pido sviluppo de' nuovi sistemi stradali, la totale loro scomparsa,
e la fusione compiuta di quelli che le parlano nei popoli italiani.
Sunto Generale
del Prospetto Topografico-Stalistico delle Colonie Straniere d'Italia.
Stati
-r
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sa
a
C/3
1
i
z
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T
j
<
i
S
1
R.» d' Illiria
R.*Lonib.Ven.
Tirolo Italiano
R.» Sardo .
D.« di Parma
D.« di Modena
G. Ducato di
Toscana .
Si. Pontificii
B.« deUe Due
SicUie . .
Canton Ticino
«Vallese .
Is.< di Malta
Is.* di Corsica
42000
40000
5500
6424
• .
800
190000
20000
78000
330
300
50
• •
• •
S5551
S590Ì
500
600
'lòo
400
i50
18000
*640
8000
imm
3200
7630
6820
680
2710
7060
10090
2000
• •
100
60
100
100
80
300
740
206420
68340
5600
99444
680
2710
7460
10320
105851
800
130000
640
Totale . .
64724
sioooo'
78000
320
20390
8000
130000
40190
638265
IV.
DELLA
LETTERATURA POPOURE
DELL'EPIRO
"■'ì'f?ÌÌMÌli
Due secoli circa sono trascorsi, dacché il perspicace Leibnitz,
presentendo la riniota consanguineità degli Albanesi %oIfe na-
zioni italiche e greche , proponeva agli studiosi il confronto
(Ielle rispettive lor lingue, e li precedeva col nobile esem-
pio. Dopo di lui più maturi studii, intrapresi intomo alla lingua
epirotica dal P. Da Lecce, Leake^ Kavallìoti, Daniel, Bianchi,
Hobhouse, Malte-Brun, Xylander ed altri, dhnostrarono la ri-
mota antichità della medesima, la sua primitiva estensione so-
pra una gran parte dell'Europa Orientale, taon che la verisi-
mile sua identità o fratellanza colle antiche lingue di Macedonia,
lllirìa, Tessalia, Tracia e Dacia, e la sua origine comune
con quella delle greche e delle latine. Né solo venne con ciò
constatata resistenza della nazione albanese, nelle regioni poste
al settentrione della Grecia propriamente detta, sin da tempi
anteriori ad ogni storica reminiscenza; ma le più accurate in-
dagini posteriori di Leake, Hobhouse, Pouqueville, Xylander
e di parecchi moderni viaggiatori avvertirono il non dubbio
stabilimento rimoto di albanesi colonie, altresì in varie parli
78 DELLA LETTERATURA POPOLARE
delle isole e penisole greche, in particolare in parecchi hieghi
elevati della Beozia, delF Attica, dell' Àrgolide, delFEllide e iff^h
Laconia, ove testé esclusivamente occupavano interi distretti; e
traccie non dubbie d'origine albanese serbavano non ha guari
gli abitanti delle isole d'Hydra e di Spezia, non che d'alcuni
scogli dell'Arcipelago.
Relegati da tanti secoli nelle più elevate regioni, e circon-
dati in molti luoghi dalla stirpe ellenica, d'indole, di costumi
e di lingua diversa, e in ogni tempo lor naturale nemica,
sembra fuor d'ogni dubbio, che gli Albanesi primamente oc-
cupassero le greche penisole, dalle quali succ^sivamente re-
spinti per le frequenti e numerose immigrazioni degli Elleni e
de' lonii, popoli informati alla civiltà asiatica , furono costretti,
dopo inutili conflitti, a ricoverarsi nelle regioni più elevate, ove
serbarono più a lungo la impronta della nazionalità, onde fu
dato loro il nome di Albani, ossia montanari ^ usato per la
prima volta da Tolomeo.
Ora, l'unanime testimonianza delle tradizioni antiche ci rap-
presenta la Grecia primamente invasa dalla stirpe pelasgica, la
quale sopraffatta dalla ionica e dall'ellenica, parte andò ad oc-
cupare le regioni più settentrionali di quel continente, parte
emigrò sulle coste d'Italia, ove fondò stabili colonie. Sebbene
su tali tradizioni fondati i Greci e gl'Italiani riconoscano aTmeno
ia parte questa comune loro pelasgica origine, e seboene,
ignari dello stipite al quale i Pelasgi appartennero, errino da yàrii
secoli fra i più disparati sistemi, collegandoli a vicenda óra alla
famiglia semitica, ed ora alla giapetica , ciò nulladimenò quella
forte concordanza e verisimile identità degli , antichi .Pelasgi
cogli Albani non fu peranco avvertila, o almeno sottoposta
a quel severo esame che l'importanza del soggetto rictiiedeva.
E pure ampia messe . d' utili e preziose rivelazioni ci porge qmai
il confronto della vivente lingua epirotica coi dialetti greci ed
italici antichi e moderni; importantissima ed amena congèrie di
scoperte ci promette quellg dei costumi e dell'indole degli at-
tuali Albanesi colle svariate peculiarità e vulgari superstizioni
dei viventi popoli greci ed italici.
Un tale vuoto nei moderni studii deriva necessariamenle dal-
l' assoluto difetto dei principali clementi, sui quali devono essere
fondati, giacché, jn onla alla molteplice importanza della na-
dell' EPIRO. 79
zione albanese, essa non rimase meno sconosciuta all'Europa
sino ai di nostri, e, ciò che più importa, eziandio la massima
parte dei costumi e dei dialetti delle singole popolazioni italiche
meridionali attendono tuttora chi, raccogliendone i materiali, H
coordini ad un determinato scopo scientiOco, e, sceverandone le
doviziose reliquie della veneranda antichità, ne svolga i simboli
misteriosi e li illustri. E pure non v'ha luogo a transazione:
solo dal confronto delle nazioni colle nazioni, e delie lingue par-
late colle parlate possiamo riprometterci la sospirata scoperta
delle nostre origini.
Ciò non pertanto la nazione albanese ebbe sovente, e in ogni
tempo, somma influenza e parte principale nei grandi avveni-
menti delie storie antiche e moderne d' Europa e d'Asia. Lasciando
da parte la verisimile loro origine pelasgica, e la non dubbia con-
sanguineità loro cogli antichi Macedoni, Traci, Dad ed Illirii,
delle cui gesta riboccano gli antichi annali; ommettaido la
pretesa origine epirotica del saggio Ulisse, al quale fu sempre
tributato in Epiro culto divino, troviamo celebrato in Plutarco
il valore dei prischi re d'Epiro, massime del saggio Tàrrita,
che dettò leggi ai popoli, e volle introdurre in patria le lettere
e la coltura dei Greci. Alleati a Filippo, e aggregati al regno
macedonico, gli Epiroti sottomisero l' indomabile Grecia, e con-
tribuirono fra i primi alla gloria ed alle conquiste d' Alessandro
loro consanguineo, che accompagnarono in Asia ^ Riordinatisi
nelle loro terre alla morte di quel monarca, comparvero più
tardi formidabili in Italia sotto la condotta di Pirro, che, de-
bellate le romane falangi, minacciò la rovina di Roma. Ritornati
da quella spedizione alle native montagne, sostennero con eroica
fermezza l' invasione dei Galli eh' aveano devastata la Macedonia
e la Grecia, e si collegarono ad essi contro i Greci ed i Ro-
mani. Debellali alla lor volta da questi ultimi, ebbe fine bensi
la loro potenza ed il loro splendore, ma non l'indomito loro
coraggio, né molto meno la loro indipendenza; dappoiché, seb-
i Qiianto a* miei Albanesi, tu non H conosci. Noi discendiamo dai Ma-
cedoni, \che hanno dato, per vincitore all'India, Alessandro; discendiamo
dagli Epiroti che hanno dato Pirro per nemico ai Romani, Cos^ scriveva
Scanderbeg al principe di Taranto , quando salpò dall' Epiro in Italia, onde
ricuperare a Ferdinando il trono di Sicilia usurpato dagli Angiovini e dai
Baroni congiurati.
80 DELLA LETTERATURA POPOLARE
bene (Tistrulte le popolose loro città, e massacrato il nerbo dei
loro eserciti, per opera della nmiana vendetta, che per testi-
monianza di Strabone e di Plinio fece delia lor patria un or-
rido deserto, essi mantennero sempre, ali* egida d^ ioospili
loro gioghi, le immacolate impronte della nazionalità e dell* in-
dipendenza , e tali si s^barono , pascolando gli armenti e com-
battendo, attraverso le successive immigrazioni di Goti, Slavi,
Tatari, Mogol! , Bulgari e Turchi, che invasero e devastarono
senza posa i loro territorj, ma non ne domarono mai la natu-
rale fierezza. Dopo tanti irreparabili disastri, vittima sempre delk
varie fasi cui soggiacque l'impero orientale, non che delle in-
terminabili e sanguinose guerre di religione, gli Albanesi diedero
asilo ai Normanni ed ai crociati Latini, e sostennero fremendo
le angherie dei Gomneni e dd Paleologhi; ed allorché questi ul-
timi, soprafatti dalF ottomano torrente, mal seppero difendere il
vacillante trono di Bisanzio, i soli Albanesi imperterriti resistet-
tero air incalzante invasore, e con un pugno di combattenti,
guidati dal forte Castriotta Scanderbeg, riportarono le più se-
gnalate vittorie, spiegando il vessillo della Croce, contro Amu-
rat II e Maometto II. Abbandonati soli dalF Europa atterrita in
quel disuguale conflitto, cedettero bensì alla prepotenza dell* oste
le loro terre, ma per la maggior parte ne ricusarono il giogo,
mentre gli uni si arrampicarono sugli erti gioghi dei monti Aero-
cerauni, del Pindo e della Tessalia, altri, gettandosi in mare,
mendicarono profughi un asilo in varie parti d* Europa, ed in gran
numero ricoverarono fra i monti della Calabria, della Puglia e
della Sicilia, chiedendo ospizio a quel monarca, al quale pochi
anni prima aveano salvato il trono contro 1* alterigia de' baroni
congiurati.
Dair alto dei loro monti nativi non cessarono mai i prodi fi-
gli della Silleide di molestare con incessanti scorrerie i nuovi
oppressori, e se una parte di loro, aggregati ali* islamismo e
forzati dalle lusinghe e dalle torture dei bascià ottomani, pre-
starono loro mano contro i propri fratelli, altri serbarono in-
contaminata la virtù e T indipendenza degli avi sino ai nostri
giorni; onde ancora negli ultimi tempi, comecché ridotti a po-
che migliaja ed estenuati dalle fatiche d*una vita di privazioni,
si attrassero 1* ammirazione ed il compianto di tutta Europa col-
r eroica resistenza che opposero al feroce bascià dì Giannina, e
DELL- EPiRO. 81
per la parte che presero alla rigenerazione della Grecia; dap-
poiché non dobbiamo più oltre confondere con alcuni Btorici gli
Albanesi coi Greci ; come suol fare il nostro volgo dei Tedeschi ,
dei Magiari e degli Slavi, ma riconoscere piuttosto come alba-
nese quella turba irrequieta di prodi , che successivamente gui-
dati da Zuvella, Odisseo, Bozzari, Kanari, Miauli, Tombasi è
Saclnri , quasi foriera e ministra del fulmine celeste, piombo dal
Pindo e dal Tomaro ad incenerire le tende e le navi degli in-
fedeli.
Da questo rapido, ma genuino, prospetto delle principali vi-
cende, cui quella generosa nazione soggiacque nel volgere di tanti
secoli, appare evidente, quanto ne sarebbe importante la com-
piuta istoria, che potremmo denominare a buon dritto la storia
dcir indipendenza , anziché quella d'una singola nazione. E pure
essa attraversò tanti secoli operando prodigi di valore; domò
r alterigia delle greche republìche e dei re di Persia e di Ba-
bilonia, a fevore de* principi macedoni; represlto le prepotenze di
Roma, a sollievo dei miseri Tarantini; frenò per breve tempo,
a prò del Cristianesimo, i rapidi progressi deli' islamismo, salvò
il trono aire di Sicilia, rialzò quello di Grecia, né ancora ebbe
uno storico, il qual pur le pagasse un tributo di riconoscenza ;
ma in quella vece tutti gli scrittori antichi e moderni, tranne
qualche viaggiatore poeta , retribuendola sem^ìre col titolo di bar-
bara , accennarono appena a quelle fra le innumerevoli sue ge-
sta , che necessariamente collegansi alla storia delle altre nazioni.
Frattanto, in mezzo a tante guerre non mai interrotte da si
lunga serie di secoli, e relegata sempre fra inospiti dirupi, essa
non restò infatti mene estranea ai progressi delF incivilimento,
sicché appetta trovaasi pochi Albanesi in patria^ che sappiano
leggere e scrivere bi propria lingua. Esterminata e dispersa sin
dal tempo della romana conquista, essa non potè più rialzarsi,
né ricostruire le sue magniflche città, né riordinarsi in perma-
nente forma sociale. Oppressa dalle crudeltà dei bei , sparpagliata
ed esule in varie parti d'Europa, smembrata in patria da va-
rietà di culto e di governo e da politiche dissensioni, diminuì
sempre rapidamente in numero, onde, ridotta a circa due mi-
lioni d' anime ai tempi d' Ali bascià di Giannina , ora non giiuige
ad un milione e mezzo, che va ogni giorno scemando.
Le sue esterne colonie , represse da stranieri governi e sotto
6
83 DELLA LETTEBATIRA POPOLARE
r immediata influenza delle nazioui che le circQodano^ simili a
robusta quercia alpestre, che trasportata al piano yiea meo^o
traligna, smarriscono a poco a poco persino le Uraocie della pro-
pria nazionalità, fondendosi nei popoli circostanti ^ o adottandone
lingua e costumi; come appunto avvenne di pareficbie ivùgliaja
fra loro in Grecia ed in Italia, sulle vaste lande del monte Gar-
gano ed in parecchi luoghi di Calabria, di Puglia e di.Sidlia;
per modo che, persistendo 1* attuale ordine di cose, egli è Cfrto,
che un giorno questa magnanima ed importante nazione spiiiirà
interamente dal mondo. Con essa vengono meno altreài a poco
a poco i costumi, le lingue e le tradizioni avite,, delle quali
serbavasi, non ha guarì, dovizioso retaggio nei monti nativi sotto
la forma di canti nazionali, che in buona parte sono amai se-
polti neir oblio. ^ . . ;.
Appunto collo scopo di salvare» finché è aocor itfìmpe^, dal-
l' universale naufragio le poclie, ma preziose reliquie di quanto
può concorrere air illustrazione di quel popolo svefi\turato^ ab-
biamo da lungo tempo instituite laboriose e reiterate indagini,
onde riunire il maggior numero possibile di notiziev aia racco-
gliendo e rettificando le sparse relazioni de' viaggiatori, ^a po-
nendo a contribuzione T opera d' alcutìi eruditi Albanesi» €he ci
somministrarono im|)ortanti materiali e ci furono larghi deMoro
consigli. In saggio di tali studj abbiamo testé tracciatene! jProi9}e//o
lopografico-slalislico delle colonie straniere d'Italia, le sedi di
quasi 90,000 Albanesi, stanziati da secoli nella nostra penisola, ed
ivi parlanti ancora il nativo linguaggio. Ne abbiaqno enumerato
i ^ari dialetti, ed accennato al posto che occupano nella grande
famiglia delle lingue indo-europee, nelF Introduzione uWAtkMe
linguistico d'Europa, ove abbiami fatto nousnzione de* principali
illustratori di quella lingua , e dove esporremo in seguitò i carat-
teri peculiari di ciascun dialetto, corredandolo di Saggi compara-
tivi. E poiché alla parte grammaticale ha testé bastevoliqente prov-
veduto il benemerito Xylander, coir opera intitolata: Die Spror
che der Albane^n oder Schkipetaren {Frankfurt a M, 1835),
fu ancora nostra intenzione di provvedere al difetto d' un esteso
lessico , valendoci di due preziosi lavori manoscritti già da lungo
tempo inoperosi io alcune biblioteche di Palermo , quando fummo
per buona ventura prevenuti dai benemeriti nostri corrispondenti
Albanesi Monsignor Crispi e prof. Giovanni Schirò, autori di va-
dell' EPIRO. 83
rie Memorie alla nazione albanese spettanti, 1 quali ^ col soccorso
appunto de' eitati manoscritti e d'alcuni connazionali,' impresero
testé la compilazione d'un vasto Vocabolario Albanese-Italiano.
Che anzi quest* ultinìo ci annunciava non ha guari per lettera
la prossima publicazione d' un suo lavoro inteso ^ provare To-
rigine pelasgica , non che a tracciare le vicende e le migraìùoni
de' prodi Mirditi.
Mentre godiamo di poter aìniun<!tare ai nostri lettori la vicina
comparsa di due opere ^ ddle quali- posano omai bastevolmente
apprezzare l'importanza, é nostra mente di riempiere almeno in
parte un'altra lacuna di non minore interèsse, porgendo loro
una sommaria idea della letteratura popolare dell'Epiro; di quella
letteratura semplice, espansiva,^ nella quale sol» l'indomito^ spirito
del guerriero-pastore suol riflettere colla propria immagine i se-
spiri e gli affetti, i piaceri ed i dolori, onde in varie età fu pe-
netrato, e i cui frammenti, conieechè solo monumento di tante
magnanime gesta e d'un popolo morente, sopravvivono appena
nelle bocche d'alcuni vecchi. Invano se ne chiederebbe notizia
alla letteratura scritta, la quale, come abbiamo altrove avver^
tito, ristringesi a poche grammatiche, a Saggi di vocabolario ed
alla versione del Catechisi io di Bellarmino e della Bibbia ; e in-
vano forse richiederebbesi più tardi alle novelle generazioni , le
quali, ristrette a sempre minor numero, e di continuo soggette
alia prevalente influenza delle novelle instituzioni sociali e dei
popoli che le circondano, smarriscono tutto giorno colle nazio-
nali impronte eziandio le memorie degli avi loro.
Ora la letteratura popolare dell'Epiro, come quella di tutti i
popoli non ancora informati alla moderna civiltà , consta di canti
nazionali intesi a celebrare pubblici e privati avvenimenti , tra-
mandando ai posteri le gesta degli eroi , b descrivendo i costu-
mi, gli amori e le fazioni del popolo, die ne è ad un tempo
autore e depositario. Questi canti , passando a viva voce di pa-
dre in figlio, vengono cantati con apposito metro, per lo più tri-
ste e monotono, e sovente con accompagnamento di pastorali
strumenti, in determinati giorni, all'occasione di solenni ceri-
monie religiose o domestiche , nuziali o funebri , e formano quasi
il perno dell'istruzione che le madri impartiscono ai figli, in-
segnando loro sin dall'infanzia a ripetere i nomi dei prodi che
comperarono col proprio sangue l' indipendenza della lor patria.
84 DELLA LETTERATURA POPOLARE
Figli della natura , ed iocontaminati dalle finzioni e dal tirocinio
deirarte, essi racchiudono quella purezza d' immagini « quella
verginità d' originali concetti e quella forza d* espressioni, cui solo
mercè lunghi studj e reiterati sforzi pervengono ad imitar d' or-
dinario i nostri poeti ; né crediamo trascendere a delirio d' esa-
gerato partito, proponendoli a modello della poesia incontami-
nata di semplice natura.
Pochi lustri sono trasconi, dacché T Europa tutta apj^u-
diva e volgeva ne suoi nnltifonni linguaggi i melaocòoici
canti dei bardi scozzesi. Più tardi, ricca messe di simili compo-
nimenti, raccolti sulle montagne dS Serbia, Erzegovina, Bosnia,
Montenegro, Dalmazia ed llliria, ordinava in quattro Volumi rio-
stancabile Karadcich, della cui importante raccolta porgevamo uo
Saggio nel IV Volume del Politecnico; altrettali collezioni pub-
blicarono in seguito Rollar dei canti nazionali degli Slovacchi
d' Ungheria , GelaLowsky, HanLa, Dobrowsky, Swoboda, Busse,
Dietrich e Kascich di quelli de' Polacchi , de' Boemi, de' Russi
e d'altri popoli slavi; Schroter de'Finni; Fauriel de' Greci
moderni; e parecchi altri di rimote ed inculte nazioni. In
tutte queste naturali produzioni furono ammirale nuove e pe-
regrine bellezze, in onta alla rozzezza dei loro autori; ed in
tutte emersero distinti i caratteri dell'originalità, quanto furono
sempre distinte fra loro le nazioni, delle quali riflettono l' indole
ed i concetti.
Considerate sotto questo punto di vista, non ci apparvero
meno interessanti le poetiche inspirazioni dei figli della Silleide;
giacché , se nelle prime domina la mestizia delle nebbie caledo-
niche, il pallido raggio delia luna che siede sui monti scozzesi,
il silenzio dei campi desolati dalle fazioni, il fragore del rauco
torrente, od il fischio del vento aquilonare fra le deserte vòlte
dei solitari castelli; se dipingono altre il puro cielo orientale,
la maestà della natura che, cinta di sempreverde corona, versa
in larga copia il fiume de suoi tesori; se descrivono altre la
semplicità de' pastorali costumi, il pacifico commercio d'afietti
nella vita patriarcale, o la mcsla litania delle sofferte sventure
e della passata grandezza , i canti epirotici, in quella vece, sono
sempre animati da bellico entusiasmo e da gesta d'eroi, dalla gioja
dell' indipendenza e della vendetta , dalla speranza d' un miglior
avvenire. I soli, coi quali serbano ahfuanta simigliauza, perchè
DELL EPIRO.
nati sotto il medesimo cielo e dettati da eguali drcostanze e da
comuni sventure, sono i canti popolari de' Greci, dei qudK^ Fa«-
riel pubbKcava doviziosa raccolta. Che anzi dobbianio awertire^,
come alcuni di questi siano propriamenle albanesi, ed altri oò-
muni del pari agli Albanesi ed ai Greci , perchè iraspoirtati a vi-
cenda dair una all'altra lingua, e perchè gli Albanesi leristiiani
meridionali, del Pindo, deH€^Iiilim|ia> delk Suliotide, d^^ldra e
di varie altre parli, sempiiì^!liiÌMm ai elefti^eei, fecero uso
alternamente delle due lingOB e{Mt^tica € romaica, talvolta an*
Cora solo di quest' ultima, ifé recherà perdo meraviglia, Be al-
cune di queste poesie sono dirette contro gli Albanesi medesimi,
alludendo esse a quei Liapi ed a quelle tribù degenerate, che,
professando V islamismo, furono principale strumento delle cru-
deltà dei Turchi.
In prova di quanto siamo venuti brevemente esponendo, val-
gano i pochi Saggi che sottoponiamo al pubblico giudicio , e di
cui ci Umiliamo a porgere fedélmente la versione letterale,
onde serbarne intatte cosi le bellezze come i difetti, giacché
in tali componimenti, né T eleganza ddla dizione > né T armo-
nia del verso costituiscono il prtncipal pregio ; solo, ove ci parve
necessario, abbiamo premesso un cenno storico del soggetto
al quale si riferiscono, e senza la cognizione del quale, o non
sarebbero intesi, o verrdibero male interpretati.
Ciò premesso, alcuni fra i canti epirotici appart^gono ai se-
coli trapassati, rimontando in parte a età lontaie, altri sono
opera de' nostri giorni, o di tempi a noi più vicini. I primi col-
legansi ai nazionali costumi che descrivono^ o celebrano le im*
prese d'antichi eroi, m^tre i fecondi illustrano o deplorano i
fatti più memorabili delle moderne generazioni. Gli uni e gli
altri però serbano impronto il suj^ello del medesimo autore ,
mentre gli stessi colori ed eguali sentimenti prevalgono in tutti.
Fra i più antichi emerge un inno guerriero, che la volgare
credenza attribuisce ai tempi di Pirro, e che gli odierni Alba-
nesi con superstiziosa venerazione intuonano tuttora prima d'ac-
cìngersi a qualche bellica imprésa. Sebbene ntanchino le prove
necessarie onde ammettere T antichità attribuita a questo canto,
ciò nullostante non è lecito dubitare della sua lontana origine,
e siamo dolenti di non averlo potuto ancora ottenere, in onta
alle reiterate nostre sollecitudini, onde produrlo in capo al pre-
86 DELLA LETTERATURA POPOLARE
^nte Saggio. Gli altri oomponimeiUl più aaticbi si riferiscono
iiif pafto' alM io^>rese'di Scanderbeg^rdal quale j^beropriocì-
pio quegli odj e Quelle saAgttinose lotte cooirp i Ma(Moett^ai, che
«hiraronoi senza ìnterruzloue sino ai di nostri; ma emi^o.que-
sti soòmparvero m massiina parte, ed appena alcuni ìiifimmenti,
inlerroiti da considerevoli lacune, sono ricorda^ ida, pochi ve-
gliai^'; che alvino deplorane i'4fl^eriiiità de|la, piipp^ia redini-
scenzi/'Fra i pochi superÉU^cilMqtMil l^pp e inerbati nella ^loro
integrità si amiovera uà oanlCirÀtivq a^iiunla'y.veqtpra di Co-
stantino il Piecolo, fratello di SoaMerbeg,.i| quale, essendo stato
avferiito^ come taluno avesse accapacrata la manQ,.ddia don-
iella a coi stava per unirsi in matrinionio, accorse a rivendicare
i projm diritti, Eccone |a letterale versione: , ; r
CoAlsinlliio 11 Piccolo
' •' Costantino il PiecoK tre^slo^d ràpti le; suo. ooisB».; ; „ :
■"' ' ^ Ebbe un sogno.... >aa sogno terribile! . . ■ ;; ••
'• MprovTlso 8i scosse» e mandò :Qn sospirò;
Un sospiro sì forte, che il suo signore l'odi.
' ' Yl signore fé* battere i (ambnrri a raccolta, -.^ .
E toisto radunò tutti i suoi sdiiaYi. ,, ' . /. :
E disse loro : ehi mai fra voi,. . , . < ,p; ..: .
' Chi mandò quel profondo sospiro T j» \. li- . ... j
■'■ Costantino rispose: « Io fui qq^lt cbe:906pir^f :- , . .
' Òggi è sabbato; e dimani domenien;; ^.::uiS! : j: ^^|! .
' ' ' Porgerà ad- dui- la mano la ÌBra fidaniata^ j iiv,..; .. ;
-1 La fldàmata del siocerb mio ÓBore. it:-f . ..
d Prendi <fiLeàè note chiavi ; va nella scnderifi,
Troverainote cavalli :;.S6egli quel che U piace; ;;
SHl biancodie il bigio,. sii ilfossp.chq il pfpiivecp, t ..j
* • -' Sii il nero che r olivastro, bl.il itfelòce che lo.. ^pttrvi^f^'ji ,
' iC^stantiìlòi scelse r»ltimo: tré .questi, /epwrtJLJ. .f'\\^ .|ms i
' Pan\ «ubilo a gran galoppo. .
• Per via inóontnò sua fiioretla Fibreoza -^ a Ove vai . . -i, . ,
O giovanotte? — Yo a gettanni in uq. abisso.
Poiché domani, domenica, si marita mia .cognata, . , ,
La fidanzata di mio fratello Costantino r- ..
dell'Epiro. 87
?5ouo io, sono io-quel Costaatino ! — Galoppa,
Galoppa, sventurato, se vuoi giungere a tempo. «
Per via incontrò sua madre — * « Ove ti rechi,
buona donna? — Vo a gettarmi in Itn abisso.
Poiché domani, domenica, si marita mia nuora,
' la fidanzata dt taio figlio Costantirid — : ♦
Sono lo, sono io lituo Oòisrtanliii*^I^'^''Galop^a,' ^. , ■
' Galóiipa, sVèfìtui^ato, sé Vuèii'gtongere^ a tempo. » i. ^ /<
Costantino ^ifféppè, uè ìsrOffòHliOssi se aou innanzi alla casa, :.
Alla-casd della siia ÉMhzata.
Piantò il fiammero fiél mezzo della piasna^ dove .^
Gli abitanti del villaggio stavan raccolti ;
Poi disse loro: « Signori, la mia fidanzata
Non appartiene ad altri, ma. a me solo ;
Ecco, vi reco iu prova le Corone ouziiili.
Vedete, s*io non sia il vero fidanzato. »
Il pretendente confuso e id»baudònato d^ tutti
Divenne allora lo scherno dei, villaggio ;
E Costantino menò la fidanzata al tempio,
La fidanzata del cuor suo,
Sebbene sia difficile stabUire <;oii..Yje;r^|^ile fqi;idaji^e^t^^^
quel tempo abbiano avuto origine alcune canzoni erotiche e nu-
ziali che trovansi diffuse pre§$(^ ygri^ tribù epirotiche, ciò nul-
r ostante egli è fuor d^ogni dubbio, eh* esse contano qualche
secolo d' esistenza , ed è probabile, che in parte derivino dai
tempi dì Scanderbeg, fars^ anche da età anteriori , alludendo a
volgari superstizioni o a costumi d'antica ofjgine, e trovandosi
ancora presso gli Albanesi di Calabria e di Sicilia, che in mas>
sima parte emigrarono colà sin dai tempi deir invasione otto-
mana. Checché ne sia, ecQone alcuni S^ggi:
Per Nmmme*
Accorrete, o garzoni, ad intrecciar carole ;
Venite, o vergiiA, ad intuondre i canti ;
Venite a vedére^ venite ad imparare
la qual guisa si coglie T amore.
88 DELLA LETTERATURA POPOLARE
Egli si prende col mezzo degli occhi;
Di là egli discende sulle labbra ;
Dalle labbra s* insinua nel cuore*
E nel cuore egli stende le sne radici.
Questa leggiadra canzone ci risveglia la riqiQiMbranza d*un
delicato epigramma italiano, che l^evamo iiiei .primi anni
giovanili, e del quale rammentiamo i versi, ma non il nome
dell'autore: T analogia del concetto e la AsUcatezza oolla quale
è esposto ci allettano a riprodurlo in questo luogo, comecché
indigeno fiore di culto giardino in un serto di piante silvestri:
i' •
Ami, e ti lagni
Che fra* tuoi palpiti
Mai non ti tocchi
Ora di ben?
Non sai, che Amore,
Come le lagrime,.
Nasce dagli occhi
E cade in sen ?
Fra gli altri canti epirotici aflettuosi, o nuziali, non ci par-
vero meno degpi dr ricordanza i seguenti: •^' • •
Per 9ro2ze
Che tu sia la ben venuta, o giovane sposa!
Tu se?,. vèrgine, sotto il tetto deUo sposo,' ' •
Come ir vino ed il sale sul desco del baneftétto, < ' '
Còme ti sole che sorge attorniato da* suoi' raggi. ' '
|L^ Amante sventarata
Se avvien eh' io mnoja litelia, sepelllscimi nel tuo sepolcro,
Onde quando tu verrai meqo, io possa riposare nel tuo seno.
Quand*io sarò morta, e m'avrete deposta neUa.,tomba,
Allora saranno germinate le mie pei^
Quand'io sarò morta, ed avrete portato il mio cadavere al tempio,
Allora incomincino i vostri pianti.
DELL EPIRO. 89
L^Amniite mal corrtop^Alo
Io fai piagato dal tao amere.
Ed amai, ma solo per mio tormento.
Ta mi hai trafitto, o Tergine,
Ta m'hai sqaarciato il caore.
lo dissi, che non bramava altra dote.
Se non i taoi ocehi, e le tue ciglia,
lo non chiedeva V esecrata dote.
Ma te, te sola amava.
Dammi i taoi vezzi e le tae grazie,
E getta la dote alle fiamme.
Io t'amai, o donzella, con paro cuore,
Ta m' hai abbandonato, come inaridita pianta !
Fra le canzoni di più lontana origine dobbiamo ancora an-
noverare alcoue poesie reUg^ose, che il popolo iaiuona in . de-
tcrminati giorni dell'anno. A queste appartiene un inno $ulla
Risurrezione di Lazzaro, che gli Albanesi di Sicilia e di Ca-
labria^ ripartiti in coppie, vanno cantando di porta in porta per
le città e per i villaggi, durante tutta la notte della vigilia di
san Lazzaro. Anche i sacerdoti .seguono questa nazionale usan-
za, intuonandolo processionalmente con una cantilena propria
della loro nazione. Eccone un brano letterale, quale ci fu co-
municato dal dotto professor Scbirò:
Morte e WLÈmwrremimmm M Mjusmutm
Baona sera.
Buon maUino!
Venni a dirvi
Una iNMMia parola i;
Ed un miracolo
Che W il Signore
In quel paese
Che si eUtea Betanìa.
i Con tal frase sogliono gli Albanesi esprimere la parola dell* Evangelo.
tW) DELtA LETTCRATURA P.ÌPOLARE
Erari un nomo
Cih9iiuì(o LftzzarOy '
Amato da Cristo
Con rompassione;
Avca due sorelle
Sole, e non più.
Ambe orfanelle,
E senza beni.
Lazzaro mori;
La morte il còlse;
E il loro cuore
Si sciolse in pianto.
Lo sepellirono.
Svellendosi il cvine;
Il chiusero con ima pietra,
E si posero a lutto, ce. ec. . • .i
'; Sebbene, percorrendo TAlbania e TÉpiro con ililigénza ed osser-
vazione maggiore di quella che sihoVa vi applicarono i pòchi viaggia-
tori, e con mii^ior agio e sicure^a personale, potrebbési fere per
avvèTk(ura'dovi!EÌosa messe di tali canti erotici e religiosi; ciò nnUo-
stante gli argomenti, pei quali gir Epiroti- ebbero sempre spedale
predlleftibne, e in cui ripongono ié lor ma^ofi compiacenze,
sono le imprese guerriere, lagt^ime di rìcoboscenìb^ài loro duci,
i fatti principali della stòria patria. Per' cÒfi^gtifénzìi^M tcànti
di questo genere vi sono più nnihcirosi, ed a pret^réd^à Ven-
gono ripetuti dai vecchi e dalle madri ai figli nelle sere in-
vernali e fttifti^Arfi domestici. Nòf*<lòbbi«tnM'leNfère a que-
sto proposito, come le donne albanesi-, sebbene ; oppresse
dalle nazionali consuetudini, e condannate alle più dure fatiche
della campagna e della domestica vita, manifestassero in ogni
tempo un carattere fermo ed intrUprenltoate, ed avessero parte
principale nei più memorandi avvenimenti della lor patria, sia
animando i loro congiunti a consacrare alla libertà la vita , sia
accompagnandoli nelle più ardue imprese » sia affrontando tran-
quillamente la morte anziché eedere al nemico. Le storie e le
tradizioni di quel popolo sventMMIo sono ripiene delle prove
dì questo muliebre eroismo, che non si smenti mai nelle più
luttuose circostanie; e pareorhie poesie nazionali furwo ezian-
. DELL EPIRO. 91
ilio destinate a spargere alcuni (iori sulla tomba delle più ili-
stìnte Amazzoni deir Epiro.
Più oltre, fra le molte prove, accenneremo alla non meno de-
plorabile che ceJjBbmJPOi-i^v dfllp, 3e8S^^t§ 4onne di Zalongo,
le quali, risolute di morire prima di cadere nelle mani dei Tur-
chi , si gettarono una dopo . V altra coi loro bambini dalla
vetta d'un orrido precipizio; ,e ramufienteremo il valore delle
donne di Suli, che» guidale dall' intrepida Mosco moglie di Lam-
prò Zavella, si slanciarono furibonde nella mischia, e posero
in fuga i nemici ^ Osserverema frattanto, coupé a quest'indole ed
a questi sentimeoti delle donne epirotiche debbansi sopra tutto
attribuire i prodigi di valore e lo ^irit^ d'indipendenza, che
segnalò per tanti secoli quella prode nazione.
Ora, fra le canzoni di questa classe,, comunemente distinte
col nome di cleftiche, varie sono d'incerta età, ed in maggior
numero si riferiscono ai grandi avveaimeali/ <die echeggiarono
per tutta Europa sul finire del passato secolo e nel primo pe-
riodo del presente. Abbiamo scello, a saggio delle prime, due
componimenti, il primo in morte di Paolo Golemo, del quale
non abbiamo potuto rinvenire aleuna notizia scritta o tradizio-
nale, e che sembra aver appartenuto ai primi clefti d'Epiro,
trovandosi questo canto diffusa presso le colonie albanesi d' I-
talia, ove Io abbiamo attinto; l'altra descrive la morte di Di-
mo, che non sappiamo a quale dei clefti di tal nome si rife-
risca, essendone slati parecchi; es^ap^r ^tllfo, comecché epi-
rotico, appartiene ancora alla Grecia, ove sii trova generalmente
diffuso. Seguono quindi alcuni ver3^ iutorpo aUa prigionia d' altro
clefta, ed un frammento suUa libeirazipne d'un prigioniero pure
anonimo, che ignoriamo dove, quando e perphè fosse cattivo. Si-
milmente ci è impossibile detemiinaj^^,. se. questi due ultimi com-
ponimenti alludano a qualche^ africa avvepimento, o siano da
annoverarsi fra le pp^esjie flji §i^^ fiazipp^; tanto è vero, che le
patrie tradizioni si vann%>.^H||h ^prno diJegi^ndo. Chiuderanno
ì Dicesi che Mosco, trovando But e<imp^ ft(k At vitilmc di quella battaglia
il cadavere di suo nipote Cristo ZaveUa,,i^pp av^lo i baciato e coperto col
proprio grembiule, pronunciasse il seguente miriologo: Amato inipote^ io
giunsi troppo tardi per salvarti fa vita ; ma posso almeno vendicare la tua
morte su' tuoi nemici e su' tuoi assassini. Indi iasegu^ furente i Tirchi fug-
gitivi. , ,
93 DELLA LETTERATOftA POPOLARE
poi questo Saggio alcune poesie storiche Biodenie, ddle qwili
|)cr maggiore chiarezza esporremo a sao loogo gB argomemi.
Mm ■•rie di Pa«to C^mm
Questa «otte a d«e ora
Udissi OB gran lamento.
Ifon era Imeoto; era P)m4o Goleoio <
Paolo Golemo ftrito,
die soppIieaVa i 8«oi compagni. : -
«0 ttM eompagnì, o miei (HMM»
ir Vi prego eoo tutte le mie forse,
« Cbe m'apprestiate un sepolcro
CiM^ largo, come longo;
A E alla testa del sepolcro
« Mi lasciate ona fine«5tra, ' '
« V'attacchiate i borzacchini; '••
« Ed a* piedi del sepolcro
« Sospendiate le mie armi ;
« Poi scrìTiate nna lettera,
« E diciate a mia madre,
i ' « Che mi encisca quella camicia
« Sol col filo de* miei capeHi;
« Che ricami quella camicia '
« Sol col aangné deUe gote;' *: ^ : '
« Che mi lavi quella 'camicia ^ '' .
(f Sol colle lagrime degli occhi:
« Che m'asciughi qneHé camicia
« Sòl col fiioco dersQO'COòre;
« Che mi mandi qvdU camicia
« Sol col vento dtf^snoi sospiri.
a Poi scriTiatè-iMa éiia bella, -
« Cbe ricami quel; HJftJiìhftì'
« Sol col sangae delle gote;
« B se ancor non è^ maritata,
« Le diciate, che si mariti,
« Che si rechi là nel tèmpio,
« Volga gli occhi a quella pia»a,
« Contempli i miei compagni,
dell' BPino. 93
« £ ini maodi qn sol sospiro;
« Un tal sospiro, un gemito,
« Che la vòlta ne rimbombi I »
La Morto di mmo
11 sole tramontava, e Dimo dava i suoi ordini;
« nìiei compagni, apportate dell'acqua per la vostra cena;
K Tu, Lampraki, nipote mio, siedi al mio fianco ; .
« Prendi, rivestiti delle mie anofti, ir' sii capitatio.
« E voi, miei bravi, prendile h mia povera diietta tdabola,
« Tagliate verdi ramoscelli, ^4d:%ppre8tatemi un soffice letto ;
« E chiamatemi un confessore, a cui riveli,
« A cui dir possa tutti i peccati che ho commesso*
« Io fui trent* anni Armatola, vent* anni Clefta,
(( Ed or la morte è giunta; io son presso a morire.
« Apprestatemi la tomba, e ^ia larga ed alta,
« Sì ch'io possa combattere in piedi, e sparare :di fianco.
(( Lasciate a dritta una finestra, onde le rondinelle
« Possano annunziarmi il ritorno delia primavera,
« E gli usignuoli cantarmi il dolce mese di maggio. »
La Prlglóiila del Clefla
Una madre piangea suo figlio.
Ella piangeva V unico siao figlio. ,
EU* era immersa neir afflizione,
Perch' éi languiva prigioniero, lontano.
11 poveretto in tem straniera ^
Non potea più mandarle sue nuove.
Le scrisse alfine una tetterà
Che attaccò alle piumt d*on augello;
E r augello andò «.|Mur sur un albero,
Sotto cui la poiran madre piangeva.
Repente scosse 1* augello le piume,
E la lettera cadde a' di lei piedi. '
Accorse frettolosa, la raccolse,
E vi lesse queste tristi parole :
if Madre, io tornerò a voi sefo quando
94 DELLA LETTEnATUIlA POPOLARE
a Mi cuciretò una camieidl coi vostri capelli,
« E la laverete colle vostre lagrime;
a Quando il mare diverga dn giardino di fiori,
a Quando il sambuco produrrà fichi, ed uta il noce ! »
%.■■•;■; v=.
La Liberazione
■ ' .' •■• ■ s.. !'
'•■■'•■ . ! * ••'* '; .'( : • '■ . ■ ■'■: ' '
Una gi9vine,«pp«a^di .potJ,e, .^ ,^ ^ , ^ j. ^
Attraversò la aeffl ^.^Uft ciotura; ., . , ^
■ franse il gbiac(eio8ÌB0^^!gipx)cchia^. ....
. ■ Sinché |)qrveqae al 4e^^ carcei:© , . ;: .; . : ,;; ..
Ove gemeva il. sap signore, :. . . ,t.,; .,: ; .
Il signore che tanM> amavA. ,, . .
Essa lo liberò, res,taQdOkVÌ in sua \t^*-
Poi sciolse il labbro in mestissimo canto:
« O mio signore, per la tua bionda età,
.0, Per la iua vita, io ti scongiuro, . , ,< .... -^
« Noa lasciar tempo Alla sai vatich\ erba
« Che su me cresca, od io mLdisparo.; ,^;. , .
o Io sciorrò all'aure i miei lunghi capfl^it:. i .
« I capelli intrecciati con fila d' oro , ec. ec. »
Le seguenti canzoni sono storiai monumenti di alcuni particolari
deli orribile guerra d'Ali dì Giannina contro Sdì, che durò dal
d792 al 1804, e nella quale i Suliotti operarono prWigi di valore.
Sebbene questa confusa miscela di atroci misfatti e d' eroiche
prove più tardi fosse descritta da Gugliebno Eaton; ' da Pouque-
ville, da Perevos, da Hobhouse, e con più speciale cafra da Fauriel,
riputiamo ciò nullostante util cosa riassumere breveihente i fatti
particolari, intorno ai quali sopratutto s^aggirano i canti da noi
prodotti, onde agevolarne l'interpretazione.
E noto, con quale fermezza i 'Suliotti, «he insieme formavano
appena mille trecento guerrieri, respingessero dagli inospitali
lor monti i ripetuti assalti di Ali, che ad un'armata di quin-
dici mila combattenti, alimentata da nuovi rinforzi e provve-
duta d'ogni mezzo, accoppiava di continua la perfidia e il tra-
dimento. Risoluto di schiantare dalle fondamenta il ricovero
di que' poveri montanari, e distruggerne n qualnnq(re prezzo ogni
dell' K[»tHO. 95
reliquia, pervenne neir anno 1 792 a superare, selAcue con per-
dile ragguardevoli, i diffìcili passaggi ddle anguste gole che
proteggevano ; Suli , ' ed a spingere una forte armala sino alla
cima dei suoi monti^ in obla ali- iacèssaate^fuoeo degli, abitanti,
che, estenuati iti caldo, dalla feme t dalla fatica, dopo< una
lotta ostinata d* un giorno intéro , erano vicini a soccombere.
Neir estremo generale, perigli», Mosco, moglie del condottiero
Lampro Za velia, convocate le donne, di Sfili,.'racooIse quante
armi potè rinvenire nei desertli abiUiri , spezeò con una scure
tre grandi ca^e di muni^ioii^a.gui^rai; delle quali suo mèrito
assente, custodiva le, chiavi, e, fiitAane distribuEiooe alle compa-
gne, volò alla loro testa in soccorso de' propri fratelli. Ivi, man-
dando disperate grida ed animando i loro compagni alla pugna^
si gettarono tutte con impeto nella mischia^ ed incussero ben-
tosto un tale spavento neir animo degli: assalitori, che presero
a precipizio la fuga. Allora, ^Zavella e Bo^zari, quasi richiamati
a novella vita, circondarono i fuggitivi da. ogni parie,. facendone
orrido scempio, sicché t pochi sfuggiti a quel massòcro, male-
dicendo i capitani ed il bascià che li aveva maodali^ dichiara-
rono di non voler, più combattere, non già contro gli uonrìini,
ma contro ì demoni incarnati di SulL Dopo una tale sconfltta,
dovuta precipuamente al. valore delle donne Suliotte, Ali cliieìse
e comperò a paro prezzo una pace • vergognosa , e per alcuni
anni dovette reprimere la. sete della vendetta.
Solo nel 1800, rimarginate le vecchie ferite, potè darvi li-
bero sfogo. Apprestata una scelta e numerosa armata, assali
d'improvviso i.Suliotti, ohe frattanto aveauo perduto i prodi
loro condottieri. Ma Foto Zavella e Rizzo Bozzari degni eredi
delle paterne virili, con nuovi prodigi di valore, assistiti dair in-
trepido Dìino Drako e da Kulsonik^i, seppero rintuzzare la
perfidia e T inaspettato assalto d'Ali. Se non che, disperando di
poterli vincere colla forza delie armi, la tigre di Giannina ebbe
ricorso all'astuzia ed al trjadimento. Dopo aver corrotto collo
lusinghe ò colForo alcuni principali Suliolti, e comperato al-
cuni ragguardevoU ostaggi, fra i quali un fratello di Foto Za-
vella ed un .figlio di Dimo Drako, li fece proditoriamente
si^ozzare nelle carceri di Giannina. All'annunzio del nuovo
iradimcnto, Zavella radunò tulli i suoi, invitò i sacerdoti ad
iuluonare l'inno dei morti per quegli iufeliri,, e,,risoliao di
96 DELLA LETTERATURA POPOLARE
vendicarne la- morte, assali alF improvvista i Turclii acquar-
tierati, e ne fece orrida strage.
Ma tutti questi sforzi non furono se non Tultima vampa d'una
fiaccola morente. Circondati per ogni dove dalle rinascenti schiere
dei mostro ognor più sitibondo di vendetta , qftei prodi monta-
nari furono da prima consunti dalla fame, che sopportarono con
non meno eroica fermezza; in seguito perdettero molte vittime
per nuovi tradimenti; sinché, oppressi dalle incessanti svepture
e dalla prepotenza del nemico, fiirono in gran parte massacrati,
ed i principali loro villa^ di Suli, Avariko, Samoniva, Kimi-
ghi e Kiafa successivamente presi» arsi ed atterrati dalla rabbia
maomettana.
In seguito a tanti infortunii, della popolazione delia Sulìotide,
che prima di quella guerra sorpassava dodici mila anime, ri-
masero appena due mila, per la maggior palle danne, vecchi
e fanciulli, sotto la scorta di Zavelia e di Drako, i quali, scac-
ciali dai nativi dirupi, s'avviarono verso Parga b mendicarvi un
asilo; un altra'Cdigliajo, guidato da Bozzari e da Kulsonikaj, ri-
coverò sulla montagna di Zaiongo ; e poche centtnaja orano
disperse a Burgareli nella Sciamuria, a Reniassa ed in alcuni
angoli d' Epiro. I primi, in onta al salvocondotto stipulato con
Ali, furono assaliti per via e sbaragliati. Quelli di Zatongo foròno
raggiunti e circondati da un' altra masnada di Turchi^ e, dipo
una disperata resistenza, furono per la maggior parte massacrati,
mentre cento cinquanta appena pervennero a salvarsi col favor
delle tenebre. Allora fu, che sessanta donne Soliotte, vedendo
r esterminio de' lor cari, prima di cadere nelle mani dei Turchi,
preferirono gettarsi dalia vetta d'un precipizio eoi lóro figli.
Da Zaiongo i Turchi passarono a Reniassa, e, trovandola sprov-
vista d'uomini, trucidarono le donne ed i fanciulli. Ivi la sola
Despo moglie di Giorgio Bozzi oppose resistenza al nemico;
dappoiché, radunate le figlie e le nipoti, lo respinse per brevi
istanti dalle finestre a colpi di fucile, ed allorquando scòrse i
Turchi entrare nella propria abitazione, diede fuoco ad un barile
di polvere apprestato nel mezzo della stanza, sepcilendosi colle
figlie e coi nemici sotto le rovine del proprio letto.
Finalmente i Suliotti di Burgareli , ai quali cransi unite con
Bozzari le poche reliquie sfuggite al massacro di Zaiongo, (c-
mendo la persecuzione del mostro di Giannina, cercarono m
dell' EPIRO. 97
rifugio suU^ inonlftgned*Agrafa, tango le dirupalt' Sponde del-
lAspropòtamo. Ma quivi pure ftironò presto rtiggiiifiti dall' insa-
ziabile rabbia d*AH, che vi mandò' nuove Iruppe toH' ordine di
esterminarli. Risoluti di perire colle armi alla mano, quegli in-
felici si difesero, sinché ebbero provvigioni e forza ; ma, oppressi
dal numero, ed estenuati dalla fame e dalla fatica, furono tr«^
cidati , ed appena cinquanta riuscirono a salvarsi prodigiosa^
Diente con Bozzari, ricoverandosi in Parga, In quest'ultimo di-
sastro le donne Suliotte non ismeiitirono il disperato coraggio
delle vittime di Za|pngo, mentre Je qndQ spumanti del rapido
Aspropòtamo inghiottirono ben oltre centocinquanta infelici, che
dair eccelse ropi vt si precipitarono coi propri figli.
Per tal modo, e solo colla distruzione quasi totale di quella
magnanima popolazione, ebbe fine nel : 1S04 la sanguinosa
guerra della Suliotide; ma non por questo ebbe:fine la fermezza
ed il valore degli Epiroti, mentre più tardi» come accennam-
mo, le poche reliquie di quella «trage eimtribuiroiio precipua-
mente alla rigenerazione delta Grecia. ,
Tali sono gK avvenimenti speciali; ai. quali si riferiscono le se-
guenti canzoni, che, tradotte né vari dialetti epirotici e greci,
sono diffuse per tutta T Albania, k Macedonia, la Tessalia, la
penisola e risole del ntiovo f^gno.di Grecia. Noi le riportiamo
come Sa^o, mentre raggimrdevole è il nmneco dei canti rela-
tivi alle ultime guerre, avendo avuto i Liapi 'atesai, nemici de'
Snliotti, i loro poeti, che celebrarono il valore, e la potenza
d'Ali. Altri componimenti s'aggirano sul miserando eccidio di
Gardichi, nuovo testimònio terribile dell' estrema perfidia e cru-
deltà di quel principe; e sarebbe pure « desiderarsi, che qual-
che culto Epirota imprendesse a fome raccolta, nella speranza
di riempiere per tal mezzo tante lacune dell' oscura istoria di
quella regime.
I£iit»#idka e nosco
A Zeritsana, sui confini di Sali, f
Presso la teoeliià cappella staono i capitani Torchi,
OsserTando il combattimento de* Suliotti ;
E come i fancliflli e te donne pagnatao at par dei mariti.
Kutaonika eaclama dai ano posto;
« O miei figlii coraggio I siate. valorosi;
7
98 DELLA LBTTIRATUaA POPOLARE
« Eeeo, f ÌMM iMtar eott do4iet mìk Torolu r«
Pfi rifalfe ipifffOTTia^ l«!parok aC Taidii: '
« Ofe «orli, Maklar figiio d'àh codtrdo.Uipof
, « ^lofi è qa«U Kormovmi^ non è jMi|;I!ti^)io,
^. « Per liurfi prigHim i fiuioHiUi • ki doiiMi
^^ « È qnósui la ir«maoda Sirii, rtnoiiiàta pel ^mondo,
. ^ « Ofe la moglie dì ZaVeUi eonbatte eeme no eroe;
f Coi cartoted. Ml'iteinJ^iale, coUa aeiaboU w^a^
« E col Unile nell'allM, essa ts iantati a lotti! »• . ,
Tre aigi^ ài poeshmo sdtt*altiira di 6. Btta:
' Uiio osaerra Qiauikia; rdtrai Snli^
11 iène, il minore, al lamenta/ e dieai ■
ÒB Albaneai aono tiiuifti centro Sali;
IVaeteadardi partirono aoMerati;
VàQ è 4el baselà Hnktar, raltro di Msaqlione, :
II terzo, il più valoraao, è det SisUktir.
La moglie d'iif|M|ii A mira da nn eeile^ «.gridai '
« Òto ìiieté, flgB di iBeìttari e di Kótsenikaf . .
« Gli Albanesi d analgcmo, éi fiume prigioni, *
« CS oendamnoo a Tebeiest per fiird Torelli? »
Ma dair alto d* Avariko, Kniaoftika gridai
« Non temere, 'dònna, allontana talli peasiori;
« Vedrai una batUgiia, ed i fucili dei GlelU; .
« Vedrai come pugnano i Glefti ed i Soliettì! »•
Ei non avea pronunciati qaesti detti,
*"• Che i Tardu iBggfcrono a piedi ed a eaTallew,
dn fuggita, e chi gridata : « MaladettO'basdà»'
« Qnesf anno ci recasti grande sdagnra; : ^ '
« Quanti Turchi hai perduto ! quanti SpaU ed AibUlNi 1 »
E Bozzari, colla sciabola sguainata, gridata:
a Vieni dunque, o bascià; perchè t* arretri e fuggi?
ff Ritoma ai nostri monti , alla poterà Kiafa ;
« Vieni a porti il tuo trono,. a ferriti soltane I a
Zanella e Bozzarl
La moglie d*an papà dalia tetta d*AtaHko eselama:
« Ote siete, o figli di ZatèHa, e di Boczari?
DfiLLMMRO* '99
« Una Dub« dioombaUeoti a piedi td'à «avalla t'appressa;
« Non soD «aro, né due, nè^lre^ nò^nquenMIlt;
a Sodo dìedotto o diecmeva migUaja. — . *. i :
« Eh! VBogi^ questa tanaglia rtlw:piià maiftroi?
(( Venga a pr^Tare i fimli 4ei dcAii -.■ .
« La sciabola di ZaveHi^ il noscbelto di fioiìiari^ .
« L*armi delle donne di $ali, della celebre Mosco ! n
Cominciata là' p¥gn^, ed acceso" ìt fuòco et' facili,
Zavella esdapnò a BosHuried a. Zma;
a Cessi il faoco, oraè t^pa ^'f^^ktprarjB. la sciabola. »
Ma Bozzarì risponde. iMjan^-pt^tOf ;. . .
£ grida: « Non è ancora il momento della :Sciabola:
« Rimanete nel bosco, scherinitevi ,dietra .^1 scogli,
« Poiché i Turchi, son molti^ e pf>clii | Sulioai. »
Zavella allora gride a>aoì prodi:.,
« E sino a quando aspettéreiuo questi :C(uij 4* Albatnesf? »
Tutti allora speuaropQ U fodero ^^e.aciaboìe,
E cacciarono i Tinr^iii..§Hgiui^ di mi^ntoai.
Veli esortava i suoi jBi:fm Y^lgece ^.donfo;
Ma i suoi rispondeano colici Aagnjqe. agU occhi :
« Non è questo Delviao, lum à VidinOv . • ;
« È la famosa SuU, rinoi^ia^i^el moiid^;
« Quivi è la sciabola di Zj|veUa, ì^f^^^^i Aureo sangue,
« Che avvolse tutu TiUbapif m.ffùti(.^:.l«itto,
« Che fa pianger le madri pei,l/>i;o,]l9|;l^ ,. . .
« Che fa piangere le spose pei loro mariti ! »
GII OmtiHfgfi, pllt^U
•■•:,. '■'•;• 'i
Nere nubi coproao Suli e Kiafii; „ .
Piovve tutto il giornq, nevica tutta 1^ noUe,
Ed agile un Suliotto arriva dalla parte di Sistrani.
£i reca novelle, tristi novelle da Qiannina;.
Q Gli ailettti hanne tradito t liaiofaai.*,.: > -..luru . .; . - '
« Pigli di roto, prodi di Dreko, lidìMiJ '-'^ ■'
a Délvino il traditore ha venduta jjuò^irt ijl'atelli; ! ; '.
<i Ei li mandò tutti e sei iyeierae al' ba$ci^ . ! ,
« Ah ne fé* morir quattro ; conpesìse a due la vita,
« Al fratello di Foto; al figlio di Dimo Drakò. »,
100 DELLA LBTTISàTUiU POPOLABB
Foto • Dwfco »i tùnmofiaao • tate miiMPiic ..
« Protoptpà, m§mko pnimM al m^ ite* aacaidoti^
« iDtnoiia rof&ùo de' Morti far ^pie*<sai
« Per ootaos tutti motti, ak 1 dtae; cho:i.^
« U bascià non fa j
« Ogni Soliotlo in oso poto». paiMioi, è «orto. »..!
. La Cateéa dì HimìlBl
Un «ìqféUe è gfont» «tf BdK' ' ' " "^
I PargifMti t^lMerfogaimio,^
I Parganiótli'cjll tlhedòno^
« Angenò, Vondé vieni?
ir Augello, dove TtóT'-^ '^ •"»
a Vengd dalla inbera SoUr '
« Vo al paese del Prandir."—
A Aàgellé, deh ! cf raccontii, /
« 'fteéict qtoMelie liiiista novellai *^''-
« Qual novèfla tèeahrlf . i .
ff Ghe min pboaMò dlHriT '
« Che i Tnn^'Aàn preoò Ééà, . ■' - ■^■
« E la valente Avarfk^; '-
« Han prestf idiftì là foite^ -
ft Haà pi^BiMi Khiffghi la prode,
« Ed atibhfeiiuròno'il iMtcerdote ' '^
« Con qciltro valorosi t. »
Ileapo e le •«€ flclle
Odééf'inf f(ktRi' niihòrer '
Piovono i colpi di fucile:
Si festéggtabo forse afcatié nonef "
si celebra qualche flBstiT : " i ■
.li'—.' » ,■ ■ ". •'
•I Quando ì Suliotli abbandonarono founghi , ' vi lasdaronò II monacc
muele con quattro uomini, ìncarfeatO' di eonaegnaro 4i-'TMcld<>la forte
le poche munizioni che vi rioMn^xiuWb Duo Mfficàali Uinhi o'dVMizDrono, •
riceverne le chiavi, e vivendo Samuele imperterrito, che li asp<^tava se
sopra una grande cassa di polvere, ^ chiesero soitidendò, gniA tratura
ei s* aspettasse dal Vitir, daebttè era'eodnto neHooo» maalt Samuele
vomente rispose: Qhi fa,éBUa^wia qu9l ctmjlq^pk'io mi.faiyo^ non iem
polv<
f^Mii Visìr ; e s) dicendo, appiccò il fuoco alla polverf , e saltò In aria coi
ufRciali e co' suoi. . i . . v. «
hfXh EPIRO. fOl
:No9 si.eelebrmi noue» i . > //
Né aleon lieto festiùp. ,, , ;.::•' . ♦'. .
Ella è Despo che cMibHte. ,, ;
€oUe figlie e colle oippiU
Gli Albaoedi riMuiDfi! assalita ,.;:.;(
Kella:torc« di Dtqiula. . ,•;«>
.. ! n tendi TariM, moglie ()i €it9rfiiw ,:
«KoU-i-fne^à Soli,.;-: ;,;.-.. |. i: '^ii- : ;'. ■ ^' •:<
« <}m: sèi schiava 4fbt iMsci^ :: .
ff Prìgi^iefft degli Albaa^. — ;
<« Se la prode Sali a' amsa,
«( 8e Kafa è fatu (area, , .
« Despo non ebbe, e non afvà mal . .
« De' vili Liapi pier signori. »
. , Essa afferra USL tìtzoiie,
Radane la figlie e le nipoti, ,
« Fuggiamo la aehiaYitii de* T^tdiÌM.» ...
Xsdama, « tegni^imi, onMe.'%Iiel jr ;
Ella ék fuoco aHa poltere» . . « -u- .
' £ tutte acompiyoqo' nel ftioeo. : .
Dalla forma e dalla naUira di tfuèsti* c«ii|M)iiimeDti è mani-
lesto, come una oompiata raocdlà dei medesiM valer potrd>be
a docmnentare, non che a riem|Nere alquante bK^ne DdUi storia
di questa regione d^Europa. Una sniilé impresa conpl con inge-
gno ed eradizione pari alle difficòllà il benemerito Eaiurieì, per
ciò che rigoarda i canti popolari dei. fired;» parecchi dei quali
appartengono alla storia epirotiea, é.^Mo produzioni degli Epi-
roti stessi. OKremodo importante :sr è' poi < il : confronto di questi
canti cogli epirotici» rivelandoci -sovesfe fra le due naaoni molta
simi^ianza nei donestici costumi y nel modo di costruire i
sepolcri, nei concetti, e quel ch^è più neiia n^niera di rappre-
sentarli. Cosi negli uni come ne^i altri, il montano ingello è
sovente messaggiero ed interprete delle sciagure e dei voti na-
zionali, T amore dell* indipendenza, il disprezzo della tortura e
della morte y il commercio de' domestici affetti, il desio ddla
pi^na persin nel sepolcro^ la non: curanza del presente, la spe-
ranza nell'avvenire, sono le molle principnli cosi dei>gréci» che
degli epirotici componimenti.
f M DELLA LETrtaATSIA POTOLAIE
Avvertirenio per ohuM, cmm wom mmìk raeeolUi opporUina-
mente ordinata fiimierebbe il solo lap— falò mo e ìndestmttì-
bile, eosi della lingua, cone dei dUfellì pnrfaili dalle varie tribù epi-
roliehe, giaeebè poco valgoM a rappraaetttaria le Tersioni ser-
vili della Bibbia e del^ CMediiMO; «die fmli alfe qoali ii
filoli^o possa aUiDgeme la etìgmnomé BiseHiandod a parlare
altra volta di proposit» ddla varietà di questi dUrtti, e deUe siii-
ftìie proprietà che li distinguono, hartctii* fet ora avvertire,
come siano a notarsi neirAlbania sri diafetti principali, e come
fra le stesse colonie di Greci* e d* Italia "ri siano parlati con
alquante varietà. Questa iKstinzione deriva, non solo dalla no-
tevole differenza della pronmeia; ma akreKl dalla varia loro
mistura con altre Kogne, prevalendo nell^mio buona copia di
radici turche; le slave o bi^iricheìn altri; le romaiche e le
italiane negli ultimi. Alla qnal mistora, prodotta in tempi mo-
derni dair immediato commercio con tante- 'diverse nazioni, fa
pur mestieri avvertire con ispeciafe cura, onde non essere stra-
scinati ad illusorie induzioni neHe etnografiche ricerche.
A compiere questo rapido ceéno ci' restei^bbe a parlare de-
gli autori, ai quali tanti componimenti d'ordinario s'attrBHii-
scono, il che faremmo tanto più volontìcrì, quanti più dovuto
ci sembra un tributo dirio^noacoiiza e di lòde ai idbiHi/Caori,
che seppero cotte sf^ntanee Jakpirazioni deih Attor» dipiimBre
i nazionali costumi y o Iramandafè ai posteri Ja: a wa aariai dei
generosi loro eempagqt! di avedtura; alai, i sibiudi fiOpinlici,
del pari the quelli' di'; tante altre naooniy!iaànb<:«cdnosoÌQli
in patria, come: aftro^è. i Egli, è un btlo ichb*.v«g0Ìa«lo rin-
novarsi tuttògiòrao; eaiandio aiel «ano :ddiioi!aaaioiijk. màvitt-
te, ovo quali perii iiec|nlesiimaiapfiaFe d'^iMfNrot^sQinia poe-
sia popehipe^ 'òella vélooilà del lainp^^ A difflmde pbr le città
e le campagne presso ; unMntera popébURiBe;> superando lìalvolta
ogni naturale barrieMn né piai, viene, aecoinpagnata dal none di
quello che ne fa autore;-! Certe' è, che le cannoni dello quali
abbiamo recato un Sa^^bifurimo^^dettatb pel popolo 4». iiomini
inculti éhO'bè dividevànd cosi i sentiinenti,' comei id^ilìni; e
quindi le line. dovelteré essere insfiirate ad un' cleAa negli ozj
delia paèev le altre «d un irrequieto eokrsaro,! altre- ad: un pla-
cido pastore; e si le une che 4èl altre sono opera, o d(# guerriero
cui la rabbia dell' oste avea rapilo il duce, o deir amante mal
dell'Epiro. 103
corrisposto^ o della sposa cui fu involalo il marito, od i Agli.
Egli è vero bensì, che eziandio T Epiro ha i suoi rapsodi er-
ranti, per lo più ciechi, o vegliardi, i quali ricercano di vil-
laggio in villaggio i popolari convegni nelle pubbliche feste, e
cantano sulle piazze i componimenti proprj, o raccolti ndle
continue loro peregrinazioni; ed è pur vero, che in generale
vengono risguardati come autori dei medesimi ; ma facendo at-
tenzione alla varietà dello stile, dei colori e dei dialetti, non
che ài vario genere dei componimenti da ciascuno prodotti,
non ravvisiamo nei menestrelli orientali se non i raccoglitori ed
i depositari dei multifarmi prodotti della musa nazionale, i cui
prediletti cultori sono confusi nella moltitudine delle varie classi.
Checché ne sia^ e comunque inferiori apparir possano gli
esposti Sag^i a tante sublimi produzioni dell' arte, non che alle
popolari inspirazioni d'altre stirpi, nutriamo ciò nùllostai^
fiducia d'aver recato una nuova é non inutile pietra all'edificio
della nuova scienza, sottoponendoli per la prima volta al giudi-
ciò de' nostri studiosi connazionali, mentre dichiariamo franca-
mente, che non fummo punto allettati e condotti a simili ricer-
che da vaghezza di novità, o da ammirazione per le poetiche
peregrine bellezze, che in qualche riguardo, e almeno per l'ori-
ginalità del soggetto, della forma e del concetto, hanno pur dritto
alla nostra attenzione, ma bensì dalle molte ed importanti ap-
plicazioni che far si possono di questi componimenti allo stu-
dio etnografico ed a quello ideile nostre origini, persuasi che
solo allora perverremo a solide e irrefragabili induzioni, quando
avremo intimamente e in ogni riguardo studiato noi stessi ed
ì popoli dai quali siamo da lunghi secoli circondati.
r; L>
■ I. .1.
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ORIGINE, DIFFUSIONE
ED IMPORTANZA
DELLE
LINGUE FURBESCHE
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',5 /.
*f .'
u ?
ì'r,:^<^Miin ;'ii»:v/'iJ
Yx sono m iifftura alcupi fenomeniV-ai i|urii «l'ònUiMnrìo la
mente dell' ùoiii(y si abitua sin dati' ioftbKda per medo, che, in
oDta al continuo loro avvicendarsi, passano per secoli itosser-
vatì, o negletti e i*epiitati di neasan èoMia, Mbbeiie^per lo più
racchiudano' H germe feeondò di nuove ed i|n|MilPtaÉtt rivélazio-
ni, porgendo il bandolo atto a svolgere le |Mà' rdtricMe ricer-
che. Fra questi appunto ci sembra di poter annoverare un fatto
onerale e costante, comecché non per anco posto in chiara hice
da alcuno, ed è: che Tuomo stretto ad un patto sodale, oltre
alla lingua generale, comune a tutta la società /c»ù apptrtiéiie,
si studia per lo più di fomarsi un'altra Kngiia seoralft^ con-
venzionale, onde ihingerlo impunemente, QO^sl^ & ci|j^ astrat-
tamente e parziahnente considerato porge novella fmivi. diel om-
tinuo stato d'azione e reazione nnH'uomò sociale, e oMstaeé ad
importanti osservazioni sili processò dello spii^to umabo nella
formazione de' primitivi linguaggi, ò talmente generalizzaliH che
non v' ha quasi società pubbrica o privata, presso la quate non
si trovi più meno ripetuto.
i08 ORIGINE, DIFFUSIONE ED IMPORTANZA
Egli è generalmente palese, come nella grande società, presso
tutte le nazioni incivilite, e in ogni tempo, quelle turbe abbo-
minate insieme e compiante d* individui che sprecano la vita,
aguzzando di continuo F ingegno onde appropriarsi ingiustamiente
la roba altrui, si formassero una lingua convenzionale, mercè
la quale possono di leggeri intendersi non intesi, deludere la
pubblica vigilanza, e concertare talvolta le proprie difese, per-
sino fra le mani della giusti:^ia che li ha colpiti. Quest' artiGcio
ù ormai a tutti palese, dappoiché il fatale segreto fu strappato
più volte di mano agli iniqui dalla vigilanza della pubblica tu-
tela, e spontaneamente rivelato da alcuni ravveduti, o indotti
dalla speranza di minor pena; sicché odesi risuonar tuttogiorno
sulle bocche de' monelli che frequentano le pubbliche vie. Che
anzi uno strano capriccio de' secoli scorsi introdusse talvolta
questo barbaro gergo nella nostra letteratura , mentre valenti
scrittori lo adattarono all'italiana poesia, altri ne compilarono
Saggi di Vocabolario e lo introdussero sul teatro, altri si fecero
ad imitarlo, raccozzando per trastullo una insipida lingua figu-
rata, cui diedero il pomposo nome di Janaiattica, profanando
cosi i classici dialetti ionico ed Attico ^ ; ed ancora ai di nostri
un gusto non meno strano, risorto sulle rive della Senna, ri-
produsse il ger^ deVodalaDchrioi in parecchi iQftd^ni .^mponi-
menti, intesi a descmvere i corrotti costami; 4^))e:(CÌassi pjù
abbiette *. ' r ; : ?.
Ciò non pertanto «presto fenomeno ufMS^ ^vvieaie.s^^ appone
ctassi malefiche e proscritte^ per le quali un segreto linguaggio
è un naturale bisogno; ma, addentrandoci neà eostiqni d^.ogni
i^ E noto come il Moniglia, U Taazi, H Guarioi ed ima schiera di ^
lofscani detlassero comQOQìmeoti di vario genere in questa lii^ua* Un tal
delirio occupa una brutta pagina nella storia delle nòstre lettere;" gli' teóioe
dietro la ridicola moda di scrivere senza ttensOf e pej^ò ineorktf^iMmo', del
che abhùuno un insigne modello, neir Adramiteqo , tragicomedia ^=nm sena-
tore jpiemontese, che è un capo -lavoro di melensaggii^ e di follia. Noi ci
siamo dispensati dal pailare a lungo di questi traviamenti, che vorremmo se-
polti in p^etao obblio, e solp dobbiamo avvertire, come parecchi scrittori
confondano a torto la lingua con^nzionale de* maiandrioi colla janadàUioa
degli scrittori, essendo questa bens\ formata ad incitazione di quella, ma ciò
nullostante dalla medesima distinta.
S Veggasi: £$ dernier jour d'un condamné^ ^w Vietar Hugo; Notre Dame
de Pctris^ dello stesso autore ; Les Mjfstères de Paris , Le Juif Errant par
Eugène Sue, Les vrais Mystères de Paris, par Vidocq» e parecchi altri com-
ponimenti di minor conto.
DELLE LlIHGCJfi FUnBÈSCIft Ì^Ò
uiira classe, le veggflimo rinnovarsi eziaDdiò,«Qbìttieliè isoltò al*
(re forme, e con nieijio colpevoli fini, cosi fra le iikltistriali e b^
nemeriie della società» come fra,le:]èoinuoiohi.8colaslich0;eper^
sino fra le tranquille pareti delfe società ,dmnèsttche« Nmi v'ha
quasi ^rte meccanica esercitata in comuBÌoné da^peirecdM indi^
vidui riuniti, presso la qiHile non si mVenga qualcbegei^. con-
venzionale; non v'ha società permanènte grande 6 fiiecola, poh-
blica privata, ove, in akarii; tempi e eircodtanze'^ ndn ahlMi
luogo un modo convenzion^ed'fispriitttrtil' divèrso da quello
che è comune a tutti i membri ideila medesima. Cosi J.Quiralori
hanno per lo più un {ergo particieibure, eoi quale isoglfono c<h
municarsi a vicenda i lóro pk*ogetti,« deludere la sorv^Uanza
de loro padroni; e questo gergo, con pocliereli|^reiVarJclà^\ò
laUnenie diffuso in tutte le nostre provineie, che agevolmente H
muratore delF una intende quello deUé nlUreji'ceiÉecobà'lòntane e
da politico reggimento disgiunte. I tesMori, e:iulti< jgliànigiani
avvezzi a passai'e *m comunióne mtére stagioni in vasti laboratoi,
hanno essi pure un gergo pH^io^ i caMerai> che, scendenda
dai nativi lor monti, percorrono: intere provincia, onde .esercitarvi
Tarte propria, incontrandosi per le vie, si eónsìgttano a vicenda
con una lingua convenzionale. God finalmente nelle case d'edu-
cazione e nelle famiglie odonsi talvolta eon£usi : linguaggi , eoi
quali i vispi alunni tentano celare frivoli giuochi ai superiori, o le
inesperte donzelle raccolte ai iavorb^ versando. nel senbdett*»^
mica la pienezza del loro cuore ciommosso de un sorriso della
vigilia, sottraggono i loro palpiti alla vigilanza materna.
Indotti dalla sorprendènte generalità d'^unliaiUo cotanto strano,
e guidati dalla speranza di eógliere pur qualche: uCSe insegna-
mento in un campo sinora affatto iaesplóralo^ abbiamo instiUlite
lunghe indagini, onde raggiungere la òognjiaiónfi. de' principali fra
questi Unguaggi, e siccome^ dopo averti parzialmente esaminati e
confrontati fra loro, vi abbiamo rinvenuto parecchi elementi che
iuteressar possono lo studia delle lingue, dei pari che quello deP
r uomo, cosi abbiamo stimato util cosa il ehiaiBarvi t attenisione
degli studiosi, porgendo loro: breifieinente le iiiostrè ostervazioni
suircH-igine, sulla formazione e sulla natura dei medesimi^ no»
che sulle cause della loro diffusione^ sui lóro rapporti é^sul pri»-
mario loro scopo. Sopra. lutto ab)>idmo rivolte te noetr^BiDdagioi
al più iiliportaule e più datt«nso>!fra'ii|ng«bggi ^furbeschi,: i(
HO ORIGINE, DIFFUSIONE ED IMPORTANZA
quello cioè dei iadri^ essendo pia sviluppato e più diffuso; ab-
biamo indagati i principali caratteri cosi dell' italiano, come di
quelli che sono usati dai malandrini di alcune altre nazioni^ ende
instituime il confronto, e considerando, come la cognizione dei
medesimi possa giovare a preservarci dagli iniqui loro disegni,
abbiamo compilato un Saggio di Vocabolario furbesco italiano,
francese e tedesco ed ordinate alquante notizie e poesie furbe-
sche, nellopera da noi testé pubblicata col titolo: Studii suite
lingue furbesche (Milano, Tip. G. Civelli e C, 1846).
L* importanza di queste notizie venne infatti rìoonosduia da
alcuni provvidi governi, i quali non solo s'adoperarono,Spf&nchè
venissero con diligenza raccolte ed ordinate, ma ne prescrìssero
eziandio la cognizione agli stessi ministri della giustizia, onde
avessero a procedere con maggior cautela nei loro giudicii. Egli
è vero bensì, che una tale importanza è alquanto diminuita,
dappoiché la saviezza dei governi diede perpetuo bando al va-
gabondaggio , e le novelle inslituzionì politiche e civili resero
più difSciie il commercio de* nìajviventi, e la diffusione.de* loro
artificii; ciò nullostante il segreto loro gergo fu per tal modo
ristretto ad un minor numero d'individui, non già distrutto,
essendo anzi nel suo pieno vigore appo ogni incivilita nazione.
Con tutto ciò l'importanza delle lingue furbesche apparirà an-
cor più manifesta, ove si attenda al modo col quale sono for-
mate, ed agli dementi che le compongono; dappoiché il modo
traccia il processo dello spirito, neir uomo rozzo e privo d' ogni
morale instituzione, per la formazione artificiale d'una lingua, e
gli elementi racchiudono talvolta ruderi d'antiche lingue cadute in
oblivione, die invano si cercherebbero altrove.
Ciò premesso, considerando l'origine e la tendenza di tutte
queste lingue artificiali, noi le abbiamo raccolte e designate colla
generale denominazione di furbesche^ perocché la quotidiana espe-
rienza ci mostra, che tutte trassero più o meno la propria origine
dalla naturale inclinazione dell'uomo a sconvolgere insidiosa-
mente l'ordine fondamentale d*ogni singoia società, tale appunto
essendo il primario scopo di ciascuna. Oltre alle prove di fatto,
ne abbiamo un'ovvia spiegazione nella natura stessa della socie-
tà. Infetti, premesso il grande assioma, che ogni società consiste
in UH mutuo contratto fondato sopra un determinato numero di
leggi, é chiaro^ che queste impoofono obblighi e proibizioni in
DELLE UlfiiieE. PURBSSCUfi 111
eompenso di vantaggi e di pr^ni che retribiiìsoono. La foraiazio-
ne , conservazione ed esocuuooe di questo contmuo suppongono
necessariainente chi comanda e chi obbediscisi Ma, per qoanto sto
proporzionato TobbUgo al premio, peri^qimito provvida é salo^
tare la proibizione, Fnomo, per ima: ie^fttale di natura, ri-
fugge dal primo, e mai s(^re la seconda. Di qui nasce in lui il
desiderio di frangere il patto; Y opposiiio6e delle leggi e di
quelli che no sono interpreti e custòdi, anzi la reaàone stessa
del ma^ìor numero, cai giova là stretta osservanza ed inviolaU-
lità del patto, lo costringono a reprìmere i) soo desiderio, ed a
maturarne in segreto l'esecuzione; T altrui Èiospetto genera diffi»
denza e circospezione; quindi la nèoessntà, d'un gergo segreto,
convenzionale. Esamiiìando da vicino la Cagione d' ogni lingua
furbesca, ne emerge evidente i^ueBl^ origine comune; onde ci
sembra di poter con certezza affermare, cbe le lingue furbesche
in generale sono un male inerente allo: Mato sociale dell' uomo,
derivato cioè dalla sua naturale. ripugnanza all' obbligo^ ed alla
proibizione, che tende ooatinuamepte alla soioztone d'ogni sin-
gola società, come all'opposto la lingua onerale -è m bene ne-
cessario alla fonnazione e conaervaziobe della medesimia.
Se queste considerazioni valg^o a repder > ragione dell'esi-
stenza d'una lingua furbesca presso quasi '<%nY singola società^
non bastano a spiegare la procKgiosisilDrO' diffusione, giacché pa-
recchie fi*a loro, oome abbiamo no<ffH>y sono- pai4«Ae con leg-
giere varietà in molte provindoi aMcónBtdKfetdi riistanze. Fin-
ché si tratta di qualche gergo |Nirlato dagK individui ttìèv-
centi l'uno o T altro mestiere in una vasta città,' il^frcfqUente
commercio fra loro, al qnirfe soiio natut^Imente esposti, può
darne bastevole spiegazione; «1^ là diffusione 4e] medesimo
gergo in varie lontane Provincie' deriva '<la caose di natura
diversa. •■;■ ■••- ■
Quanto ai gerghi di alcuni mestieri, osservando la massa di
quelli che U esercitano, li veggiamo per lo pih nativi d'alcune
valli, e talvoHa di alcuni distretti, i cui abitanti quasi esclo^
sivamente professano da secoli, e si tramandano di padre in
figlio, Tuno l'altro mestiere. Quest'osservazione é costante in
tutte le regioni alpine ed apennine, e noi abbiamo incominciato
ad esporla circostanziata nel nostro Saggio sui Dialetti Gallò-
Italici, ordinandovi appunto un pros|Tetto dei mestieri esclusi**
Ì12 ORIGLNR, DIFFUSIONI ED IMPORTANZA
Vilmente esercitati dagli abitanti di .ciascun villaggio, per tiua
parte delle nostre montagne; il qual lavoro potrebbe giovare a
molte ricerche di natura diversa, ove fosse compiato per tutte
le nostre riegioni. Ora la maggior parte di questi arlignini so-
gliono appunto emigrare annualmente dai montico dalle terre
native, spargendosi più o meno per le varie città d'Italia, di
Francia, e persino di Spagna e di Germania, ove si recano ad
esercitare i rispettivi mestieri, e frattanto conducono seco i prò-
\m figli, ai quali, divenuti adulti, rinunciano le proprie cKeatele,
ritirandosi a chiudere fra i monti nativi T operosa ior vita. In
qualunque paese scel^no stanza, si associano ben presto ai loro
colleghi d'arte, coi quali dividono sovente le fatiche ed i guada-
gni, e nel comune interesse vanno modellando a poco a poco
una medesima foggia di vita, la quale prende «n aspetto uni-
forme sopra una maggiore o minor estensione di terreno, a
norma della maggiore o minor diffusione d'ogni singola classe.
Per tal modo appunto anche i rispettivi loro gerghi si estendono
dall'una all'altra provincia, e passano senza interruzione dall'una
all'altra generazione, inavvertiti dagli stessi artigiani che li parla-
no, i quali, trasfereddosi da un hiogo all'altro, non senza sor-
presa trovano dovunque colleghi iniziali in ciò che credevano
proprio segreto esclusivo.
Ben diverse dalle accennate sono te eause delia diffusione del
gergo de' malandrini , il quale tuttavia è il più esteso fra tutti,
giacché l'osservazione costante dimostra, uno solo essere il gei^o
comune cosi ai miserabiU che van popolando gli ergastoli di
Padova, di Mantova e di Milano, come a quelli che trovansi rin-
chiusi nelle carceri di parecchi altri Stati d' Italia. Questo sor-
prendente fenomeno devesi attribuire l."" alle frequenti migra-
zioni, colle quali i colpevoli tentano sottrarsi alle ricerche della
giustizia; S."" al frequente loro commercio, giacché, se non hanno
un centro di convegno nelle officine, nelle fabbriche od in one-
ste adunanze, non mancano loro le taverne, i lupanari ed i
trivìi, nei quali agevolmente s'incontrano, si riconoscono e
si associano; sovente ancora le stesse carceri giovano all'esten-
sione dei loro rapporti, onde più volle si videro malandrini, di
recente liberati dal carcere, recarsi d'improvviso da un luogo
all'altro, a consumare delitti concertati mollo tempo innanzi a
parecchie miglia di distanza; S."" finalmente ai libero v^gabon-
DELLE LINGUE FUHBSSGHE. 113
daggk) troppo diffuso e tollerato ài tempi (Ielle peregrinazioni
religiose, nei quali è probabile, che Tattiìale gergo furfantino
avesse origine^ provata essendo T identità del medesimo con
quello degli antichi questuanti, i. quali sovente solevano coprire,
sotto la veste del pellegrino penitente reduce dalla Palestina^ i
loro inìqui disegni. Questa osservazione, provata ad evidenza dal
confronto dei Saggi di lingua furfantina pubblicati ne' secoli
scorsi con quella che parlano oggidì i nostri borsajuoli, ci in-
segna eziandio, come questo malefico gergo vada propagandosi
tradizionalmente, non solo da luogo a luogo, ma da secolo a
secolo, senza veruna interruzione, in onta ai cangiamenti deHe
instituzioni civili^ ed alla crescente vigilanza delle léggi.
Ma v' ha un* osservazione ben più importante a questo pro-
posito^ e consiste nella grande rassomigliaQza che la lingua fur-
besca d'una nazione serba con quella d' ogni altra ; dappoiché
latte concordano nel principio fondamentale di rappresentare
gli oggetti per mezzo delle precipue e più ovvie loro proprietà
peculiari circostanze. Per dame alcuni esenipi, il malandrino
italiano suole denominare ingegnosa la chiave, èruna la notte,
travaglioso il carcere, cruda h morte, giusta la bilancia, dan-
nosa la lingua, calcose le sciarpe, polverosa la strada; il Fran-
cese appella dardant T amore, carranle la tavola, filoche la
borsa 9 monta regret la ghigliottina, bouffarde la pipa, cornant
il toro; r Inglese chiama blower la pipa, bones i dadi, bishop
il vino misto con acqua, glaze la finestra, guspel-shop la chie-
sa, gallopar il cavallo; il Tedesco denomina Langohr l'asino,
Langfusz la lepre; Schnee la cera, Rothhosen le ciriege, Blan-
ckerl la neve. Piali fusz Foca, Grunling iì prato. Questa si-
miglianza appare ancor più manifesta in alquante omonimie, che
non sembrano tutte opera del caso. Così T Italiano ed il Fran-
cese chiamano del pari arlon il pane; il primo appella lenza,
ed il secóndo lance, Tacqua ; quello Carlo^ bria, fìabuino, crea^
e questo Ckirle, bride, Raboin, criole, il danaro, la catenella d'o^
riuolo, il diavolo, la carne; l'Italiano, del pari che il Tedesco,
appella tick F orinolo; l'uno bianchina, e l'altro Blanokerl la
neve; quello grugnante, questo Grunickel il majale, che l'In-
glese dal canto suo denomina grunling. Altrettali omonimie rin-
vengonsi agevolmente , ove si confrontino fra lora i Vocabolarii
Ili ORIGIxNE^ DIFFUSIONE ED IMPORTANZA
furbeschi di queste nazioni coi rispettivi deir inglese e della
spa£;nuola.
Ora siccome quest' analogia di principi! e di forme è costante
in tutte le lingue furbesche, da noi parzialmente esaminale,
come è manifesto nei Saggi di Vocabolarii diversi che abbiamo
pubblicato, cosi ci si affaccia spontanea la dimanda: come mai
uomini di varie stirpi, separati da barriere politiche e naturali,
nei segreti loro conciliaboli hanno calcato una medesima via, e
formato separatamente più lingue, comecché dissimili di suono
e di radici, alfatto identiche nella loro essenza?
Una tale questione, puramente psicologica, potrebbe per av-
ventura frultJirci col suo sviluppo utili ammaestramenti sul pro-
cesso della mente nella formazione de' primitivi idiomi, giacché
l'uomo rozzo che, privo d'ogni morale instituzione, ed abban-
donato alle prave inclinazioni di natura, si accinge a formarsi una
nuova lingua che provveda ai bisogni d'una società no-vella,
differisce poco dal selvaggio, che, privo ancora dei beneficii del-
l'incivilimento, fa i primi sforzi per raimodarsi in società co' suoi
simili, ed apre commercio con loro, designando col mezzo de
suoni gli oggetti che lo circondano. Se consideriamo il ragguar-
devol numero di onomatopee sparse in ogni lingua, e sopra tutto
in quelle che serbano accora inlatte le impronte della primitiva
loro formazione, appare manifesta la naturale tendenza dell'uomo
a rappresentare gli oggetti per mezzo delle loro proprietà più di-
stinte; ma questa medesima tendenza non emerge solò dalla
imitazione de 'suoni ; dappoiché, persino nellie lingue più semplici
e rozze, essa appare nella espressione delle forme e delle pro-
prietà soggette agli altri sensi. Ce ne somministra parecchi esempi
la lingua dei Zingari, la quale, per la stazionaria sua rustichezza
e semplicità, può riguardarsi tuttora come primitiva. Ivi troviamo
appunto espressi parecchi nomi d'animali o di oggetti conìuni,
nel modo stesso, sebbene con radici diverse, col qiiale sogliono
essere rappresentati dai malandrini europei. Infatti, voltando i
seguenti nomi letteralmente dalla lingua zingarica nella nostra,
l'anitra è quella dal largo becco ^ l'asino quello dalle grandi
oreccliie, il capro dalla bocca d* uccello , il cervo quello dalle
molle corna, la testuggine é la rana dal guscio , T anguilla il
pesce lungo o sotlìle, il lago è l'acqua ferma, la rugiada f acqua
della sera, in simigliante maniera procede l'errante figlio del-
DELLE LINGUE FURBESCHE. ilS
riodo ad esprimere una serie di oggetti per lui uuovi^ appellando
la secchia quella dalle due orecchie^ la forchetta il da tre pun-
te , r aggettivo pallido coir espressione senza sangue , e si-
mili * ; per modo che tutte queste favelle, mercè un ristretto nu-
mero di radici variamente combinate, pervengono di leggeri ad
esprimere un considerevole numero d'idee e d'oggetti, Sebbene
potremmo ora convalidare questa generale osservazione con una
serie d'esempi tolti alle rozze favelle dei Lapponi, dei San^ojedi,
dei Voguli e di tanti altri popoli incolti, che^ relegati fra i ghiacci
dell' estremo settentripne , ed estranei all' influenza del sociale,
progresso, conservano ancora illesi i costumi dei primi loro pa-
dri, ciò nullostante basterà per ora averla tracciata in prova della
nuova importanza delle lingue furbesche, ove siano opportuna-
mente studiate, e comparate fra loro.
Procedendo alla disamina del rispettivo loro artificio, e dei
precipui elementi che le compongono, fa niestieri prima di tutto
avvertire, che, sebbene le abbiamo sin qui designate coli' onore-
vole nome di lingue, esse non sono all'opposto, se non ^artificiose
e parziali corruzioni dei dialetti viventi. Inoltre esse dividonsi
naturalmente in due classi, la prima delle quali racchiude le lin-
gue innocue e semplici, cui meglio potremmo denominare di
trastullo; la seconda abbraccia le figurate^ e queste sono le fur-
besche propriamente dette. Le prime affatto innocue sono ri-
strette in poche famiglie, ove più spesso sono impiegate dai gio-
vani per trastullo, anziché per fini indiretti o colpevoli; le seconde
sono molto diffuse, e tendono per lo più a sottrarre airaltrui vi-
gilanza più meno colpevoli disegni.
Vario , sebben puerile, è sempre l'artificio delle prime, e d'or-
dinario consiste nell'invertire l'ordine delle sillabe nelle voci co-
muni, o neir interporre fra queste alcune^ sillabe convenzionali,
che possono variare a capriccio. Cosi, invertendo l'ordine delle
sillabe nella proposizione: La lingua furbesca è parlala damo-
nelliy si otterrebbe la seguente: Al gualin scabefur e IcUapar ad
1 Àveatio noi avato opporluae occasioai per.coaversare a lungo eoo ud
centinaio e più di Zingari, stanziati in varii paesi d'Europa, ed avendo quindi
attinto dalla (oro bocca quel maggior numero di notizie che cj fu possibile
intoruo alla loro lingua, ci proponiamo di pubblicare in breve i nuovi studii
su questo argomento da noi iustituili, i quali ci sembrano tanto più impor-
lauii , quanto più discordano dalle relaz'oni di quelli che ne pubblicarono
speciali trattati.
116 OAIGIlfl, DIFFUSIONE ED IMPORTANZA
linenw ; divenendo per tal modo una iingaa affatto oscura a chi
ne ignora la formazione, ed assumendo T aspetto d* un linguag-
gio assai diverso daUltalìano, comecché composto delle medesime
sìllabe. Similmente frapponendo nella stessa proposizione altret-
tante sillabe ad arbitrio, verrebbe mascherata nd modo seguen-
te : iMpa lipingnapa fupurbepescapa epe paparlapatapa dopa
moponepelipi. Questi ed altrettali artificii puerili sono troppo ftì*
voli per meritare una speciale menzione, non che un ulteriore
schiarimento ; siccome peraltro sono generalmente usati in parec-
chie società domestiche, cosi non potevamo trasandarli, pariando
delle lingue furbesche in generale, a documento della {irima do-
stra asserzione, che in ogni società^ grande o piccola, pubblica o
privata , Fuomo si studia sempre, a norma delle proprie i^ e
de'propri bisogni, di occultare agli altri, con^ un lingus^io fitti-
zio, i propri pensieri.
À questa cfasse medesima appartiene ancora il poetico e strano
linguaggio, con cui le infelici odalische, nei profumati harem^ so-
gliono ingannare la noia d'una vita di privazioni e di desideri!,
e celare i propri sospiri alla vigilanza degli evirati loro custodi.
Questa lingua, conosciuta col nome di lingua de fiori, ed alla
quale molti favolosi racconti ed ingegnose finzioni attribuirono
negli ultimi tempi soverchia importanza in Europa, non è. meno
frivola delle precedenti, come rese manifesto il barone di Ham-
mer-Purgstall colle notizie da lui raccolte in Costantinopoli presso
le donne greche ed armene, alle quali solo è concesso penetrare
nel Serraglio del Gransignore. Sulla testimonianza di parecchi
viaggiatori, si credette lungo tempo, che, mercè la lingua dèi
fiori, le prigioniere del Serraglio, rinchiuse per delizia d!un solo
uomo, pervenissero a stabilire inosservate segreto commercio con
esterni individui di loro predilezione ; e col favore di questa ge-
nerale credenza furono iiTvenlati e pubblicati più volle alquanti
vocabolari!, nei quali si tesserono capricciose ghirlande tolte' alla
Flora d'Asia e d'Europa, a rappresentare gli affetti e le idee che
possono formar parte d'una corrispondenza amorosa ; ma, lungi
dal confermare la minima parte di cotaJ! finzioni, le più diligenti
indagini fatte sul luogo ne smascherarono Hmpostura , e ci rive-
larono, come la lingua de' fiori venisse inventata ed usata dalle
odalische per comunicarsi tra loro i desideri! e le pene comuni,
ed ingannare la noia d'una vita monotona ed inoperosa, essendo
l
DELLE LINGUE FURBESCHE. 117
loro affatto impossibile qualsiasi commercio esteriore^ si per la
gelosa^vigilanza colla quale sono custodite, come per la pena ca-
pitale a cui sarebbero esposte coi loro custodi.
Ora questa lingua, lungi dall'essere esclusivameute defioriy
come suole denominarsi, è altresì la lingua delle frutta, dei pro-
fumi, dei giojelli , e dei molteplici oggetti esposti di continuo allo
sguardo di quelle che T hanno composta; dappoiché e le une e
gli altri^vi^hanno egualmente la loro parte, come si vedrà dagli
esempi che ne addurremo più oltre. Sembra a primo aspetto^ che
la fervida immaginazione delle giovani musulmane, seguendo il
costume di tanti popoli orientali, avesse a designare nei fiori,
nelle frutta e negli altri oggetti da loro prescelti , lespressione di
quei traslati rapporti che questi possono avere colle idee astratte;
come appunto i nostri poeti sogliono rafiigurare nel verde la gio-
ventù^ e quindi la speranza ; il candore^ e quindi Finnocenza nel
bianco giglio ; la verginità nel bottone di rosa non ancora sbuc-
ciato; il pudore nella mammola, che umile si nasconde sotto
lombra del pruno che le sovrasta ; ma in quella véce la mam-
mola, la rosa, il cedro^ il fico, lambra. Toro e la seta non por-
sero alle orientali concubine, se non il suono de' rispettivi loro
oomiy'^onde, scelte altrettante voci che fanno rima con quelli, co-
strussero altrettante frasi, o intere proposizioni , ciascuna delle
quali viene rappresentata dal nome che porse la rima. Cosi, pei*
la voce Kaleni (penna) scelsero la rima melhem , che significa
angoscia, e sopra questa voce formarono la proposizione: Korkma
weririm sana bir melhem^ vale a dire : io raddolcirò le vostre
angosce. Per tal modo la voce Kalem richiama alla mente la pa-
rola con cui fa rima, e questa ricorda la proposizione rispetti-
va, la quale nella lingua de fiori è rappresentata dalla sola voce
Kalem. Quindi è chiaro, come con poche voci si possano espri-
mere varie proposizioni, le quali, ove formino unite un senso
continuato, possono racchiudere un intero racconto, una dichia-
razione , qualsiasi altro componimento. Valgano d' esempio le
poche voci; Aloe, giunchiglia, creta, (he, vinco, le quali unite
significano quanto segue: 1. Corona del mio capo, medicina del
mio cuore; 2. guariscimi; 3. ridonami la regione smarrita;
4. tu, mio sole, e tu mia luna, hai dato la luce a miei giorni,
il chiarore alle mie notti ; 5. deh/ vieni a consolarmi. Simil-
m«ite boiione di rasa e garofanò esprimono: Tu sei bella come
118 ORICmE, DIFFI'SIONE ED IMPORTANZA
un bottone di rosa presso a sbucciare, come un garofano okz* \
zante; io ti adoro da lunga stagione) e tu mi sprezzi. Ed ecco
tutto Tartiflcio di questa lingua troppo celebrata e troppo fnvola
ad un tempo, la cognizione della quale, come si vede^ consiste
nel ritenere a memoria le proposizioni, o le frasi rapjireseutate
dalle singole voci che ne formano il dizionario ^ Né si creda, de
queste voci siano in numero considerevole, perocché ristrette a
dare uno sfogo all'ardente e malpaga voluttà inspirata dal caldo
cielo di Bisanzio^ e da una vita molle ed oziosa, sorpassano ap-
pena un centinaio; che anzi, siccome la maggior pòrte, compene-
trandosi, ripetono sotto varia forma le stesse espressioni, cosi
possono ancora ridursi ad un numero minore.
La seconda classe delle lingue furbesche racchiude propria-
mente i gerghi parlati dai vari artigiani, e sopra tutta quello dei
malandrini, al quale di preferenza abbiamo rivolti i nostri stcidii.
Noi li abbiamo testé designati eziandio col nome di lingue figura-
te, perchè appunto consistono in una serie di tropi e di figure
convenzionali, essendo ivi pure cosi le voci come la i^ntassi
proprie della lingua o del dialetto della rispettiva .nazione. I po-
chi esempi di sopra addotti ne porgono bastevole prova ; ciò non
pertanto é da notarsi, come vi si rinvengano ancora alquante
voci antiquate, o tolte a lingue straniere. La voce artqn, per
esempio , da noi accennata , ed usata dal mariuolo italiano e dal
francese ad esprimere pane, è di origine evidentemente greca;
siccome peraltro egli è certo, che il malandrino non può averla
attinta a quella fonte, così è più verisimile, che appartenesse a
qualche vetusto dialetto italico al greco affine, giacché la troviamo
ancora fra i dialetti alpestri di Lombardia, nelle voci arto-
n27a = panporcino, orfroècw^o = pane casalingo; d'origine greca
cmbra pure la voce cera per mano, e la sua derivata cerioti per
guanti ; in quella vece corniate per frumento, spillare per giuo-
care, e simili, rivelano origine germanica dalle voci corn, e spie-
leu. La radice lenza per acqua, anziché arbitraria, sembra un'an-
tica voce italica, mentre abbiamo tra gli affluenti del Po il fiume
Enza, che il volgo chiama tuttora la Lenza, il fiume Livenza
nelle venete provincie, ed altre acque di minor contò in Lom-
i Anche di questo dizionario della lingua de' fiori abbiamo dato un Saggio
negli Siudii sulle lingue furbeMcfie^ già mentovati.
DEI LE LIPTGtJE FURBESCHE. 119
bardìa, espresse colla medesima radice. D'altronde questa serba
un'affinità di suono e di significato còlla parola celtica leisa, che
ne'dialetti arinorici significa appunto bagnare, come lenzare nel
furbesco italiano. Cosi nei gerghi dei malandrini francesi, inglesi
e tedeschi trovansi parecchie voci tolte a vicenda ad altre lingue;
nel vocabolario francese , per esempio , veggiamo le voci esgana-
cer, estrade, gonze y messlère, tohar, cadenne, naze, nigoleur
per ridere, strada, gonzo, messere, tabarro, catena, naso,
bigotto, prese dall' italiano; neir inglese le voci pure italiane
caz per cacio, culp per colpo, college per cai^cere; nel te-
desco, caédel per candela,, zickus per cieco, kneissen per co-
noscere, cavai, strada, terra, (ruffe, botili, per cavallo, strada,
terra, truffa, bottiglia; vi troviamo ancora puschka/pev fucile,
tolto alla lìngua boema, ed altrettali esempi di voci tolte ad altri
idiomi ; sebbene cotali voci potrebbero forse essere state un tempo
comuni agli uni ed agli altri ^ od essére ancora in vigore presso
alcuni viventi dialetti francesi, inglesi, o tedeschi, ciò che potrà
agevolmente venir chiarito da un diligente esame dei medesimi.
Alla quale opinione siamo tanto più inclinati , guanto maggiore si
manifesta la mutua affinità delle medesime lingue dì mano in
mano che risaliamo alle origini rispettive.
Checché ne si^, egli è evidente , che tutta la scienza di codesti
gerghi consiste nella cognizione dei rispettivi loro vocabolarii e
dei frasarii, o,~ ciò che vale lo stesso, delle figure da ciascuno im-
piegate a rappresentare le varie idee. Ora questi vocabolarii, lungi
dall'essere molto estesi, ristringonsi a quel determinato circolo
di oggetti e di circostanze, che hanno immediato rapporto con
ciascuna classe , restandone esclusi gli oggetti estranei. Perciò
lavoro, giornata, secchia, malta, boccale, vino e simili, sono gli
oggetti principali rappresentati nel vocabolario de noiuratori ; spo-
la, telajo, filo, matasse, padrone, ed altrettali, quelli de' tessi-
tori; borsa, orinolo, moccichino, meretrice, sgherri, taverna,
carcere, forca e simili, gli oggetti principali del vocabolario dei
ladri.
Quest' ultimo , come di leggeri può scorgersi, è pur^troppo il
più ricco fra tutti, non solo perchè usato da un maggior numero
d individui, ma altresì perchè esteso ad un maggior numero di
idee, avendo pur troppo il mestiere del ladro estesa su tutta la
società la sua malefica influenza. Ciò non pei^tanto, essendo esso
180 ORIGINE 9 DIFFUSIONE ED IMPORTANZA , ECC. \
perciò appunto il più interessante fra tutti, vi abbiamo principal-
mente rivolte le nostre ricerche, e ne abbiamo raccolto il mag-
gior numero di voci che ci fu possìbile nelF operetta mento-
vata di sopra. Siccome poi, instituendo queste indaguù, non fu
sola nostra intenzione l'apprestare ai lettori un m^zzo onde pre-
servarsi dalle insidie de' vagabondi, ma altresì queUa di giovare
in pari tempo alla scienza, porgendo ai linguisti ed ai psicologi
nuovi materiali per più elevate disquisizioni, cosi fra le voci del
gergo vivente ne abbiamo notate parecchie andate fuor d'uso, ed
al vocabolario furbesco italiano abbiamo aggiunto il fraQcese ed
il tedesco, nella speranza, che un opportuno confronto possa
fruttarci nuove ed utili considerazioni.
Invitando perciò gli studiosi che ne bramassero più estese
notizie alla lettura dì questo nostro tenue lavoro , ci compiac-
ciamo d'aver chiamata per la prima volta la loro attenzione so-
pra un terreno affatto inesplorato sinora , e tanto più stimiamo
util cosa il farlo, quanto più speriamo vicina la distruzione di
tante lingue malefiche in un tempo, in cui la crescente vigi-
lanza delle leggi , la riforma delle carceri, il patronato per quelli
che vi subirono la pena, e tante altre benefiche mstituziom
politiche ed industriali, diffuse per opera degli amici dell' uma-
nità , promettono a questo nostro vecchio pianeta un miglior
avvenire.
VI.
STUDI
SULLE
LINGUE ROMANZE
Se è grato allo studioso T annunzio d'una teorica novella i
che gli apra inesplorata via alla conquista di utili verità^ non
gli è men dolce, soffermandosi talvolta a risguardare lo stato
delie scienze già" adulte e prx)vette , il raccogliere e coordi-
oare la svariata congerie de* sudati lavori, onde Teletta schiera
de' saggi le sollevò a mirabile altezza. Buon per noi che, men-
tre da un lato abbiamo dischiusi innanzi gli inesauribili tesori
di^Duove dottrine, possiamo dalT altro confortarci nella disamina
delle già compiute conquiste, e farci sgabello delle dotte lucu-
brazioni altrui, per sollevarci a più sublimi ed iniesplorate re-
gioni! Se non che, a rendere proficui i risqUamenU delle al-
trui speculazioni, non basta raccoglierli ed ordinarli; ma egli è
d'uopo altresì confrontarli fra loro, ed esaminare le differenti
vie dagli studiosi calcate,; per determinare, sulla norma delle
verità dimostrate, sino a qual punto la scienza i^ìa pervenuta;
quanta via le rimanga ancora a percorrere ; • qùsile sia la di-
194 STCIM
reziooe a «egoirsi, onde raggiaogere la propostasi meta. Cosi
appunto pruderne nocchiero, diretto per lungo viaggio alla sco-
perta dì sconosciuti lidi , raccoglie talvolta le gonfie vele » mi-
sura il percorso cammino e , rettificando colle nuove osser-
vazioni i primi errori, determina la giusta direzione della saa
prora.
Mossi appunto da queste considerazioni, e sovra tutto dal desi-
derio di vedere svolta alla fine una delle più intricate quistioni,
che strettamente collegasi air istoria delle nostre origini, della
nostra lingua e di tutta quasi la moderna civiltà europea^
ci siamo accinti alF impresa xli sbozzare ai nostri lettóri un
ordinato prospetto degli studj inslìtuiti sinora intorno alle
lingue romanze, a quelle lingue, cioè, che cogli svariati lor canti
celebrarono le volubili vicende, i costumi^ i delirj, non meno
che le sagge instituzioni del medio evo; dalle quali un inve-
terato pregiudizio, sorretto da autorità rispettate, suol derivare
la formazione di tutte le moderne lingue dell'Europa latina; e
che da circa due secoli prestano argomento alle veglie di cele-
brati ingegni. Impresa, per verità^ alquanto ardua, dappoiché
non è nostra intenzione di porgere solo una lista bibliografica
delle opere che vennero successivamente in luce su questo ar-
gomento (ciò che pur sarebbe assai malagevole, avuto ri-
guardo al numero indeterminato dei tentativi fatti presso le eulte
nazioni d'Europa); ma bensì, restringendoci ai lavori che più
di proposito furono diretti ad illustrare quelle lingue, è nostra
mente stabilire piuttosto, quale ne sia lo scopo prinéipale,
quale la via in ciascuno seguita, e quanta la concordanza e la
rettitudine delle loro induzioni. Né temiamo che ci venga ap-
posto a soverchia presunzione, se, imprendendo ad esamìiiare ac-
creditati lavori d* uomini benemeriti e d'alta rinomanza, osiamo
emettere opinioni dalle loro discordi, dappoiché, s'egli è vero,
che faci! cosa sia aggiungere agli altrui ritrovamenti, e^U é al-
tresì indubitato, che dal cozzo appunto di contrarie sentenze
suòle più sovente scaturire la verità.
Il tema delle lingue romanze é vecchio assai, e in varia guisa
fu omai sviluppato in parecclii volumi; e appunto perché é
vecchio, egli é tempo di radunarne gli sparsi risultamentì,'e di
misurarne il ricollo. Prima però d'entrare in materia, gioverà
stabilire con precisione f .^ che cosa intendasi per lingua romao-
SilLLK LmCUl ROMARIB. 19S
za; 2."^ a quale scopo debbano essere diretti gli studi! intorno
alla medesima ; S.*" con quali mezzi o materiali i medesimi studj
abbiano ad essere instituiti.
Per lingua romanza d'ordinario iutendesi quelfidioma , che
nei secoli di mezzo venne sostituito come lingua scritta al la-
tino, e che, disciplinato primamente nella Gallia meridionale, sotto
gli auspicj delle splendide corti di Tolosa è di Barcellona , fu
illustrato dai moltiplici canti dei Trovatori. Questa definizione,
per altro, restringe il concetto di iipgua romanza ad un pecu-
liare dialetto, meglio distinto col nome di occitanico^ mentre la
denominazione di romanza è generica, ed éstendesi a tutte le
svariate favelle che, dopo la dissoluzione dell'impero occiden-
tale, furono scritte nelle romane province, In luogo della latina
già dimenticata e negletta. E siccome egli è omai^dfmo-
slrato, che in ogni provincia, anzi in ogni singolo paese, quelle
lingue differivano fra loro, cosi in quel nome generico si com-
prende una famiglia di lingue più o meno dissonanti dalla la-
tina, giusta gli accidentali rapporti delle primitive favelle pro-
prie di ciascun paese e la varia influenza di quella; giacché
non V ha più dubbio che, non solo il romanzo gallico differiva
dair ispanico, dall'italico, dal retico e dal dace; ma nella stessa
Gallia altro era il romanzo meridionale, altro il settentrionale ^
che, illustrato aila sua volta dai poemi cavallereschi de' Tro-
vieri, prevalse più lardi sul meridionale, e divenne lingua scritta
comune a tutte le nazioni comprese nel regno di Francia; cosi
nella Spagna differiva il romanzo catalano dal castigliano e
dal gallego, i quali ultimi, prevalendo, diedero poi origine alle
moderne lingue casligliana e portoghese; cosi in Italia il ro-
manzo siculo differiva dal losco, dall' insubrico e dal veneto;
cosi il relieo superiore dissonava dall'inferiore; il dace trans-
carpatico dal transilvano; senza tener conto delle minori discre-
panze, che i monumenti ci attestano, e che doveano pur essere
numerosissime.
Di tutte queste lingue, costruite in origine sopra elementi
essenzialmcnie diversi, e poscia collegate in una sola famiglia
per l'influenza della sovranità latina, fu prima coltivata l'oc-
cilanica, la quale per Un fortuito concorso di circostanze fu
prescelta da immerosa schiera di poeti nazionali ed esteri, e
|)ervenne prima % più d'ogni altra ad altissima rinomanza. Ciò
126 sruDJ
nulladimeno vennero in pari tempo coltivati altresì nelFalta e
nella bussa Italia i rispettivi romanzi, che ebbero letteratura pro-
pria e distinta, comecché, non pochi ingegni ilaliani/sedotti dal
prestigio e dalla fama del provenzale, il preferissero al proprio
nei loro componimenti. In pari guisa e nel medesimo tempo si
svolse, benché separatamente, il gallico settentrionale, che fu poi
sempre distinto per una splendida letteratura originale. Cosi
avvenne del castigliano, sebben represso dall'arabo domioio;
e soli per lungo tempo languirono il rético ed il dace, i quali,
sottoposti air incessante flagello delle migrazioni djei popoli e
delle politiche sventure, non poterono essere diisciplioati se non
v^rj secoli di poi.
Ciò premesso, ne emerge: che lo studio delie favelle
romanze può essere diretto a duplice scopo; cioè, o a rin-
tracciare nei loro intrinseci elementi le vestigia e le re-
liquie delle antiche lingue che le precedettero^ per poi rag-
giungere le origini o ì rapporti dei popoli rispettivi, dod che
le più recondite etimologie delle moderne lingue che. vi suc-
cessero; ad agevolare T interpretazione dei loro monu-
menti, a schiarimento della storia e dei costumi dei me-
dio evo.
Dalle medesime premesse è chiaro altresì, che, se per rag-
giungere la cognizione di quelle lingue valgono i monumenti
coutempurauei, vale a dire le cronache, le poesie e le nìolte
iseriziuni dei secoli di mezzo; onde iutraprenderne un* ade-
quata illustrazione, è altresì necessaria la cognizione degli
antichi idiomi che più o nu-no contribuirono alla loro forma-
zione, per poterne instiluire un ragionato confronto.
Ora, egli è noto, come, sin dalla metà del secolo XIII, presso
che tutte le uazioui meridionali d* Europa, disgustate dalla plu-
ralità di lingue, che venivano mano mano svolgendosi nelle
varie parti d ogni regione, e dalla soverdiia licenza degli scrit-
tori, prodotta dalla mancanza d' una norma comune, costrette
dalla necessità di provvedere ai bisogni della vita socievole,
s'adoperassero a stabilire uu solo liugua.i|:gto comune a tutti i
municipi della rispettiva proviucia, siccome uodo principalmente
atto a congiuugerle in altrettaute indissolubili famiglie. ?ie fanno
irrefragabile testimonianza in Italia le ripetute querele e gii
anatemi scaj^Uati dall'Alighieri contro gli scrittori plebei, onde
SILLG LINGUE ROMANZE. 137
tendeva solo a reprimere la pluralità dei vulgari rQinanzi ,
ed a ricondurre i popoli d' Italia alF unità della lingua. Gli
sforzi reiterati di molti generosi^ che seguirono Tesempio e rin-
vilo del gran maestro, diedero ben presto alla nostra penisola,
e successivamente a ciascuna delle altre nazioni latine, una lin-
gua generale lor propria, che fu poi la sola interprete comune
air una o allaltra provincia ; e le romanze, o piuttpst(x i vulgar
dialetti, furono quindi relegati al trivio nei rispettivi B^iunicipj,
mentre i loro monumenti, abbandonati alFobblio, .furono dalla
nuova riforma in gran parte distrutti. Cosi trascorsero alcun
secoli, senza che quelle lingue prendessero parte nelle .filolo-
giche disquisizioni successive; tutte le cure degli scrittori ita-
liani e stranieri furono rivolte per lunga pezza al perfeziona-
mento della rispettiva lingua generale, sinché i ripetuti la-
menti delle Accademie per le nuove licenze introdotte dagli uni
e dagli altri , le gelosie e le controversie municipali che si
contesero a vicenda Jl primato, mostrando la necessità di ri-
condurre alla sua primitiva purezza il linguaggio, e di fissarlo
sopra determinata norma che ne , prevenisse per. sempre gli
arbilrj e gli abusi, attrassero lattenzione dei dotti alla disamina
degli anlichi monumenti, dalla quale appunto ebbero origine
gli studj sulle lingue romanze.
Primi in Europy, eziandio in questo genere di ricerche, fu-
rono gli Itahani ; se non che la prevalenza sempre accordata ai
poemi dei Trovatori, fra i quali veneravasi la memoria di parecchi
nazionali , quali erano il Sordello , Brunetto Latini , Pier dalle
Vigne, Gin da Pistoja, Lucio Drusi, Calvi, Nicoletto, Doria ed
altri parecchi rammentati nelle istorie di letteratura occitanica
trasse i primi, che vi si adoprarono, piuttosto alla disamina de
monumenti provenzali, che non a quella dei patrii. Mario Equi-
cola, nella Natura clamore * fece menzione dei Trovatori, e pro-
<liisse alcuni brani delle loro poesie; il cardinal Bembo descrisse le
vite i\\ que' poeti, e tentò raccogliere quanti manoscritti di loro
opere per lui si potè: Giovanni Maria Barbieri ne parlò di
proposito nel libro intitolato: Dell'origine della poesia rimata^
e ne tradusse alcuni componimenti; Lodovico Castel vetro, am-
1 Libro De Satura de Amore. Vmeiiis, tW. ki-i^
198 8TUDJ
maestrato nel provenzale linguaggio dallo stesso Bart>ieri , ne
diede luminosi Saggi nelle Opere critiche raccolte dal Muratori,
nella Correzione od Dialogo delle lingue del Varchi e nelle
Giunte alle prose del Bembo S ìnslituendovi un parallelo fra
r italiana e là provenzale favella. A questi primi stiuliosi di lìn-
gua occitanica aggiungasi il Tassoni, il quale, onde compiere le sue
Considerazioni sopra il Petrarca ^ pose a riscontro il Canzo-
niere con una serie di poesie provenzali^; TUbaldini che, nei
Documenti d'Amore^ tenne ragionamento sugli occitanici ludi;
il Grescimbeni che, traducendo le vite dei poeti provenzali di
Giovanni Nostradamus, vi aggiunse schiarimenti e inedite can-
zoni '; il Redi, che ne parlò di proposito nelle annotazioni al
suo Ditirambo ^; ed il Salvini che ne diede ampio Sàggio nelle
Considerazioni critiche^ nelle note alla Perfetta poesia del Mu-
ratori, e tradusse i componimenti dati in luce dal Grescimbeni.
Ma, sia detto ad onore del vero, se questi chiari ingegni furono
per molti riguardi benemeriti delle patrie lettere, ben poca luce
diffusero sulla lingua e sulla letteratura occitanica, da loro assai
poco mal conosciuta. Ne sono bastevoi prova le scarse notizie dai
medesimi prodotte, i molteplici e grossolani errori, onde i loro
scritti sono contaminati, e più di tutto le ingenue loro confes-
sioni. Il Bembo nelle Prose, parlando dei poeti provenzali, di-
chiara, che senza molta cura, diligenza e fatica non si pos-
sono bene intendere le loro antiche scritture. Il Tassoni con-
fessa di non avere bastevole cognizione della loro lingua; ed il
Salvini cosi sa esprime: io sono il primo che abbia la teme-
rità di tradurre i poeti provenzali ^ dei quali né VUbaldtnx
sopra i Documenti d*Àmore^ né il Tassoni nelle Osservazioni
\ V Ereolano, coUa Correzione fatta da Casteitetro e colla Varehina di
Muzio. Padova^ 1744, io-8. — Prose di Bembo colle Giunte di Lodovico Ca*
stelvetro. Napoli^ IH4, io-4.— Opere varie critiche di Lodo'ico CoMtelvetro,
non più stampate, colla vita dell* autore scritta da l. A, Muratori. LioM,
4737, io-4.
S Le rime di Petrarca riscontrate coi testi , ecc^ 5* aggiungono le eonsi-
derasioni d'Alessandro Tassoni, ecc. Modena^ 1711, ÌQ-4.
3 Le vile de* più celebri poeti provenzali scritte in lingua franzese da GiO'
vanni di Nostradama e tradotte da G. V. Crtscimbeni, ornate di copiose an-
notazioni e accresciute di moltissimi poeti, Roma, 17^2, io-4.
4 Bacco m Toecfmm, DHirmmko con annofaiféiii. FtrtNse, 16S&« in-4.
SULLE LIN6UB ROMANZE. 129
sopra il Petrarca, né il Redi nelle Auuolazioui al Dilirambo,
ne tradusse pur un verso y bastando loro il citarli; se non
fosse alcun poco il Novelliero antico, ^a Mario Equicola vdella
Natura d'Amore. Sono veramente molle loro rime scure einin^
telligibili. Ed altrove soggiugne: Che l'antico provenzak per
lo più sia scurissimo , ed un linguaggio spento che oggi più
nan s intenda ^ e appena se ne rinvenga qualche vestigio ^ lo
dico per prova^ avendoci fatti studj non orditiarj ìieìla libre-
ria (lei manoscritti di san Lorenzo del granduca mio signore;
e ho veduto^ che^ nonostante ijuesta difficoltà d'intendere e^ in
alcuni autori di Inro ^ impossibilità, sarebbe, cosa utilissima
per le origini e proprietà della lingua toscana il dargli fuora
tali quali egli sono, con farvi attorno quelle osservazioni che
si potessero. ^
Dalle quali spontanee dichiarazioni, se emerge Tinsufficenza
dei primi toro tentarvi, è però chiaro il nobile fine delle loro
indagini , le quali tendevano appunto a chiarire le origini e a
determinare la purezza e la proprietà del patrio linguaggio. Che
se r ignoranza d'una lingua in gran parte smarrita, la scar-
sezza d'ajuti in uno studio allora nuovo, e le somme diflB*
colta opposte dai manoscritti fallaci e malmenati dal tempo e
dai copisti, li incepparono o traviarono sul principio del loro
cammino, non per questo dobbiamo loro minore gratitudine,
dappoiché, rivelandoci l'importanza di tali studj, e precorren-
doci coir esempio, essi ne suscitarono i primi quell'amore, che
doveva fecondare più tardi i semi da loro sparsi.
Il solo che in Italia, sebbene Catalano di nazione, sin dal
principio dello scorso secolo tentò una compiuta illustrazione
della lingua provenzale, si fu Don Antonio Basterò, che nel 1724
imprese a pubblicare in Roma una grande opera col titolo: La
Crusca Provenzale '. Catalano per nascila, egli aveva succhiato
col latte gli elementi della favella occitanica, affatto simile alla
catalana, e, chiamato a Roma dai doveri del proprio ministero^
potè agevolmente studiarvi le opere dei poeti provenzali nei
molti preziosi manoscritti del Vaticano, che imprese ad illu-
1 La Crusca Provenzale, ovvero le voci, ecc.y che la lingua toscana ha
prejo dalla provenzale. Con aggiunte, Roma, ilié, ia folio.
9
130 STUDi
strare, apprestando una grammatica ed un voGabolarìo pro?en«
zaie, corredati da scelte poesie. Ma^ per mala ventnra, questo
vastissimo lavoro fu interrotto sin da principio, e la parte, che
ne fu pubblicata, restringesi appena ad una lunga prefazione,
ripiena bensì d'importanti notizie, ma contaminata da una stuc-
chevole e tronfla prolissità.
Suir esempio degli Italiani, non tardarono i Francesi a col-
tivare uno studio, che a buon diritto avrebbe dovuto essere
d'esclusiva loro attribuzione; ed in ispecie vi si distinsero i
zelanti Membri deirAcademia d' Iscrizioni e Belle lettere, sgom-
brando dalla polvere degli archivj una congerie di codici, e
pubblicando parecchie Memorie intese per lo più a chiarire le
origini della lingua, della poesia e d^lle lettere nazioBali. Co-
mecché poca luce emanasse altresì da questi loro tentativi per
lo più guasti da vecchi prégiudizj e fondati su erronee sappo-
sizioni, ciò nulladimeuo, per non lasciare incompiuto il nostro
assunto, né defraudare della giusta riconoscenza i più beneme-
riti fra i primi che appianarono questa via, faremp sp^le
menzione dei rinomati Duclos, Caseneuve, Leboeuf, Huet,.Sermet,
Fouchet, Tripault, Guichart, Bonamy, Barbazau, che ragio-
narono con vasta erudizione suir origine della lingua e d^lia
poesia provenzale, suHorigine e sulle vicende delia lingua doui,
sulle più antiche traduzioni francesi, suir origine dei Romanzi
e dei giuochi fiorili , sulle Corti d' Amore e su altrettali argo-
menti ^ Sopra tutti emerse pel suo zelo il signore di Sainte-
Palaye, che impiegò la maggior parte della sua vita in racco-
gliere i materiali necessarj alla compiuta illustrazione del pa-
trio idioma ; ma fu sorpreso dalla vecchiaja, prima che il vasto
suo piano fosse ordinato, e di tanti lavori preparatori solo
venne in luce, per opera di Mouchet, il primo volume d'un
gran Dizionario, che doveva constare di dieci volumi in folio*;
i rimanenti materiali, che ammontavano a quaranta volumi in
folio, rimasero infruttuosi per la morte dell'autore, e solo al-
cuni valsero più tardi alla storia letteraria dei Trovatori,
1 Tutti questi speciali trattati sono inseriti nelle Mémoires de VAcadétnie
des inscriptions et belles lettres. Paris, i 701 -93, in-4.
2 Glossaire de Vancienne langue frangaise depuit ton origine jusqu*au
siècU de Louis XIV. Paris, 17^6.
SULLE LINGUE ROMANZE. 131
compilata senza critica e senza scopo determinato dalf abate
Millot «.
In sèguito, ii delirio della moda traviò la crescente schiera
degli studiosi, i quali, allucinati dalle speciose asserzioni dei
loro predecessori, scambiarono ben presto la quistione delFim-
portanza della lingua romanza con quella della letteratura ;
cosicché se ne indagarono ovunque i monumenti, non già per
ìstudiarvi la lingua, ma onde porgerli a modello delle rina-
scenti lettere patrie ; e, mentre dalPuna parte s' innalzavano a
cielo le virtù e i delirii dei parassiti delle corti di Tolosa e
di Barcellona, dall'altra si ponevano le poesie provenzali a ri-
scontro toì più puri modelli deHe classiche lettere, e si accu-
sava senza verecondia di plagio lo stesso Petrarca ; la quàl
bestemmia, comunque stolta e gratuita, fu avvalorata da pa-
recchi scrittori , ed in ispecie da Basterò , Beuter , Escolano »
Argoti, Gaseneuve, Fuster, non che dal rinomato vescovo d*A-
storga. Sebbene vana tornerebbe ora la cura di rintuzzarla con
una serie di prove già prodotte in parte dal Tassoni e da pa-
recchi moderni scrittori, ciò nullameno gioverà ricordare al-
cuni versi d*un sonetto provenzale, la perfetta coincidenza de'
quali con altri del Petrarca diede appunto orìgine e forza alla
mentovata calunnia. Questo sonetto fu gratuitamente attribuito
a Mossen Jordi, poeta catalano del secolo XIII, assai pregevole
per riguardo ai tempi in cui visse, ma troppo barbaro per es-
sere paragonato air inarrivabile cantore di Laura. Eccone i
versi:
Moss. E, DOQ he pau, et non tioch quim guarreig.
Pbtr. Pace ooa trovo, e non ho da far guerra.
Moss. Voi sobr*el cel, et non mo?t de terra,
Petr. E' volo sopra il cielo, e giaccio in terra,
Moss. Non estrench res, et tot lo mon abraa.
^ETR. E nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.
^ Uistoire littéraire des Troubadoura , contéhant leurs vìm , les ewtraits
^ leurs pièces, ecc. Paris, 1774. Tre voi. in-t2.
IS} STl'DJ
Moss. Huy he de mi, et yull altri gran bè.
Pbtr. Ed ho ia odio me stesso , ed amo attrai.
Moss. Sino Amor, doac azò que sera?
PfiTR. Se Amor non è, ch*è dunque quel ch'io sento?
Qui il plagio è abbastanza manifesto; ma' non è meno distinto
r originale dalla copia, la quale è troppo inferiore» per poter
essere scambiata con quello!
In tanto fanatismo, mentre le menti degli studiosi erano oc-
cupate dovunque delle poesie provenzali » ne esageravano le
originali bellezze, ne tentavano le più strane imitazioni, e ne
pubblicavano confuse raccolte, venne trascurato lo stadio prin-
cipale^ vale a dire il grammaticale ed etimologieo, il quale do-
vea porgere la norma per lo stabilimento della lingua nazio-
nale. Se si eccettuino alcune osservazioni grammaiicali fatte al-
r occasione nelle Memorie sin qui mentovate, nessun tentativo
speciale, per quanto ci consta, venne intrapreso, onde stabilire
i cànoni fondamentali dell'antica lingua di Provenza. Né pos-
siamo attribuire a questa medesima lingua i Saggi di Vocabo-
lario per ia prima volta compilati da Borei, Lacombe, Jean
Francois e simili, nei quali, più che la lingua provenzale, eb-
bero parte i dialetti della Francia settentrionale. Il lavoro di
Borei ' non è se non un indigesto ammasso di notìzie riunite
senza critica e senza ordine, e tratte piuttosto dai manoscrilti
settentrionali. Il Dizionario di Lacoinbe ' è una pura compila-
zione di voci tratte dai Dizìonarj di Trévoux, di Le Roux, di
Joinville, di Barbazan, aggiunto air Ordene de Chevalerie, e
d'altri, e quindi è presso che estraneo alla lingua provenzale.
Finalmente il Dizionario del monaco Benedettino Jean-Francis,
sebbene decorato del pomposo titolo di Diciionfmire Ronum,
Walhn , CeUiqae ti Tudesque ^ porge solo una scarsa ed
arida lista di antiche voci francesi, tratte da Borei e da Ober-
i rYi,»r dts rty^KrrcSfs ft amtì^ui:*s ^2k'oìsìs et franfoises réduites«^
o'^Ar* (l'p^kVfi^N^. ecc. ^hs. tòiì. ìn-4.
t OictioMiathr dm rìéiix ton^^K tnmfois. Avù; 1766. Voi. S, m*S.
3 B^^^iH^^H. ITT 7, io -4.
SULLE LINGUE ROMANZE. 135
1ÌQ S arrestandosi appena ad alcuni costumi peculiari del Du-
calo di Lorrena e delle Fiandre.
E perciò lo sviluppo degli studj sulle lingue occitaniche venne
differito sino ai tempi nostri, nei quali vi diede valido impulso
la nuova scienza comparativa delle lingue, dirigendoli per vie
più brevi a più nobile meta. Infatti solo ai nostri giorni com-
parvero per la prima volta nel Paniasse occilanien ^, per
opera di Rochegude, le scelte poesie provenzali, corrette sulle
migliori lezioni, corredate di notizie, intorno alla vita ed alle
opere de* rispettivi autori^ e chiarite da apposito vocabolario ;
solo ai nostri giorni il celebre Roquefort, riunendo con molta
dottrina in un sol corpo tutte le ricerche di quanti il prece-
dettero sui dialetti meridionali e settentrionali , le coordinò nel-
r eccellente Glossario della lingua romanza, che gli valse poi
di guida nella compilazione del Dizionario etimologico della pa-
tria favella ^. Finalmente solo a' di nostri il celebre Raynouard
accingevasi air immane lavoro che gli fruttò V ammiratone dei
contemporanei, ed al quale pur troppo non bastò la laboriosa
sua vita.
Quest' opera pregevolissima, la sola che, abbracciando quanto
esclusivamente appartiene alle lingue ed alle lettere occitaniche,
ne porge un compiuto prospetto, incomincia con una lunga
ed erudita introduzione, diretta a svolgere Y origine e la
formazione di quella lingua , porgendone al tempo stesso
r analisi grammaticale sino al X secolo. |In sèguito, la rap-
presenta in tutta la sua pompa , con una doviziosa rac-
colta delle migliori poesie, ordinando cronologicamente e sepa*
rando le amorose dalle sloriche e dalle. religiose. Quindi porge
la grammatica comparativa di tutte le lingue latine, ove prende
i Essai sur le patois lorrain des ennirons du eomté du Ban-de^OrRo*
the, suivi d'un glosscùre patois-lorrain, Strasbourg , i77&, ÌD-8.
3 Le ParnassB Occilanien^ ou choix de poésies originales des Troubadours
Hrées des manuscrits nationnux. Toulouse, Ì8i9, in-8. A corredo dì qaest'o-
pera, 1* editore Bochegude ba oelio stesso tempo pubblicato la seguente:
Esiaì d'un voàabulaire occitanien, pour servir à VinUUigsnce des poésies
det Troubadours, Toulouse^ iH9, in-8.
3 HoqueforUFlaméricourt, Glossaire de la langue romane. Paris , 4808.
Voi. 2 , in-8. — Dietionnaire étymologique de la langue ffonpaise^ ecc. Paris,
*^29. Voi. 2, in-8»
154 STUDJ
ad esaminare eziandio alcuni diaielli italiani; e finisce con un
vasto Vocabolario occitanico, arricchito di note etimologiche, di
filologiche osservazioni e di copiosi esempj. La vastità di que-
sto lavoro, r immane congerie di notizie ivi raccolte ed ì molti
sacrifizj, cui Fautore dovette soggiacere, bastano a raccoman-
darlo alla riconoscenza dei posteri ; e già V Europa intera gli
ha tributato unanime il giusto premio, proclamandolo il più
gran monumento innalzato sinora air idioma ed alle lettere oc-
citaniche. Ciò non pertanto, mentre noi facciam eco ali* unanime
giudizio di tanti studiosi, non possiamo intralasciar d* avvertire
alcune mende principali, che potrebbero essere per avventura
di grave nocumento al progresso della scienza. >
Raynouard era fornito di grande ingegno, versato profonda-
mente in ciò che più davvicino collcgasi al suo argomento, so-
pra tutto paziente, leale e bramoso di giovare alla scienza più
che di gloria; se non che egli era fondato ancora sulle vecchie
institiizioni, delle quali professava i pregiudizj, senza aver il co-
raggio di svincolarsene; egli ignorava la maggior parte delle an-
tiche, non che delle moderne lingue, indispensabili al disimpegno
della vasta sua inipresa; e, digiuno delle teoriche generali della
scienza comparativa^ non seppe sollevarsi a queir altezza, donde
solo, spaziando per più vasto orizzonte, si possono determinare
con certezza i rapporti delle romanze colle antiche e colle mo-
derne lingue d'Europa. Quindi, finché troviamo il benemerito
autore occupato a raccogliere ed ordinar monumenti, a scoprire
ed interpretar manoscritti, riducendoli alla vera. lezione e de-
purandoli dagli errori degli amanuensi; finché lo scorgiamo in-
tento a radunare notizie atte ad illustrare il suo tema, e a pmre
in chiara luce le astruse e più spesso Cavolose vicende de*
suoi eroi; finalmente finché lo risguardiamo qual lessicografo,
egli é sommo, paziente, instancabile, profondo conoscitore della
lingua che illustra, e leale interprete de* suoi monumenti; ma,
quando ci si affaccia come grammatico, e, ragionando sui rac-
colti elementi, instituisce confronti, o detta novelle teorie, il suo
criterio vien meno, e le induzioni, del pari che le premesse^ so-
vente sono fallaci. Per ciò appunto, nel tempo islesso in cui &
inteso alla ricerca dell* origine della lingua occitanica» egli si
fonda, senza avvedersene, sulla vecchia gratuita supposizione, cho
la risguarda siccome una successiva corruzione della latina. Fon—
SULLE LINGUE ROMANZE. 135
dato SU questo principio, egli prende in esame antichi monu-
menti estranei alla lingua occilanica, fra i quali i troppe volte
mentovali giuramenti dei Carlovingi, akune leggi dei califi di
Spagna, o documenti di guasta latinità, che non si devono con-
fondere con veruna lingua romanza, meno ancora colla proven-
zale; e, procedendo in tal guisa sino ai più puri monumenti
occitanici, stabilisce la derivazione di quella lingua dalla latina,
e determina il tempo della sua formazione verso il X secolo ,
vale a dire, quando incominciò ad essere scrina in sostituzione
alla latina.
Per simili ragioni, di mano in mano die s'inoltra nelfana-
lisi grammaticale, egli scorge dovunque flessioni e forme Ialine
mutilate od alterate, e quindi l'uso delie preposizioni e dell' ar-
ticolo nel latino, del pari che nel provenzale ; e trova Tarticolo
persino nella lingua gotica, sebbene gli scarsi frammenti super-
stiti non ne serbino veruna traccia. Per modo che tutta la
sua grammatica è una continua serie d' ingegnosi sforzi , coi
quali tenta ridurre la lingua provenzale alle forme della latina,
e, dove quella assolutamente si oppone, con facile transazione
riduce la latina alle forme occitaniche.
Ciò non pertanto, egli è fuor d ogni dubbio, che, qualora quel
benemerito filologo, spogliandosi d'ogni vecchia prevenzione,
avesse con saggio accorgimento considerala la radicale ed in-
trinseca discrepanza di forme tra quelle due lingue; qualora
avesse notato a parte il ragguardevol numero di radici primi-
tive proprie dell' una e dell' altra lingua romanza, ed ignote od
estranee alla latina, e, rafforzandosi più sui fatti che sulle con-
ghietture e sulle induzioni, avesse istituito confronti colle anti-
che lingue dell'Europa meridionale, avrebbe riconosciuta la ri-
motissima origine di quella che imprese ad illustrare, ed avrebbe
potuto con maggior fondamento determinare quanta e quale
influenza esercitassero a vicenda in tempi diversi le favelle ro-
manze sulla latina, e questa su quelle. Non essendo ora nostro
scopo il porgere una circostanziata analisi del prezioso monu-
mentale lavoro del celebre Raynouard, ciò che d'altronde richie-
derebbe un lungo trattato speciale, anziché un cenno in fugace
dissertazione, ci basterà d'aver fissata l'attenzione dei nostri lettori
sull'importanza di quell'esimio lavoro, e d'aver almeno propo-
138 STUDJ
sta mia prudente diffidenza intorno al sistema nel medesimo
prestabilito.
Il generale favore, meritamente accordato in Europa agli scritti
del Raynouard, destò più intenso T amore per questi studj, i
quali, fecondati dalle nuove dottrine linguistiche, diedero origine
a nuovi pregevoli scritti. Per tacere dei minori, farém men-
zione delle profonde Observalions sur la langiAe et la liitéra-
ture provengales, di Guglielmo Schlegel *, nelle quali, prendendo
a disamina le precipue questioni con vasta erudizione e pro-
fonda cognizione di molti idiomi, mentre pagò al Raynouard
ingenuo tributo di lode, ne rettificò alcune mende^ ed espose
quest'argomento sotto più nobile aspetto. Accenneremo ancora
agli studj sulla poesia provenzale instituiti in Germania dal fi-
lologo Diez ', che arricchì la scienza di materiali e di osser-
vazioni novelle; al quadro comparativo delle moderne lìngue
latine apprestato da D!efenbach ^; ed agli Elementi di Gram-
matica Provenzale pubblicati dal signor Adrian. Né pass^ere-
mo per ultimo sotto silenzio i sudali lavori del benemerito no-
stro italiano Giovanni Galvani, che, sulle traccie del Raynouard,
e sorretto da profondi studj sui monumenti occitanici inediti,
superò tutti i suoi connazionali in quest'arringa.
È noto, come sin dall'anno 1829 egli pubblicasse |n Mo-
dena le sue Osservazioni sulla Poesia dei Trovatori , nelle
quali porgeva per la prima volta agli Italiani una compiuta
notizia di quella poetica , sviluppandone i metri , illustrandoli
con una ragguardevole raccolta di componimenti, ed intessendo
quindi con vasta erudizione l'istoria pratica della letteratura
occitanica. Or sono due anni, dacché, riprendendo i suoi studj
orditi sopra scala più ampia, egli pubblicava nella nostra Mi-
lano il Fiore di storia letteraria e cavalleresca della Occitch
nia in un grosso volume, che, unito ad un secondo sulla bio-
grafia dei principali Trovatori, deve predisporre i suoi conna-
zionali ad un più esleso sviluppo della stessa arte poetica, che
si propone in séguito riprodurre. Dal metodo seguilo in questa
i Paris^ 1848, in-8.
2 Die Poesie der Troubadours, nach gedruckten und kandschriftlichen
Werkén derselben dargestellL Zwickau, i826, in-8.
3 Ueber die jelzìgen romaniichen Sckriftsprachen. Leipzig^ 4831, in -4.
SULLE LINGUE HOMANZE. 137
nuova produzione chiaro apparisce^ come, valendosi delle posi-
tive speculazioni di quanti il precedettero, il chiaro autore av-
visi di dar nuova forma al soggetto, e rendere il suo lavoro
originale italiano, ordinandolo in epoche distinte, corredandolo
di nuove osservazioni, ed apponendo ai componimenti occita-
nici r italiana versione. Ciò basta ad assicurare al signor Gal-
vani distinto seggio fra i benemeriti della patria comune, ed a
raccomandare agli studiosi la sua malagevole impresa, compiuta
la quale, non farà più mestieri agli Italiani d'andar mendicando
allo straniero le notizie sulla lingua e sulla letteratura ^occi-
tanica.
Se non che, noi vorremmo, e ciò sia detto in buona pace
deir autore, al quale attestiamo pubblicamente riconoscenza e
stima, che, come seppe valersi con sana critica dei precedenti
studj nello sviluppo dato ampiamente 'alle ricerche suir indole
di quella letteratura, Cosi avesse messo a profitto le più ele-
vate speculazioni ed i canoni positivi della scienza comparativa,
neir applicare le proprie osservazioni air origine dell'italiana fa-
vella ; dappoiché non solo' egli non seppe svincolarsi dal men-
tovato pregiudìzio, onde la lingua romanza risguardasi come
rampollo della latina, ma, quasi obliando come quella venisse
trasportata dalle aquile romane in Occitania, vi atlribuisce
troppa influenza alla formazione ed allo sviluppi^ dell* italiana.
Le opere sin qui brevemente accennate, alle quali potremmo
aggiungere una serie di Memorie e monografìe sparse ni varj
giornali letterarii, si riferiscono esclusivamente alla lingua e let-
teratura occitanica, alla quale contese per lungo tempo il pri-
mato, pel numero e per T importanza de* suoi componimenti,
qaella del romanzo d'otl, ossia gallico settentrionale; dappoiché,
se r Occitania vantò un* eletta schiera di Trovatori , anche la
Normandia e la Borgogna ebbero alla lor volta copiosa serie
di Trovieri. Né la congerie superstite delle loro produzioni ri-
mase lungamente infruttuosa per gli Academici francesi, quando
impresero a rintracciare le origini della propria lingua. Infatti
quel medesimo zelo, con cui furono pubblicati ed illustrati i
moQunienti della lingua d'oc, animò parecchi filologi francesi a
porre in piena luce quelli della lingua d'oU. Sono celebri tra
questi le Leggi di Guglielmo il Conquistatore, piii volte pub-
blicate ed illustrale ; il poema di Carlo Magno, conosciuto col
1 33 STtDJ
titolo: Voyage de Charles Magne à Jérusalem et à Consian-
{inopie, pubblicalo con note e con un glossario da Francesco
Michel \ editore di parecchi monumenti letterari del medio
evo ; e il rinomalo romanzo della Rosa di Guglielmo Lorris ^
che vanta molte edizioni e vari illustratori. Aggiungansi le rac-
colte di Novelle, distinte col nome di FabliauXy pubblicate da
Le Grand, Barbazan, Méon e Jubinal '; la Bibte Guiot de
Provins, illustrata dallo stesso Barbazan ; il Romanzo di Bom^ i
Lai di Maria di Francia, riprodotti ed illustrati da vari studiosi,
ed altrettali; e sarà abbastanza chiaro, come alla copia dei
monumenti delF antico idioma settentrionale corrispondesse in
Francia anche il numero degli illustratori. Assai più lunga tor-
nerebbe dopo di ciò rimpresa di annoverare le parziali moDO-
grafie sulla lingua de' Trovieri , o gli autori che ne ragiona-
rono per incidenza, come fece il Fabri ueìVArle retorica^ Car-
pentier neir istoria di Cambrai , ed altri, in opere di varia
natura. D'altronde questi eruditi intesero piuttosto ad illustrare
r antica letteratura nazionale, a schiarimento della storia e dei
costumi del Medio Evo, anziché a svolgere T origine e -la for-
mazione della favella d'oU; la quale per mala ventura doo
trovò alla sua volta un Raynouard, che imprendesse ad ana-
lizzarne di proposilo la grammaticale struttura, o le radici, se
si eccettuino le considerazioni filologiche del sullodato Roque-
fort, e le Osservazioni pubblicate a parte dallo stesso Raynouard
sul Romanzo di Roux. Questo difetto di speciali trattati anali-
tici sulla più influente fra le lingue romanze devesi sopra tutto
attribuire alla falsa supposizione da secoli prevalente in Francia,
la quale considera l'idioma francese e Toccitanico siccome cor-
ruzioni accidentali del latino; né alcuno si curò mai di rio-
tracciariié altrove Y origine , se si eccettui il delirante stuolo
i Londres, Ì%'ÒQ, io-S.
2 Le Roman de la Rose, commencé par Guillaume de Lorris, et aéhevé
par Jean de Meung. In-folio fig.
3 Fabliaux et contes des 1:2." et 13." siécles traduitspar Le Grand d'Ani'
$y. Paris, i779. 4 voi. in-8. — Fabliaux et contes des poètes franpais des
12.« i3.« 14.« et i5.* siècles, par Barbazan. Paris, 4808. A voi. in^-S. — Nou-
veau reeueil de Fabliaux publiés par Méon, Paris, 4823. 2 voi. in-8. -^fiw
veau reeueil de contes dits Fabliaux etc, mis au jour par JubinaL Parti,
4839-42. 4 voi. in-8.
SULLE LINGUE ROMANZE. 139
dei Bulletisti , che tentarono ridurre a puro cellicismo , colla
lingua del Lazio, eziandio quella dei Fenici e dei Caldei.
Se reca sorpresa questa negligenza di tanti Glologi francesi
nel rintracciare le origini di loro lingua , a più forte ragione
dobbiamo stupire considerando, come gli Italiani, che primeg-
giarono sempre fra le nazioni d'Europa nelle filologiche disci-
pline, e presero tanta parte nelle illustrazioni delie lingue ro-
manze straniere, massime dell' occitanica, trascurassero in ogni
tempo la propria , e ne lasciassero perire i monumenti , senza
quasi avvertirne resistenza! Eppure egli è fuor d'ogni dùbbio,
che ritalia^ del pari che tutte le provincie latine, ebbe alla
sua volta le proprie favelle romanze, che precedettero d'al-
quanti secoli, e poscia diedero origine alla favella aulica gene^
rale; e furono scritte e vantarono poemi, canzoni e prose
d'ogni specie, sebbene la latina perdurasse nella penisola più
a lungo che altrove, e quantunque parecchi Italiani preferis-
sero talvolta, come avvertimmo, il linguaggio de' Trovatori.
Ce ne fa testimonianza l'esule fiorentino^ il quale rammenta
alquanti scrittori a lui precorsi, veneti, lombardi^ emiliani, ro-
mani, càlabri e siculi; e rammenta pure componimenti da lui
medesimo riveduti , dei quali più tardi non si rinvenne vesti-
gio^ scritti nei diversi italici volgari.
Di tanti preziosi monumenti, alcuni dei quali^ la Dio mercè,
tuttora esistono, e dove a preferenza i nostri filologi avreb-
bero dovuto rintracciare le origini e la formazione del no-
stro idioma, troviamo appena riprodotti i titoli nelle svariate
istorie della patria nostra letteratura ; né alcuno si curò mai
farli di pubblica ragione, lasciando altrui la cura di trarne gli
opportuni vantaggi. Nessuno, per quanto ci consta, venne di
proposito, per incidenza illustrato, se si eccettui il Tesoreiio
del Latini, scritto piuttosto in lingua provenzale che italica; o
il suo sconcio Pataffio^ che, pervenutoci guasto e travisato dal-
l' ignoranza dei copisti, fu reso affatto inintelligibile dall' insuf-
ficenza dei commentatori. Né dobbiamo annoverare fra i primi-
tivi componimenti romanzi le molte poesie, onde compongonsi
le raccolte dell'Allacci, del Crescimbeni, o del Giunti, nelle quali,
anziché il puro romanzo italico, ravvisiamo i primi tentativi di
stabilire in Italia una lingua di general convenzione, dappoiché
Toscani, Napoletani e Siculi vi fonno uso d'uno stesso linguag-
140 STUDi
gio. Il solo scrittore che, persuaso dell importanza degli antichi
monumenti, porgesse un puro modello dei patrio romanzo , si
fu il dotto archeologo Giovanni Brunacci, il quale sul declinare
dello scorso secolo pubblicò in Venezia un singolare poemetto,
scritto in volgare padovano, rinvenuto fra le tarlate pergamene
di que* pubblici archivj , ove una sposa derelitta lamenta la
lontananza del marito per la Crociata bandita da Urbano lY ^
Quel benemerito scrittore , illustrando con filqlogiche osserva-
zioni il prezioso monumento del 1200, mostrava a' suoi conna-
zionali quanta luce potrebbesì spargere per tal modo sulle ori-
gini della patria favella, ed accennava, come altri monumenti
di simil genere giacessero obbliati nei patri archivj. Ma il suo
nobile esempio non ebbe imitatori^ e, peggio ancora, il sck^ li-
bro ridotto ornai a pochi esemplari, e quasi del tutto obbliato, è
noto appena a pochi studiosi, più forse per accidentali citazioni,
che^non per lettura propria.
Né dobbiamo attribuire la presente scarsezza di sifbtti mo-
numenti all'opera delle frequenti invasioni dei barbari , o alle
rappresaglie delle fazioni, che devastarono tante volte il no-
stro paese; ma sibbene airincuria dei nostri; peggio ancora al-
l'insana avidità dell'oro, che^ eziandio negli ultimi tempi, arric-
chì le biblioteche oltramontane dei più preziosi codici de' no-
stri padri.
Non ha guari, che il manuscrilto originale, ove raccbiu-
devansi gli svariati componimenti poetici di frate Buonvicino da
Riva, esisteva in Milano in una claustrale biblioteca, colla quale
per mala sorte scomparve, né più se n' ebbe notizia. In simi-
gliante maniera scomparvero altri preziosi manoscritti , che a
nostra vergogna vediamo notati nei cataloghi delle biblioteche
britanniche e francesi; e cosi spariranno quelli che ci riman-
gono, obbliati nei nostri archivj pubblici e privati, se ci sta-
remo ancora colle mani a' cintola, contenti delle stucchevoli po-
stille del Dante o del Pataffio^ aspettando che gli stranieri in-
tessano la storia ragionata di nostra lingua, pubblicando quei
i Lezione d' ingresso nelV Accademia de* Rieovrati di Padova del signor
abate Giovanni Brunacci, ove si tratta delle antiche origini deUa lingua
volgare de' Padovani e dltaUa, Ttaeiia, i759, io-i.
SULLE LINGUE ROMANZE. 141
materiali medesimi che ci banoo carpili. Ma qoal^ strazio non
faranno essi di monumenti^ che non possono intendere» né ap-
prezzare? Ce ne porse pur ora chiaro un esempio il dotto filo-
logo inglese Bruce-Wfayte nella Sioria delle lingue romanze^
per lui dettata in lingua francese^ e testé pubblicata a Parigi ^
Si é questa , a nostro avviso » la miglior opera sinora venuta
in luce su quest'argomento; la sola che, abbracciando un mas-
simo numero di positive notizie, ed estendendosi a tutte le lin-
gue dell'Europa latina, (la sola portoghese eccettuata) > svolga
con fina critica e profonda penetrazione le più controverse que-
stioni vitaK, e sollevi Timportante subbiettoal livello della scienza
moderna; noi quindi raccomanderemo questo lavoro ai nostri
connazionali, siccome quello che, procedendo spoglio di pregin-
dizj, atterra colla scorta dei fatti e del raziocinio- i vecchi er-
rori, e solleva finalmente la studioso a contemplare dall'alto il
vasto campo delle origini e dei rapporti delle lingue. Ciò nul-
ladimeno non ci ristaremo dal lamentare lo strazio per lui
fatto degli antichi noìonumenti d'ogni lingua, e sopra tutto dei
nostri. -
Gettiamo un velo pudico sulla sua introduzione alla storia
della letteratura lombarda, óve, cacciando la Lombardia niente
meno che oltre l'alpi ed oltre mare, cosi si esprime : Quii-
tant pour un moment il bel paese ch'Appennin parte, el mar
circonda e tAlpe, nous sómmes obligés de diriger nos pas
vers le Milanais , et d'examiner, ecc. *. Similmente taceremo
lo strazio per lui fatto dei nomi proprj, specialmente degli italia-
ni, giacché in tal materia invano avrebbe egli osato dispulare il
vanto ai Francesi od ai Germani. Restringendoci quindi alle
sole citazioni dei monumenti, acceaneremo, per cagion d'esem-
pio, alla illustrazione dall'autore offertaci di alcuni brani d'un
poemetto di Frate Buonvicino, del secolo XIII. È questo inti-
tolato: De le zinquanta cortexie da tavola; ed è un interes-
sante Galateo per chi siede a mensa , nel quale sono chiara-
mente descritti i costumi di quel tempo. Sebbene l'originale.
i Histoire des langues romanes et de leur lUtérature depuis leur origine
justjH'au XIV,^ siede , par M. A. Bruce-Whyle. Paris, 4««. Voi. 3, ÌD-8.
2 Veggafi nel 3.« volume, pag. 182.
142 STUDJ
come accennammo, andasse di fresco smarrito, per buona ven-
tura se ne conserva una copia, comecché alquanto inesatta,
nella Biblioteca Ambrosiana ; dalla quale TAutore ne trasse una
seconda di gran lunga più inesatta e fallace. Ecco la prima
cortesia, o cànone di civiltà, come trovasi da lui riportata:
La primiera è questa : Che quando tu è a men$a
Del poener lexegnoso imprimatnente inpensa
Che quando tu pesi lo poener tu pasci lo to Signore
Che, te posiera poxe la toa morte in lo eterrml dolzore.
Accintosi quindi colla miglior volontà del lùondo a svolgere
questo bizzarro indovinello, senza avvedersi che le difficoltà
scaturivano dalla mala lezione del codice, il chiaro Autore cor-
redò alcune voci di note etimologiche, facendo derivare poener
dalla voce latina poena; T altra /axegfnoso pure dalla latina
leignosus ^ ; sicché finalmente procedette alla seguente tradu-
zione da lui medesimo con più sano accorgimento denominata
congetturale: Voici la première: Lorsqiie vous vovs asseirez à
table^ pensez (Tabord à vos vils péchés, et qutmd vous les
aurez bien pesés , priez le Seigneur quaprès volre mort il
vom place dans la félicité éternelle.
Quanto lontana dal vero sia questa interpretazione, lo atte-
sta bastevolmeute la seguente lezione per noi trascritta fedel-
mente dal codice istesso:
La primiera è questa: Che quando tu ò a mensa.
Del power bexognoso imprimamente inpensa;
Che quando tu pasci lo povero^ tu pasci lo to' Segnare,
Che te pascerà, poxe la toa morte, in lo eternai dolzore.
Appunto allo scopo di emendare i molti e gravi errori di sì-
mil fatta, dall'Autore commessi nel riportare saltuariamente altri
brani di questo interessante poemetto sinora inedito, e più an-
cora nella fiducia di chiamare Tattenzione degli studiosi airim-
i Veggasi nell'Opera citata, voi. 3.°, pag. i84.
SULLE LINGUE UOMANZE. 14S
portanza dei nostri aniìchi monumenti, abbiamo avvisato far
loro cosa grata, pubblicando per la prima volta e per in-
tero questo poemetto dei Buonvicino, con alquanta fatica per
noi copiato fedelmente dall' inesattQ manoscritto d'ignorante
amanuense, quale conservasi nella nostra Ambrosiana bibliote-
ca. Dobbiamo imperlanto avvertire che, in onta alle diligenti
cure da noi poste nel decifrare quello scritto sovente oscuro
e fallace, trovammo alcune voci di ^orma strana e di significa-
zione a noi ignota , ciò cìie per avventura devesi attribuire a
colpa del copista medesimo. Checché ne sia, anziché procedere
in congetture, abbiamo preferito per ora trascriverle quali ci
si affacciarono nel codice, poche essendo di numero, e tali da
non poter nuocer punto alla chiarezza dell'intero poemetto.
Per simiglianti ragioni abbiamo soggiuulo il poemetto sincrono
in romanzo padovano, riferito dal Brunacci, e per noi ridotto a
più chiara lezione, ed una breve cronaca scritta nello stesso tempo
in romanzo siciliano, onde, posto a riscontro il romanzo lombardo
col più vicino e col più lontano della penisola, appaja evidente la ri-
mota discrepanza delle lingue parlate in Italia, e Tantichilà delle
forme caratteristiche rispettive. Lasciando per ora alla perizia de'
nostri filologi la cura di svolgerne le preziose induzioni e di ap-
plicarle alla scienza comparata, ci gode l'animo di poter an-
nunciare, che, a malgrado della distruzione e dispersione di tanti
nostri monumenti , ne resta ancora bastevoi suppellettile ne-
gli archivj, da poter intraprendere con fondamento la nuova
illustrazione delle origini di nostra lingua; che anzi una rag-
guardevol serie di poesie e prose inedite, anteriori al secolo ter-
zo-decimo, fu già da noi apprestala per la stampa, a corredo
d'uno scritto su quell'importante argomento. Nell'assoluta in-
digenza d'opportuni materiali e di studj preparatorj, valgano
adunque di Saggio i monumenti che quj soggiungiamo, e possa
quest'esempio essere sprone agli studiosi, onde salvare dall' ob-
blio le preziose pergamene tuttora sepolte negli archivj.
Ci resterebbe a parlare degli sCudj intrapresi ad illustrazione
delle altre lingue romanze, le quali non occupano minor parte
delle accennate nell'Europa latina; ma per mala ventura esse
non furono, più che V italica , oggetto delle investigazioni dei
doni. Non diremo della catalana, la quale, formando per lungo
tempo coir occitanica una medesima lingua, fu con^ssa svolta
^d illustrata; né molto meno parleremo della retica e della da-
ìii STUDJ
ce, che, soggelte per lunghi secoli air influenza di barbare lin-
gue^ solo negli ultimi tempi deposero le ruvide lor vesti e co-
minciarono ad essere scritte. Bensì ci duole di veder colie altre
negletta la romanza castigliana, di cui numerosi monunoienti at-
testano resistenza sin dal VI secolo dell' E. V., e della quale
non è meno estesa ed importante F antica letteratura per epici
poemi e storici componimenti. Ciò non pertanto, per non la-
sciare privo di utili citazioni questo ramo prioiapio della fami-
glia latina , rammenteremo fra i tentativi diretti ad iiia-
s trarlo , V erudito discorso intorno air origine della lingua
eastigliana premesso al gran Dizionario della I^. Academia
spagnuola ; e noteremo fra gli scritti più degni di men-
zione su questa materia: le Origenes de la poesia ca$iellana
di Luigi Velazquez ^ la Paleografia spagnuola dì Terreros ^
le Origenes de la lengua espanola compilate da Mayans y Si-
scar ^, le Varie opere di Sanchez ^, le edizioni illustrate del
Cid, e per ultimo la Storia della letteratura spagnuola di Boo-
terwek, tradotta e commentata da Gomez e da Hugalde K Tutte
queste opere ciò non pertanto, comecehéi riboccaoti di pre-
ziose notizie e di solidi materiali, mancano di quella critica
filologica, che sola può condurre ad utili induzioni, né lasciano
meno vivo il desiderio di vedere con più elevate mire illustrati
gli antichi monumenti spaguuoli, e svolto il gran problema che
ne forma il soggetto.
Finalmente il romanzo gallego, dal quale scaturì poscia la
moderna lingua portoghese, essendo stato assimilato agli altri
dialetti iberici, prima che fosse fondato il regno di Portogallo,
i Malaga, i797, in-4.
3 Paleografia espanola que contiene todos lo$ modoi eonoddos^ que ha
habido de escrihir en Espana, desde su principio y fundacion^ hatta et pre-
sente, ec. ec. de Esteve Terreros y Pando, Madrid, 1758. 4.* Bg.
3 Madrid, 1737. 2 voi. in-8.
4 Coleccion de poesias castelUmas anteriores al siglo XV Madrid, 17T9-90.
4 voi. in-8.
6 La graod' opera di Bouterwek intitolata: Geschickte der Poesie und
BeredsamkeiU pubblicata a Gottinga dal 1801-13, Gootiene un volume per la
letteratura spagnuola, che fu tradotto, arricchito e pubblicato col tilolo se-
guente: Historia de la liter atura espanola, traducida al castellano, y adi-
cionada por Don Jozé Gomez de la Cortina, y Don Nicolas Hugalde y
HolUnedo, Madrid, 1819, in-4.
SULLE LINGUE ROMANZE. 145
venne sempre confuso nel castigliano, né ebbe in veran tempo
monumenli proprj, o speciali illustratori. Il solo Alfonso di Ri-
beira, per quanto ci consta, ne pubblicò alcuni Saggi nel Can-
goneiro de poetas antiguos^ e Ribeyro dos Santos ne fece
arida menzione in un trattato sull'origine della lingua por--
toghesey del quale sinora fu pubblicato un semplice sunto.
Ecco in breve mentovati i principaK studj apprestatici sinora
dai nostri predecel^ori ad illustrazione delle lingue roman-
ze; pur troppo da questo rapido prospetto emerge evidente
quanto la strada a percorrere sia più lunga della già percorsa,
massime per ciò che rigiMrda i dialetti romanzi d'Italia; ma
possiamo nel tempo stesso confortarci nel vedervi segnata la
giusta direzione che dobbiamo seguire. Abbastanza Tesperienza
e le fallite speranze di quanti ci precorsero ci rendono avver-
titi, come alla via delle congetture e dei sistemi debbasi omai
sostituire quella dei fatti e del loro confronto. I fatti sono
chiaramente registrati nei monumenti; la scienza comparata ci
insegna il mòdo di usarne ; a noi tocca raccoglierli, ordinarli e
pubblicarli, onde possano gli studiosi fondarvi con sicurezza le
proprie speculazioni!
ROMANZO LOMBARDO DEL 1270.
f
De le xlnqiianta ei^wtemie da tavola
de fra Bon Texlno da Riva.
Fra boa Vexino da riva, che stete in borgo Legniano
De le cortexie da descho ne dixe primauo < ;
De le cortexie cinquanta che se den servare a descho^
Fra boa Vexiao da Riva ne parla mo de frescho.
1 Primiero.
10
Ì46 STUDIA
.La prìmera è questa: che quando tu è a mena».
Del p<yvero bexogooxo imprimameote iopensa;
Che quando tu pasci lo povero, tu pasci lo to Segoorr»
Che te pascerà, poxe f U: toa mortOi in lo eternai doliore^
La cortexia segonda : se tu sporze aqua alle man,
Adornamente la sporze ; guarda no sii Tilan ;
Asay ghe ne sporze, no tropo, quando el è tempo d' estae^;
D'inverno per lo fregio in pizina quantitae.
La terza cortexia si è: no sì tropo presto
De corre senza parola per asetare < al dcscho ;
Se alcbijin te invida a noze, anze che tu sie asetato»
Per ti no prende quello axio ^ d*onde tu fuzi deschaiato..
L' oltra è : Anze che tu prendi lo cibo aparegiao
Per ti, over per to mayore, fa sì eh* el sie segniao*
Tropo è gordo 4^ e vilau, e incontra Cristo malegna
Lo quale alti oltri guarda, ni lo so condugio ^ no segiMw
La cortexia zinquena: sta aconzamente al descho,
GortQxe, adorno, alegro, e confortoxo e fresche ;
No di' sta convitoroxo &, ni gramo, ni travachao 7;
Ni con le gambe in croxe, ni torto, ni apodiao B.
La cortexia sexeoa : da poy che V omo se fiada,
Sia cortexe no apodiasse sovra la mensa bandia ;
Chi fa dra mensa podio 9", quello homo non è cortexe,
Quando el gh'apodia le gambe, over ghe tea lebraze destexr»
La cortexia setena si è : in tuta zente
No tropo mangiare, ni pocho; ma temperadaraente ;
Quello homo on eh* el se sia 10, che mangia tropo, ni .pochoy
No vego quentro prò ft ghe sia al* anima, ni al corpo.
4 Dopo — 2 sedere — 3 seggio — 4 ingordo — 6 piatto, pìeUnza -
6 pensieroso — 7 sdrajalo — 8 appoggiato — 9 appoggio — IO chiunque
egli sia — . il quanto profitto.
SULLE LIN6UB ROMANZE. 147
La cortesia ogena si è: che Deo n'acrescha,
No tropo imple la bocha, ai tropo mangia impressa;
Lo gordo che mangia impressa, e che mangia a bocha piena,
Quando el fisse apetlaYo i, no te responda ap«na.
La cortexia novena si è: a pocho parlare,
Et a tenire pox quello che V à (olegio S a fare;
Che Tomo tan fin ch*el mangia, s'el osa tropo a (jUre,
Le ferguie 3 fora dra bocha soTenzo pon inslre K
La cortesia dexena si è i quando tu è sede K, .
Travonde 6 inanze lo cibo, e furbi la bocha, e beve ;
Lo gordo che beve inpressa, inanze ch*el voja la Ghana 7
Al' oitro fa fastidio che bevd sego in compagnia.
E la undexend è questa: no sporze la copa al*oltro,
Quando el ghe pò atenze 8, s*el no te fesse acorto 9;
Zaschuno homo prenda la copa qu<|ndo ghe plaxe ; <^
£ quando el Vk bendo, là 4e mete zoxo in paxe.
La dodexena è questa: quando tu di' prende la copa^
Con dove mane la rezeve, e ben te furbe la bocha;
Con r una conzamente no se pò la ben rezeve ;
Azò eh* el vino no se spanda, con doe mane di' lieve.
La tredexena è questa : se ben tu no voi beve,
S' alcbun te sporze la copa, sempre la di' rezeve ;
Quando tu 1* à rezeuda, ben tosto la pò mete via ;
Over sporze a un oltro eh' è tego in compagnia.
L*oItra che segue è questa: quando tu ò alli convivi.
Onde si à ben vin in descho, guarda che tu no t' invrie <0;
Che se iovrià matamente H, in tre maynere offende;
El noxe al corpo e al* anima, e perde lo vin ch'el spende.
i Fosse appellato — 2 tolto, impreso — 3 brieciole — 4 sovente possono
uscire — 6 hai sete — 6 trangugia — 7 che vuoti il gorgozzule — S quando
vi paò giungere. Dalla voce latina attingere ^ ^ fiKsess^ accorta «<- 40 non
t'iaebrii — il ubriacarsi stoltamente.
U8 ^ STUDI
La quiodexena è qaesta : seben ?eruD arira,
No feva in pè dal desclio, se grande casoà no gbe aiar;
Tao fio tu mangi al descho, non di* moYersi inlora*
Per amore de fare careze a qailU che te Yerareoo sonk
La sedexena apresso con teritae:
No sorbilar f la bocha quandb tu mangi eoa cogial s»;
Quello fa sicom bestia, chi con cngial sorbilia;
Chi doncha à questa usanza, ben fa a* e) se dispolia.
La desetena apresso si è: quando tu stranudl;
Over eh* el te prende fa tosse, guarda con tu latori 9
In oltra parte te Yolze, ed è cortexia inpensa,
Azò che (fra sariva 4 na zesse 8 sor la mensa.
La desogena 6 questa: quando Tomo sente Ben sano»
No faza onch* lei se sia del companadego pan ;
Quello eh* è lechardo de" carne, over d*ove, over^e formagli^
Anche n*abieio d^aYanzó, perzò no de'l fa stragio <•
La dexnovena è questa : no blasma li condugi 7
Quando tu è alli convivi; ma d), che Vìa bon tugi K
In questa rea usanza multi homini ò za trovao,
Digando: questo è mal cogiOt o questo ò mal salao.
E la XX.* è questa: ale toe menestre atende;
Entro altru* no guarda, se no forse per imprende
Lo menistrante, s*el ghe manca ben de guarda per tato;
Mal s* el no menestresse clave e se love è bruto.
La XXI.* è questa : no mastruiare 9 per tuto
Como avesse carne, over ove, over semiaate condugio;
Chi volze, over chi mastrulia sur lo taliere zerchando«
È bruto, e fa fastidio al compagnon mangiando.
« Sorbire — 2 cucchiajo — 3 labbra — 4 della saliva — 5 gisse; cadeJ
se — 6 noft dee fare strazio — 7 non biasimare i cibi — 8 che so» Mit
buoni — 9 rimescolar brancolando.
-SULLE LIFH2UB 'ROMANZE. 149
l.a XXII.* è questa: do te reze * viltnameote;
Se tu mangi eoo verua d^uoo pan «omuDaiueote.
Talia lo pan per ordine, no yà taiiando per tuto;
No ya taiiando da le parte, se tu no woi essere bruto,
t4i XXIII.": DO dP metere pan in Tino,
Se tego d* un n^po medespo bevesse Fra Bon Teline ;
Chi Yole peschare entro vin, bevande d*un napo conmego,
Per meo grao 9, se yo poesse S no beverave consego.
La XXIIII.* è: nò mete in parte per mezo Io compagnoa
Ni grelin, i^i sqnela ^, se no ghe fosse gran raxon ; '
Over grelin, over squela se tu voi mete inparte.
Per mezo ti Io di' mete pur da la (oa parte»
La XXV.* è: chi fosse con femene sovra un talier muigiaoio,
La carne a se e a lor ghe debia esser taliata;
Lo homo de* più esse intento, pia presto e honoitvre,
Che DO de' per razoD fa femena xagonzente.
La 'XXVI.* è questa! de grande bontà inpenèa, ^
Quando Io to bon amigo mangia alla toa mensa;
Se tu talie carne; over pesso, over oltre bone pitaikiie.
De la plu bella parte ghe debie cerne V inanze.
La XXVII.* è questa: no di* tropo agrézare *
L'amigo a caxa tova de. beve, ni de mangiare;
Ben di* tu recevè Tanilgo e farghe bella cera,
E darghe ben da spende e -eoasolave Yelantera.
La XXVIIL* è questa : apresso grande homo mangiando ,
Ascalete 7 de mangiare tan fin che Tè bevande;
Mangiando apresso d*an vescho •, tan fin ch*el beva dra copa,
Usanza drita prende; no mastegare dra bocha.
^ Non Tadoprare — 5 per mio grado — S s'io potessi — 4 uh scodella —
^ scegliere; dalla voea latina aecernere — -6 eccitare — 7 astieatii aeisft -»
1 80 STUDI
La XXVIIII/ è questa: se grande homo è da provo i.
No di* beve sego a noa bota 9, aoze ghe di* dà logo ;
Chi fosse a provo d* un vescho, tan fin eh* el beverave^
No di* leva lo so napo, over eh* el vargarave.
E la Irenleoa è questa : che serve abia neteza ;
No faza in lo prexeote ni spuda, dì bruteza;
Al* homo tao fin ch'el mangia, più tosto fa fastidio;
No pò tropo esse ueto chi serve a uno convivio.
Fox la XXX.* è questa: zaschun cortexe donzello
Che se vore monda \o naso, con li drap! se faza bello;
Chi mangia, over chi menestra, no de* sofia con le dia;
Con li drapi da pej se monda vostra cortexia.
L*oltra che ven è questa: le toe man siano nete;
Ni le die entro le oregie, ni le man sul cho 3 di* mete;
No de* 1* omo che mangia habere nudritura,
Aberdugare i con le die tt in parte« onde sia sozura. .
La terza poxe la XXX.* : no brancorar 6 con le man,
Tan fin tu mangi al descho, ni gato, ni can ;
No è lecito allo cortexe a brancorare li bruti
Con le man, con le que 7 al jloca li condugi.
L*oUra è: tan fin tu mangi con horami cognosenti,
No mete le die in bocha par destolzare li dengi 8.
Chi caza le die in bocha, anze che Tabia mangiao»
Sur lo talier conmego no mangia per me grao.
La quinta poxe la trenta: tu no di* lenze le die 9;
Le die chi le caza in bocha brutamente furbe;
Quello homo che se caza in bocha le die impastraUatt ^0,
Le die no in ^1 più nete, anze son più brute.
i Da presso — 2 ad un tempo — 3 capo — 4 razzolare — ^ di|i
6 brancolare, accarezzar colle mani — 7 con le quali — % per fvìàì
denti — 9 leccare le dita — 10 le dita impiastricciate — li sono. ^
i
^DLLB LmGUB ROHANZB. ^Sl
I.a sesta cortexia poxe la trenta :
S'el te fa mestere parla, no parla a bocha pieni;
Chi parla, e ehi risponde, se Tà piena la* iMcha,
A pena eh* el possa laniare i negota.
Poxe qaesta yen quest' olirà: fan fin ch'dtompagno
Avrà lo napo alla boeha^ no gbe fa domando.
Se ben tn lo to* apèlare ; da lò le ftio aveiudo < ;
No l' impagià^, daghe logo tan fin che ravtà bendo.
La XXXVIII/ è questa: no reeanlne tee noTeDe,
Azò che qnilli ch*rn lego» no mangiano con recore 4;
Tan fin che li oltri mangiano, no dk soyett angoxose;
Ma taxe, over dì pan^ che^ siano ^nfortoie.
1.* ultra che segue è qaesta: te tn mangi con persone.
No fa remore, ni tapie, m ben gVaYise raxone;
S'alchan de li toy Targasse *, passa olirà fin a tempo T,
Azò che qnilli eh* in tego» no abiano torbamente. .
L*oltra è: se dolia te prende de qualche infermitade.
Al più tn poy conprime 84a toa jnecesitade;
^e mal te senti al descho^ np dimostra la pen^ ;
Che tu no fazi recore a qnilU che mangiiwo lego insema,
Fox qaella yen quesColIra: se entro mangiai^ yegtsse io
Qualche sghivosa cosse, ai oltri no desiseei^
Over mosche, of er quel sozora enM<e mangiai negando,
Taxe, cbe li ne abiano sghi^ ai. desebo mangiando.
L'oltra è: se tu porle squella al descho per serrire, .-.^
Sur la riva dra squeLk le porexe i^ di' leQu-c:
Se tu apili ^o le squeLle cor poreie sur Ja riva,
Tu le poy mele zqxo io so logo seoza olirò cbet'ajda 'V
i Balbettare -* 2 di ciò ti faccio avvisato -^ S non IMmpaccìere — 4 ri*
lirezzo-^S non dire noveRe^ — e traSbeòdesse; commettesse maàoamento -^
7 lascia passare sino a tempo opportuno -^ 8 quante pia puoi reprimi -*
9 il cibo — IO tu vedessi ^11 no» dirlo agli altri -^ 41 guH* orlo della
modella devi tenere 41 pòllice <»^ I» pi^ — i4 clw^lTàfelii): <^ /^^^
152 STCDJ
La terza poxe la quaranta sì è: chi yoì odirer
Ni grelio, ni sqaelle, ni *l napo no di* trop* impliré;
Mesura e modo de* esse in tute le cosse * che sia ;
Chi oltra zò Targasse, oo ave fa cortelia.
L* oltra che segue è questa : reten a ti lo cugiale.
Se te fi tolegio 3 |a s quella per azònzere de lo mangiale;
Se rè Io cugial entro la squella, lo meoestrante inpflia;
In tute le cortesie ben & chi s' asetilia.
L* oltra à questa: se tu mangi con cugial, '
No debie infolcire 3 tropo pan entro mangiale,
Quello che fa impiastro entro 4 ; mangia da fogo 8»
£1 fa fastidio a quiili che ghe mangiano da provo.
L* oltra che segue è questa : s* el to amigo è tefo,
Tau fin eh' el mangia al descho, sempre lN>chosa deg« *;
Se forse t* ascatasse, ni fosse sazio ancora.
Forse anehora s* ascalarave per fergogna inlora.
L' oltra è; mangiando con oltri a qualche inYiameoto 7^
No mete entro guayna lo to cortelo anze tempo;
No guerna 8 |o cortello anze ch^* alo compagnon ;
Forse oltro ven in descho d* onde tu no sé raxoD. '
La cortesia seguente è: quando tu è mangiao 9,
Fa sì che Jesu Xristo ne sia glorifieao.
Quel che rezeve servixio d'alchun obediente.
Se lo no lo regratia, tropo è deschognosente.
La cinquantena per la darera f^:
Lavare le man, poy beve dro bon vino dra carerà;
Le man poxe lo convivio per poche pan fi lavae»
Da grassa e da sozura el in netezae»
4 Vi dev* essere modo in ogni cosa ; Vest modus in rebus d'OHAZto —
2 se ti fia tolta — 3 tu non debba insaccare — 4 ciò che imbratta lo alo*
maco — 5 mangiar da fuoco; modo lombardo che significa mangiare con
avidità -^ 6 mangia lievemente con lui •— 7 invito ^ S non riporre; mode,
lombardo — 9 tu hai mangiato — 10 per ultima.
SULLE L1N6UB ROMANZE. IKS
ROMANZO VENETO DEL 1270.
mento d^nna 9|iosii per ta lontaufinzn del marito
chifiinato alle Crociate*
Responder voi a dona Frixa
Ke ine conseìn en la san ^uisa,
E dìSt k'eo Usse oj^ai gramna I,
Ve^aodame S senza alegre^a.
Ke me roarìo se c'è aodao^
K'el roe cor cum Itii A portao;
Et co cutn hi ine deo confortare,
Fiok'el starà de 1^ da mare?
Zamat noi ver el vegoìre 3,
No ai paura d' envegolire,
Ke la speranza me mantelle
De] rae Se gnor, ke rae sóreiie^
En lui è tntto el me coaforto;
Zamat non voi altro deporto;
Ke de lui sol zoin me nasce^
R>1 me fortLn noriga o pasce.
£t ne me par k'el sia luiiano;
Tanto m*fe el so amore prusimano;
Eo sto eo la cambra, piango e plurOi
Per tema k' el do sia seguro ;
Ke d'altro mai do ai paura;
E la speranza m' assegura,
Tristezza - S veggeadomi — 3 non Tedenàok) Yonlr va|t
154 StDDJ
K'el de* Yegaire eo questo logo;
Tutto el me pianto torna en zogo,
E i me sospiri yen eo canto,
Membrandome ^ del ben cotanto.
Veder mia faza eo mai no quero ^
En spleco; k*el no fa mesterò;
Ke non ai cura d* esser bela.
Eo men sto sola en camarela,
E an tal ora mei la sala;
No ai que /ar zo de la scala,
Né a balcon, né a fenestra;
Ke tro^ome luttan la fesU
Ke più desiro a celebrare.
€o guardo en za de verso el mare,
Si prego Deo ke guarda sia
Del me segnor en compagnia;
£ faza 8\ k' el mar\o meo
Alegro e san sen tome endereo ; ,
E done vencea S ai Cristiani;
Ke tutti vegna legri e sani.
Ke quando ai fato questo prego,
Tuto el me cor roman entrerò %;
Sì k' el me viso ^ ke sia degna,
K*el me segnor tosto sen vegna.
Eo no crerave aliro conscio;
£1 vostro è bon, ma questo è melo.
£ questo me par de tegnire;
Nexun men porave djepartire.
Le done oidi 6 zò ke la disse ;
Nexuna d* elle coutradisse ;
Anzi fo tegnuo tut^ per bene,
E cosa ke ben se convene.
E fé eia tene, (è liale,
Gum boiia dona e naturale,
Ke la tea4é tàntp al marìo,
i Rimembrando — 2 non cerco mai di vedere il mio volto entro
chio — 3 e dia vittoria -* 4 rimane tranquillo ^ 5 sicché m'avvivo
donne udirono. " ♦
SULLE LlfCGUE ROViVRZE. I$S
K* el so deserio fo compUo.
£a verso lai mostra legreza,
Lassando tutta la girameza;
Zamai penser do yolse avere.
Se Qo com se poes phxere i
Et el a lei, et eia a lui.
Zilusi i gera entrambi dai;::
Mai DO mrga de rea cre^tna,;
Entrambi eran d* una senteaza,
K* i se portava tanto amorfe, ;
KM gera entrambi d*iia sol core.
El volse zò k* eia Yolea ; ^
Et eia zò k^a lui plasea.
No ave mai tenzoo, né ira,
Ke ben tegnisse da lerta a sera.'
Questa fo bona zilosìa,
K*el fin amor la gu(irda e gaia >•
E questa voi Io pelegrino
Aver da sera e da mattino.
E an no 1 ave desplaxeré, \- .
S* ella volesse ancora avere ;
En verso lui no clian 3 ella,
K* ancora un poco li revella;
Ma el à sì ferma speranza, ' ' . r
K* el ere* complire la soa entendanza 4;
E far sì k* eia ramerà,
E fé* Hai li porterà.
Eia li sta col viso d^ro,
Quan li favela, mai de raro ;
I aven quella rica aventara -
Ke f è sì allA per natura ; '
Kc quaado el è da lei apresso,
De dir parole sta confesso n,
E sta contento en Lo guardarep
Altro DO la olsa 6 demandare ;
non come potesse piacere — 3 che il vero a mot e difende e guida ^
landò — 4 eh* eì crede ro§giuQgere il 3uo scopo -» ij è incapace —
non le osa.
IM liTUDJ
£ s\, i averaYe el ben que Ain I *
Querir mercè, mercè qaerire
Mille Oae e pia ancora.
Se li bastasse tempo e ora.
£ ki credivu k*elia sia?
Eia è de tal beltae compUa,
K'el DO è miga iperaveii^
S* el pelegrio per lei se sveìa.
Aa S no de?rave'l mai dormire; .
Ma pur a lei mercè qaerire;
Mercè k'ela el degnasse amare,
Ke malamentre el fa penare. ^
Mai el non osa el pelegrino;
Tutora sta col cavo enclino; ..
Mercè no.quere; mai sta mal«:
Sospira el core, e arde tuto.
ROMANZO SICULO DEL 1587,
DI la Tiiantn di la re Jfaplca In Calanla.
Notizia di lu P. Fr. Atanasio di Aci '.
La vinuta di lu re Japictt a la gitati ^ di Catania fu lu prima
di Maju di rannu 1287 ali* Ave Maria; trasiu ^ per la porta
4 Egli avrebbe pur cbe dire I -« 2 anzi..
3 Questo prezióso monumento si conservò sino a* giorni nostri nel mona-
stero di San Nicolò TArena in Catania, al quale appunto apparteneva T au-
tore; e fu pubblicato dal Bentivenga a Palermo Tanno 1760« nell'opera inti-
iolata: Opuscoli di autori Siciliani ^ fra i quali fa appunto ins*erito e se-
polto. Trovasi fatta menzione di quest^ autore nella Bibliotheca Siculo del
Mongitore , nelle Memorie storiche di Catania di Pietro Carrera , ed in al-
tri scrittori siciliani. L* importanza per altro di questo scrìtto, màssiore per
gli studj lingaistici, non ci sembra mai abbastanza raccomondata,
4 Alla città — 6 entrò.
SULLE L1N6UB ROMAPiZB. ^VJ
(fi Jaci , e fu incontratu di tutti li gitatini cu aliìgrizza ; ioa
chiui dì tulli vinia multu maleuconicu , pirchi havia vidutu
multi galeri franzisi vicinu di Catania, e si cridia chi n ixianu^i*
di lu portu di Catania; ma pirchi sti galeri havìanu'viAUtu
cu r antri Franzisi per terra chiamati: da alcuni nimici, per fari
gualchi movimentu; ma a la vinuta di In re havendu voluta
fari certa bravarla, foru cacciati. E stando lu re a lu castella
ci foru portati boni novi, e li gitatini stavanu cu Tarmi a li
manu, aspettandu li cumandi di iu re; ed avendu vistu, chi a
li Franzisi ci atrinixiu sfalla ^, havendu tentata per mari e
per terra Tassautu di la gitati; Martinu Lopes eriatu di la
re, homu di grandi ardiri^ da subilu dii intisi^, chi li Franzisi
si ritiravanu ad Augusta, zoè, di chi vinnira per terra, n' ixiu
di Calania cu deci cavalli ali* ammucciuni ^ e cinquanta antri
Catanisi cu li balestri e sartti, quali foru Misser Forti Tudiscu
figlia di Giusta Tudiscu, e diistu fu lu capu di Tautri, zoè
Franciscu Anigitu, Petru Faglisi, Antonia Andronicu, Micheli
Viperami, Carlu Banaju, Franciscu Rosa, Petru Platania, Ze*
bedeu Castruvillari , Franciscu Santunucitu, Ameriu Niculosu,
Petru Ramundettu, Cristofalu di Lau, Ximeni Costa ^Muni di
Stefanu, Salvaturi Nafittia, Curradu Tarantu, Girlandu Riganu,
Rumanu Anigitu, e li soi frati, e multi antri, quali n* ixeru di
la porta di Chiana, chi poi chista porta subitu si murau. Qui-
sti sinni jeru \ per assicutari ^ li Franzisi chi fuianu di la facci
di lu re Japicu ; e caminandu a la via di lu xiumi ^ grandi, in-
euntraru un armentu di vaccbi, chi la a la via di la^Cbiana;
ed una cani, chi si truvau di pressu a li Catanisi, accuminzau
a bajari, ed assicutari li stissi vaccbi, i cjuali accuminzaru a
fiiiri cu grandi ìmpetu; e li Franzisi^ videndu chista rimurata ^
pirchi era dì notti^ accuminzaru ad aviri pagura e, cridendusi
chi era qualchi cavallaria, sinni fuieru; e li Catanisi cu Mar-
tinu Lopes spagnolu sicutaru bravamenti , e cinni ammazzaru
chiù di ottanta, e nni pigharu multi vivi, pirchi li cavalli li
i Escivano — 2 andò fallito il colpo — 3 di nascosto. — Rotisi che, io
dialetto veronese, mucei significa zitto i Forse da muti; siate mutil II Si-
ciliano, come yedrassi più oltre, ha anche il verbo ammuceiari per nasc«oi-
dere, appiattare — 4 se n*aodarono; se ne girono. — Notisi come il dialetto
siciliano a quel tempo serbasse intera la coDJugazione del verbo ire — 5 in-
seguire — 6 fiume — 7 rumore.
158 STUDJ ' .1,
assicutaru a lo cuda, e li balistrerì d* arretu li mura di li n^
gni, e non sì linniru, si no li purlaru pirfina a lu xiumi, e li
ficiru passarì a mollu S pirchi li Calanisi tagliarq la corda di
la Giarretla ^ e sinui annigaru malli di li Pranzisi. La mat-
tina riOreru chislu a lu re, chi sinni pigliau grandi placirì, e
lu successu lu facia cuntari di unu in unu , e poi a tutti ri-
munerau,. e ci dunau dinari ed «autri cosi^ ed a Misser Forti
Tudiscu r onurau cu farilu Governaluri di Jaci.
Lu re slava aspettandu a Ruggieri Lauria, per sicutari li
Pranzisi ; chi vinni cu li galeri a Catania , e si fici una gran
gazzara ', e li galeri, chi purlau, foru yLutisetti, ed altri tridici
vinniru di poi; e pure si pigliaru li galeri di Catania, chi eranu
homini Valenti di supra, ed in particulari Antooiu la Currula,
chi alluttava cu li jeuchi ^ e li vincia ; e siuni ju ad Augusta,
In chislu tennpu lu re ascùtava a tutti , e si assillava ^ *Dtrà
la curligliu di lu casteilu, e dava audienza a tutti, e facia la
giustizia; ma vosi ^sapiri, cui erano quìlli chi tinianu la in-
tilligenza cu li Pranzisi, e s'infornìau di tutti persuni da beni,
e sacerdoti; ed avenduli saputa, fingia nun ^li sapiri; ma a
tolti mustrava bona cera ; ed havendusi di spusari la figlia di
Gioanni Munticatiuu , lu re ju a li nozzi vistutu di virdi , ac-
cumpagnatu di li nobili di gitali; ma nun ci vosi mangiari,
pirchi havia di spediri a diversi Curreri chi T aspittavanu, e
sinni ju a lu castella a cavalla; e a la so spalla ci era lu
Baruni di Schilinu, e Pranciscu Brandinu; e juntu a lu ca-
stella^ truvau a Micheli Protupapa, chi parlava quatiru Pran-
zisi attaccali, chi la sira di T assautu per paura si bavìanu
ammiìcciatu tra li cannili a lu pantana. Lu re Tappi assai a
caru, e delti a lu diltu di Protupapa quaranta xiurini ^ di
biviraggiu, e ci fici multi carizzi. In quistu sinni acchìanau ^ a
mangiari, e si tinia qualtru di Catania cu ìllu, di li quali na
nni lassau n exiri, zelto '^ dai ; ma quannu si partiu li lassau,
e non si sappi la causa di chislu trattenimentu.
i A guazzo ; a molle — 2 GiarreUa chiamasi anche adesso il fiame Simeto
{Simaethus) celebrato dai poeti — 3 Fesla, (ripudio. Di qui forse il verbo
gozzovigliare — 4 giovenchi — I sedeva — 6 volle — 7 Fiorioi. — Avver-
tasi che il fiorino siciliano constava di sei tarì,^ trenta dei quali formavano
un'oncia d'oro — 8 saU — 9 eccello; tranne.
SUUE LINGDS ROMANZE^ 1^59
^JdUnntt vlnairu li galeri cu Lauria, tutti tt gitatioi li jem
a vidiri» ehi viuniru la sira di li dudici dì Maju, e si facia una
festa a la marina; ed a Ruggieri Lauria si lu pigliau Misser
Antoni Pape di la gitati di Piazza y homu assai valurusu , ed
amicu di lu re, e si lu pnrlau a lu caslellu accumpagnalu di
gran genti; ed arrivatu, si misi a parlari cu lu re a la fine-
stra un gran pezzu. In chistu vinni unii, gridandu^ ehi a la
casa di Cola Yajasinni ci eranu ammucciati multi Pranzisi; e
ci fu dittu a lu re, quali mandau a vidiri la cosa; ed arri-
truvau a dudici Pranzisi amilibédaii £irretu Ir vutti ^ chi avianii
trasutu ^ di notti; e ci d'rcia, chi havianu trasulu ammucciuni
di lu patruni dì la casa, chi èra di fora ; ed havenduli misu a
li turmenli separati, ci cunfissaru tulti una cosa: chi havianu
stati chiamati a Catania di alcuni; ma lu re non li vosi appa-
lisari pri allura; e chissi la notli si baviai^a a ioipatr^mjr^
di la porta di la marina, e apriri a li Pranzisi, e lassariii tra-
siri intra. La re, saputi chilK cM cunsrateru, pri allura lu fin-
giù, nuo ci parendu tempu pri risintiris^ pirebi altorà a la gi-
tati ci eranu giuviui assai vuluntirusi. In chistu vinni Misser
Luca di Giovanni di Missina. Chistu havia slatu Monacu, e si
spugliau, pirchi nun putia stari scapili! '; « lu re lu mandau,.
chi issi * a truvari a Lauria, pìrcM chistu gfuvinl era assai
\alenti, e bravu suldatu, e cunsiglieri ancora. Chistu muriu a
Catania in subita chi vinni» e lu re lu chiangiu ^, e li fici fari
li esequij.
In quistu tempu lu re stava in grandi ansia di havìri la
\iUoria di Augusta ; ma si mustrava allegru ; ed ogni ura si
mannavanu curreri, e lutti li Signuri di lu regnu vinniru a Ca-
tania, e suldati assai, e cavalli, chi paria un reduttu di armi.
E lu re vulia fari lu parlamentu pri abbuscari dinari; ma li
\ Calanisi li desiru * quantu abbisugnava, ed una fimmina cat-
tiva 7 , chi nun havia figli , duuau a lu re ducentu unzi , e li
so cosi di oru, chi lu re Tappi assai a caru, e ristau cuntentu.
Quista donna si chiamava Àgata Seminara. Lu re Japicu si
pania per assediar! li Pranzisi ad Augusta ; ma smni jeru pri-
<>«■ i Dietro le bolli — 2 erano colralì — 8 senza capelli; o meglio: cof capo^
ar^ scoperio e tonso — 4 andasse — 5 piansi — t diedero — 7 vedova.
)60 STDDI tOLLC LUratJC ROKANZB.
ma ; e ti genti di hi regna ancora non erana fermi ;
dicia una cosa, cui un* autra ; Aia tutti vinianu inchinati a h
re Japicu. È veru chi ognunu stava a lu vidiri , eoma iaoa li
cosi di lu regnu.
ROMANZO FRIULANO DEL ilOS.
Iscrizione esistente sul campanile di Beclns, Tlilif-
i^o situato nel Friuli, sulla sinistra sponda dd
Tagliamento, tre miglia distante da B^fa i.
M C 1 1 1 Christi Domini fo chomenzat Io tor de Redui k
primo di de Zugno. Pieri e Toni so fradi de Baja.
t X provtre TaDtica esistenza delle lingue romanEe italiche, e la pttfel
loro consonanza coi viventi dialetti, abbiamo avvisato di soggiungere anco
fjmsiMnDiponante iscrizione, onde sottrarla alla distnutone Ad aeeoli.
VII.
ORDINAMENTO
DEGLI IDIOMI E DEI DIALETTI
ITALICI
1 •
e-'
11
Abbiamo annoverato in un precedente Discorso ^ le straniere
elle che parlansi tutt'ora entro i naturali confini della no-
a penisola» ed abbiamo accennato air origine » al numero ed
e sedi precise delle nazioni che le parlano. Ivi abbiamo ri-
lardato come straniere tuttQ le lingue importate nel nòstro
ese, in tempi più o meno lontani^ dai popoli circostanti; ed
biamo considerato quali membri dell' italica fomiglia i molt(^
ci dialetti parlati dall' una all' altra estremità del bel paese,
mecche realmente alcuni diversifichino fra loro ben più che
lingua italiana dalla francese, dalla catalana o dalla valacca,
sebbene in massimo numero derivino ' dall' accozzamento di
raniere favelle importate, del pari che le moderne, da colonie
,)prodate in remotissimi tempi sul nostro suolo. Comunque di-
erse infatti si fossero in origine queste primitive colonie fra
)ro, d' indole, di culto, di costumi e di Ungua, egli è fuor d'o-
ni dubbio, che sin dai tempi, che precedettero la fondazione
^ Vedi retro a pag. 43 ii Prospetto topografico statistico d$Ue colonie ètra-
^^f^n d' Italia.
164 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
di Roma, i Tirreni col vasto loro dominio snila parte inferiore
della penisola , gli Etrusci nella centrale , ed i Celti nella set-
tentrionale, erano pervenuti nel volgere dei primi secoli ad
imprimere sopra una massa più o meno grande dì nazioni di-
stinte un suggello uniforme, riunendole a vicenda sotto il ves-
sillo d' un medesimo culto e d' una stessa legge^ e per quanto
era possibile eziandio coi vincoli d'una sola lingaa scritta > la
quale col tempo dovette più o meno influire sulla parlata. Per-
ciò appunto alcuni secoli prima che T aquila romana spiegasse
il volo oltre agli angusti confini del Lazio, prevalsero in Italia
quattro lingue principali, vale a dire, la greca, Vetrusca, la
celtica e V timbrica, dalla quale scaturirono più tardi Y osca e
la latina ; e queste quattro lingue furono per lungo tempo ge-
neralmente scritte ed intese, e forse anche parlate» comecdiè
in differenti dialetti, nelle rispettive regioni, ove rimasero chia-
ramente distinte eziandio varii secoli dopo che tutta la penisola
fu riunita sotto il romano dominio, ed ebbe una sola fingaa
scritta, la lingua del Lazio. Oltre ai molteplici monomenti su-
perstiti ed alla concorde testimonianza degli antichi scrittori,
ne abbiamo una prova irrefragabile nella legge GiuliOf la quale
accordava gli onori ed i privilegi della cittadinanza remnui a
tutti quei popoli, che nella guerra italica eransi serbati fedeli
alla repubblica ; ed era implicita condizione delF ottenvlft atta-
dinanza T adozione della lingaa e del culto latino.
Ma questa lingua altro non era in origine, se non m Mao
dialetto parlato in un angolo d* Italia da una bellioosa aUrpcT di
rozzi pastori che , depredando i popoli vicini , a poco a poee
divennero potenti, ed aggregandoli in un sol corpo, fiMtaaroao
col tempo una sola nazione. Ne son valide prove gli inlbroi
Carmi saturnini, gli Axamenta dei sacerdoti salii, i franunenti
delle leggi di Numa serbatici da Pompeo Pesto , non die T i-
scrizrone della colonna rostrata eretta in Roma a DuilMo^ ^jrca
due secoli e mezzo prima d'Augusto ; dai quali moaumenti ap-
pare manifesto, come la latina favella, comecché costitniCa sopri
il sanscrito elemento , mancasse affatto di quella regolarità di
forme e di flessioni che assunse posteriormente , dopa che i
retori greci insegnarono ai Romani a modellare sulla loro gram-
matica la propria lingua.
Egli è inoltre assai Terisimile , che a formare questa lin-
E DEI DIALETTI ITALICI. 163
gua universale ed atta a provvedere ai multiformi bisogni di
una grande nazione nascente , ogni singolo popolo aggregato
contribuisse colia propria favella primitiva ad accrescerne i
materiali, introducendovi colle nuove idee proprie, colle nuove
cognizioni e colle proprie usanze , eziandio i segni conven-
zionali atti a rappresentarle. Ed è altresì naturale e fuor
d'ogni dubbio che, mentre in forza dell* unità del gover-
no , del culto e dell' interesse comune , la stessa lingua a
poco a poco si generalizzava presso tutte le singole popolazioni
italiche, ciascuna dal canto suo dovesse parlarla a suo modo,
vale a dire colla distintiva sua pronuncia^ colla propria sin-
tassi , e serbando un maggiore o minor numero d' idiotismi e
di voci proprie della rispettiva lingua primitiva, elementi in-
.destruttibili, cosi presso le rosize come fra le eulte nazioni.
Di qui appunto ebbe origine quella moltìplice varietali dia-
letti, che distinse in ogni tempo in Italia^tanti popoli estranei
fra loro, e le cui discrepanze di suono, di radici e di forma
segnano tuttavia più o meno precisamente i confini della prisca
etnografia italiana. Di qui appare eziandio manifesto, come Vi-
dioma latino , i cui numerosi monumenti furono sempre mo-
dello principale alle moderne letterature , fosse bensì la Jingua
generale del governo, del culto e degli scrittori di tutta quanta
la p^isola , il centro di perfettibilità , al quale tutti i singoli
dialetti mano mano si andavano accostando', e che, reso og-
getto primario del pubblico insegnamento , divenne eziandio il
solo interprete del foro e della tribuna , e s' insinuò persino
nelle calte conversazioni; ma restando sempre ciò non pertanto
per sua natura lingua artificiale ed esclusiva degli studiosi^ non
potè essere parlato generalmente da veruna singola popola-
zione.
Nella stessa guisa appunto sorsero e si perfezionarono pres-
soché tutte le moderne lingue scritte d'Europa^ T tVo/tana,
la francese f la tedesca, V inglese ^ la romaica ed altre, attin-
gendo e scegliendo i necessari! materiali ne' varii dialetti ri-
spettivi, che furono sempre esclusivamente parlati ne' vari luo-
ghi, sebbene tendessero poi sempre, e tendano tuttavia ad ao-
costarsi alla lingua eulta comune, insegnata e conservata dalle .
grammatiche e dai libri , e non mai dalla viva voce d' alcun
popolo privilegiato.
166 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
Tale per avventura fu, a parer nostro, T orìgine ddla
lingua latina, la quale fece la sua prima comparsa con
veste grammaticale nei drammi dello schiavo greco Livio
Andronico, imitato poscia e superato da Ennio, da Plauto
e da Terenzio. Sebbene però sin da quel tempo 'dia divenisse
lingua del governo e degli scrittori , egli è mestieri avvertire
che, non solo il popolo romano serbò poi sempre pro|Hrlo
dialetto; ma altresì le favelle diverse della penisola, ed id ispe-
eie la greca , Y etnisca e la celtica , contiBoarono ad essere
parlate ndle rispettive r^ioni vani secoli posterkNrmente, dopo
i quali alia fine la prevalente influenza della lingua aolìca ge-
neralizzata valse a modificarne notevolmente la forma ed il
lessico > non già ad estirparne gì' indestruttibiB eleineiitL
Della verità di questi due fatti abbiamo non dubbie prove ndh
separazione delia lingua nobile o scritta dalla romana rmika
o pariata, asserita in ogni tempo dagli stessi scrittorì romani,
e constatata dalle opere d'Apuleio , di Pesto , di Palladio e di
tutti gli scrittori di comedie^ nelle quali T uomo del popolo
compariva sulla scena parlando il rustico dialetto. Né meno va-
lide testimonianze abbiamo in mohi classici scrittori» dai quali
dùaro emei^, come la lingua etnisca sussistesse in pieno vi-
gore qualche secolo dopo Augusto, rappresentaBdosi in Roma
stessa le Atellane in quella lingua ; come la critica fosae par-
lata nello stesso tempo e dopo nelle province transappcBBÌae,
e come la greca si conservasse senza intermzioBe iiimi sino
ai tempi moderni in varie parti dell* Italia meridinniif
Frattanto la lingua latina « come ogni favella artificiale, segni
tutte le {asi della romana potenza colia quale era sorta, impero^
die solo allora qaando Roma« compinta la conquista d'Atene»
di Tebe e di Corinto, possedette i tesori lellerarii delTOrieole,
e divenne capitale del mondo incivilito, b prosa btinn in srolta
in tutta la sua eleganza per opera di Crasso, d'Ortensio, di
Cesare e di Cicerone: e solo dopo che pel confitto di Farsa-
Uà al reggimento repubblicano successe il monarchico , i po(^
vi diedero Y ultinui mano, adattandob ai anneri ed al metro.
Allora infiitti Virgilio porse la latina epopea colTfiieMfe; Ovi-
dio svolse le alkfmìe nùtologiciie nelle MHamorfim; ed Orazio
tentò gli ardimenti detta lirica.
Fittckè Roma rivweite ì tributi JeU A^iu , deir Africa e del-
B DEI DIALETTI ITALICI. Ì67
('Europa, anche la sua lingua diffusa in tante regioni straniere >
e coltivata da tanti popoli diversi, conservò Tatto seggio su cui
le immortali opere d'una schiera d'elevati ingegni Taveano col-
locata ; ma allo splendido secolo d'Augusto successero i sangui-
nosi regni dei Caligola e dei Neroni, e la musa romana, sde-
gnando gli ozii di Titiro e le fole mitologiche^ converti i brindisi
ad Augusto ed a Mecenate , i voluttuosi epitalamii ed i cantici
epicorei in profonde meditazioni sul naturale diritto, imprimendo
negli scritti di Lucano, di Giovenale, di Quintiliano, di Seneca,
di Plinio e di Tacito, la severità e la tristezza dei tempi.
Anomutolita sotto l'oppressione della tirannide, ricomparve per
un istante, come il lampo nella procella, sotto il pacifico governo de-
^i Antonini; ma quando l'arbitrio militare franse quei nodi che col-
legavano le mire del trono agli interessi della nazione; quando il su-
premo potere venne usurpato da Barbari mercenarii, e le orde
incalzate dal freddo Settentrione inondarono la penisola, costrin-
gendo gli imperatori a trasportare in Bisanzio il crollante lor
trono, anche la lingua scritta a poco a poco dilegua colla pri-
miera coltura , e l' Italia rimase co' suoi multiformi primitivi
dialetti, mentre i soli apostoli del cristianesimo si fecero depo-
sitari delle lettere latine, consacrandole alla Bibbia ed al
Vangelo.
Alternata colla sorte della latina si fu ìmpertanto quella dei
dialetti parlati, i quali, dopo aver principalmente contribuito a
formare ed arricchire delle proprie spoglie il latino idioma, ri-
masero negletti nei trivii, nelle campagne e fra le domestiche
pareti > durante la lunga carriera dì quello; nel qual periodo,
come accennammo, furono appena introdotti talvolta sulla scena
a render lepidi i pubblici spettacoli; ma quando la lingua no-
bile scomparve colla nazionale coltura, sorsero di nuovo, e
provvidero ai bisogni della vita socievole , finché giunse un' era
novella, in cui, ricomposto in Italia un nuovo ordine di cose,
contribuirono per la seconda , o piuttosto per la terza volta ,
alla formazione d' una lingua [generale interprete comune di
tutte le nuove italiche generazioni, alla quale fu data la più
giusta e competente denominazione di Ualiana.
Infatti quando col romano reggime scomparvero a poco a poco gli
studiosi che sapevano scrivere latinamente, ogni provincia, cosi in
Italia, come in Gallia, in Iberia ed altrove, per sopperire ai bi-
168 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
sogni della vita, ebbe ricorso al proprio dialetto, al quale volle
pur imprimere un grado di coltura , forzandolo alle forme ed
alle flessioni latine ; dal che ebbe origine quella vasta ed im-
portante, sebben in generale Gacca e rozza letteratura del. me-
dio evo, la cui lingua venne con tanto ingegno e perseverante
fatica riassunta dal Du Gange nel suo gran Dizionario, moDU-
mento preziosissimo e documento irrefragabile della rimota an-
tichità degli italici dialetti. Se non che il mostruoso e ca-
priccioso organismo di queir ìncondito latino poco inteso M
pari al popolo che agli studiosi, ed i continui sforzi neoessarii
ad ovviarne la crescente deformità, nell'assoluto difetto di prin-
cipii, di regole e di studii, consigliarono ai più avveduti il li-
bero uso del volgare dialetto, in tutta la sua naturale sempli-
cità, e questo da prima fu svolto nelle tenzoni e ndle seryea-
tesi dei trovatori si italiani che catalani, provenzali, francesi e
castigliani, assumendo il nome generale di lingua romanza.
Ma questa lingua romanza, lungi dall'essere una lingua universale
comune a tutta la nostra penisola, non che alle romane provin-
ce, altro non era, se non il dialetto proprio del paese dei ri-
spettivi scrittori , più o meno forbito e modellato sopra una
norma comune, e quindi variò notevolmente da luogo a luogo,
come consta dai numerosi monumenti superstiti di quell'età;
sicché , come abbiamo altrove dimostrato , tante furono ^le lin<
gue romanze, quanti i dialetti parlati in tutta TEuropa latina; e
perciò appunto , nella classificazione delle lingue d' Europa da
noi proposta neìV Atlante linguistico^ abbiamo riputato necessa-
rio raccogliere tutti quei dialetti in varii gruppi, cui designam-
mo coi nomi di romanzo italico^ gallico^ iberico f retico edace.
Ora, i primi in Italia, e forse in tutta T Europa latina,
che sollevassero il proprio dialetto alla dignità di lingua scrit-
ta , furono i Siciliani , dappoiché Federico II e Manfredi pre-
miarono e stipendiarono alle loro corti trovatori nazionali, ed
alternarono colla patria musa le cure dello Stato. Carlo d*An-
giò re di Napoli segui il loro esempio, e poiché l'arte di scri-
vere nel proprio dialetto, e sollevarlo all'onore del verso trovò
mecenati in tutti i principi italiani, ogni città ebbe presto i suoi
trovatori; imperocché, se in Sicilia, oltre all'imperatore Fede-
rigo e ad Enzo suo figlio, emersero fra gli altri Guido dalle
Colonne e Iacopo da tentino, anche Genova ebbe Folchetto,
E DEI DIALETTI . ITALICI. 169
Calvi e Doria; Torino, Nicolelto; Venezia, Giorgi; Padova,
Brandiuo ; Mantova , il Sordello ; Faenza , i Pucciola ; Bologna,
Guido Guinicelli, Ghislieri, Fabrizio, Onesto, Seniprebene, Ber-
nardo e Iacopo della Lana ; vantò Arezzo il suo Guittone ;
Lucca il Buonagiunta-; Siena, Folcacchiero , Mino, Moccato ed
altri; Pisa, Lucio Drusi e Gallo; Pistoia, messer Gino; Todi,
lacopone; Barberino, messer Francesco; Firenze, Cavalcanti,
Brunetto Latini, Guido Lapo, Farinata degli liberti, Dino Fre-
scobaldi ed altri molti; Capua, Pietro delie Vigne segretario
deir imperatore Federigo II; e così tante altre città ebbero
scrittori e poeti volgari di maggiore o minor pregio, i cui com-
ponimenti, ed in parte ancora i nomi, furono col tempo
smarriti.
Ma tutti questi scrittori, come accennammo, fecero uso
del rispettivo dialetto municipale, ond'è evidente, che, cosi pro-
cedendo, ritalia, priva d' una lìngua atta a rappresentare V u-
nità nazionale, e smembrata in tanti piccoli Stati, sarebbe ri-
caduta nella prìstina pluralità di lingue; imperocché, mentre gli
uni andavano pulendo il volgare fiorentino, o sienese, altri scri-
vevano il siciliano, altri il napolitano, ed altri preferivano an-
cora il provenzale, o il barbaro latino. La gelosia di tanti Stati
e delle piccole repubbliche già sorte, impoujeva a ciascuno Tuso
del proprio dialetto ; né v'era città, che col peso del suo pri-
mato dettar potesse una sola lingua a tutta la nazione.
Arroge, che ad accrescere le difficoltà delFunione, ed a corrom-
perne in parte i dialetti, eransi già introdotti in Italia stranieri
elementi, per opera dei Goti, dei Longobardi, dei Normanni e
degli Arabi, che successivamente la invasero, la devastarono, e
dopo varii secoli di dominio vi si sommersero fra gli indigeni,
non senza lasciar alcune traccie della loro nazionalità ed in-
fluenza.
A liberarla quindi dalla nascente confusione di lingue era
necessario, che un potente ingegno, spoglio di pregiudizii
municipali, rivolgendo i suoi studii alla patria intera, riu-
nisse in un sol gruppo tanti svariati dialetti, ed estraendone la
parte nobile comune a tutti, o almeno al maggior numero,
fondasse la lingua nazionale , cui s' addicesse a buon dritto il
nome d' italica. A tale impresa appunto accingevasi in sul
principio del secolo XIV Dante Alighieri , il quale , concepito
170 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
l'alto disegno^ lo espose nel suo trattato del Vulgcure Eloquio
e nel Convivio^ lo svolse nella Divina Commedia^ e la lingua
italiana fu stabilita.
Quando C Alighieri .scrisse il poema con parole illustri,
e quando nel libro del Vulgare Eloquio condannò coloro
che scrivevano un solo dialetto, allora diremo eh" ei fondùsse
la favella italiana ^ ed insegnasse ai futuri la certa kgge
rf' ordinarla , conservarla ed accrescerla. Cosi avrisava il
Perticarla e cosi fu: perocché tutta Italia invaghita ben
presto degli aurei scritti dell' esule Gorentino , abbandonò \ or-
goglio municipale , segui a poco a poco V esempio ^ del gran
maestro, ed ebbe una sola lingua scritta interprete ed ausilia-
re y cosi nelle politiche e nelle civili , che nelle scientifiche e
letterarie lucubrazioni.
Da questo rapido ed imparziale prospetto del successivo
sviluppo linguistico in Itaha emerge evidente, come dalla
varietà delle stirpi in origine stanziate nella nostra, peni-
sola e successivamente riunite sotto il reggime 4ei Tirre-
ni , degli Etrusci, dei Galli e dei Latini^ traessero origine
in rimotissimi tempi i moltiformi italici dialetti; come dalla riu-
nione artificiale dei medesimi, imposta dai bisogni della vita
socievole, ed operata per cura degli studiosi, prendessero for-
ma successivamente le lingue scritte convenzionali latina ed
italiana, le quali, mentre dall'una parte scaturendo dalla mede-
sima fonte, contrassero la più stretta affinità fra loro, dall'al-
tra, mercè la generale lor diffusione su tutta la penisola, con-
tribuirono alla lor volta, nel corso di più secoli, a spai^^ sh-
gli italici dialetti quella tinta uniforme che li rannoda in una
sola famìglia, comunque diversi fossero in origine , e composti
de' più disparati elementi. E ne consegue altresì qual manifesto
corollario, come, anziché nella latina, l'origine della lingua ita-
liana, insieme a quella delia latina stessa, e di tutte le italiche
popolazioni , debbansi rintracciare nei molteplici . dialetti deDa
nostra penisola , fedeli depositarli dei ruderi delle prische fa-
velle.
Ciò premesso, é d'uopo ripetere ciò che abbiamo altrove
dimostrato , come nel volgere dei secoli , prima e dopo la
formazione dell'italiana lingua scritta, oltre agli accennati po-
poli settentrionali, che invasero la penisola, e vi si fusero co-
E DEI DIALETTI ITALICI. ' 171
gli indigeni, altre straniere nazioni, varcando e rivarcando da
ogni parte le inutili sue naturali barriere, o vi dettassero al-
ternamente le proprie leggi, o vi fondassero stabili colonie che
serbarono in parte incontaminati i costumi e la lingua loro , o
vi consolidassero un potere che in alcune parti durò sino ai di
nostri:
Tali furono precipuamente i Teutoni e gli Slavi, che pe-
netrarono in Italia da? Settentrione; gli Arabi dal Mezzogior-
no; gli Albanesi^ i Greci ed i Yalacchi dairOriente; i Francesi,
i Catalani e gli Spagnuoli dalF Occidente ; per modo che , non
solo r immediato commercio con tanti popoli di differenti lin-
guaggi introdusse nei nostri dialetti radici e forme straniere,
ma vi si stabilirono eziandio nuove lingue , le quali , oltre ai
dialetti indigeni ed all'idioma scritto generale, vi sono in va-
rie parti distintamente parlate.
Quanto alia lingua universale italiana, appena fissata ed estesa
per tutta la penisola, vi percorse sotto la disciplina degli scrittori
e dei filologi la propria carriera, affatto indipendente da quella
dei dialetti, che, ristretti dì nuovo entro i rispettivi municipali
confini, rimasero sempre interpreti esclusivi del pubblico e pri-
vato commercio d'ogni singola popolazione ; e solo, mentre som-
ministrs»*ono alla lingua scritta alcuni materiali opportuni al suo
progres^vo sviluppo, per la continua loro tendenza concentrica
verso la medesima, si vennero mano mano dirozzando, ed avvi-
cinando fra loro.
Sin qui si ravvisa una manifesta ripetizione di quanto
era avvenuto quindici secoli prima, duraAte lo stabilimento
e la diffusione della lingua latina. Se non che , allora la
necessità d*una lingua generale e comune a tutta la penisola
veniva imposta dall'unità del governo, mentre nei tempi mo-
derni venne determinata dall' inveterata consuetudine dell'in-
tera popolazione d' Italia, da quindici secoli affratellata e resa
una sola, prima per opera d'un solo culto é d'una sola leg-
ge, e poscia per un cumulo di glorie, d' interessi e di sventure
comuni. Allora il peso del primato di Roma e dell'Italia cen-
trale impose alle numerose nazioni settentrionali e meridionali,
di favelle assai diverse, la propria lingua, la quale fu solo ar-
ricchita e modificata dai linguaggi dei popoli conquistati; men-
tre nei tempi moderni tutti i dialetti d'Italia, già ravvicinati e
172^ ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
fatti simili fra loro in tanti secoli di comuni destini , concor-
sero insieme ed in pari tempo alla formazione della lingua co-
mune. Allora finalmente T universale rozzezza dovette ricevere
la prima norma da nazioni straniere, e la lingua nazionale fu
modellata per la prima volta da grammatici greci, che Tassog-
gettarono a forme ed a flessioni meno consentanee alla natura
della pluralitii de* linguaggi parlati ; mentre la moderna lingua,
formulata da scrittori nazionali su princìpi! comuni a tutta la
nazione, ricevette un organismo ed un aspetto molto più con-
corde colla massa dei dialetti vìventi. E perciò tostochèJe ci-
vili discordie e gli esterni nemici fransero quei nodi che col-
legavano tutta Italia ad un solo freno, e venne meno la gene-
rale cultura, anctie la lingua latina, meno intesa alla massa delle
nuove generazioni, a poco a poco scomparve, ioedendo il posto
air italiana, la quale su più sòlidi e più durevoli princìpii costi-
tuita, e affatto indipendente dalF unità del governo, che sin dal
suo nascere non ebbe mai luogo, o da quella del culto, <^e fa
uso della latina^ non potrebbe venir meno, se non coli' intera
distruzione dell' italica famiglia.
Per verità, dopo che Dante, riunendo i primi sforzi dei trovatori
italiani a prò della patria grande, ebbe poste nel divino poema le
solide fondamenta della nuova lingua, il Boccaccio > svolgendo col
Decamerone la prosa italiana, come quello che s'era nitrito alla
scuola de' retori greci e latini^ tentò piegare a costruzione latina il
periodo , sostituendo alle congiunzioni gli infinitivi assoluti , ed
introducendovi le più stentate ed oscure trasposizioni; ma per
buona ventura non ebbe in ciò gran numero di seguaci» né si
tardò molto a ricondurre la sintassi della lingua scritta alla sem-
plicità della parlata. Allorché T Alighieri fulminando gli scrittori
plebei, richiamava gF Italiani allo studio dei Greci e dei Lati-
ni, egli intendeva sbandire dal suo paese quel falso gusto pro-
venzale, che aveva affascinato una turba di servili imitatori. E
voleva mostrare a' suoi concittadini nelle opere degli avi i mo-
delli della vera letteratura dell'uomo pensante, colla quale spe-
rava condurU a meditare seriamente sulle sorti della patria; ma
non appare da' suoi concetti , né molto menò da' suoi scritti ,
eh' egli intendesse forzare la hngua italiana alle forme della la-
tina. Né men vano sarebbe riuscito il tentativo; perocché i
Latini , che solevano attribuire molta importanza all' armonia
E DEI DIALETTI ITALICI. ' 173
del periodo, e che, mercè la varietà delle flessioni e col reg-
gimento d'ogni parte del discorso, ne precisavano {rapporti,
potevano ad arbitrio invertirne Fordìne nelle proposizioni ; ma,
oltre die questa arbitraria trasposizione , deviando dal rigido
principio logico, nuoce alla chiarezza del discorso, non |[>oteva
introdursi mai nella lingua italiana, ove, per difetto di speciali
flessioni, i rapporti delle voci vengono spesso determinati dal
rispettivo lor posto.
Quegli che, versato profondamente nelle classiche fette-
re , serbò alla nuova lingua la pura forma del romanzo
italico y si fu il Petrarca. Egli è vero bensì che, educato
alla scuola provenzale in Avignone , segui precipuamente quél
falso gusto di letteratura snervata e molle che T Alighieri
avea riprovato; ma< mentre con raro ing^o seppe sollevarsi
sopra quanti il precedettero, celebrando T amore eon un Un*
guaggio puro, spirituale e quasi celeste, egli mostrò ancora di
quanta forza, concisione, chiarezza e grazia il volgare italico
fosse capace, senza prendere a prestito nuove forme dalla Im-
gua latina.
Il suo sviluppo venne frattanto agevolato dall'amore al-
lor rinascente per le lettere e per le scienze ; 1& opere^ de-
gli antichi furono dissotterrate ; la stampa ben presto ne mol*
tiplicò rapidamente gli esemplari,, e la novella civiltà s'avanzò
per modo, che verso la fine del secolo XY, presso che tutte le
città d'Italia vantavano accademie scientifiche e letterarie.
Per verità il culto per le lettere classiche fu spinto alla supersti-
zione ai tempi di Nicolò V, d'Alfonso di Napoli e di (k»imo
de' Medici; e l'italiana fovella ne sesti la dannosa influenza,
poiché, mentre gli uni la sdegnavano, preferendo la latina, altri
v' insinuavano voci , frasi e forme latine , italìanate a forza. I*
dotti che, alla caduta dell' impero d- Oriente, eransi rifuggiti h)
Italia, vollero persino esiliarla del tutto* dalla repubblica delle
lettere. Pomponio Leto fondò Taccwlemia romana, i cui mem-
bri, sdegnando persino un ncmie italiano, lo latìiiizzarono ; e
Filelfo sognò distruggere colla derisione i sublimi lavoH dei tre
primi padri deir italiana letteratura. É celebre nell' istoria della
nostra lingua quel Romolo Amaseo che nell'anno 15&9 sosten-
ne a Bologna in presenza di Carlo V e del pontefice de-
mente VII, dover la lingua latina regnar sola, e relegarsi Ti-
174 OIIDÌNAMENTO DEGLI IDIOMI
taliana presso la plebe. Sogni così stolti , come inutili ed in-
tempestivi! L'idioma ialino già da più secoli era spento; uo
altro più consentaneo alf indole logica della nazione intara
v'era ornai dovunque successo; il volerlo riporre in sej^oera
10 slesso che voler risuscitare i morti! Se questa sfrenata
nimistà arrestò per breve tempo lo sviluppo dell' idioma voi-
garCy lo agevolò oltremodo di poi ; perocché lo studio indefesso
(lei classici latini fece gustare agli Italiani Y eleganza dello sti-
le , e diede bando alle forme pedantesche degli Scolastici che
tenevano inceppate le menti colla dialettica. La vittoria fu com-
piuta, quando Leone X a Roma, Lorenzo de' Medici a Firenze,
quindi gli Sforza, i Gonzaga ed i principi d'Este in Lombar-
(iia, profusero premii agli uomini di lettere.
A poco a poco la nuova lingua si diffuse anche nelle classi inferio-
ri. Il popolo italiano aveva incominciato a gustare i racconti caval-
lereschi, e seguiva con diletto i rapsodi, che nei trivii e nei mercati
gli narravano le prodezze dei reali di Francia e di Spagna, e
mille sogni di giganti, di fate, di castelli incantati e di mostri.
11 Pulci diede forma italiana a colali leggende , e lesse il suo
Morgante Maggiore alla conversazione di Lorenzo de* Medici;
il Cieco da Ferrara recitò il suo Mambriano alla corte di Man-
tova, e Matteo Boiardo {'Orlando innamorato a quella di Fer-
rara. Lo splendido successo di questi componimenti diede
spinta al capo-lavoro di Lodovico Ariosto, ammirato di p<» da
ogni culla nazione; e cosi divenne pienamente popolare il gu-
sto per la lingua e la poesia italiana.
Mentre gli uni porgevano airitalia il poema romanzesco, il
Trissino , zelante cultore delie lettere greche e latine , tentò
rinnovarne Y epopea , cantando Y Italia liberata dai Goti; e
se non raggiunse Y altezza dei modelli che imprese ad> imi-
tare , valse almeno a destare il genio di Torquato Tasso che
li emulò nella Gerusalemme liberata dai Turchi.
Non vi fu genere di composizione che non venisse italiana-
mente trattalo: Sannazzaro, Muzio e Rota diedero italiche
forme alla pastorale ; Alamanni e Rucellai alla didascalica ;
Vinciguerra ed Ariosto alla satira; Trissino e Rucellai alla
tragedia. Che anzi venne pure creata la commedia satirica,
coltivata di poi con tanto successo dalle nazioni straniere.
Per tal modo fu stabilita colla lingua eziandio la lei-
£ DEI DIALETTI l'Alici. i75
teratura italiana ; e siccome il suo sviluppo precedette quello
(li tutte le altre lingue moderne , cosi , anziché subirne Y in-
fluenza , valse di modello alla successiva loro formazione.
Con tanti materiali più non doveva rtosdr difficile T or-
dinamento d' una grammatica e d' un dizionario » che trac-
ciassero la comun norma ai futuri /e ne frenassero T arbì-
trio. Dopo il Bembo ^ cominciò il Grazzini a dame si^o;
quindi comparvero le Regole grammaticali di Fortunio» le
Eleganze vulgari di Liburnio^ ed i Prineipii fìmdamenicUi
della lingua toscana di Corso. Luna^ Àccarisio^ Ruscelli, San-
sovino ed altri compilarono frattanto vocabolarìi che porsero
materiali agli accademici pel Vocabolario della Crusca.
Ma questi benemeriti fondatori, in onta al caldo zelo per la lingua
e le lettere patrie , erano ben lontani dal poter redìgere una
grammatica ragionata del loro idioma. A quei tempi gli stu-
diosi non aveano ancora spaziato collo sguardo sopra una va-
sta famiglia di lingue, per discernere la varietà degli organici
loro elementi, né avevano alcuna idea della Grammatica gene-
rate, sicché potessero applicarne ì prìncipìì ad una lìngua spe*
ciale. Essi conoscevano la grammatica greca e la latina, come
s' insegnavano allora, e trascrìvendone i capitoli ed i paragrafi
neir ordine in cui li trovarono, vi sostituirono gli esempi ita-
liani, senza avvedersi della radicale di3erepanza oi^nica , per
la qvale il moderno idioma distinguesi affetto dall'antico. Niente
infatti maggiormente si oppone air indole dell' italiana favella ,
quanto T attribuirvi i casi nei nomi > la voce passiva, il reggi*
mento ed altrettali flessioni grammaticali, che sono 9 fonda-
mento della latina, e mancano interamoite alla nostra!
Ciò non pertanto non mancarono valenti prosatori, che ricondus-
sero la lingua alla propria semplicità e naturale eli^anza, svinco-
landola dalle stentate inversioni e dai lunghi periodi, nei quali
erasi tentato introdurre di nuovo la costruzione oratoria dei La-
lìni; e parecchi porsero ottimi modelli di quello stile semplice
e piano, che appunto costituisce findole della nostra lingua. Mac-
ehiavelli, Guicciardini, Nardi, Segni e Varchi, scrivendo le sto-
rie patrie, seppero talmente accoppiare il vigore e la concisione
air eleganza ed alla purezza del dire, da non invidiar punto alta
lingua di Tucidide e di Senofonte, o a quella di Tito Livio, di
Cesare e di Tacito.
176 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
Frattanto il Canzoniere del Petrarca divenne modello a tulli
gli scrittori del secolo XVI ; ma ciò che avrebbe dovuto pro-
muovere il perfezionamento della lìngua, fu causa in quella
vece della sua decadenza; perocché la numerosa schiera dei
petrarchisti, anziché studiare nel Canzoniere la purezza e Te-
leganza della lingua , si credette imitarlo , cantando uri am(»%
che non sentiva , e coordinando vane frasi in forma di sonetti
e di canzoni. Privi di quella spontaneità di sentimento, ch'è som-
mo pregio del Canzioniere, sostituirono Tarte alla natura, T af-
fettazione alla grazia, T esagerazione al giudicio.
Per tal modo il nostro idioma, divenuto lingua simbolica,
una lingua di tropi e di figure, ebbe mestieri ben presto d*una
riforma; e questo bisogno fu ancor più sentito, <iuando i pro-
gressi delle sette religiose e gì* interni dissapori trassero i go-
verni d'Italia ad una politica austera. La severità dei tempi
influì sulla direzione degli studii; e se le carceri, T esilio, le
torture ed i roghi tardarono i passi alla filosofia rigenerata da
Pico della Mirandola, Telesio^ Campanella, Cardano, Bruno, Ga-
lileo, Sarpi, Torricelli, la critica letteraria si svolse nelle dotte
speculazioni di Beni, Politi, Leonardo Salviati, Benedetto Buom-
mattei. Cittadini, Mombelli e Bartoli. Principale occupazione dei
letterati di quel tempo si fu il Dizionario della Crusca y che
in breve tempo ricomparve tre volte aumentato e corretto. Né
questo era ancor tutto; che, a precisare i canoni fondamentali
del linguaggio nostro , si avvicendarono le opere apologetiche
di Mazzoni sul Dante, le considerazioni del Tassoni sul Pe-
trarca, la retorica di Castelvetro, i precetti del Pallavicino, ed
un gran numero di scritti più o meno pregevoli, intesi a fondar
le regole della lingua e dello stile.
Se tutti codesti studii valsero ad approfondire la teoria dell*arte
del dire, non bastarono a proscrivere il falso gusto diffuso da
più d'un secolo in tutta la penisola. Una falsa ristaurazione delle
patrie lettere fu ancora tentata dal Marini, uomo d'ingegno e di
sapere, il quale, trasportato dalla foga d'una calda imaginazione,
smarrì il vero scopo della riforma , e occupato più delle parole
che delle cose , più della bellezza apparente , che della ragione
del linguaggio, sostituì colori sfolgoranti alle scolorite figure dei
petrarchisti , e lasciò ancora l'Italia immersa in quella vuota let-
leralura, che, priva di filosofia, rende fiacca ed insulsa la lin-
E DEI DIALETTI ITALICI. 177
la. — A contrariare la storta, direzione della scuola marine^
;a 9 si fondò in Roma V Arcadia sotto gli auspici} di Cristina
1 Svezia. Da principio ottenne qualche saccesso , merco (' o-
sra di Guidi e di Mcnzini ; ma alla niorte dei fondatori la
Qgua e la poesia ricaddero nel vuoto primiero ; perocché l'in-
amerevole . stormo degli Arcadi , preso a modello Teocrito ,
mza inspirazione e senza naturalezza , stemprò gli * argomenti
iù nobili e gravi in insipide e stucchevoli cantitene pastorali.
Mentre V Italia sciupava in tal guisa il suo genio, la Fran-
a coltivava con pari ardore le scienze positive e le filosofi-
le, e la rapida diffusione del sapere nelle infime classi , e il
oto impresso nelle menti dallo splendido secolo di Luigi XIV,
atararono una riforma sociale europea. Allora gì' Italiani sen-
rono più che mai imperioso il bisogno d*un linguaggio conciso
filosofico, e r insufficienza del vocabolario fra loro invalso li
)inse ad introdurre parole e frasi straniere ^ che attinsero a
ipriecìo, ora dalle lingue classiche, ora dalla francese.
Di qui sorsero nuove contese fra i 'purisH ed i fwvatori.
primi vollero rinvenire nei classici e nel Voeabotario ■■ della
rosea quanto era d'uopo a rappresentare e svolgere le Bo-
rile dottrine del secolo; i secondi, non meno incauti, avvi-
indo r imperfezione dei materiali sin allora raccolti, pretesero
staurare la lingua assoggettandola a voci e forme straniere,
esarotti, uomo di vastissioM erudizione* « di vigoroso higd-
K), introdusse molti gallicismi nella lingua, sotto pretesto di
berarla dalla tirannia de* cruscanti , e propose a modello di
jova e spontanea poesia i rozzi canti dei bardi scozzesi, onde
vincolarla dalle rancide favole mitologiche e dalle stentate e
me esagerazioni dell' Arcadia. Ma per la causa della purità
rammaticale si gettò nella zufla Giuseppe Baretti, il quale ani-
iato da contrarie passioni a non riguardare né al vero né al
liso, lanciò invano frustate a destra ed a sinistra. Parìni ed
Ifieri frattanto, trasportati dal proprio genio, ripresero d^ni-
)samente il gustp depravato dei loro tempi, ed oflersero aurei
lodelli d'una più solida letteratura. — I luttuosi disastri isbt
sitarono negli ultimi tempi l'intera Europa, :a^pirono per ai-
uni anni le controversie letterarie, finché ricomparve meli' a-
ena il P. Cesari, perorando la causa de* Fiorentini, e nsusci-
ando nella ristampa del loro Vocabolario gli obliati riboboli
42
178 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
degli antichi. Sebbene si appoggiasse a molta dottrina, T esage-
rato ed intempestivo suo nuovo attentato venne con molta forza
d* argomentazioni respinto da Vincenzo Monti, che, sorretto da
Perticari, da Gherardini e da uno stuolo di valenti filologi, tentò
distruggere colla Proposta il despotismo letterario municipale,
e rivendicare i diritti delF intera nazione. Sebbene per tal modo
molti scrittori italiani risguardassero la quìstione come svolta
e decisa, pure nessuno s' accinse di poi alla riforma del Voca-
bolario italiano; e mentre dalFima parte prevalse quello degli
Accademici fiorentini^ come sola autorità costituita, dall* altra
prese soverchia baldanza un arbitrio, il quale, ove non sìa da
provvide leggi diretto e circoscritto , sarà per nuocere nn gio^
no, cosi alla purezza, come all'unità delta lingua nazioDale.
Dalle esposte considerazioni imperlante sulF origine e sullo svi-
luppo della medesima , appare ad evidenza dimostrato , come
queste leggi debbano precipuamente fondarsi sopra un severo
studio dei patrii dialetti, dei quali la lingua nazionale esser deve
rappresentante comune; giacché, s'egli è vero, che il dialetto fio-
rentino illustre, parlato solo dalla minima parte della popola-
zione d'una sola provincia d'Italia s'accosta più d*C|^i altro
alla lingua scritta generale , sicché ne disti piuttosto per vizia-
tura di pronuncia e di solecismi, che non per discrepanza d*ÌD-
dole e di radici, egli é vero altresì, che desso è insufficiente
a provvedere ai moltiformi bisogni dell'intera nazione, mentre
tutti gli altri membri della medesima, per varietà di droostan-
ze, vale a dire di posizione, di clima, d'indole e di ddlnra, e
perciò ancora d'idee, di forme, di naturali prodotti e di ^costo-
mi, posseggono doviziosa congerie di materiali atti a riempire
\ difetti e le lacune del fiorentino dialetto, non che a rettifi-
carne le improprietà. E quand' anche talvolta un' idea , od in
oggetto rappresentato in modo peculiare pressò alcune popola-
zioni, avesse in pari tempo un segno rappresentativo na dia-
letti toscani, perchè non potrà cosi l'una come 1* altra voce
avere un posto nel Vocabolario nazionale, e dovranno quelle
piuttosto rinunciare alla propria lingua per adottare le voci di
un'altra? Qual privilegio d'anzianità o di casta può rendere
meno italiane le voci dei Veneti, dei Lombardi e dei Sìdliam;
che quelle di Val d'Arno, di Val Cecina o di Val d'Elsa?
Noi siamo d'avviso, che i generosi dai quali fu tante volle ifl-
E DEI DIALETTI ITALICI. 179
dagata la vera norma per la fissazione d'una lingua nazionale^
nella foga delle loro controversie, smarrissero sempre di vista l'og-
getto primario, quello cioè d'intendere e d'essere agevolmente
intesi in ogni angolo della penisola dai propri i connazionali. Qui
non si tratta di determinare , quale fra gli italici dialetti sia il
più puro ed il più nobile; quale fosse il consiglio di Dante nel
porre le prime pietre del volgare eloquio; qual lingua scrives-
sero i trecentisti, o quale sancissero più tardi gli scrittori d^ti
classici; ma si tratta bensi di fissare una lingua italiana egnal-
mente accessibile, per quanto il consente la natura del sogget-
to, al freddo pastore dell'Alpe, che all'abbronzito pescatore di
Cariddì ; una lingua che provveda a tutti i bisogni degl' Italiani ,
e sia agevole a tutti; ciò che infine vuol dire: una lingua va-
sta e più consentanea all' indole generale dei dialetti parlati, o
meglio un'equa e ragionata rappresentante dei medesimi.
Lungi da noi le gare e gli odii municipali, che inceppa-
rono in ogni tempo la soluzione dell' importante problema !
Sia lode ai Fiorentini , che primi dettarono all' Italia con
opere immortali una lingua nazionale, e primi ancora s'adope-
rarono a stabilirla su cardini fissi , redigendone con instanca-
bile zelo la Grammatica ed il Vocabolario! Ma concorriamo
pur tutti al grande edificio comune; uniamo i nostri ai loro
sforzi, fondendo nel loro la parte nobile e pura dei nostri dia-
letti, ed avrem ben presto una sola lingua ricca di materiali e
di forme tutte nostre , ed intesa del pari da ogni popolo dal-
l'Alpe a Scilla, dall'Adriatico al Tirreno. Ma perchè una tale
impresa raggiunger possa il compiuto suo fihe\ non dobbiamo
gianunai |)erdere di vista questi fondamentali prìncipii; 1.^ Si
vuole una lingìm atta ad agevolare e mantenere un commer-
cio letterario fra tutti i popoli italici; 2.^ Non è italiana,
né duratura quella lingula, che cento popoli italiani debbono
studiare con lunghe veglie sui libri ; 3.® Quanto più la lin-
gua scritta s allontana dalla , par lata. ^ tanto piii s avvicina
alla propria dissoluzione.
Dialetti italiani.
Stabilito il principio fondamentale ed inespugnabile, che il
nostro volgare idioma traesse così l'origine come lo sviluppo
dalla fusione scambievole degli italici dialetti, e che quindi da
180 OnDINAMElfTO DEGLI IDIOUI
un adequato studio dei medesimi emanar debba altresì la norma
certa pel suo perfezionamento e per la sua futura conserva-
zione, gioverà determinare brevemente in quante grandi famiglie
siano essi naturalmente ripartiti nella nostra penisola, in quante
varietà principali ciascuna famiglia sia suddivisa, e quali studii
venissero di proposito instituiti sinora intomo ai medesimi , a
fine di constatarne le proprietà rispettive.
Sebbene indeterminate e presso che innumerevoli siano le va-
rietà dei dialetti italiani viventi, che, non solo da luogo a luo-
go, ma sovente ancora nella stessa città dall'uno air altro quar-
tiere diversificano fra loro^ ciò nullostante, afferrando le più
caratteristiche e più diffuse loro discrepanze , si possono coor-
dinare, a nostro avviso, in otto grandi famiglie, ciascona delle
quali , sopra una maggiore o minore superficie diffusa » deoom-
ponesi in maggiore o minor numero di membri , a norma ddla
fisica costituzione e della posizione del suolo dalla stessa occupato.
Procedendo da settentrione a mezzogiorno^ e traendo i nmm
rispettivi dair antica etnografia italiana , della quale ciascuna se-
gna con mirabile precisione i confini, tali famiglie sono: ìfi la
carnica; 2.^ la veneta; 3.o la gallo-italica; ifi la ligure; 5.® la
tosco-Ialina; 6.^ la sannitico-iapigia; 7,^ la lueano-sicuta; S.^la
sarda,
1.' Famiglia Gamica.
La prima è ristretta nella parte più elevata delle Venete
province, racchiusa fra le due valli della Piave e del Timavo,
fra la vetta e le estreme falde delle Alpi Giulie e Gamiche,
per le quali è separata dai dialetti tedeschi e slavi del Tirolo
e della Carniola. Suddividesi in tre gruppi distinti, cui, dal ri-
spettivo rappresentante primario, abbiamo denominato friulano,
goriziano e bellunese.
lì gruppo friulano, posto nel centro, è rappresentato dal dia-
letto d'Udine (Forum Julii), e le sue principali varietà sono
parlate a Spilimbergo, Ampezzo, Codroipo e Palmanova.
Il goriziano occupa tutta la valle dell'Isonzo sin presso alla
foce di questo fiume, ed è rappresentato dal dialetto di Goriziai
suddiviso in poche e leggere varietà.
Il gruppo bellunese, parlalo in tutta la superiore valle. della
K DEI DIALETTI ITALICI. 181
Piave, è rappresentato dal dialetto proprio della città di Bellu-
no, e ne sono varietà distinte il cadorino, Vagordino ed il fel-
trino. Esso colleg^si ai dialetti alpini del Tirolo italiano che sono
come gli anelli che uniscono la carnica alla veneta famiglia.
2.* Famiglia Veneta.
Questa famiglia^ cóme appare dalla denominazione che. vi
abbiamo apposta, occupa precipuamente quella parte settentrio-
nale della penisola, ove fissarono le prime sedi gli antichi Ve-
neti, d'onde si estese più tardi verso occidente in una parte delle
regioni primitivamente occupate dai Galli e dai Reti. Essa è quhidì:
conterminata a settentrione dalie Alpi retiche e dalla famiglia carhi-
ca; ad oriente dalle rive deir Adriatico racchiuse tra la foce del Ti-
mavo e quella del Po ; a mezzogiorno dalFinferiore tronco del Po,
tra la sua foce e quella del Mincio; ad occidente dal corso di que-
sto fiume, dal lago Benaco, dai monti che dividono le valli della
Sarca e del Mincio, e dair eccelsa catena Camonia; pei quali
confini occidentali e meridionali essa è divisa dalla grande fa-
miglia gallo-italica. Oltre a ciò la Veneta Signoria, estesa per
secoli lungo le opposte rive delF Adriatico in Illiria ed in Dal-
mazia, trapiantò pure il proprio dialetto in quella provincia, ov'è
tuttora parlato in tutte le città e nei principali borghi lungo le
coste marittime. — Sopra si vasta superficie suddividesi propria-
mente in tre gruppi che, per la rispettiva posizion loro, distin-
gueremo in centrale, occidentale ed orientale.
11 gruppo centrale occupa tutta la vasta pianura dalF Adria-
lieo sino ai colli che dividono il bacino dell'Adige dalla valle
del Bacbiglione, e dalle falde delle Alpi Giulie sino al Po. Esso
è rappresentato dal dialetto veneziano proprio della capitale e
di alcune sue isole, e principal tipo di tutta la veneta famiglia.
Le sue varietà più distinte sono : il dialetto chioggiotto^ il tor-
aellescy il trevigiano, il rovighese, il padovano ed il vicentino^
ciascuno dei quali è poi suddiviso in un numero indeterminato
di gradazioni.
Il gruppo occidentale è parlpto in tutto il bacino dell'Adige,
da Salurno discendendo sin oltre a Legnago. I suoi principali dia-
feui sono: il veronese ed il trentino, ciascuno dei quali è circon-
dalo (la un numeroso gruppo di varietà.
182 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
II gruppo orientale, che si potrebbe denomioare anche maru-
limoj cslendesi lungo le sponde dell' Istria e della Dalmazia, ed
è rappresentato dal dialetto triestino. Sue principali varietà sono
i dialetti di Parenzo, Rovigno, Dignano, Piume, Veglia» Zara e
Ragusi.
3.' Famiglia Gallo-italica.
La famiglia gallo-italica , più vasta della precedente^ copre
tutta la rimanente parte settentrionale d'Italia, tranne F angusto
lembo occupato dalla famigUa ligure ^ ed un angolo sett^trio-
naie, ove, come notammo, si parlano francesi dialetti. I suoi
naturali confini sono : a settentrione , la catena delie Alpi Co-
zie, Lepontiche e Rezie, le quali la separano dai dial^ fran-
cesi, tedeschi e romanzi della Svizzera ; ad oriente, gli indicati
confinì occidentali della veneta famiglia, più le rive dell'Adria-
tico dalla foce del Po sino a Pesaro ; a mezzogiorno, la catena
degli Appennini liguri e toscani , dalle Alpi Marittime sin oltre
la Marecchia, i quali la dividono dalle famiglie ligure e ta-
sco4atina; ad occidente, le Alpi Marittime e Graie, cbe la se-
parano dai dialetti occitanici della Francia meridionale e della
Savoia.
Avuto riguardo alle più discrepanti varietà di suono, di ra-
dici e di forme fra i dialetti in si vasta regione parlati, li ab-
biamo ordinati in tre grandi rami, che designammo coi nomi
di lombardo y emiliano e pedemontano^ concordando questi
quasi precisamente, se non colFattuale, almeno colla più antica
divisione politica corrispondente.
l."" Il ramo lombardo, che a settentrione è conterminato dalla
catena alpina, dal Rosa sino alla catena Gamonia, e ad oriente
dai veneti dialetti, è separato ad occidente dal ramo pedemon-
tano per mezzo dell'intero corso della Sesia, dalla solate
sino alla sua foce nel Po; e a mezzogiorno dsAV emiliano per
mezzo del Po, dalla foce della Sesia sino a quella del Mincio,
tranne due piccoli seni che abbracciano la città di Pavia co' suoi
vicini distretti, e quella di Mantova con una parte del suo ter-
ritorio circostante. Esso consta di due gruppi di dialetti geogra-
ficamente separati presso a poco dall'intero corso delFAdda, e
che perciò abbiamo distinto in occidentale ed orientale.
£ DEI dialeYti italici. 185
li gruppo occidentale è rappresentato dal dialetto milanese,
che ne è principal tipo. I suoi più notevoli suddialetti , parlati
in maggiore o minor numero di varietà^ sono: il lodigianOy il
comasco, il valtellincse^ il bormiese, il ticinese ed il verbanese.
Il gruppo orientale è rappresentato dal dialetto bergamasco,
e ne sono principali suddialetti il cremasco, il bresciano ed il
cremonese.
2.^ Il ramo emiliano, racchiuso principalmente tra il Po, T Ap-
pennino e le rive dell' Adriatico, è separato dal pedemontano ad .
occidente per mezzo d'una linea trasversale che da Valenza sul
Po raggiunge serpeggiando TAppennino presso Bobbio ; ed a mez-
zogiorno è diviso dalla famiglia latina per mezzo della Foglia.
Abbraccia inoltre al di là dd Po i dialetti pavese e mantovano.
Esso è ripartito in tre gruppi distinti, che designammo coi nomi
di bolognese^ ferrarese e parmigiano.
Il primo gruppo è rappresantato dal dialetto bolognese pro-
priaaiente detto, ed estendesi fra l'Enza e TAdriatico^ iìfisi l'al-
veo abbandonato del Po di Primaro, l'Appennino e la Foglia.
1 suoi principali suddialetti sono: il romagnolo, del quale sono
varietà distinte il faentino, il ravennate, Vimolese, il forlivese,
il cesenale ed il riminese; il modenese, il reggiano ed il fri-
gnanese.
Il gruppo ferrarese, posto a settentrione del primo, è rap-
presentato dal dialetto di Ferrara, del quale sono principali sud-
dialetti il mantovano ed il mirandolese*
11 gruppo parmigiano, nella parte più occidentale di questo
ramo, è separato dagli altri due gruppi per mezzo del corso
dell' finza, ed abbraccia, oltre al dialetto parmigiano pr(^ria-
inente detto, il borgotarese, il piacentino ed il pavese.
3.^ Il ramo pedemontano importante sopratutto, perchè vale
a collegare i dialetti italiani cogli occitanici, e quindi cogli spa-
gnuoli e coi francesi, è conterminato a settentrione dai monti
che dividono i tronchi superiori della Val Sesia e della Valle
d'Aosta dalie sottoposte valli del Cervo, dell'Orco e della Stu-
ra; ad oriente conflna coi dialetti lombardi ed emiliani; a mez-
zogiorno colle Alpi Marittime e coli' Appennino Ligure; ad occi-
dente colle stesse Alpi Marittime e colle Graie. Esso è ripartito
in tre gruppi distinti di dialetti, che abbiamo designato cm nomi
Ji pienwnfese, man ferrino e canavese. Egli è però mestteri av-
184 ORDINAMENTO DEGLI iDiOMI
verlirc che, lungo i confini occidentali e settentrionali, questi
dialetti si vanno. assimilando agli occitanici; lungo i meridionali
ai liguri; mentre ad occidente sì fondono nei lombardi e negli
emiliani.
Il gruppo Piemontese y posto nel centro, cstendesi in tutto il
bacino superiore del Po, dalla sua sorgente sino alla foce del-
r Orco nello stesso fiume, ed è rappresentato dal dialetto Tori-
nese princìpal tipo di tutto questo ramo. I suoi principali sud-
dialetti sono : i vernacoli di Chieri , di Pinerolo, di Saluzzo, di
Savigliano e di Cuneo.
Il gruppo Monferrino si estende ad oriente del Piemontese,
dal Po sino air Appennino ligure, ed è rappresentato dal dialetto
Astigiano. Le sue più distinte varietà sono: i dialetti d* Acqui,
d'Alba, di Ceva e di Casale.
Il gruppo Canavese, posto a settentrione dei due precedenti,
fra rOrco e la Sesia, è rappresentato dal dialetto d'Ivrea, e sud-
diviso in tante varietà, quante sono le piccole valli che frasta-
gliano la regione dal medesimo occupata.
4." Famiglia ligure,
Attormata dai dialetti Occitanici , Pedemontani , Emiliani e
Toscani j comecché ristretta nell'angusto lembo racchiuso fra le
coste del Mediterraneo, dalla foce della Magra a Mentone, e TAp-
pennino ligure, questa famiglia non si serbò meno distinta dalle
altre, per suoni, radici e forme esclusivamente sue proprie. Seb-
bene suddivisa in un numero indeterminato di dialetti, pure non
si riscontrano radicali discrepanze bastevoli a -costituirne più
rami. Siccome per altro, da Genova procedendo lungo la costa
orientale, il linguaggio va a poco a poco assimilandosi ai dia-
letti Toscani y e in quella vece verso occidente si accosta agli
Occitanici, cosi per maggior precisione l'abbiamo ripartita nei
due gruppi orientale ed occidentale, ciascuno dei quali è rappre-
sentato dal dialetto della capitale. Avvertasi però, che lungo il
lembo settentrionale vanno fondendosi coi limitrofi dialetti Mon-
ferrino e Parmigiano.
Il gruppo Orientale consta precipuamente dei dialetti di Chìa-
vari, di Spezia e di Sarzana, suddivisi in molte varietà. '
Il gruppo Omr/e??;«/f ha per varietà principali i dialetti di
E deì dialetti italici. 185
Savona, Albenga, s. Remo e Venlimiglia, parlali con vario Ik5-
cento e varia flessione nell'interna parte dei noonli. — L'in-
dustria genovese poi ha fondato eziandio piccole colonie nei
villaggi di Mons e d'Escragnolles nella Provenza francese, e nel-
l'isolotto di s. Pietro in Sardegna, abitato da Genovesi pesca-
tori di corallo, che vi parlano, sebbene alterato^ il dialetto na-
zionale.
5.* Famiglia Tosco-Latina.
Sede principale dei più celebri dominatori della penisola, e
quindi principale sorgente delle successive lingue eulte etnisca,
osca, latina, ed italiana, la parte centrale della nostra penisola
è occupata da ufta famiglia di dialetti, cui, dal nome dei primi-
tivi abitanti abbiamo appellata tosco-Ialina. Sebbène alle molte
e reiterate nostre dimande uno stuolo di valenti letterati toscani
e romani, rispondessero asseveratamente ed unanimi, il dialetto
de' rispettivi loro luoghi nativi essere la pura favella d'Italia,
ciò nuUameno più accurate ed imparziali indagini fatte sulla na-
tura vivente e sugli scritti dei secoli trascorsi, ci resero mani-
festo, essere quella regione, del pari che ogni altra, occupata
da un indeterminato numero di dialetti, quanto più prossimi alla
lingua scritta generale, altrettanto distinti fra loro per varietà
di suono, di radici e di forme; giacché per dialetlo, noi inten-
diamo la lingua parlata dalla massa della popolazione d'un pae-
se, e non quella della minima casta privilegiata, che, modificata
sempre dallo studio e retta da una mente ordinatrice, è opera
dell'arte, anziché della natura.
Questa importante famiglia é conterminata a settentrione del-
l'Appennino toscano, che dalla sorgente della Magra si estende sino
a quella della Foglia; poscia dal breve corso di questo fiume e dalle
rive dell'Adriatico racchiuse tra le due foci della Foglia stessa e del
Tronto; ad oriente dal corso di questo fiume e dall'Appennino
abruzzese, che serpeggia sin presso alla sorgente del Garigliano; e
di là da una linea che discende, attraverso le Paludi Pontine, sino
al Mediterraneo; a mezzogiorno e ad oriente, dalle rive del Me-
diterraneo racchiuse tra le Paludi Pontine e la .foce della Ma-
gra ; poscia dal corso di questo fiume. Oltre a dò estendesi an-
cora sul mare in lullc le isole del mar di Toscana, non che
186 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
in quella di Corsica. Essa naturalmente dividesi nei due grandi
rami fosco e latino, geograficamente separati per mezzo d'una
linea serpeggiante, che dalle sorgenti del Tevere raggiunge il Me-
diterraneo, seguendo da presso Fattuale divisione polìtica del
granducato di Toscana dagli Stati pontificii.
1.*" Il ramo toscoy posto nella parte settentrionale, suddividesi
propriamente in quattro gruppi distinti, che abbiamo denominato
Fiorentino, Sienese, Tiberino e Corso,
li gruppo Fiorentino abbraccia tutto il bacino delFArno, non
che le valli del Serchio e di Cecina. Ivi è suddiviso in molli
dialetti, dei quali è principal tipo il fiorentino. Questo si stende
dalla superiore valle, della Sieve sino air inferiore delFBIza, e
ne sono suddialetti il pratese ed il pistoiese. Le sue varietà
più distinte sono: il lucchese, il pisano, che si estende lungo
le valli deir Era e della Cecina , ed il livornese , jch' è il più
corrotto.
Il gruppo Sienese, distinto dal fiorentino e dal tiberino, cosi
per varietà di pronuncia, come di radici e di forme, espandasi
lungo il bacino deirOmbit)ne , ed è rappresentato dal dialetto
sienese propriamente detto. Le sue principali varietà sono: i dia-
letti di Volterra, di Massa, di Grosseto e d'Orbitello.
Il gruppo tiberino, meno puro degli altri, è ristretto nella su-
periore valle Tiberina, ed in quella di Chiana. I suoi più note-
voli dialetti sono parlati a Borgo s. Sepolcro, a Cortona ed a
Montepulciano.
Il gruppo corso, o meglio, marittimo, è difiuso neirisola di
Corsica, in quella d'Elba, e nelle molte isolette sparse nel mar
di Toscana, ove è assai corrotto. In Corsica il dialetto princi-
pale è quello di Corte, e ne sono suddialetti distinti qiMJii di
Bastia, Calvi, Aiaccìo, Sartene e Bonifacio. Nell'Elba è princi-
pale il dialetto di Capolìveri, le cui più distmte varietà sono
parlale a Porto-Ferraio, a Porto-Longone ed a Campo. Per
ultimo sono distinti ancora i dialetti di Capraia e dei Giglio.
2.^ Il ramo latino, posto a mezzogiorno e ad orieùte del
tosco, suddividesi in due grandi gruppi, che designammo coi
nomi di romano e di umbrico, fra loro separati dalla cresta
deir Appennino, che divide l'ampio bacino del Tevere dai nu-
merosi fiumicelli che dall'opposto declivio mettono foce ncll'A-
driatico.
E DEI DIALETTI ITALICI. 187
' Il gruppo romano estendesi quindi su tulio il bacino ddf^Tc^-
vere, ed è rappresentato dai dialetto di Roma, che ne è féiid-
pal tipo. Le sue più distinte varietà sono i dialetti di Gubbio; di
Perugia, di Foligno, di Spoleto, d' Orvieto, di Todi, di Viterbo,
di Civitavecchia, di Rieti e di Velletri.
Il ramo umbrico, esteso fra T Appennino e F Adriatico, dalla
Foglia al Tronto, è rappresentalo dal dialetto anconitano. Ne
sono varietà principali i vernacoli d' Urbino, di Fano, di Siniga-
glia, di Macerata, di Fermo e d'Ascoli.
6/ Famiglia Sannitico-Iapigia.
Conterminata a settentrione dalia Ialina^ la vasta famiglia,
che abbiamo denominato sannilico-iapigia, perchè diffusa nella
regione primamente occupata da queste due potenti nazioni,
estendesi dall' un mare ali* altro, in tutta la rimanente parte
della penisola, tranne la punta più meridionale costituente le
tre Calabrie. In cosi vasta regione, successivamente inondala
per lunga serie di secoli da innumerevoli tribù di varie stirpi,
questa famiglia porge all'etnografo in massimo numero i più
strani fenomeni linguistici da luogo a luogo, sicché assai diffi-
cile torna, nell'inopia dei mezzi, e nella ruvidezza della mag-
gior parte di quelle popolazioni, lo stabilire un circostanziato
ordinamento di quell'immensa congerie di volgari favelle. Ciò
nullostante, restringendoci per ora alle divisioni generali, e fon-
dandoci sui falli da noi osservati e sulle notizie raccolte con
malagevoli cure sui luoghi stessi, crediamo di poterle equamente
distribuire in quattro gruppi, che abbiamo denominato abruz-
zese, campano, appuliese e tarantino.
Il primo estendesi per tutti gli Abruzzi, non che nella più ele-
vala parte della Terra di Lavoro , ed è rappresentato dal dialetto
di Chicli, che abbraccia tutte le proprietà dei dialetti che lo
circondano. I principali e più distinti fra questi sono : i vernacoli
di Teramo, di Nerelo, d'Aquila, di Citlà-Ducale, di Sulmona,
di Lanciano e di Vasto.
Il gruppo campano, rappresentato dal dialetto della capitale,
abbraccia, oltre alla provincia di Napoli ed alla terra di La-
voro, eziandio i due principati Ulteriore e Citeriore. I suoi princi-
pali dialetti sono quelli di Pozzuoli, Sorrento, Capua, Gaeta, So-
188 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI
ra/Nola, Avellino, Ariano, Salerno, Cainpagna, Sala, Vallo é
Camerota.
Il gruppo appuliese, posto a settentrione del Napolitano, dal
quale è diviso per mezzo dell'Appennino, estendesi lango le
Provincie di Molise e di Capitanata, ed è rappresentato dal dia-
letto di Foggia, sebbene molte e strane siano le varietà dei dia-
letti in questa regione. Le principali e più distinte sono quelle
di Bovino, Lucerà, s. Severo, Rodi, Serracapriola, Campobasso,
Molise ed Isernia.
Finalmente il gruppo taranlino, formato del pari che il pre-
cedente da una indeterminata congerie di svariate favelle, ocr
cupa le terre di Bari e d'Otranto e la Basilicata. Ivi è rap-
presentato dal dialetto tarantino; e le sue più distinte varietà
sono: i dialetti di Potenza, Lagonegro, Melfi, Matera, Altamura,
Bari, Brindisi, Lecce e Gallipoli.
7.* Famiglia Bruzio-Sicula.
Le prische sedi dei Bruzi e dei Siculi tanto celebri nelle sto-
rie d'Italia sono ora occupate da una distinta famiglia di dia-
letti, i quali, estendendosi ancora in tutte le isole del mar di
Sicilia, e persino nella provincia della Gallura posta nella parte
più settentrionale dell'isola di Sardegna, rivelano antichissimi
rapporti di fratellanza fra i popoli che li parlano.
Questa famiglia si espande nel continente per tutte le tre Ca-
labrie, e nel Mediterraneo occupa l'isola di Sicilia coi gruppi
che ne dipendono, ed il lembo settentrionale della Sardegna tra
il Limbara e lo stretto di Bonifacio. — Avuto riguardo alle mol-
teplici discrepanze di pronuncia e di forma nei dialetti che la
compongono, dividesi naturalmente in tre rami, che abbiamo
denominato calabrese, siciliano e gallarese.
ì,^ Il primo, denominato calabrese perchè esteso nelle tre
Calabrie, è rappresentato dal dialetto di Cosenza, che ne è prin-
cìpal tipo. Con tutto ciò esso consta d'un immenso numero di
varietà distinte, fra le quali le più notevoli sono: i dialetti
di Castrovillari , di Rossano, di Paola, di Nicastro, di Catan-
zaro, di Squillace, di Monte Leone, di Gioia, di Gerace e di
Reggio.
2.° Il ramo siciliano, diffuso neir isola di Sicilia, suddividesi
e DEI DIALETTI ITALICI. 18^
ili due gruppi geograflcamcnte separati dalla catena dì monti
posti fra il bacino della Giarretta e quella del Salso; e perciò
dalla rispettiva poslzion loro li abbiamo denominati occidentale
ed orientale.
Il gruppo occidentale è rappresentato dal dialetto di Paler-
mo^ e ne sono varietà distinte quelli che si parlano a Trapani,
a Marsalla, a Mazzara, a Girgenti ed a Caltanisetta.
Il gruppo orientale è rappresentato dal dialetto di Cata-
nia, e ne sono distinte varietà: il siracusano^ quel di Modica,
il nicosiano ed il messinese, che si collega al calabrese.
S."" Per ultimo il ramo sardo ^ diffuso nelF estremo^ lembo
settentrionale di Sardegna, dal golfo di Terranova a quello
d'Alghero, è rappresentato dal dialetto di Sassari, e ne sono
varietà i dialetti di Tempio» di Gastelsardo, di Sorso e di
Aggius.
SJ" Famiglia SardcL
QnesV ultima famiglia si allontana da tutte le mentovate per
proprietà grammaticali e lessicali, in guisa da poter essere con-
siderata come una lingua distinta dalF italiana , del pari che la
spagnuola, dalla quale attinse colle forme parecchie radici. Ove
per altro si rifletta ai suoi stretti rapporti colla lingua del La-
zio, della quale serba intatte le più chiare impronte, ed ove
si consideri la sua dipendenza geograflca e politica jdalF Italia,
non si può a meno di enumerarla fra le italiche famiglie. Essa
occupa quasi interamente risola di Sardegna cogli isolotti che
ne dipendono, tranne il descritto lembo settentrionale della me-
desima, la città d* Alghero col suo territorio, ove si parla il ca-
talano, e r isolotto di s. Pietro, abitato dall' accennata colonia
genovese. In cosi vasta regione essa è ripartita in due grandi
rami, che per la posizion loro furono denominati settentrionale
e meridionale, o meglio logudorese e campidanese.
l."" Il logudorese è il più puro, ed è separato dal campida-
nese per mezzo d' una lìnea serpeggiante, che da Baunei attra-
versando tutta rìsola raggiunge il Capo Manno. La comune lin-
gua scritta logudorese, che già possiede una copiosa letteratu-
ra, non è propriamente parlata in verun, luogo privilegiato; ma
eoa leggere modificazioni è sparsa in tutti i suoi moltiplici dia-
190 OaDlNAxMENTO DEGLI IDIOMI
letti. Il più puro fra questi, e quindi il più atto a rappresen-
tarla, si è quello di Bonorva; le altre varietà più distinte so-
no: i dialetti di Bitti, Galtelli, Dorgali, Fonni, Gavoi, Acizzu,
Baunei, Canusei, Osilo, Posade, Àustis, Gliiiarza, Buddosò, Bo-
no, Nulvi ed Ozieri.
2."" Il ranoo campidanese viene 4' ordinario rappresentato dal
dialetto di Cagliari capitale dell'isola; esso per altro suddivi-
desi in due gruppi distinti, che abbiam denominato campida-
nese proprio e sulcitano.
Il campidanese proprio, parlato in tutta la regione del Cam-
pidano e nella provincia di Cagliari, ha per suddialetti princi-
pali quelli che si parlano ad Oristano, Ales, Isili, Iglesias» Tor-
toli, s. Vito e Carbonara.
Il gruppo sulcitano, parlato nella provincia d'egual nome po-
sta suircstrema punta meridionale delF isola, ha per varietà prin-
cipali i dialetti di Palmas, Santadi, Chia e Pula.
Riserbandoci a svolgere in appartati volumi i malagevoli studi!
che ci dettarono l'esposto ordinamento sommario della indefi-
nita e svariata serie dei nostri dialetti , procederemo a rioiracciare
quali studi! venissero nei varii tempi instituiti intorno ai medesimi.
Per quanto ci consta dai monumenti superstiti, egli è fuor
d' ogni dubbio, che in massima parte essi furono parlati e scritti
in ogni angolo d'Italia, con leggiere modificazioni, qualche secolo
avanti la formazione dell' italiana favella, la quale appunto, solo
per impedire quella moltiplicazione dei linguaggi fu loro nel
XIII secolo sostituita. Ma quei primi tentativi, come accennam-
mo, furono promossi dalla necessità di provvedere ai bisogni della
vita socievole, mentre nell'assoluto diletto di coltura, in cui le
politiche sciagure avevano immersa Italia tutta, la lingua latina
studiata da pochi non era più intesa dalle popolazioni; né altro
interprete rimaneva loro, se non il rispettivo linguaggio plebeo.
Non mancarono però uomini di lettere, che tentassero ezian-
dio coir armonia del verso nobilitare e diffondere in patria l'uso
dei rispettivi dialetti, del che abbiam dato nel precedente di-
scorso irrefragabili prove di fatto, pubblicando un saggio degli
antichi loro monumenti editi ed inediti; ma tostochè l'Alighieri
porse una sola lingua a tutto il paese, i vernacoli linguaggi ri-
caddero nel primiero abbandono, e tutte le cure degli studiosi
furono a quella rivolle.
E DEI DIALETTI ITALICI. 191
Solo verso il secolo XVI, quando collo sviluppo delle patrie
lettere, alcuDÌ ingegni italiani crearono la conoedia satirica, i dia-
letti ricomparvero nelle rustiche lor vesti, onde rappresentare
sulla scena Tuomo del popolo e i suoi costumi. In Toscana, in
Lombardia, nella Venezia, a Napoli, ed in altre regioni si molti-
plicarono ben presto i componimenti di questo genere, cui ten-
nero dietro nuovi tentativi, onde sottoporre all' armonia del verso
le più rustiche favelle.
In breve quasi tulli i dialetti italici ebbero una più o meno
vasta letteratura lor propria, sicché, avuto riguardo alla immensa
congerie delle produzioni di ogni genere, ardua sarebbe l'im-
presa di redigere una compiuta bibliografla dei medesimi. Ma
lutti questi innumerevoli componimenti vernacoli erano preci-
puamente intesi a trastullare il popolo con lepide rappresenta-
zioni, le brigate con giocose poesie d'indole satirica; sovente
ancora furono vani sforzi diretti a provare Y energia, la ricchezza,
la flessibilità e la grazia dei singoli dialetti; né mai venne instituito
uno studio speciale collo scopo di rivelarne l'organismo o le pro-
prietà distintive, meno ancora a fondarne un ragionato confronto.
Solo nella seconda metà dello scorso secolo venne intrapresa
da alcuni studiosi la compilazione dei vocabolari! di alcuni prin-
cipali dialetti d'Italia, massime di quelli che possedevano mag-
giore e più importante numero di produzioni. E questi primi
tentativi furono imitati, o compiuti ai nostri giorni per opera
d'una schiera di zelanti cultori delle cose patrie, sicché final-
mente un gran numero di municipi! italiani possiede ormai il
proprio vocabolario vernacolo, e taluno ancora un saggio di gram^
maticali osservazioni.
Gioverà ciò non pertanto avvertire, come tutti questi lavori
venissero per lo più ristretti a rappresentare i singoli dialetti
delle città rispettive, escludendone quasi affatto i più doviziosi
e puri delle campagne e dei monti ; e noteremo, come tulli fos-
sero diretti, ad agevolare agli estranei la lettura e T inter-
pretazione delle poesie vernacole rispettive, o ad insegnare alle
singole popolazioni la lingua aulica generale, mercé il confronto
della stessa coi volgari linguaggi. E perciò, comunque utili sif-
fatti lavori tornar possano allo scopo dei loro autori medesimi,
egli è indubitato, che ben poco giovamento arrecano al filologo,
il quale, rivolto a più nobili fini, indaga in più vasto orizzonte
193 ORDINAMENTO DEGLI IDIOMI > ECC.
r indole ed i rapporti dei nazionali dialetti. Per buona ventura
lo studio comparativo delle lingue, sorto e sviluppato ai di no-
stri , ha finalmente rivelato la moltiplice importanza di questi
studii , e ci giova sperare , che non tarderemo ad averne una
compiuta illustrazione, a schiarimento, ed in prova delle origini,
cosi della lingua, come dell' italica famiglia.
vili.
POEMETTO INEDITO
DI
PIETRO DA BARSEGAPE.
13
PREFAZIONE
I somma importanza dello studio sugli antichi mo-
enti di nostra lingua nell' astrusa ricerca delle ri-
) orìgini della medesima, fu da noi bastevolmente
rtita nella precedente dissertazione Sulle lingue
inze^ ove per la prima volta abbiamo publicato per
o rinteressante poemetto di Fra Buonvicino, scritto
no alla meta del sècolo XUI. Fra gli incunàbuli
volgare letteratura in Lombardia peraltro ha di-
ai primo posto, per la maggiore sua mole, per Fìm-
uiza deir argomento e pel modo col qualje dall^au-
fu svolto,, il celebrato Poemetto di Pietro da Bescapè
imporàneo del Buoayicino medésimo. Lo abbiam
celebre^ perchè menzionato più volte dagli scrit-
che imprèsero a svòlgere gli aunali delFitàlichc lèt-
sulPautorità forse delP Àrgelati , che nel I Tomo,
3 II della Bibliotheca scriptorum mediolanensium
orse un àrido cenno. Ciò non pertanto esso non è
) inèdito , né meno ignoto al mondo letterario che
aria come di cosa che esiste , ma che non conosce.
infatti esiste in ùnico esemplare manuscritto in per-
i96 POEMETTO INEDITO
gamcna nella preziosa Bil)lioteca Àrchintca, ove ci fu
concesso dal benemèrito possessore di trarne copia fe-
dele, allo scopo di renderlo finalmente di pùbiica ra-
gione, ^ìessuna parte ne comparve sinora alla luce, ove
si eccettuino pochi versi deir Introduzione, ed alcuni di-
stici posti in fine del còdice, prodotti in Saggio dall'Ar-
gelati a corredo della mentovata notizia. Ivi latinizzando
giusta Fuso dei tempi il nome delP autore, lo designa
Petrus a Basilica Petri^ denominazione constatata forse
da antiche pergamene che fanno ripetuta menzione del-
r antichissima e nobilissima famiglia a Basilica Petri^
alla quale per avventura l'autore del poemetto apparte-
neva. Questi peraltro si designa nel componimento col'
nome: Petra de Barsegapè ^ che traccerebbe il primo
passo alla storpiatura successiva di Bescapè.
In questo poemetto , come apertamente dichiflrfr nel-
r Introduzione , il poeta si propone di tracciare un^ìslò-
ria delFAntico e del Nuovo Testamento, ed a maggiore
chiarezza, dopo di aver invocato l'ajuto del Dio uno e
trino 5 onde lo inspiri e lo regga , enumera i sommi
capi che imprende a trattare, e che in sèguito viene con
mirabii ordine svolgendo, quali sono:
Como Deo à fato lo mondo;
E comò de terra fó Io . homo formo ;
Cum'el (lescendè de Gel in terra,
lu la Vergine rcgal pol^ella; ^^ ■ •
£ cum' ci sostane passion
Per nostra grande salvation;
E cum vera al di de Tira,
Là o' sera la grande roina ;
Al peccatore darà gramola;
Lo justo avrà grande alcgre^a.
Ed in fatti, sulle traccie della Bibbia, procede quindi
a descrivere la creazione dell' universo , queHà' dei prò*
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 197
genitori dell' umana famiglia , e il loro primo errore e
le funeste conseguenze. Quivi s' arresta a dipìngere la
lolt^ delFànima colle passioni corporee, e svolge per òr-
dine i sette vìzj capitali, la superbia, la gola ^ la lussùria,
l'avarizia, l'ira, l'accidia e la vanagloria.
Descritti per tal modo i precipui mali che derivarono
all'umanità dal peccato originale, si rivplge pieno di
conforto alla storia circostanziata del divino riscatto.
L'annunciazione della Vèrgine, la sua vìsita ad Elisabetta^
l'apparizione dell'Angelo a Giuseppe, il viaggio a Bet^
lemme, la nàscita di Cristo, l'adorazione dei pastori e
dei Magi, la presentazione al tempio , la fuga in Egitto, ed
il ritorno in Nazareth dopo la strage degli Innocenti, vi
sono svolti per ordine, e con un candore singolare. Pro-
cede quindi a descrìvere la vita, la passione e la morte
di G. C., adornando il racconto con una scrive di anèddoti
ed episodj, che, se non nuovi, perchè sparsi nei sacri
Còdici , tornano almeno strani pel modo ingènuo col
quale sono esposti.
Dopo alcune pie riflessioni sull'Agnello immolato esul-
I' empietà de' suoi carnéfici, s'arresta descrivendo lo spà-
simo della Vèrgine e celebrando la pietà delle Marie,
di Giovanni, di Giuseppe d'Arimatea e di Nìcodemo ,
dopo di che passa a raccontare la discesa all'inferno, la
risurrezione ed ascensione al cielo, e le successive appa-
rizioni del Redentore agli Apòstoli; Conchiude dimo*
strando, come la dispersione e. le predicazioni di questi,
le persecuzioni degli infedeli , e I' eròica fermezza dei
Màrtiri , compiessero l' òpera divina , gettando ovunque
le fondamenta imperiture della Chiesa di Cristo.
Compiuto per tal modo il pio racconto, l'autore si fa
a dichiarare, che vuol ancora far conóscere , come Iddio
sarà per ritornare l'estremo giorno a giudicare i vivi ed
i morti ; e si studia di tracciare un quadro commovente
i98 POEMETTO INEDITO
dell^ universale giudizio , dal quale trac argomento per
esortare i suoi uditori alla pregiiiera ed a calcare il sen-
tièro della virtù.
Dal contesto delF intero componimento appare eviden-
te, come il Bescapè si proponesse dì svòlgere per órdine
la paràfrasi dei sommi capi del Sìmbolo degli j^pòstoli,
che appunto incomincia col professare Iddio creatore del
Cielo e della terra, e finisce rappresentandolo giudìbe ine-
soràbile dèir umana famìglia; e ne deriva ancora an fòrte
critèrio per poter conclìiùdere con fondamento , che Io
stesso autore appartenne a qualche Ordine religioso o
monastico , i soli depositàrii a quel tempo delle scarse
dottrine scientìfiche e letterarie. E scarse davvero pos-
siamo asserirle al tempo del Bescapè, se ne misuriamo
Taltezza dal suo componimento , affatto privo di originali
concetti , di pensieri elevati , di osservazioni filosofiche o
di poètiche grazie. Bensì dobbiamo notarvi nn^ órdine
miràbile nella condotta, molta chiarezza nelle espressióni,
per quanto era conciliàbile con una lingua priva ancora
dì règole fisse, e molta diligenza ed esattezza, che pos-
siam dire monastica , nella parte descrittiva.
Quanto alla prosodìa, o piuttosto alla misura del verso,
a dire il vero non vi abbiamo riscontrata norma costante^
mentre , senza parlare degli accenti che non seguono ve-
runa legge, anche il nùmero delle sìllabe vi è indetermi-
nato e varia in ogni linea, che perciò non osiamo chiamar
verso. Per tal modo con tutta ragione potrèbbesi risguar-
dare Finterò componimento come una prosa rimata, seb-
bene anche le rime bene spesso siano sbagliate , e pòr-
gano appena talvolta lontane assonanze, quali sono per
esempio: resplendente e semprey mondo e formo, terra
epolzella^ ira e roi^ina, ed alfretali. Con tutto ciò bene
osservando lo sforzo, che talvolta appare manifesto , del-
r autore, per conseguire una determinata misura ne^suoi
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 199
versi , e prendendo norma da quelli ne^ qnali pure riusci,
possiamo stabilire, che tutto il poemetto consta di distici
rimati , ora in versi alessandrini , che più tardi furono
detti marieJlianiy attribuendone erroneamente P introdu-
zione a Pier Jacopo Martelli , ed ora in ottonarj. Ma ben
più spesso , devo ripèterlo , non vi si riscontra misura'
veruna. Taluno potrebbe per avventura riconóscere qua
e là alternato dalF autore il verso ipermetro , o dodeca-
sìllabo, che si è attribuito ai primi poeti italiani, in ispe-
cie a Dante da Majano, e col quale Alessandro de^ Pazzi
scrisse unMntera tragedia; ma ben più verisimile spiega-
zione deir incerta misura ci porge P imperizia delPautore,
e più ancora F ignoranza e la negligenza del copista^ al
quale dèvonsi sopratutto attribuire alquante ommissioni
ed aggiunte , che alterarono così la misura del vei'so ,
come lacrima, e talvolta ancora violarono le leggi della
sintassi, rendendo oscura la frase, ò zoppo il perìodo.
La lingua, come ho avvertito, si è Pincòndila favella
parlata allora in Lombardia, sebbene modificata e forzata
alle forme della latina già da lungo tempo negletta e meno
intesa , alla quale per conseguenza si tentava sostituirla,
come lingua scritta. Egli è vero bensì , che al tempo del
Bescapè avèano i Siciliani preso ad illustrare con poètici
componimenti il proprio dialetto, fra i quali emèrsero
Giulio d'Alcamo , Pier delle Vigne, f^ederico 11, Enzo e
Manfredo, Guido dalle Golonne, Jacopo da Lentino, Ar-
rigo Testa , Ranieri da Palermo , Stefano da Messina ,
Guarzolo da Taranto ; così pure i Toiscani Gavalcanti ,
Folcacchìeri , Brunetto Latini , Guitton d'Arezzo, Fa-
bruzzo da Perugia , Jacoponé da Todi venìàno raddriz-
zando il proprio, ond' ebbero imitatori anche neir Emilia,
in Semprebene , Bernardo , Guido Guiidicelli ed Onesto
da Bologna , Tommaso ed Ugolino Bùcciola dà Faenza ,
Riccobaìdo da Ravenna ed altri ; ma gli sforzi di que'
:200 POEMETTO DEDITO
primi ordinatori dcir italico idioma èrano ristretti nella
cerchia delle rispettive provincìe, ne T influenza loro avea
per anco varcate le rive del Po ; ond' è che gli scrittori
vèneti , lombardi e pedemontani mossi da pari necessifò
tentarono alla lor volta di dar forma ai dialetti rispettivi,
senza dipèndere dai lavori simultanei e malnoti delle altre
Provincie. Di qui appunto ebbero orìgine le varie favelle
fra gli scrittori del XIII sècolo, e di qui ancora nel suc-
cessivo le giuste querele delPAIighieri, che vedendo per
tal modo rinnovarsi in Italia la confusione di Babele, si
accinse alla santa impresa di collegare tutta la patria
grande con una sola lingua , chiamando a tributo tutti i
dialetti itàlici^ ed escludendo i privilegi municipali, fonti
perenni di letali discordie. Considerato quindi sotto Fas-
petto delia lingua, sebbene appartenga a quella.serie di
componimenti plebei che il sacro fuoco del Dante futiiìi-
nava, il poemetto del Bescapè torna oltremodo prezioso ài
filòlogo, e come documento della pluralità di lingue che
nel sècolo Xlll si venivano sviluppando, e quàl monu-
mento delia lìngua parlata sei sècoli or sono in Lombar-
dia, e come specchio della cultura degli avi nostri a quel
tempo. Pel primo riguardo, esso coUègasi alla storia delle
origini di nostra lingua ; pel secondo , a quella dei dia-
letti lombardi, comprovandone la remota antichità; pel
terzo finalmente , alla storia del nostro incivilimento.
Allo scopo appunto di chiarirne T importanza in questo
triplice aspetto, mi accinsi alP àrdua impresa di publicarlo
per intero trascrivendolo fedelmente dal citato Còdice ar-
chintèo , e corredandolo d' una serie di note filològiche,
le quali mentre dalF una parte chiariranno la significa-
zione dei vocàboli e dei modi meno ovvii e men cono-
sciuti , dair altra varranno a tracciare le molte ùtili ap-
plicazioni di si fatti monumenti agli studj stòrici e lin-
guistici. Fra le molte rivelazioni che emèrgono spontànee
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 2ÓI
dalla sémplice ispezione di questo poemetto, non ùltima
si è quella che ci rappresenta un ravvicinamento alle
forme del linguaggio vèneto di quel tempo, ciò che pro-
verebbe, che fa lingua volgare, prima ancora che in
Lombardia, cominciò ad essere scritta nelle provincie vè-
nete , sotto gli auspicj deir indipendenza republicana.
Questa influenza traspare ad ogni passo e dalla scelta
delle voci , alcune delle quali sono simili alle vènete , ie'
dalle flessioni, sopratutto dalle terminazioni, e dalle mìt-'
niere del dire; ond'è, che sebbene il racconto del Bescapè
serbi chiaramente improntati i caràtteri della propria ori-
gine lombarda, pure una certa tinta generale lo assimila
ai componimenti contemporànei vèneti, come puossi age-
volmente riconóscere confrontandolo col Lamento della
sposa padovana per la partenza del marito alle Cro-
ciate ^ già publicato dal Brunacci (0 e da me riprodotto
nella precedente mentovata dissertazione.
Quanto alla norma da me éeguita nella trascrizione del
Còdice, devo dichiarare, che mia prima e sola cura si fu
quella dì pòrgerlo agli studiosi fedelmente integro e ge-
nuino , giacche il solo scopo che m' indusse a publicarlo
si è quello di pòrgere nuovi fatti agli studiosi , e non già
di far prevalere le mie opinioni. Perciò ho ancora serbata
intatta l'ortografia dell'amanuense, per non alterare punto
la forma delle voci, né recare impaccio alla giusta inter-
pretazione della primitiva loro pronunzia. Bensi, siccome
non si trattava di dare un fac-simile del Còdice , ma di
pòrgerne il contenuto, cosi mi sono permesso di aggiùn-
gervi i punti e le virgole che mancano nel Còdice stesso,
e che sono indispensàbili a ben intènderlo, màssime trat-
(ì) Leziom d'ingresso nelV Accademia de' Ricoverati di Padova j
del signor Giovanni Brunacci, ove si tratta delle antiche origini della
lingua volgare de' Padovani e d' Italia. Venezia; 1759, in-4.°
203 POEMETTO INEDITO
tàndosi (li una lingua incòndita, nella quale le leggi gra-
maticali sovente violate e la malferma sintassi noq pos-
sono valere di guida. Per la stessa ragione ho creduto
opportuno apporre le apòstrofi e gli accenti che mancano
affatto neir originale , ogni qualvolta questi mi parvero
necessarj o almeno ùtili a tògliere le ambiguità, ed a chia-
rire la mente dello scrittore , ciò che non reca alterazione
veruna alla forma delle voci. Cosi p. e. lio apposta P apò-
strofe alla ó* quando signìGca ove^ per distìnguerla dalla
disgiuntiva ; ed ho apposto Faccento alla voce comengà^
quando esprime V infinito del verbo incominciare ^ per
distìnguerla dalla voce comen^a^ terza persona singolare
deir indicativo presente dello stesso verbo^ ciò che Firn-
perizia o la negligenza del copista non avvertì di fare ,
con grave danno della chiarezza. £ poiché questa impe-
rizia , o negligenza del copista si manifesta sovente , ora
staccando le sillabe d^una sìngola voce, ora congiungendo
due voci distinte e separate , ora ommettendo qualche
lèttera o qualche sìllaba in vocàboli che, riprodotti altrove,
vi sono giustamente espressi , così ogniqualvolta ho po-
tuto constatare T errore o V ommissione , vi ho apposto
V opportuno rimedio , nella certezza di non avere punto
alterato arbitrariamente le forme della dizione.
Per tal modo ho fiducia d'aver reso chiaro ed accessì-
bile a tutti un manoscritto non molto facile a decifrare.
Che se talvolta (ciò che avvenne di rado) ebbi a rinvenir
qualche voce ambigua od 03cura , sìa per V incertezza
dello scritto, sia per la stranezza. della forma, anziché
avventurarne una spiegazione congetturale , preferii tra-
scrìverla tal quale si trova nel Còdice, lasciando agli stu-
diosi la cura d' interpretarla.
A norma impertanto di quelli che rivolgeranno i loro
studj a questo patrio monumento, poiché vi ho conser-
vato i segni ortogràfici convenzionali delPoriginale, debbo
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 203
avvertire , che la a: vi è adoperata ad esprimere il suono
dolce della Sy come nelle voci italiane riso^ hisavo; che la
e vi esprime il suono duro della z^ come nelle voci .so-
stanztty allegrezza; che la k vi serba il proprio suono
duro, e vi tien luogo delle eh in italiano; e la lèttera h
non vi rappresenta alcun suono, ma vie posta ad imita-
zione delle corrispondenti voci latine, come homo, herba
e simili. Basteranno, spero, questi pochi cenni ad agevo-
larne la lettura ed a precisarne la pronunzia , mentre a
rischiararne il significato varranno le annotazioni che
accompagnano il testo medésimo.
No è cosa in sto mundo, tal è la iiiia credenza,
Kì se possa fenire, se la no se comen^a.
Petro de barsegapc si voi acomen^are,
E per raxon fenire^ segondo k'el gè pare.
Ora omiunca ^*) honjo intenca e stia pur in pax W
Sed kel ne gè plàxe audire d'un bello sermon veraii(^);
(1) Omiunca. Voce composta di omnisunqttam^ che significa agni.
L'aggiunto unquam impiegato a dar maggior valore alla voce, alla
quale è suffisso, pare che anticamente fosse applicato a molte voci
andate fuor d'uso. Se ne serbala traccia in poche supèrstiti, come:
chiunque j qualunque ^ comunque. In molte voci per aitilo liei vòl-
gere del tempo si preferi sostituire l' equivaliente italiana wiai ,
dicendosi : ormai^ ogqimai, sempremai^ e simili.
(2) Questo verso propriamente esprime : Ora ognuno' presti at-
tenzione e stia cheto. Ove si scorge, che intenda non aveva ai
tempi del Bescapè il significato più comune e più ovvio oggidì di
capire; ma bensì il suo vero e primitivo significato di tèndere la
mente,, o, ciò che torna lo stesso, fare attenzióne. Si avverta poi
come la e venga sostituita alla dj ciò che in sèguito si ripete in
pareccliie voci, come vecudo per veduto^ creptio per creduto ^ e
simili, e ci porge un sicuro criterio per dedurne il modo col quale
erano allora quelle voci pronunziate.
(3) In questo verso il copista, che si manifesta del continuo ignaro
e negligente , ha lasciato sfuggire dalla penna alcune lèttere che
imbrogliano il senso. Dalle osservazioni fatte nello studio deirintero
poemetto, credo che dòbbasi con ragione ristaurare nel modo se-
guente : Sed ci gè plaxe audire d'un bel sermon k^ox^ vale a dire :
206 POESETTO I5EDIT0
Cumlare co * se volio e Irare per raxon ^^.
Una istoria veraxe de libri e de sennon.
Se gii piace udire un bel sermone veriiiero. La voce wed per se tro-
vasi qui usata solo allora che il poeta vuole oii-viare la disioDe colla
vocale segaeaìe^^ mentre scrive sempre se, quando s^ne una conso-
nante. Cosi vedremo in sèguito la congiunzione che o ke mutarsi in
ked ogniqualvolta è seguita da vocale ; di modo che la d non ha qui
alcun valore, tranne quello d'impedire Felisione; co^ appunto i
poeti moderni cangiano allo stesso fine la particella ne in ned
quando è seguita da vocale. Questa osservazione ci prova, quanto
addietro risalga Tuso della d a tale ufficio.
El gè plaxe per gli piace è maniera pretta lombarda^ dicendosi
tutt'ora : el ghe pias. Avvertasi ^ che la buona ragione c'Insegna a
considerare come duro il suono della g nella voce gè che significa
gli; I.* perchè nel sècolo xiii l'ortografia italiana non aveva anc<»a
verun segno convenzionale per esprimere quel suono colle vocali e
ed fy giacché l'introduzione della lèttera A a tal fine firapposta tra le
c^ 9 e le vocali in c/ie^ chi^ ghe^ ghi^ pare che non venisse general-
mente sanzionata se non verso la metà del sècolo xnr. SiAo ad esprì-
mere il suono duro della c^ come consta dal nostro còdice e da tutti
i contemporànei^ Cacèvasi uso del k, scrìvendo ke^ ki, e talvolta,
ancora delle qu, scrìvendo que^ qui, U. qoal ùltimo modo, già miro-
dotto dai Provenzali, SI è conservato nelle moderne ortografie firaneese
e castigliana. 2.* Perchè tutti ì. dialetti dell'alta Italia prppàmiano
durala voce ghe, e la tradizione e le vecchie carte ci attèstano^.che
la pronunziarono sempre allo stesso modo. Quanto poi alla forma.
plaxcj piace, ossia alla permutazione della t in l, che vedremo rì-
pètersi costantemente in parì circostanze , si è puro effetto dfUìa^
naturale tendenza, a quel tempo generalizzata presso tutti gli scrìt-
tori italiani ed occitànici, di serbare, per quanto si poteva, lepiim^
forme delle radici latine.
{i) Eo per io, manifesta contrazione dell'ego latino. Talvolta, ed
ispecie negli scrìtti del Buonvicino. trovasi eio, dal quale piCi
presto derìvò l'italiano io.
(%) Trare per raxon è frase più volte ripetuta nel corso del poe-
V
DI PIKTRO DA BARSEGAPÉ. 207
ìli la qual se contèa guangìi ^*) e anche pìstore ^2)
E del novo e del vectre (^) testamento de Criste.
Alto Deo patre segniór,
Da a mi for^a e valor;
Patre Deo sègÀFor veraxe,
Mandime la toa paXe;
Jesu Cristo filici de gloria.
Da a mi seno e memora,
intendimento e cogrioscan^a
In tuta grande liallanca <*),
Si me adrica in quella via
Ke pla^a a toa grande segnioria.
Spirito sancto, de toa bontà
Eo ne sia sempre inluminao;
Inluminao e resplendènte
Del tò ^^) amore si sia sempre. ^
metto^ onde esprìmere: disporre per ordine gimta il dettato della
sana ragione.
(1) Guangìi j per y angeli^ corruzione frequente nei dialetti lom-
bardi che sovente permutano va^ ve in gua, gue^ ed inversamen-
te, come: varda per guarda. Cosi pure la terminazione plurale in
ti trovasi ripetuta in parecchi nomi lombardi.
(2) Pìstore^ per epìstole; altra corruzione propria del dialètto
lombardo, che pèrmuta sovente la / in r^ ed invèrsameùte.
(5) Fectre, per s?ecchiOj dalla radice latina vetus^ veteris^' alla
quale l'autore tenta accostarsi. Nel corso peraltro del' poemetto
fa uso costante della parola pegìo^ corruzione di vecchio j che tut-
t'ora il pòpolo milanese pronunzia vecc^ e vegia pel femminile.
(4) Lialtanga^ per lealtà^ sincerità. Questa desinènza è comune
a tutti gli scrittori volgari contemporànei che Tatlinsetò' dai Tro-
vatori occitànici.
(tt) Tòj per luOj è maniera lombarda usata aiicbe a' di nostri.
Cosi in sèguito vedremo la forma lombarda odierna ih tutti i' prò-
208 POEMETTO INEDITO
E clamo ^*' marce al me (^^ segniore
Patre Deo creatore,
Ke possa dire sermon divin.
E comen^à ^^^ e trare a fin ,
Como Deo à fato lo mondo,
E corno de terra fò lo homo formo <*':
Cum ci descendé ^^^ de cel in terra
In la vergene regal pol^ella;
E cum el sostene passion
Per nostra grande salvation;
E cum vera al di de Tira,
Là o^ sera la grande roina;
Al peccatore darà grame^.a (^) ,
nomi possessivi mè^ tò^ sò^ per mio^ tuo^ suo^ come piire mia^ toat
8oa^ pei rispettivi femminili.
(ì)Clamo^ per chiamo^ ad imitazione della corrispondente ra-
dice latina e provenzale.
(2) Mè^ per mio ^ come si è avvertito di sopra.
(3) Comencàj per incominciare; maniera pròpria àel dialètto
milanese^ che suole sopprìmere la sìllaba finale re in tatti i modi
indefiniti nei verbi di prima conjiigazione.
(4) FormOj per /br/wafo. Licenza poètica, onde aver forse almeno
qualche assonanza con inondo. D'ordinario peraltro, questi parti-
cipj dei verbi di prima conjugazione hanno la terminazione do^
propria del dialetto vèneto antico e moderno, come : andàój dào,
mostràoj per andato^ dato^ mostrato.
(5) Descendé y per discese. È da notarsi la forma regolare ser-
bata nella flessione di questo verbo, che è conforme alla latina
descendit^ e ci prova, come la irregolarità nel passato perfetto e
nel participio, così di questo, come di parecchi altri verbi, ve-
nisse introdotta posteriormente. Ne vedremo in sèguito molti
esempj .
(6) Gramega^ per tristezza. Radice itàlica antica andata fuordi
uso , sebbene sopraviva l' aggettivo gramo e l'astratto gramaglia.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. ^ 209
Lo iusto avrà grande alegrec^.
Ben è raxon ke Tomo intenda
De ke traila sta legenda.
L^ altissimo Deo creatore
De luti ben comen^adore
Plaque a lui in comen^amento (*^
Lo cel e la terra ei creò.
La luxe resplendente a far dignò;
Lo sol, la luna e le stelle,
Lo mare, e li pissi, e li ol^elli (^)
Aer, e fogo, el firmamento.
Bestie tute e li serpente.
Partì la lux da tenebria (^);
Parti la nocte da la dia W;
Et alla terra de bailia (^)
(i) Quivi appare manifesto, che il copista dimenticò di trascri-
vere un verso che compieva la proposizione rimasta perciò sospe-
sa, e che formava il dìstico rimato in ento.
(2) Olgelli per uccelli.
(5) Divise la luce dalle tenebre. Il verbo partire è quivi adope-
rato dall'Autore nel primo significato suo proprio; cioè nel sen^o
di separare^ o dividere; né mai in séguito viene adoperato ad
esprimere il passaggio da uno ad altro luogo lontano, che è uq
significato traslato e remoto introdotto posteriormente, esprimendo
l'effetto per la causa ; giacché V uomo andando lontano si separa
dal luogo primo e dagli oggetti che vi si trovano.
(4) Divise la notte dal giorno. È da notarsi il nome la dia di
gènere femminile , ciò che potrebbe considerarsi come derivato
dal latino, oy e dies é più sovente adoperato dagli scrittori come
femminile ; ma quando si rifletta , che lo stesso nome , e pochi
versi prima e nel corso del poemetto, è adoperato dall'Autore in
gèneife maschile, appare manifesto, che quivi deviò dalla règola
solo per servire alla rima.
(5) £ailìa. Antica radice italiana estranea alla Ungua latina, che
suo > POEMETTO INEDITO
Potestà et segnorìa.
De le (^) nasce lo alimento ,
Herbe e lenìe W e formento,
Biave e somen^a d^onna gran (^\
Àrbori e fruite d^omìunca man ^^\
E vide Deo e si pensare
Ke tuto questo par ben stare.
Possa ^') de terra formò T/Omo ,
\ale pieno ed assoluto potere^ e che Tantore tradacenel vèrso seguente
in potestà e signoria. Con qualche modificazione dqI significato e
nell'uso perdura ancora in nostra lingua nella voce balìa, E noto^
come sino da' suoi priraordj la vèneta repùblica desse il titolo di
Bailo al magistrato al quale coi pieni poteri affidava il governo
delle lontane provincie ^ ciò che prova come più esattamente, an-
ziché balìa j dir si dovrebbe bailìa.
(1) De lè^ voce lombarda tutt'ora usata per esprimere da lei.
(^) LeniCy per legne^ femminile plurale. II lomJMHrdò adopera
questo nome anche al singolare^ la legna^ che manifestamente de-
riva dal latino plurale neutro Ugna.
(5) Biade e sementi d'ogni grano. Qui si ripete a mo* dd tetìno
e del provenzale la permutazione della i in Ij nella voee Uanpej e
ciò che più importa , della d in p^ attestandoci, che sei sècoli it-
nanzi il Milanese proferiva come oggidì biava per Mad^^ come
pure somenza per semente.
{k) Alberi e frutta d'ogni specie. È invero merlinole d'OBsern-
zione, come Fanomàlia esistente nella declinazione del noraé/M-
tOj cosi in italiano, come nel dialetto odierno mihm^e («ve Vr
$endo maschile nel singolare , diviene femminile nel pldnde, di-
cendo: le fruita, la fruta)^ si rinvenga ancora ai X&msfì del Be-
scapè , giacché la voce fruite al plurale è indubìamente di fonti
femminile. Ciò prova ancora meglio la tenacità dei dialetti nel 8C^
hare le pimitive loro forme.
(B) PoAsa, per pomo. Questa voce, come si vedrà in segnilo,^
resa dall'autore in varia forma, cioè: pOj, pò», poo^s fPx^^ei^
uaa manifesta derivazione dalla latina post»
DI PIETRO Di BARSEGAPÈ. SII
Et Adam gè mette (*) nome;
Si li dà una compagna;
Per la soa nome <*) Eva se clama;
Femcna fecta d^una costa,
La qual a Tomo era posta.
De cinque sem el gè spiròe ^^K
In paradiso ì aiogò.
El g'è d^ugni fruclo d^arborxello
Dolce e delectevele e bello:
Tal rende vita san^a dolore,
E tal morte con grande tremore.
In questo logo i a ponù (*)
Segondo ^^) qtiel ki g'è plaxù.
Ouatro flumi, <jo me viso W,
» Mettèj per mise. Come ho già osservato alla foce desccndé,
scapè serba intatte le radicali dei verbi in tutti i tempi pas-
; nei participj ^ evitando le anomalie già sanzionate dall' usò
la gramàtica italiana.
I Avvertasi ., come la voce nome sia qui di gènere femminile^)
re in latino è neutro , e negli odierni dialetti maschile. Que-
ermutazione del gènere , ove si ripeta sovente , é chiaro iìi-
della sovraposizione d'una lingua std altra di natura diversa.
I Nel còdice da me esaminato sta chiaramente scritto : De
te sem el gè spiroe; siccome peraltro la voce sem è d'igilòta
ficazione.) così pare che debba annoverarsi fira i molti errori
opista ^ e lèggersi piuttosto sensij nel qual caso significherei)-
? gli inspirò i cinque sensij cioè T àlito della vita, ciò che
imente concorderebbe col racconto biblico.
Ponùj per po^^t^ serbando al sòlito la radicale di ponere.
SegondOj in luogo di secondo^ ove si scorge la permutazione
e in g^ come accade tuttavia nel vivente dialetto milanese.
Ancora oggidì il pòpolo milanese , e sopratntto quello della
agna , dice : el me dtViy, oppure el me dv/ois^ per esprimere:
ire^ mi sembra ^ o, ciò che torna lo stesso: mi é'iTotmwo.
stesso modo anche i Provenzali dicono appuntò: m*éÉ d*à^$.
212 POEMETTO INEDITO
En (*) in questo paradiso;
Lo priraer a nome Physon;
Lo segondo a nome Geon;
Tigris fi giamao W lo tertio;
Lo quarto a nome Eufrates.
Questo logo veraxe mente <^)
Lo piantò al comen^amento,
In lo qual Deo segniore
Adam è facto guardaore (*l
(i) Oltremodo importante è questa voce én per significare sonOj
terza persona plurale del presente indicativo del verbo èssere^
dappoiché essa ci attesta la tenacità jdei dialetti nel serbare le
prime radici. È noto , come in orìgine il presente indicativo del
latino esse^ serbando la radicale es^ fosse esunij es^ est, esumuSy
estiSy esunty delie quali voci le due prime persone e la 4erza plu-
rale sin dai tempi della romana repùblica avean perduta la radi-
cale €j' essa per altr^ perdurò nel dialetto nella terza persona
plurale ^ ove in quella vece fu contratta la flessione caratteristica.
Per tal modo in luogo della strana anomalìa per la quale la terza
persona è del singolare in italiano si trasforma in sono nel plu-
rale ^ si ebbe nel dialetto la forma regolare én, ove la caratteri-
stica n distingue il plurale dal singolare^ come nei verbi normali.
Ed è pure a notarsi^ come la stessa forma perdurasse nel dia-
letto milanese sino ai di nostri con lieve modificazione^ dicendosi
tult'ora m per sono.
(2) Anche in questa voce si ripete la permutazione della e in jr>
dicendosi tutt'ora ciamà per chiamato. Ma sopra tutto dèvesi no-
tare la desinenza do data costantemente ai participi dei Verbi di
prima conjugazione ^ la quale è esclusivamente propria del vèneto
dialetto.
(5) La formazione degli avverbj italiani terminati in mente ap-
pare manifesta dal còdice Bescapè, ove sono sempre separate le
due voci che li compóngono, mostrando cosi la loro derivazione
dall'ablativo assoluto latino mente preceduto da qualche aggettivo.
(4) Chmrdaore per guardiano, custode.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. SI 3
Sì li fa comandamento ,
De le fruite k'è là dentro
De <;ascun possa mangiare;
Un gè n'è k'el laga (*) stare;
E r è un fruito savoroso ,
Dolce e bello e delectoso,
Da cognoscer e ben e M mal;
Per^ò li ào vectao de man(;à <*>,
Si li dixe perme^o lo viso (^)
Li aloga (^) in lo paradiso:
Qual unca di tu mangirae ,
Tu a morte morire W.
Tute le cose vìvente
D'avanzo Adam lì im presente (^^
Serpente , oycto 90 k' el criò (^^
(i) f^e n'Iuiuno ch'egli deipe lasciare. Qui trovìaino /o^a per
lasci:, COSÌ appunto come ancor s'usa in alcuni luoghi dell'agro
milanese.
(2) Perciò gli ha vietak) di mangiare. Quivi, oltre alla forma
vèneta nella flessione del participio i;ectao, è da notarsi la desi-
nenza tronca dell'infinito mangà, propria del vivente dialetto
milanese.
(5) Gli dice permessa la ^ista, S' intende del frutto proibito. -^
(4) Lì aloga significa ivi; aloga pare derivato dal latino ad lo-
cumy coinè pure l'altra voce di egual significazione e piò volte
ripetuta nel corso del poemetto, c/ittosr^^ la quale indubiamente
è una corruzione di hic loci. Quest'ultima voce òdesi ancora so-
vente neiragro milanese.
(5) Si è questa la versione letterale del morte morieris della
versione biblica latina.
(6) B'inanzi ad Adamo^ ÌK>i all'istante.
(7) La voce oycto in questo verso è cosi di forma strana, come
d'ignota significazione. Anche questa peraltro sembra un'aberra-
zione del copista^ e in ogm caso significa ; tatto ciò ch'tgli creò;
S4 4 POEMETTO INEDITO
Ad Adam li apresentò;
K'el miti nomi com'i plaxé ^*^;
E qnilli seran nomi veraxe.
Adam mete nome ale cose
Segondo quel ked ei vose ^^\
Or sen partì Io creatore
Si cum gè plaxe cum a segniore ^^\
Lo serpente ^e (*) ad Eva
Drita mente là o^eFera W;
PIen de venin n' era 'I serpente; -
Tosegoso e remordente,
(1) Che apponga inomi come- gli piace. Ella è forma puramente
lombarda e caratteristica dell' odierno dialetto^ quella che inco-
mincia un discorso od un periodo colla congiunzione che^ la quale
appunto perchè congiunzione^ richiede un membro precedente
della proposizione. Cosi il Milanese odierno va diceado: ch'etéim
on pò; ch'el vaga pur ^ per esprimere: dica tin po'; vada pwre;
ove si vede che la voce che non fa Tuffizio di congiunzione^ o se
vuoisi considerare come tale^ è d'uopo sotV intèndervi -«mia pre-
messa; del che non troviamo verun esempio;, non solo nelle Un*
gue latina ed italiana^ ma ancora in tutti gli altri dialetti delta
penisola.
(2) Giusta ciò ch'egli {>olle. In questo verso sì ripète Tinser*
zione della lèttera d^ onde ovviare la elisione della voce Ae con e(.
(5) Siccome piacqìne a Lm ch'era il Signore.
(4) In tutto il corso dì questo poemetto si trova ripetalo fé per
andòj la qual voce è indubiamente un derivato della radicale $«re^
antico verbo italiano^ del quale solo alcune flèssioiii di" albani
tempi ci rimangono ancora ^ essendo il maggior numera andato
fuor d'uso.
(tt) Diretiamente colà ope eli* era. La voce o' per ope corrisponde
alla u' dei nostri poeti moderni^ non che alla ìA dei Francesi ^ le
quali tutte sono una manifesta storpiaiura àtWubi latino: •
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 2|5
Si porlo mala novella
Comen^amento de la guera.
Dìx quella figura so^a e rea:
Perquè no mangi, madona Eva,
Del fruito bon del paradiso?
E molto bello, 50 me viso (*)!
Eva dissi a lo serpente:
De le fruite k' én ^a dentro <*>
De tute mangiar possemo;
Mo un gè n'è ke nu schivemo,
Nu no Tosemo ca W mangiare,
K' el partisce lo ben dal male.
Quel Seguor ke ne errò ^^)
Duramente nel comandò,
Ke nu de quel no fesomo torto W,
Ke nu seravem (®) ambi morti.
Come ho già avvertito di sopra, ^ me viso è modo lombar-
de significa : mi sembra.
Belle frutta che sono qui dentro. In questo verso dobbiamo
3 tre voci di forma lombarda^ e sono : le fruite in gènere
inile., come tutt' ora s'usa nel dialetto milanese, che nella voce
Uta abbraccia ogni specie di frutta mangerecde ; il yetVb if%
yno^ die l'attuale milanese esprime con ini e corrisponde
tica voce toscana enne; e l'avverbio fa tutt'ora usalo nell'a-
dal pòpolo milanese per esprimere qui.
La voce ca che d'ordinario significa qui » in questo luogo
pende all'italiana già.
Ne criòj vale a dire et creò. Ne per ci è proprio di tutti i
ti dell'alta Italia.
Cosi sta scritto nel còdice, ove pare che il copista abbia
ta l'ultima voce ; giacché sebbene sia fàdle indovinarne il
icato ^ questo non emerge dalla frase far torto.
Nìi «eravew, per noi saremmo^ è maniera esclusivamente prò-
iel dialetto veneziano.
246 POEMETTO INEDITO
Dix lo serpente a madona Eva:
Or ne nian^e ben volenlera (*);
Vu seri W sì corno Deo;
Cognoscerì lo bon, el reo (');
Vu seri de Deo inguale (*>,
Ke vu savri el ben , el male.
Eva sì a crecuo W al serpente;
Lo frueto prende e metel al dente ^^^ .
Pò ne de al compagnìon
Kc Adam Tapella nome (^).
Quando T avén mandegao W,
(1) Ben ipolentera è maniera pretta lombarda.
(2) La terminazione tronca in i delle seconde persone plurali,
che trovasi costantemente usata dal Bescapè è pure caratteristica
di tutti i dialetti dell'alta Italia. Cosi veggiamo nei versi succes-
sivi : cognoscet'ij serì^ savrl per conoscerete j sarete j saprete j ecc.
(5) £1 reo^ vale a dire: «7 malvagio,
(4) Ancora oggidì Tuomo del pòpolo milanese dice ingwilj in-
guaia per eguale.
(B) Oltre alla permutazione della d in e nella voce crefào che
significa creduto^ è ancora da notarsi la desinenza ùo propria dd
dialetto vèneto ^ e costante in tutti i participi delia stessa Goojo-
gazione. La stessa osservazione abbiamo fatto più sopra nei parti-
cipj di prima conjugazione terminati in ào; di modo che pare nDn
potersi dubitare della primitiva prevalenza del dialetto vèneto neHe
forme della lingua scritta nell'alta Italia.
(6) Metter al dente ^ per mangiare ^ è frase lombarda.
(7) Qui dovrebbe dire : l'appella a nome,
(8) Quando l'ebbero mangiato. E costante in tutto questo poe-
metto la . regolarità nella conjugazione dei verbi ^' mentre tutte
le terze persone singolari divengono plurali col solo aumento di
un' n finale; né mai v'ha luogo alcuna di quelle permotasioù
nella sillaba radicale, o di quelle svariate flessioni ^ che ftemiDO
tante anomalie nei verbi italiani. Cosi appunto, m«lre il
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. Èi7
Zascaun se ten per inganao (*),
E killi se vìdeno scrinidhi (^),
Vergon^ià , grami e unidbi (').
UH se volcén intro le frasche ^^\
italiano averCj ha ebbe nella terza persona singolare del passato ^
ed ebbero nella terza plurale, presso il Bescapè serba la forma
regolare ave pel singolare , a^èn pel plurale. Similmente dare ,
che in italiano si trasforma in diede^ diedero^ nel nostro poemetto
forma dè^ dm; andare^ che nel singolare passato ha andò^ e nel
plurale andarono ^ nel poemetto invece ha <indó^ andòn; cosi gli
altri : /o^ fon in luogo di fu, furono; odìj odìn per udì^ udirono y
e così di sèguito , come verremo appuntando nel corso dell'opera.
(1) Ciascuno si riconobbe ingannato. Qui si ripete la forma vè-
neta del participio colla terminazione àoj la quale, come vedremp
in sèguito, talvolta si cangia in ado ^ come: trofpado^ mangiado^
comandado. Avvertasi per altro, che questa pure è propria di
qualche dialetto vèneto , e propriamente del veronese , mentre i
Lombardi la troncano, dicendo: mangia^ tromj comanda^ e slmili.
{^) E quelli si videro schernitL È strano nella voce scrinidhi j
come pure nella successiva. untdAt ed altri participj, come tro-
vadho^ mangiadhoj e simili, il vedere la lèttera h unita alla d^
ciò che dovrebbe èssere un segno convenzionale di particolare
pronunzia a noi sconosciuto ^ non potendosi attribuire a negligenza
del copista, mentre è più volte ripetuta la stessa combinazione di
lèttere in slmili voci. Può darsi, che per tal modo si dolesse a
quel tempo esprimere un raddolcimento della d, come più lardi
sì espresse quello della tj colle th.
(5) Svergognati^ tristi ed ignudi. il copista ha conuuesso un
errore , scrivendo unidhiy in luogo di inudhij come pare dai versi
seguenti, ove lèggesi sempre nudho i^er ignudo; o il poeta alterò
ad arbitrio questa voce per servire alla rima.
(4) Eglino si ra9i?òlsero entro le foglie. Qui troviamo un esem-
pio, comecché isolato, pure sufficiente a provare, che Tuso della
lèttera h a rèndere duro il suono della e era già introdotto ai
tempi del Bescapè, sebbene prevalesse ancora <iuello del Jfcy ne ab-
biamo un altro esempio nella voce 8ch%K>emo in una delle, pàgine
orecedenti, e nelle parole richi^ riche tra le seguenti.
218 POEMETTO INEDITO
Come fai li ribaldi entro le stra^;
De folie de figo, dixe la scriptura,
Ke ilH §e fén (*) la covertura.
Pòs me?o di (2) veniando a lor
UH odin (3) la voxe del Segnìor;
ini s'ascondén intrambi du (^)
De grande timore k^ illi àn abiù ^^\
Quando U Segnor gè fò apresso
Et elo clama li adesso :
0' etu W, Adam? dixe lo Segnior;
Et el responde con grande tremore:
E' odi, Meser, la toa voxe,
De pagura (^) me rescose \
In per quelo ki era nudho
Si me sonto (^) asconduo.
(i) Féfij per fecero j giusta quanto ho osservalo nella annofaaooe
(8) alla pag. 46. .
(2) Maniera lombarda ancora in uso ond'espriméra d<ppo mets»
giorno.
(5) Odm per udirono. Vèggasi la nota ^8) a pag. 45.
(4) Eglino s^ascòsero entrambi. Qui troviamo nella vòee «\uMii-
dén un nuovo esempio della costante regolarità nella oonJQgaaoBe
dei verbi ^ sebbene subissero alquante anomalie nella lingua iti*
liana posteriore.
(B) ^biù per avuto è voce tuttavia usata nel contado miliiiesa.
(6) O' etu? Ove sei tu? Questa forma si accosta mollo alla pr^
venzale ed alla francese : où es-tu?
(7) Ancor oggidì il Milanese pronunzia pagura per patire.
(8) Reca invero sorpresa^ e nel tempo stesso nuovo afguiienta
a provare Tirresistibile tenacità colla quale i dialetti serbano le
primitive loro forme ^ la voce sonto per io som; mentre ancon
dopo sei sècoli il Milanese conserva nella stessa voce la ' t fioite
che lo distingue da tutti gli altri dialetti^ dicendo: sonf oHittj per
jOfu> andato; sonf arivà^ per sono arrioatjo^ e simili.
DI PIETRO DA BAR8ECAPÉ. 349
Dix lo Segnior: kì Vk mostrao
Ki t^à quillo nudho trovadfao,
Se no lo fructo ke tu è mangiadho?
De lo qual t^ aveva comandadho
Ke non mangiasi e tu mangiasi (^),
Gontra 1 meo dito (^) tu andasti r
Adam casona la compagniesa W ,
E dix : Meser , eia fó desa ,
La femena ke tu m^è dao
Me de lo fructo , eo F ò mangiao.
La femena caxona lo defunte
Ke rompe ^^^ gè fé Io comandamento.
Lo Segnior ^é a lo serpente (*);
El maledixe fortemente,
Per ?o k'à fato sta folka:
Lo pegio tò andarà per la via Ìq)j
Non y' ha dubio ohe qid dèbbasi lèggere mangiasti^ sì per
so^ come per la rima^ annoverando Tommissione della t fra
lumerèvoli negligenze del copista.
Dito per dettatOj o precetto,
Adamo ne accagiona la compagna. È da notatasi la caratte-
[ essa per la formazione del femminile^ che in italiano s'àp-
solo ad alcuni nomi, come: poeta j profeta j abate ^ che nel
[nile si cangiano in poetessa^ profetessa^ abadessa; i quali con
altri formano piuttosto oggidì eccezione alla règola g^erale.
La soppressione della sìllaba re finale in tutti gli infiniti dei
è tuttavia un caràttere distintivo del dialetto milanese^ che
nzìa andàj credj romp^ finì; per andare^ crédere^ rompere^
È costante in tutto il poemetto la voce fé per andò^ la quale
dubio è una delle molte flessioni del verbo gire^ ire^ andate
Tuso, come ho avvertito di sopra.
// tuo petto striscierà per terra. È ancora proprio del dià-
miianese il permutare le tt in è in alcuni nomi terminati in
220 POEMETTO INEDITO
Sempre mai ke tu sii vivo (^^;
La terra sera to ioimigo;
Elitre ti e dona Eva
No sera mai pax ni tregua;
Lo filio ked (^) bela avrà
E li toi ki nascerà
E^ge meterò ten^on o guera,
Fin ke ne sera suso la terra.
Suso lo co illi te daran W,
La testa toa illi la tu^ran;
Illi guardaran li pei da te;
Tu lor vorai grande ^mal per fé.
Pò dixe lo Segnior a dona Eva
Una menaca molte fera:
Multiplicarò li toi erore,
E t^aparturirè con grande dolore.
Tu a vra^ sempre de lo lupo grande pagura,
Et elo sera tò segnior san^a rancura.
etto^ come tetto^ letto j che pronunzia teèj leè. Pare quindi che que-
st'uso nei tempi addietro fosse più esteso e forse generale, mentre
ne abbiamo un esempio nella voce pegio per pettOj ed in altre che
verremo successivamente indicando.
(1) Finclie vkraL La forma sempre mai nella quale raweitiio
mai anzi che distrùggere aggiunge il màssimo valore al significato
di sempre^ è una forma esclusivamente itàlica, della qu^e non n
trova traccia nella lingua latina.
(2) Oltre alla d eufònica aggiunta alla congiunzione cAe onde
ovviare Telisione ^ qui troviamo ancora* la vocale seguente preoe-
duta da h^ forse a prevenire ancor più V elisione medésima ; ciò
che lascia supporre ^ che la lettera h valesse come segno di ìsp^
razione.
(3) Co per capo^ è voce propria del dialetto milanese, mentre
suso per sopra è comune a tutti i dialetti vèneti ; di modo che
suso lo cój forma una mistura di elementi eterogènei e dissonanti
air orecchio del linguista.
j
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. SS 4
Or se vol^e inverso Tomo:
Brega gè dà in questo mundo (*),
Dixe: per co ke mi non obedisti,
A toa moier ancoi credisti,
Maledhegia (*) la terra sia !
In la tua lavoraria
Zermo nascerà gar^on e spine ^^),
E vivere a grande fadige W;
Lo pan avra^con grande sudore,
In grande grameca e in dolore,
De chi (^) a che to retornerà
Da la terra unde t'è crea <^).
rega in luogo di brigUj per curUj affanno; e quindi questo
primCi, come il Creatore rivolto all'uomo^ lo condanna a
re in questo mondo.
) avvertito di sopra, come il Lombardo permuti talvolta
e nella tenninazione etto; maledhegia per maledetta è un
sempio deiranticliità ed estensione di quest' uso.
ella terra da te coltivata germoglieranno cardi e spine.
vèneta nascerà per nasceranno^ mentre i dialetti vèneti
inguono il singolare dal plurale nella terza persona dei
la voce gargon è lombarda, dicendosi ancor oggi in
milanese cardón per cardi.
Milanese termina ancora in è la seconda persona singolare
PO, dicendo : te farè^ te vivarè^ te dare, per farai, vivrai,
forma pretta lombarda, e precisamente .milanese, è mani-
ia espressione: de chi a che te retornerà, per esprimere,
tornerai, quasi volesse dire : da qui, cioè da questo istante,
he, ec.
Ha terra di cui sei creato. Rivela facilmente orìgine lom-
forma data terra per alla terra, dicendosi comunemente:
da la zia, l'è torna da so mamma, per esprimer^ : ondò
e la zia, è ritornato a sua madre, e slmili.
332 POEMETTO INEDITO
Pulver fusto e pulver ee (*>,
Et in pulver tornar tu dì (^).
Ora a lor fa vestimente
De pelice verax mente
Si li vestì li aloe W;
Del paradix li descomioe ^^)
Esen fora e vasen via
En (^) intrambi du in compagnia.
Fora del paradiso li apresso
Le liabitaxon gè fén ^^^ adesso;
Ora sen stan entrambi du
En quelo logo o^ illi én venu;
(1) Pólvere fosti e pólvere sei; qui forse il copista ha raddop-
piata la e cIh5 significa sei^ per esprìmere che dev'èssere proloD-
gato il suono.
(2) Pare che anzi che dì dovrebbe lèggersi de' che megKo con-
verrebbe al senso devi^ ed alla rima. In questo luogo ^ come in
parecchi altri, sì scorge chiara Tintenzione dell'autore di pòrgere
la versione letterale del testo ecclesiàstico: memento homo quia
puMs eSj et in jmlverem re^erteris; ed è talvolta miràbfle la chia-
rezza e la precisione colla quale il testo originale è volgariffiito.
(5) Varia nel poemetto la forma di questa voce , forse per ser-
vire alla rima; lì aloe è lo stesso che lì aloga^ che significa iri,
e deriva forse dal latino illic ad locum.
(4) Li scacciò dal paradiso. La voce descomioe corrisponde al-
ritaliana accommiatò ^ la quale peraltro ha ora un senso pia mite^
qual è quello di dar licenza^ o congedare.
(8) Escono e se- ne vanno ambedue in compagnia. La voce Ai,
che significa sonOj pare qui intrusa dal copista, essendo fuori di
posto e soverchia. Del pari è da notarsi il pleonasmo intramM du,
il quale è ripetuto più vòlte, e corrisponde alla voce italiana nm'
beduej che pure è pleonasmo ; ma se questo nella buona lingua è
tollerato colla voce ambo di egual significazione, non è poi lécito
colla voce entrambi che sta sempre da sola.
(6) La sòlita forma da noi avvertita nel passato dei verbi è
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. SS3
Intrambi du in eonpagnìa ^
Fano lì r albergarla.
Illi laVoran fera mente
Per ben viver nudria niente^
E si dan aver fiol anche loro ^^K
Tal è rè W, e tal è bono.
Tuli seino de loro ensudlii W
Ki in questa mundo setno venudhi (^);
Tal fan ben e tal fan M male
Segondo quel k^ì à plax« fare.
De Eva e de Adam ormM lasesEio;
De 90 ke pò essere dixemo,
E si acomen^a tal istoria
Ke sia de seno e de memoria ;
Et eo ho ben in Deo fiduxia (^)
Senga omiunca menemanga,
constatata dal nuovo esempio fén. per fèeero derivalo dal sia-
',fé.
Ed attèndono a procreare anch'essi. La frase darsi a qualcìw
per imprèndere,, o intèndere le proprie forze^ è maniera pe-
e italiana , che gioverebbe raffrontare colle corrìspondenti
antiche lingue per raggiùngerne l'orìgiae.
Bey per reo o rèprobo.
Tutti siamo da loro usciti j vale a dire derii^ati^ o discesi.
ì può determinare se la voce enswihi sia stata qui modifi-
»er la rima con venudhi^ o se infatti in luogo di emidhi si
nciasse ensudhi^ sebbene appartenente^ come ipenudM^ ad un
terminante air infinito in ire.
La voce ki in questo luogo corrisponde alla latina quiy e si-
) noi chcj noi i quali. La voce gemo per starno è di pura
vèneta ed assai pròssima alla odierna milanese che è: sèm.
Qui pare che dèbbasi lèggere fidun^ oade conciurdi nella
con menemanga. •
2i4 POEMETTO INEDITO
Kq ve dito un tal semblato (^),
Ke no sera para seno de sancto ^^\
In questo mundo è una discordia;
Là o^ no pò esser concordia,
Se illi no se voleno acomunare
De 90 ke voi Fun F altro fare.
L'omo à in sì una cosa
Ke no voi laxà star en possa (^).
L^ anima è l^una, el corpo è 1^ altra,
K^el fa speso de freda calda (^);
L^ anima voi stare in penitentìa.
Et aver grande affligentia;
Voi Deo servire e onderare (^)
Et a li soi comandamenti stare;
Lo corpo no vore (^) de 90 far niente;
(1) La stranezza della voce semolato che non ha chiaro rìscon*
tro in italiano rende malagévole l'interpretazione di questo verso,
il quale sembra esprimere : ch'io vi detto un tal riasmntOj o me-
glio, ch'io tn porrò d' inanzi tali imàginL
{^) Quivi pure è d'uopo indovinare il significato che manca alle
voci così disposte. Pare non potersi dubitare , che il copista ha
svisato alcune voci, come proverebbe eziandio la dissonanza delia
rima semblato e sancto. Onde riassumendo tutto intero questo pe-
riodo, sembra più verisimile doversi interpretare nel modo se-
guente: Ed io confido pienamente in Dio^ che pi deUerò tale tm
sermone^ che non aK>ì'à l'aspetto se non di santo.
(5) Possa per riposo^ quiete. Ancor oggi dìcesi in dialetto pouà
per riposare.
(4) Che sovente da fredda (ch'ella è) la rende calda. Far H
freddo caldo per alterare, sconvòlgere, violentare, è modo prover-
biale vernàcolo ancora usato.
(B) Onderare per onorare.
(6) F'ore per vuole è proprio del dialetto milanese^ che ancora
adesso pronuncia vor col suono eu francese.
DI PIEtRO DA BARSEGAPÉ. 225
Ma sempre voi iiuplir lo ventre ,
Carne de bò e bon capon (*),
Implirc se voi ben lo magon (2);
Ben vestido e ben cal^ado,
E ben voi esser consolado.
L^ anima col mondo se tenzona,
Forte de lu la se caxona,
La lo reprehende in molte guise
E la clama: munde, e si gè dixe:
Orme di mando plen de iniqm'tà
Fate cum el scorpion ki è inveninà^
Ke da pruma sta piato (^), e posa a la fln
Forte remorde l'omo e pon^e col venin,
En così ètu fato e plen de traimento;
Zò kc tu imprometi no ven a complimento;
La scriptura lo dixe, è la veritai.
Tu è a un sol pongio . si traversarai (*).
Tutto questo verso è in puro dialetto milanese ^ che ancor
direbbe : carne de bò e bon càpón^ per esprimere : carne di
buoni capponi.
Magón è voce vernàcola ^ che nei dialetti vèneti significa
ìamente ventriglio^ ed ha molta affinità col tedesco Magenj
Ignifica stomaco j ventrìcolo. Nei dialetti lombardi è pture
almente usata; ma in senso figurato^ vale a dire^ ond^esprl-
accoramentOj oppressione prodotta da molti dispiaceri accu-
i. In questo luogo ha il primitivo significato di ventrìcoh.
Nell'agro milanese dicesi ancora prima p€»r prima; sta
significa sta chetamente steso al molo j da piatto j che vale
^ d'onde derivò la voce traslata appiattarsi per nascondersi.
li questi due versi esprimono: cAe da prima s'appiatta (lo
ione), e poscia alfine morde crudelmente l'uomo e punge col
).
Tu sei sopra un sol punto, se T oltrepasserai.... /\mgffo per
ì è maniera lombarda ancora in uso nel nùmero plurale.
1»
i26 POEMETTO l{<EDITO
Vele la toa gloria a que sera venua <^\
Tata apernienle eia sera caglia (').
Li liomini ki te segueno seran destrugi ^'^ e mo^E"
G)n<luti ar inferno firan afflicti e morti.
Se Tomo pensase ben sovra lo tò afore,
In alcuna guisa noi porìsi inganare;
S^el ponese Io seno sover la toa fin,
No serave magiao d^ alcun so^ venin ^^K
E lo ^'^ no gè pensa e no gè mete con ,
Ma pensa pur de queL andrei Favrìi grande delie ^ ^
De viver a rapina, aver dinar ad usura
Ke la rason i avance; de questo metel cura;
De iare le grande caxe con li richi solari (^),
Fé grosse torre e alte, depengie e ben merlae ^^^;
(I) FenìÈa per venuta serba la desinenza dei participj nel dia-
leUo vèneto.
(9) Anche la voce aperniente coli' eufònica a che la precede ba
forma veneziana^ del pari che il pronome eb e la voce OBugm per
cadvaa.
(3) Destrugi per distrutti ci porge on nuovo esempio ddla per-
mutazione già avvertita delle tt in g.
(4) No serate magidoj che significa non sarebbe macchiato» ^
forma veramente veneziana.
(5) Ritenendosi duro il suono della g nella voce gè, tatto quello
verso è in puro dialetto vèneto per esprknere : m non vi jMiia
e nom ^i mette cura.
(6) Ma pensa invece a quello dkonde avrà grandi a ffaumL SFegiti
per egU avrà, grande per grandi sono manifeste forme vernàcole.
(7) Solari per soffine, o cieli delle stanze^ è voce prcq[»ia del
dialetto vèneto , com' era proprio dei tempi d^ Besci^ fl prò*
fóndere stucchi dorati e preziosi dipinti in questa parte ddle ode
e delle stanze.
(8) Depengie per dipinte è proprio del dialetto milaneBe, eoM
è del vèneto la desinenza merhe.
pi PIETRO DA BARSEGAPÉ. 327
D'aver calce de saia et esser ben vestio;
D'aver riche vignie ke facan Io bon vino (*),
Bosco da legnie, lo molin e pò lo forno.
Vasà lu voi asai ki gè stiàn de torno (^\
Ora se sta superbo e molto iniqui toso;
Nesun li vaga preso, ke Tè fato rabioso;
Sete ancelle el à, e ^ascuna el amortosa (^),
De so aver le pasce, con quele se demòra.
L'una la superbia ke tene Lucifero;
Sego s'amigoe quando era tropo bello,
E fo ca(^ao del celo con essa in abisso.
Posa rà dada al mundo ke la stia con eso;
L'omo l'à piliada e tenia per amiga,
Per ?o fira ca^ao (*) da la corte divina.
La segonda è la gola , quella malvax ancella
Ke fa vender la casa, lai terra e la vignia;
Senza arrestarci sulla forma vernàcola delle parole ke fa^n
sprimere che facciano j o producano j avvertiremo come tro-
ìsì costantemente usato il k nelle voci ke^ ki^ si ripeta sem-
uso delle eh nelle voci riche ^ richi e in tàlun'altra^ ciò che
la remota introduzione di questa combinazione di lèttere,
)n il frequente uso delle medésime che solo più tardi fu ge-
izzato.
Ei vuole molti vassalli che gli stiano d'intorno. È da notarsi
npi del Bescapè la voce vasà petr seri?i o vassalli.
Così è scritto nel còdice , e pare debba intèndersi : egli ha
incelle^ e ciascuna egli amoreggia; siccome peraltro la voce
tosa ha una forma nuova e strana, sicché fa d' uopo indòvi-
il significato , e siccome d'altronde male consuona con dcr
colla quale deve rimare, così dobbiamo supporre che sìa
alterata dalla negligenza del copista.
Perciò sarà scacciato... È da osservarsi, che sebbene fosse
usata la forma seràj seràn^ per sarà^ saranno , pure gene-
inte prevale l'altra firà^ firàn^ derivata dal latino fieri.
228 POEMETTO INEDITO
No la sa dar per Deo nesuna carìtadhe (^\
Kc tato voi per sì e anche deP altro asai;
Per lè (^) no roman a fare ni furto ni rapina.
Ad omiunca pasto lè vuol esser servia,
E la fé tol lo pomo a li prunier parinti W;
Cento anni gè pari ki li aveseno a li dinti ^^\
In paradiso illi erano, e stevan (^) cortexement^
illi foi cacai (^) de fora molte villanamente.
Adam romase nudo e la compagna nuda.
No cala a la gora (^), pur k^ella sia ben passudsi
»
(!) Sebbene carìtadhe sia voce italiana di forma lungameii.C
usata di poi^ pure^ avuto riguardo alla voce assai colla quale de^vi
rimare^ ed alle desinenze che Tautore suol dare a slmili voci
pare che qui dèbbasi lèggere piuttosto cavitai^ come abbìam viste
superiormente veritài.
(2) Per lei non resta a fare., . lè per fei, e roman per rimane
sono corruzioni proprie dell'attuale dialetto milanese^
(5) Essa fé cògliere il pomo ai primieri parenti. Td, per prèn-
dere^ è tutt' ora usato dal Milanese^ come tor dal Vèneto, le quali
voci sono manifeste contrazioni dell* italiana tògliere.
(4) Ecco una frase comune a tutti i dialetti dell'alta Italia, i
quali per esprimere desiderio ardente^ impazienza di cons^pure
alcuna cosa ^ dicono : già mi pàjono cetif anni gli istanti che som
frapposti E quindi questo verso esprime letteralmente : Està
(la gola) ardeva del desiderio che lo mangiassero.
(5) Nell'agro milanese ed in altri dialetti lombardi dlced totr
t'ora steva in luogo di stava.
(6) Essi furono scacciati. Nella voce foi è chiaro che il copnU
ha posta la i in luogo d'una n^ mentre altrove ha sempre scritto
fonj per furono. Nella parola cagai si conserva poi la desineoa
dei participj veneziani.
(7) Nulla cale alla gohj purché sia ben pasciuta. Ifo cala è
modo vernàcolo ancora usato nello stesso significato, e deriva dd
latino calere^ essendo, come questo^ adoperato solo in tersa penoni
singolare. Giova poi notare la permutazione della fin r nella pt-
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 229
De ^o dixe sancto Paulo in soa predicatila,
Ke romo debia vive con grande temperanza.
L^omo l^à piliada e tenela per amìga,
Però firà ca^ao da la maxon divina.
La ter^a ancella è la fornication:
Molto desplaxe a Deo, 90 dìx lo saviomo:
Fornicatori e adulteri de' Deo ^udigare ,
Et el è tal peccato, ke Deo noi voi portare.
E le piexor citae (^) venin a grande arsura ,
Cuoi se fa mention in la sancta scriptura.
Si è un tal peccato, cum più ^^) Forno lo faxe,
Zamai no sen despartise da k'el cor gè giaxe.
L'omo l'à piliada, e tenia per amiga,
Per^ò firà cacao da la corte divina.
La quarta ancella si apella avaritia;
Una de le ree ke in questo mundo sia;
De tuti li mai eia pare radixe,
Segondo quelo ke Salamon dixe.
Lo povero sta a V usgio (^) e crida carità ;
No li vale clamare marce, né pietà;
EFè fata tenevre (*) cum'è fata la raxa (^),
3]a gora che ancora adesso è pronunciata dal pòpolo milanese
lo stesso modo.
(1) Il Veneziano odierno direbbe ancora le pezór zitae ad esprì-
ere le peggiori città^ ciò che riconferma V antica influenza del
aletto vèneto sulla lingua scritta in Lombardia.
(2) Anche la forma com più per esprimere qimnto più è propria
tutti i viventi dialetti dell'alta Italia.
(5) Usgio per tisciOy porta della casa.
(4) Tenevre per tenace ^ ^'iscosa^ come appunto è la pece alla
lale è assimigliata.
(5) Boxa o rasa chiamasi ancora in dialetto la pece o gomma
terebentina.
S80 POEMETTO INEDITO
No voi veder del ben insir fora de caxa (^).
L^omo Fa piliada, e lenela per amiga,
Per^o firà cacao da la maxon divina.
La cinquina ancilla m^è vix ke sia Tira,
La qiial non adovra de la ley^e divina.
Dolente la famelia o^ eia brega speso W 1
E Tè piena de lagnia più ke lo mar de peso (^);
Partire fa fra elli e metege tendone (*>,
E metege grande discordia entro li compagnione;
La guera va crescendo e metege tesura W-
Del mal fa quela asai si ke li no g^è mensura.
Ardese le case, le tegie e li paliari (^);
Morti finon li homine, prisi e maganai ('>.
(1) Noìi vuol fpedere uscir di casa le froprie sostanze. La voce
del ben per sostanze è ancora usata in dialetto lombardo^ nel qua-
le^ per esprimere clie uno è lautamente provveduto ^ dieesi : e(
gh'à del beu de Dio.
(2) Dolente la famiglia ov'essa briga spesso/
(5) Essa è piena di guai ben più che il mar di pesce. Pare che
peso per pesce sia qui posto onde servire alla rima.
(4) Ecco di nuovo il verbo partire per dividere^ disunire. Di-
fide fra loro^ e mette guerra e discordie fra gli amici. Tale è il
significato dì questo e del verso seguente^ ove dobbiamo notare b
forma vèneta fra ellij e la voce occitànica compagnoni, per amici.
(K) La forma di questa voce tesura è affatto strana; pare per
altro che debba intèndersi scissura.
(d). jirdonsi le casCj le tettqje ed i fienili. Tesa e pqjwr dicoasi
ancora in alcuni dialetti le tettoje campestri destinate a ricóvero
degli attrezzi rurali^ e quelle che serbano il fieno e la paglia per
la stagione invernale.
(7) Morti (uccisi ) persino gli uomini^ presi e makonci. Ibr
gagnai per malconci, storpi e valetudinat^ è voce propria dd
dialetto vèneto.
DI PIETRO DÀ BARSEGAPÉ S34
Caym (0 la tene un tempo in soa compagnia;
Olcixe lo fraello, tropo fé grande folìa;
E! fó maledegio da Deo omnìpoente<^),
Cacao fó a V inferno entro quelo fogo ardente.
LMra romase al mondo per fané desviare
L^omo e la femena, ki de sego bregare.
Del odio e de invidia eVè fata fontana;
Fa despartire Pomo da la ràxon $oprana.
L'omo rà piliada e tenela per amiga,
Per^ò firà ca^ao da la corte divina.
La sexena ancella me par forte secura;
Accidia s'apella in la sahcta scrìptura;
Aver in fastidio lo bon sermon divino,
No voi odir messa, ni ter^a, ni malino W;
No voi andar in ecclesia a Deo marci clamare ^^);
Odir no voi vangeli, ni pistole spianare ^');
E vasen per lo mundo pur pensando vanitfii.
No lasa far V omo cosa de utilitae ^^K
1) Caym per Caino.
ì)'Fu maladetto da Dio onnipotente. Qui si ripete la permuta-
le delle tt in g nella voce maladegiOj e nuova prova della ne-
enza del copista, che ommise una t in omnipoente.
5) Qui l'autore accenna alle preghiere ecclesiàstiche per le ore
erza , del mattutino, e simili, prescritte nei divini ufficj.
t) In questo verso è da notarsi la soppressione della preposi-
e a nella frase andar a Deo marci clamare^ mentre Titaliano
bbe : andare a chièdere perdono a Dio. La qual soppressione
•opria delle lingue francese ed occitànica; come pure appar-
;ono alle medésime le forme clamare per chièdere ^ e merci
mercè.
J) È da notarsi la voce spianare per ispiegare^ chiarire.
I) È proprietà costante del dialetto vèneto il terminare in ae
)mi astratti italiani troncati in à^ dicendo: bontae^ fedeltae e
li. La stessa desinenza troviamo sempre usata dal nostro auto*
232 POEMETTO INEDITO
L^omo l^à pìliada e tenela per amiga.
Però Grà cacao da la maxon divina.
De la setena ancella e' voio (*) far memoria;
Eia me par ypocrita, ^oè la vanagloria;
De luto lo ben k'el fax no voi Deo laudare,
Ni fage gratia, ni gloria a lui dare;
Voi si laudare e fase laudare lo mundo,
Va segliando k^el placa ad omiunca homo (^^;
E de costoro a dito lo segnor Jesu Xristo
Entro lo vangelio, sicum el se trova scripto:
La lor marce illi àn ?a recevudhi,
Zoe r ostia mundana la qual i àn vòrudlii (^l
L^omo Vk piliada, e tenela per amiga,
Per 90 firà descacà (*) da la maxon divina.
Cum tute sete ancelle Tomo se demora;
El ve la morte scuira ki ga pilia la gora W,
' No cala (^) si Fa morto e trato a mala fin,
re, sebbene talvolta il copista trascrivesse per errore otf, come rìeì
verso precedente vanitai.
(1) f^oio per voglio è pure maniera vèneta.
(2) Non si saprebbe da qual radice derivare la voce segliando^
qualora per avventura non fosse corruzione di scegliendo^ che in
questo luogo dovrebbe pur significare cercando.
(5) Cioè Vostia mondana ch'essi ìianno coluto. Qui si ripete la
combinazione delle dh^ da noi sopra avvertita, nei due parlicipj^
che in onta alle buone règole son fatti plurali. La permutazione
poi della / in r nella voce vorudhi è propria del dialetto milanesa
(4) Mentre in tutti gli ùltimi versi relativi ai sei vizj capitali
precedenti, l'autore ripete Per go firà cacao j in questo introdace
la variante descacà ^ che è forma lombarda, mentre la prima è
vèneta.
(B) f^ede l'oscura morte che gli piglia la gola. La permutazioae
della / in r nella voce gora è tutt'ora propria del dialetto milanese.
(6) Wo cala per non importa j non cak^ è proprio di tutti i
dialetti vèneti.
DI PIETRO DA BARSE6APÉ. 233
Mena aF inferno in quel logo lapin.
No iè valiudo W grande^a, solaco, ni riche^a,
Ke no sia morto in la grande grauie^a (^).
Inlò è lagreme e pianti e d^ogni man dolor (^);
Omiunca homo li plance e cria, e tuti fan rumor.
Tal voi aqua e tal fogo; no poti sofrer la pena;
No gè vai niente , ke grossa è la catena !
Tu no gè vai, o mundo, un festugo de palia W^
Ke posa trar nul homo de quela grande travalia ^^K
Oi mundo misero , fato e cativo et orco ,
L^omo ki te segue si è destrugio e morto;
Zohane lo comandò ke Tomo no tramasse,
Le toe cose sempre me (^) le refutasse;
Sempre fuisti inestabile, fat'ee C^^ com lo vento
Fa cambiar Io tempo segondo lo so valor;
Ora piove et ora fiocha et ora scolda lo sol (^);
En cosi fé de Tomo k'è in toa bailia W.
(i) JVon gli è valso ^ o meglio^ non gli valse grandezza^ ce.
^^aliudo porge un nuovo esempio della forma regolare dei parti-
^5pj, che in italiano deviano dalla règola.
(2) Gramega per miseria ^ tristezza è voce andata fuor d'uso.
(5) Inlò per colà^ ivi deriva manifestamente dal latino in loco
(ipso), alia qual orìgine talvolta s'accosta ancor più, trovandosi
scritto inloga^ del pari che chilò^ chiloga^ per esprimere qui.
(*) Festugo de palia è voce vèneta , ed è corruzione di fusto ^
reso diminutivo, onde significa un gambo di paglia.
(5) Travalia per travaglio^ pena, dolore, è qui fatto di gènere
femminile forse per servire alla rima.
(6) Me per mai pronunziato alia francese.
(7) Fatto sei come il vento^ e qui sott'intèndesi il quale fa can-
giare il tempo ec.
(8) Fioca per ne{>icare , e scalda per scaldare sono modi pro-
prj dell'attuale dialetto milanese.
(9) Così fai tu dell'uom cWè in tua balìa.
2S4 POEMETTO INEDITO
E ^elo e caldo e fame, sedhe e €arìslia<^)f
No pò star in una on sia al^ro on gramo (^),
Ora ben et ora mal, ora prò et ora dagnio;
Un di no stan alegro, ked el no se conturba;
Molto spesa mente del seno se remuda <^);
Per co no me fido in ti, ketu no m^par niente _
Seguirò la via de Deo, lo meo Segnior vivente;
Da lu vene le bontae, le gratie e li honor,
De luti li savii eFè sopran doctor,
Et è lume resplendente, ki ven in questo munde-
Divina maiestae receve forma d^omo,
E Tè segnior de Io celo e de la matre terra;
Vene de la vergene gentil sancta pollila.
Gum el vene in lo mundo eo vel volio cnmtar^
Segando lo vangelio, e lo tracto in vulgare.
Ki va coronando e par k'el stia lento sempre (^> •
Lo Segnior del paradiso patre glorioso
El tramix lo Gabriel angelo pretioso
Ad una cita k^à nome Na^reth
A Maria vergene sponsa de Joseph;
Et intra T angelo là o^cra la pol^ella,
(1) jE* gelOj e caldo, e fdmej sete e carestia.
(2) La voce on ripetuta in questo verso è imo sbaglio manifesto
del copista , che dovea scrivere ora, come fece nel verso seguente.
(5) E da notarsi la frase molto espressiva del seno se remuda,
per esprimere: cangia consiglio,
(k) Torna impossìbile il raggiungere il significato dì questo ver-
so, che doveva essere seguito almeno da un altro che compiesse
il distico ^ ed il quale rimase nella penna del copista. D' altronde
sembra, che anche la \oce coronando sia stata alterata dal medé-
simo in luogo di corando per correnclo^ giacché allora si avrebbe il
principio d'un periodo : Chi va correndo ed appar sempre lento, ec.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 286
La salutan^a le faxe molte bella,
E dix : piena de gratta domino Déo te salve!
Domino Deo è tego^ lo rex celestiale;
Intro le femene tu è benedegia, .
Sovre le altre savie casta et neta; .
Benedicto lo fructo del tó ventre,
Filiol de Deo omnipoente.
Quando Maria odi questo sermon,
Multo inlora si ave turbation;
E in so pensò si ave grande turban^a ^^\
Comente fosse questa $alutan<;a W.
Dixe r angelo : oi, Vei'gene Maria,
No te stremila (^) la parola mia;
Apreso Deo verax segnior
Si è trova gratia e valor,
Ke tu avrè in lo tò sancto ventre
Lo fiol de Deo vivente;
Jesù Criste de ti vera
Filiol de r Altissimo clamao firà;
E lue darà segnio de forte^a.
Lo segnor de ki regna in alegreca;
In cà (^) de Jacob sempre regnerà,
n suo pensiero ebbe gran turbamento. Il Milanese odierno
I pure : int'el so pensée come ai tempi del Bescapè.
Vomente deriva senza dubio dal latino qua mente j che più
rese le due forme diverse : come e qualmente.
itremiss è voce propria del dialetto milanese , per spaven-
emere, ed è singolare il rinvenirla affatto eguale nel sé-
II. Non ti spaK>enti la parola mia. Anche resclmiiMdone oi
aale l'angelo apostrofa la Vèrgine, con lieve modificazione
na usata dal pòpolo.
^n cà per esprimere nella casa è del pari luti* ora osato
iletto milanese.
236 POEMETTO INEDITO
E delo so regno mai fin no sera.
Dixe Maria a F angelo de Grbte:
Gum pò esser in mi questo?
D^ avanzo ti ben Io digo (^\
Ke homo nesun non cognosco eo.
Dix r angelo, e responde a le:
Spirito Sancto vera in ti,
Et de r altissima grande virtue
Tu sere conpressa de Jue ;
Per co ke de sancto nascerà,
Fiol de Deo clamao firà.
Elixabeth la parente toa,
Ke intro la vegeca soa (2)
'A incenerà un tal fiol ^^)
Ke a Deo sera fructo bono,
Ancora no è sex mixi passati ^^^
K'ela non aveva in^nerao;
E apresso Deo veraxe
Ben pò esser 90 k' el gè piaxe.
Besponde la Vergene Maria:
* Zò ke ài dito a mi si sia;
Ecame , ke sonto don^ela (^) ,
(1) Sopra ogni altra forma merita osservazione la tras
del pronome ti avanti airavverbio ben^ la quale è car
del dialetto veneziano e ripugna alla sintassi di tutti
lombardi.
(2) Che nella sua vecchiezza.
(5) Ha concepito un tal figlio. Ingenerare per concepi
andata fa&r d'uso, sebbene molto espressiva.
(*) Non sono ancor trascorsi sei mesi. Sebbene la vo<
pura latina, non dobbiamo lasciar d'avvertire, che ne
lombardi dicesi ancora ses.
(5) Eccomi j cIm sono ancella. Abbiamo altrove awert:
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. S37
£ del Segniòr eo sonto ancella,
K^eo si sonta soa veraxe;
Fa^a de mi 90 k'el gè piaxe.
In la cita là o^ sta Qaoharia
La è andada la Vergene Maria;
In chà ^^) de Qacharia eia intrò;
Elisabeth si la salutòe.
Quando la gc fé lo saludo,
Elisabeth si ave cognosudo (^) ,
Solamente a la loquella,
Ke Maria gravida era.
Elisabeth per la divina (^>
De Spirito Sancto si è conplida.
Lo so dolce fantin si se exaltoe (^)
Dolcemente in lo ventre soe;
Ad alta vox clamar prese,
Inverso Maria guarda^ e dixe:
Oi , gloriosa tu intro le vergene ,
Oi, benedicta tu intro le femene,
Benedicto lo fracto del ventre tó,
Benedicta F anima, el corpo tò,
l'odierno Milanese pronunci aneora sont per sono; strana forma
io vero ^ della quale non si saprebbe rintracciare l'orìgine; don-
^6la poi per serva o ancella è voce milanese ancor viva.
(1) In cà per in casa^ come ho già notato, è proprio del dia-
etto milanese.
(2) Anche la voce cognossudo per conosciuto^ col raddolcimento
ella n in gn^ è caratterìstico dei dialetti dell'alta Italia.
(5) Qui è manifesto, che il copista pretermise il nome al quale
iggettivQ divina si riferisce, e che pare doversi congetturare
ìera, o i;o/on^à.
(t^) Il suo doke infante si scosse.
S88 POEMETTO IN«>ITO
E tee biada ke tu credisti (^)
Quel ke te dixe i^ angelo de Xristei
Dixe Maria eoo grande amore:
Magnifica Tanima mia lo Segnore,
E Tè exultabo lo spirito meo
Ih lo saludbo del meo Deo.
Quando Maria sponsa de Josepb
Gravida de Jesu Na^relb
EPà comen9à ad ingrossare,
Et Josepo forte a dubitare;
EFera insto bomo e baie,
Mo ^ no la voleva inflamae ^'^
Si gè vene in so talento
Da le partìse i nascosamente.
Pensando pur de questo fare,
L^ angelo de Deo a In se pare,
E dix: oi, Josepo filiol de David,
No temer tu de toa Maria;
EFè vergene pol^ella
La meliore ke sia in terra,
Ni cbi foe, ni cbi serae,
Ni cbi mai se trovarae.
In^enerao si è in le ^^^
Jesu Criste filiol de Deo
Spirito Sancto. e insì
(ì) E te beata j che credesti. Quivi tu credisti serba la
forma latina.
(3) Però non la voleva infamare (disonorare). È evidente I'
curia del copista , che nella voce inflamae ommìse la r ndl'
ma sillaba, e forse intruse di soverchio la /.
(5) Qui si ripete la voce in^enerao per concepito, colla
nazione vèneta oo^ ed il pronome lombardo le pet lei.
DI PIETRO DA BABSEGAPÉ. S39
Fira clàmao Jesu da ti.
Lo popolo salvo farà,
D'entro li peccai li trarà W.
In quclo tempo era nn grande homo
Ke Octaviano ave nome;
Elo in terra si è segnior,
Et era fato imperatore;
Si a fato comandare
Per lo mundo universa W ,
Zascaun se debia pur andare
Tuti a farse designare
A la cita o' ill'in nadi; W
Si se facan scriver lai W.
Si Pavé inteso lo bon Joseph,^
Und' el insi de Na9aretfa,
E si se mise pur in la «via;
In Bethleem va con Maria,
Per queló k'ili g'àn lor parentado,
Et ke David si g'era nado;
UH én dela casa de David;
Per 50 gè van a farse scrive ^^K
Quando illi fon a quella cita
Ke Bethleem si a noma,
Li redimerà dal peccato (originale).
^che qui vèdesi chiaro, come il copista obliterasse per ne-
sa rùltìma sillaba le nella parola unit^ersak.
dlla città ov' eglino sotto nati. Qui il verbo in per sono
)reeisa forma deirattuale dialetto milanese.
5*1 facciano inscrìvere colà.
Perciò vi vanno a farsi inscrìvere. La frase è affatto lem-
e si usa tutt'ora in senso di disprezzo. Coe\ x w ^ fot $eriv
;a: va in tua malora, ' v
240 POEMETTO INEDITO
Lì de fora molto apresso
Maria à parturì li adeso
In un logo poverile,
Lo qual fi ^*) dilo bovile.
Là parturisce sancta Maria
Del fantin k^en si aveva.
E de li pagni eia faxoe ^^)
In lo presepio reclinoe ^^K
No lro> ò logo de plaxere ,
Ma s' il faxe pur li ^arer <*l
INato lo fantino de lo Salvatore
Jesu Criste de lo mundo creatore,
Vasen P angelo apresso li pastori
Ke de lo greyo erao gaardaori ^^>;
A quili k^ erano in queia r^ion
•
(1) Forse il copista per errore scrìsse /i per /6.
(^) Lo fasciò coi pannilini. Ancor oggi il Milanese pronun^^
pagn per pannilini,
(5) Bicoi^erossi ìiel presepio,
i4) Dobbiamo crédere^ che il copista, come avvenne sovente)
scambiasse qualche lèttera o qualche sìllaba , poiché la voce p^-
reì\, che così è scritta nel Còdice, è di forma alquanto strana e
d* ignota significazione.
(5; Ch'erano cìtstodi della greggia. Si notivCome il nome greg-
gia sia qui di gènere maschUe e di forma divisa da qndla di6 i
nomi latini di terza declinazione prèsero più tardi, rome: /U^KMt
eh' ebbero la desinenza in e; il fiele^ il miele ^ del pari «te jfAVi
•/ gregge. Cosi pure è da osservarsi Tassohita manrM>«^j deO'irA-
coio i/, che solo nel sècolo sucees^vo comparve ndla lìagoa vol-
gare, trovandosi sempre /o. de lo. a lo pel mas4^liile« In pd ìbb-
minile. Dalla quale osservazione è chiaro, che non si poò conrft-
gH>ne tur deri^-are rartìeolo il dal proaMie latino ilk, essendo
stato introdotto dopo che la lingua volgare aveva gii assunte U
proprie forme ed avea soppiantata la latina.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 341
Per anuntiare la sancta nassion. ,
La clare^a de Deo li circumplexi (*^ ,
Del grande timore son tuli presi;
Dixe r angelo: no abìai timore,
Ke v'anontio lo Salvatore.
Jesu Cristo fi clamato,
Lo qual anchò (2) si è nato
In Bethleem elo si èe;
Grande alegre^a questo ve ^^\
In ogni populo el sera
Ke so fedehel (*) se trovarà.
In lo presepio si lo vederi
Lo dulcissimo fantin;
Vu '1 trovarì volto in pagni ;
Questo signo si v'è grande (^).
Quando P angelo ave dito
La nascion de Jesu Cristo,
El fó dali angeli celestià
1 chiara la derivazione di questa voce dalla latina circum-
f per circondare^ raipv>òlgere,
4ncó per oggi è voce puramente vèneta ; con lievi modifi-
peraltro è comune a molti dialetti italiani ed occitànici. Il
e pronuncia incó; il Piemontese ancòij i Provenzali enquetfj
pronuncia come nel piemontese.
losi sta scritto nel Còdice. La voce ve non ha qui un chiaro
ato ^ sebbene debba interpretarsi per avvenimento j fatto;
ì che venisse scambiata dal copista , poiché consuona nella
ol verso precedente.
l strana l'ortografia di questa voce , che s' incontra scritta
3lte egualmente^ e darebbe a crédere , che fosse prolungata,
ata nella pronuncia; màssime ove si consideri che nella
latina fidelis non entra Vh.
Questo contrassegno vi basti. .16
242 POEMI^TTO INEDITO
Molto tosto aconpagnià,
Ke van laudando lo Segnìor:
Gloria in excelso a Deo creator,
Et in terra pax et Iiumilità
Entro li homini de bona Toluntà.
L^ angelo sen va con li altri in conpagnia
E van laudando Deo lo filiol de sancta Maria.
Al partimento de l'angelo s'axembia li pastu Wy
Parlando Tun contra T altro , e digando Inter lor (^^;
Anderao in Bethleem in quela cita,
Ye9emo sta parola ke Deo ah monstrà.
llli sen van via dritamente alo logo;
Trovòn lì Joseph, Maria e lo filiol,
Et avèn cognosudo ke Pera verità
Quelo ki del fante i era annuntià (^).
llli s'en tornòn in dreo (^) digando per la 9ente,
Nato si è Xriste lo filiol omnipoente:
De quello ke illi àn ve^uo van Deo laudando,
An 90 ke illi àn 0I9U lo van gloriando (^).
(1) Jllla partenza dell'Angelo si radunano i pastori. Si scorge,
che la voce francese assembler j o rassembler^ per méttere assic-
me^ radunare^ era comune allora al volgare itàlico^ il quale serto
alcuni derivati^ come assemblea^^asseìnbramento. In prova poi ddb
negligenza del copista^ devo notare la voce pascti che dovfelib'èi-
sere invece pastor^ come richiede la radice latina pasUìr è Ut ri-
ma stessa^ e come la stessa voce trovasi scrìtta alcuni versi prbn.
(2) Dicendo tra loro. Digando per dicendo è tutt'ora usato od
contado milanese.
(5) Quello che deW Infante loro era annunziato. La voce t per
lorOj a loro è ancora in uso presso alcuni dialetti lombardi.
(4) il Milanese dice ancora tndra per indietro j dedrè per di
dietro.
(5) In questi due versi véggiamo ripetuta la lèttera ^ pet dj in
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 245
Quili diseno la verità;
In Bethleem in quella cita,
Per lo prophela Io dissi e Tè scrito (*^;
Li de' nascer Jesu Criste.
Odi que disce la scriplura ^^^
De Bethleem terra Juda :
De ti un duxe nascerà
W el populo de Israel re^erae ^^\
Krodes suso im pei si se ievoe (^^ ^
ì.i tri magi a si si clamoe;
Jion grande amore imprese da lor (^^
Juando la stella si aparì a lor;
eseri, lo tempo e li contrati ^^^,
' il Profeta lo disse j, e sta scritto, E manifesta V im-
I nel verbo dissi da dixit^ sicché pai^e , che solo più
scambiata la desinenza in e per distìnguere la terza
' prima.
/ ciò che insegna la Scrittura, Il verbo latino discere
i)arso dalla lingua italiana^ nella quale sèrbansi ap-
oci derivate, come: discépolo^ disciplina e talun'al-
oraltro ch'era usato nel senso d* insegnare ai tempi
per reggerà attesta chiaramente la prevalenza della
poiché é proprio esclusivamente dei dialetti vèneti
{■ ossia z dolce il suono schiacciato della g, che
luncia assai distinto, dicendo: regg^ legg^ giorno,,
:l Vèneto dice: rézer^ lézer^ zomo^ Zorzi e simili.
piedi. Im pei è forma lombarda^ dicendosi tutt'ora
! prese in questo luogo significhi richiese ^ piut-
o seppe,
DÌO interpretare questo versa cosi: Le cose^ il
'ze^ sebbene non si conosca esempio della voce
psto senso. «^
244 POEMETTO IIIEDITO
Lo qual è nado rex de li (^adei.
De questo rex van inquirando ;
Per Jerusalem si van digando:
Mg o^è culli lo qual è nado
Ke deli (Judè fi apelado?^*)
La soa stella avem ^a ve9ui
Per fo somo quilò (*) venui;
In oriente si n^aparì y
Yenudi lo somo per adorar qui.
Herodes odi questa novella
Ki era segnore de quella terra;
El ne fó dolento (^^ e gramo
Con tuli quili de lo so reniamo ^*K
El congregò tuli li majori,
Li sacerdoti e li doctori,
Ked el da lor saver voleva
La o' Cristo nascer deveva.
(1) Non v' ha dubìo^ che in questo verso il copista ha scritto ke
in luogo di Re^ oppure ha obliterata la parola re^ senza la quale fl
senso è nullo, e dovrebbe esprunere: che re de' GitMlei fu (o«or«)
appellato,
(2) Quilò per quìj sebbene questa voce sia ripetuta in nm
forma e con ortografia diversa , come chilò^ kihga ^ essa è pur
sempre la stessa derivazione da hic loci,
(5) Il pòpolo milanese distingue tutt'ora i gèneri anche negli
aggettivi italiani terminanti in e colle desinenze o pel 'maseliile,
a pel femminile, dicendo: dolento^ fedela^ per dolentej fedek. Nd
dialetto vèneto peraltro quest'uso è più generale e più chìsanmente
manifesto, dicendosi tuttodì grando e granda in luogo di granuli:
mentre nel milanese questa distinzione è chiaramente espressa
solo in alcuni aggettivi, essendo gli altri pronunciati trondii,
come appunto grande che solo nel femminile è granda.
{K) Reniamo^ per regno o regname.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 245
Quili diseno la verità;
In Bethleem in quella cita,
Per lo propheta lo dissi e F è scrito ^*>;
LV de' nascer Jesu Criste.
Odi que disce la scriplura ^^^
De Bethleem terra Juda:
De ti un duxe nascerà
K' el populo de Israel re^erae ^^\
Erodes suso im pei si se levoe (*) ,
Li tri magi a si si clamoe;
Con grande amore imprese da lor ^^^
Quando la stella si aparì a lor;
I eseri, lo tempo e li contrati ^^^^
(1) Poicliè il Profeta lo disse ^ e sta scritto. É manifesta T im-
pronta latina nel verbo dissi da dixit^ sicché pai^e, che solo più
tardi venisse scambiata la desinenza in e per distìnguere la terza
persona dalla prima.
(2) Ascolta ciò che insegna la Scrittura, Il verbo latino discere
è affatto scomparso dalla lingua italiana^ nella quale sèrbansi ap-
pena alcune voci derivate^ come: discépolo^ disdpUna e talun'al-
tra; si vede peraltro ch'era usato nel senso d'insegnare ai tempi
del Bescapè.
(3) Recerae per reggerà attesta chiaramente la prevalenza della
forma vèneta ^ poiché é proprio esclusivamente dei dialetti vèneti
il permutare in ^ ossia z dolce il suono schiacciato della g, che
il lombardo pronuncia assai distinto^ dicendo: regg^ legg^ giorno ^
Giorg^ laddove il Vèneto dice : rézer^ lézer^ zorno^ Zorzi e simili.
(K) Si lei?ò in piedi. Im pei è forma lombarda^ dicendosi tutt'ora
im pè.
(5) Pare che imprese in questo luogo significhi richiese ^ piut-
tosto che apprese^ o seppe.
(6) Forse dobbiamo interpretare questo versa con : Le cose ^ il
tempo e le circostanze^ sebbene non si conosca esempio della voce
cmtrati usata in questo senso. \\
246 POEMETTO INEDITO
Per ben saver luti li fati;
E dixe a loro : or ve n' apdà <*>
In Bethleem quela cita;
Del fantin domandarì;
Pò verri, si m'el diri
Li o' vu Pavri trovado,
Et in qual logo el sarà nado;
Ked e' vorò venire a lui
Per adorar sicomo vui.
UH se miseno in la via;
Ecco la stella li aparia;
Quella ke pare in oriente W
D'avanfo loro i apari sempre;
Et illi seguivano quella stella
Andando dreo (^) de terra in terra.
Quando la stella fó andada
Sover lo fantin, la o' eia era nada (*),
La stella e li demorò,
E più inan^e no andò.
Videno la stella ke li stava,
E più inan^e no andava^
De grande alegre^a si s^alegròn;
(ì) Or {>€ n'andate. La forma andd in que^ iQogo è evidente-
mente forzata per servire alla rima con città^ mentre così il Lm-
bardo come il Vèneto dicono , e forse anche allora tdUeèvaao:
andè.
(2) Pare in luogo di apare è non dubia negligenza del copista^
mentre nel verso precedente si trova aparìaj e nel seguente eptrì.
(5) j^ndd adrè in dialetto milanese, e andar drio nel tenete,
significano seguire.
(k) Per rettificare il senso di questo verso ^ pare che dèUbasi
lèggere: là^ uve egli era natOj il qiial errore venne fone
messo dal copista per la consonanza della rima.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 247
Entro la casa si entròn ^^\
Lo fantìn trovòn lì stare
Cum Maria soa matre.
Quando qulsti Favcn ye9u.
Si se 9utòn d' avango lu (*^;
Si lo comen^òn adorare
E de lor presenti a fare, •
Et aver so ver lor Ihesoro (^),
Si gè offrìn mirra et oro,
Oro et incenso et mirra offrén
m
Questue Io don ked illi gè fén ^^\
QuaMlli s'cveno a partire ^^\
Una vox i' è parili a dire ^^^ :
Al re Herodes no tornahi ,
I Giova ripètere la osservazione già fatta sulla regolarità co-
c nella formazione dei plurali dei verbi coiraumento della n.
troviamo due nuovi esempj , in entròn^ ategròn^ per entrà-
^ si rallegrarono.
) Si gettarono a lui d'inanzi. Le voci IH per lui e fé per lei ^
Ite adoperate dal Bescapè , sono ancora proprie del dialetto
lese.
I Così sta letteralmente scritto, e pare che debba intèndersi i)
i averlo sopra ogni lor tesoro^ oppure, a versargli sopra i
esori,
) Fén, ed offrén sono due nuovi esempj dèlia formazione dei
di col solo aumento della n. Abbiamo pure un nuovo esempio
licenza del poeta, o del copista nella voce offrén^ invece di
ij come trovasi scritto nel verso precedente, perchè non era
)lato dalla rima.
) Quando stà{?ano per partire. Anche qui sono manifeste le
)e ommesse dalla negligenza del copista , che scrisse qua per
do, e s'eveno per si a\?eano.
) Letteralmente questo verso significa: Una pace loro è ap-
1 a dire. La forma t' è, per loro è, si usa ancora in vari dialeiU.
1(50 POEMETTO INEDITO
Ia con CSD loro no dibli demorare (0;
E slare in Egipto, e no ten despartire ^
De qui a quelo tenopo ke t'el vero a dire (*).
Yoseph sen va tosto in Egipto,
Segondo quei ke T angelo i à dito;
Vasen de nocte drito per ia via
Con lo fantin e con sancta Maria,
llerodcs vide ke l'è scliernudo
Da li mai. ni ke tornòn a lui ^^\
El fó pien d'ira e de iniquità.
Va in Bothleem in quela cita,
Fa degolar fantin per soa iniquità;
E fon cento quaranta e quatro milia.
In lo sanelo paradiso la ior masoo è scrìpla *>\
D'avanzo lo creatore « in lo regno de vita;
E le Ior madrane forte mente plurara ^^K
Vivando li $oi filiol ki Herodes degolava.
Or lasemo stare de questo ki è ditto,
E si andemo inan^e segondo ke Tè scripto.
Venmlo è lo tempo k>l sona U novelfai;
Morto si è Herodes. e meso solo lem.
L';»i^lo si sen \^. et a Joseph à dito:
. O TiNrmà \)M> aKì(iMk^« cìMie AMI |«r dm
roitfc per ÙKwm Jet cvfcstiL
^i) Ldi fonM fnpftta «lei AaieO» ìtAiwA» è
£rji:!aer -it r(m « ^m^^ )rmw òr. o«sie «sfràHfe:
."^ ìRm i^er M'Jm è fon «ttnneiilici— i «M
> .ìhifruMif [h»r «HTì è iirse «iRVffY iM
«Mt sfe c^NWBftlm cnofe^ «anta*» «in «••«■v.
DI PIETRO DA BARSBGAPÉ. 249
Sancta Maria candellera,
E si s^apella entro Io mesal
Sancta Maria cirial. \
No fé pò longa demoran9a
K'el fé si richa desmostraQ9a <^^^
A le no^e d^ Architeclin
Là o^ I fé de Faigua via W.
Sen^a omiunca meneman9a l^)
£1 fé inlò (^) tal demonstran^a.
Posa 96 elio per vale e per montagnìe W ,
Fin k'eH'avé passao trenta anni^®).
Et ecco l'angelo lo messo spirituale^
Messo del Segnior, lo rex celestiale^
Ven' a Josepo in vision, è i à dito (^):
Tó Maria, el fantin, e fu^e in Egipto W;
Herodes quere lo fantin per degolareW;
^he ne diede ampia prova.
'olàj dove converti Vaqua in vino, ' •
i noti la forza dì questa espressione ^ intesa a constatare la
lei racconto. Letteralmente significa : senza la mìnima sot-
9j e quindi corrisponde alla frase italiana : senza levarci
nlòj che talvolta significa colà^ come avverbio di luofigo^ in
verso pare piuttosto avverbio di tempo ^ e significa allora.
^oscia egli andò per valli e per inontagtie. Ella per egli è
veneziano. •
^inch'ebbe compiuti trentanni. La desinenza in do dei par-
i prima conjugazione è costante.
à ditOj, per gli disse,
'^o' per prendi teco è voce vernàcola propria dei Vèneti; i
di pure dicono tò. La radice da cui deriva sembra senza
l verbo tògliere,
rode cerca V Infante pei" farlo decapitare. Anche il verbo
250 POEMETTO INEDITO
Lì con eso loro no dibli demorare (0 ;
E slare in Egipto, e no ten despartire ^
De qui a quelo tenopo ke t^el vero a dire (^).
Yoseph sen va tosto in Egipto,
Segondo quel ke T angelo i à dito;
Vasen de nocte drito per la via
Con Io fantin e con sancta Maria.
Herodes vide ke Tè schernudo
Da li mai, ni ke tornòn a lui ^^\
El fó pien dMra e de iniquità.
Va in Bethleem in quela cita, '
Fa degolar fantin per soa iniquità;
E fon cento quaranta e quatro milta.
In lo sancto paradiso la lor mason è scripta ^%
D^ avanzo lo creatore, in lo regno de vita;
E le lor madrane forte mente plurava <^) ,
Ye9andò li soi fìliol ki Herodes degolava.
Or lasemo stare de questo ki è dicto,
E si andemo inange segondo ke Ve scripto.
Venudo è lo tempo k^el sona |a novella;
Morto si è Herodes, e meso soto terra.
Vangelo si sen va, et a Joseph a dito:
querere per cercare scomparve dalla lingua italiana^ alla quale ri-
mase solo qualche derivato ^ come : qmsito^ questione^ e elmflL
(1) Toma vano avvertire, come dibli per de^i sia voce att^
rata pei» incuria del copista.
(2) La forma propria del dialetto lombardo è manifesta ndb
frase: de qui a quelo tempo ke, onde esprìmere: mo a dke.
(5) Mai per Magi è pura dimenticanza del ccqpisla.
(K) Mason per abitazione; corrisponde al maiion de' Fianei»)
ed air italiano magione.
(5) Madrane per madri è forse errore del copista^ a mena ck
non si consideri come derivato da matrone.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. Ì6l
Tò Maria, el fantìn, et exe de Egipto W;
Va in Israel, mori' è lo deslìale,
Ouelo ki mena9ava lo faotin degolare.
El se leva suso (2), e metese in la via,
Va in Isr1 con '1 fante e con Maria.
Ave olendo ^^) Joseph e temeva de Tandare,
K"* el .filiol de Herodes regnava per so patre.
L^ angelo de Deo in vision i apare;
In terra de Gallilea el devese andare;
El g'è una. cita k^ à nome Nazareth ,
Li sta Maria, el fantin et Joseph;
liti demoran insema in sancta carità;
El fantin creseva in seno e in bontà;
Seno e saver e tuta cortesia,
E tuti bon eximpli de soa boca ensiva.
La ^ente ki Fodiva se dano meravelia
De 90 ke dixe lo filio de sancto a Maria.
Po^ se n^andoe per pian e per montagnie
Fin k^el Fave passao trenta anni.
Si sen gè al fiume Jordane,
Ouand'el bategó san Qoane;
Si gè mise (^) Jhane Baptisto ,
Et elo bategò Jesum Xrtste.
(1) Esci dall'Egitto; la forma di questa frase imperativa è pretta
tina : et exi de JEgypto.
(2) El se lem suso è frase pretta veneziana.
(3) La forma particolare del verbo oldire^ come ho già avver-
to ^ si trova conservata in tutte le voci derivate. Cosi in questo
ogo ave ol^udoj per ebbe udito.
(k) In questo luogo il copista scordò la voce nome , senza la
lale manca il senso, dovendosi interpretare: gli impose nome
'iovanni Battista.
252 POEMETTO INEDITO
E quili ki enlora se bate9àn,
Si avén nomi Cristian.
Quando el in trenta anni son cresue ^^\
El comencò le grande virtue.
Una grande mera velia el fé,
K' el resuscitò lo fiol del re ,
K^ entro Taigua era fondao
Fin al ter^o di el g'era stao.
Ouand^el ke (^) li mandò a dire,
K' el se voleva convertire ,
S' el gè rendeva lo so filiol
D'ond'el n'aveva grande dolo W.
Jesu Xriste no se dementegò W,
K'el Sancto Spirito si gè mandò;
A lui mandò lo Sancto Spirito,
Si '1 fé tornare da morte in vita
E si '1 trasse fora ale rive;
E tuta la ^ente si lo vide.
Cosi lo rendè al patre soe (^),
(i) E costante errore del pòpolo vèneto, quando pur tenta di
parlare italianamente, il far uso della voce sono nella terza per-
sona singolare del tempo presente, nel verbo ésser^^ dicendo: que-
sto sono bellOj e simili. Così troviamo ora in questo verso quando
el son cresue j ad esprìmere : quando egli è cresciuto, È poi chiaro,
che il poeta ha cangiato cresuo in cresue ^ per servire alla rima
con virtue.
(2) Sebbene nel Còdice stia scritto ke^ egli è però evidente, che
debba lèggersi re^ ossia : quando il re gli mandò a dire.
(5) Ond'egli n'avea gran dolore.
(4) Dalla forma di questo verbo pan^ebbe doversi interpretare
non si dimenticò; ma conviene meglio al senso : non si sméki»
oppure, non ricusò,
(8)' Rendè in luogo di resej serbando sempre intatta la rilkki
radicale , giusta quanto ho osservato sin da priiicipio. ' • •
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. S63
Gom el gè dixe e i comandò.
Molte 9ente a lui credevano
Per queste cose ke illi credevano;
Mo disemo lo re è bate^ao
Con tuti quili del so regnamo;
Jesu Cristo se n'alegra,
E da lì inan^e el predica
Facendo a tuti grande sermon,
Segondo ke dixe la raxon.
Lo patre nostro Jesu Xriste
D'omiunca saver el è magislro,
El fé la sancta compagnia
Molto bella e ben complia.
Li apostoli mise in soi capituli
Com li sexanta e du disipuli.
Za no se fé longa demora (*) ,
Ke molta ^ente se convertir inlora
Ouand'el passò per li deserti
E per li strigi e per li avete W;
E mandò soi predicatore
De fin in India la maiore.
Sancta Susana liale'
Guarì de falso criminale;
Tutta insieme la frase di questo verso significa: ben presto j
non andò guari tempo.
Colla sòlita negligenza il copista ha scritto apete in luogo di
'j come richièggono il senso e la rlma^ onde si avrebbe : pei
i stretti e per gli aperti. Strigi per stretti ricorda la viziosa
itazione lombarda delle tt in cc^ dicendosi ancor pggi strecc
)go di stretti.
254 POEMETTO INEDITO
E san Jena xe de la barena (^);
Quando lo^gita (*) entro F arena.
Lo re de gloria Jesu Cristo
D^omiunca saver el è magistro;
El descendè de cel e ven a du
Facendo a nu le grande verta W.
Li morti de terra su levò,
Visibel mente li suscitò;
Storti^ gopi e anche sidrae (*>
De lor gè vene pìetae.
Infirmi, cegi ^*) e cotal ^ente
El gi (^) sanava incontinente;
El convertiva li peccatore
Trageva fora deli errore.
El fé una cossa ke fó grande meravelia
(1) Sovente il Lombardo pèrmuta la / in r. Abbiamo altrove ap-
puntato gora per gola; cosi adesso troviamo barena per balena.
• (2) Non è fàcile avvertire tutte le inesattezze e gli errori com-
messi dal (copista ; qui troviamo gitta in luogo di gettò ^ come nel
verso precedente xe in luogo di exi^ ond' esprimere esci.
(5) La voce virtù in questo poemetto ba sempre significato di
prodigio j o miracolo,
(4) Sebbene di strana forma ^ la voce sidrae^ già ripetuta altro-
ve, significa senza dubio sciancato^ o checché di slmile; forse an-
cora è corruzione di assiderato.
(5) Infermi, ciechi e cotal gente.
(6) E proprietà distintiva dei dialetti vèneti il permutare il 90000
delle // molli in Ig, pronunciando famil-giaj el-gi in luògo di fr-
miglia, egli, A provare quindi la prevalente influenza del diahtto
vèneto in Lombardia ai tempi del Bescapè ^ troviamo ancora tra-
cia di questa vèneta viziatura nella frase el gi «onatMt in luogo d
et gli sanava. •' .
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 256
In li homini k' erano cinque milia (*);
Sor un monte elo li fé assetare W,
A grande large^a li de man9are (^).
De du pìsci e de cinque pane or^eai (*)
Tuti afati a li a saziai.
Dodex còfeni W fó T avanzamento
Segondo ki in Io evangelio se le^e iniò dentro ^^K
Inlora quela gente si acomengòn
D^ avanzo Jesu Xristo butàse in oraxòn;
Levar le man in alto, e preseno adorare;
De 50 k'el g^àdonao cometiganoregratiare (^).
Or digemo (^) del Segnore veraxe
Como nosco el fé paxe (•) ;
K^ el se degnò a nu venire
(1) Il nùmero mille è sempre espresso latinamente colla voce
milia.
('2) Ancora oggidì il pòpolo milanese dice: setà^ setàssj per se-
dere j sedersi. Il vèneto dice : sentarse.
(5) In gran copia lor diede a mangiare.
(f^) Con due pesci e cinque pani; non mi riuscì interpretare Tag-
gettivo orceaij che si riferisce o alla qualità^ alla forma e gran-
dezza dei pani.
(5) Ne sopravanzàrono dódici canestri. Ancora adesso il Mila-
nese dice : dòdes còfen^ ad esprimere dódici canestri.
(6) Giusta quanto si legge entro il Fangelo. Segondo per se-
condo è forma lombarda.
(7) Se in luogo di comengano leggeremo comen^vn a^ corregge-
remo forse altro errore del copista^ ed avremo: cominciarono a
ringraziarlo di quanto ha loro dato.
(8) Il Veneziano dice ancora disemo^ per diciamo j favelliamo;
il Lombardo, disèm.
(9) Come si rappacificò con wof. La voce «osco in inogò di can
noi è dunque di vecchia data nella lingua volgare.
266 POEMETTO INEDITO
A magistrare et semonire ^^\
Predicando omiunca homo,
E facendo grande sermon
Ke nu devesem obedire
E la drita via pur lenire.
Quando questo a nu diseva
Lo so regno p' inprometeva (^) ;
Quelo regno glorioso
Sovra li altri pretioso,
K' el no gè va nesun si gopo,
Ke li no corona e vaga tosto (^) ;
Ni si infermo, ni sidrao,
K' el no sia drito e resahao.
iNesun gè more, ni g^à gramega;
Omiunca homo è pieno de alegrega.
El descendé de celo in terra
Per nu intro la grande guera;
Per sostenire sede e fame
Per lo peccao de Eva e d^Adame
E li disipuli drè ventando W
De terra in terra el andando;
(1) j4d ammaestrare ed ammonire,
(2) Inprométer per prométtere è forma propria dei dialetti
vèneti.
(5) Che m non corra e non cammini tosto. Più volte incontrili
in questo poemetto il verbo coronare, per correre j ,cìò che è por
meritévole d' osservazione ^ quando per altro non sia per ne^-
genza del copista.
{k) Abbiamo altrove avvertito andar drè per seguire j qui tro-
viamo venir drè collo stesso significato; e troviamo pure ripeWi
la desinenza andò invece di endo, sebbene venire appartclDga-ab
quarta conjugazione.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. S57
Promettendo a nu la vita
Se nu ^esserne ^^) per la drìta ;
Digando a nu li ben exempli
Li eser eli convenente W
A quili ke volen in cel montare
Per avere vita etemale.
D' un grande miracolo ve volio dire
Ke fé Xriste, senga mentire;
Quelo nostro grande Segniore
Und^ ave li Qudei grande dolore*
Sacerdoti e Farbei,
Li principi deli Qadei
Invidiosi e grami e forte;
K' el suscitò Lagaro da morte,
Lo qual era in lo monumento
K^ el marciva ^a là dentro;
Quatro di el stete in morte.
Si k^ el pudiva molte forte.
Jesu Criste si lagremoe,
Ad alta voxe Labaro clamoe.
Ouand^el clamao, Labaro vene fora,
Incontinenti (^) el insì fora;
Labaro fó in pei levao,
Da morte a vita suscitao;
E lo Segnor li in presente
Ecco un nuovo derivato del verbo tre o gire nella voce
no^ per gissimo j o andassimo.
Esser èglino necessarj. La voce eli per èglino è propria dei
ti vèneti.
É manifesta la derivazione di questa voce dalla latina incon-
5er.
17
258 POEMETTO iNEonro
Comandò ali sci descentri (*),
K' eli lo deveseno desligare ,
E laxarlo via andare.
Ora vu avi intesso un bel sermon,
E molto ben trato per raxon.
Clamemo marce al creatore^
Ki è nostro patre segniore,
Ke el ne dia intendimento,
Segondo lo so bon piacimento ,
Ke nu possemo dir e fare
Zo k^ el ne volese comandare ;
Ke nu possemo portar in paxe
Questo mundo reo e malvaxe,
A 90 ke nu possemo andare
Et in alta gloria demorare.
Ora homiomo (^) intenda e stia pur in paxe,
Se d^un bello dito audire ancora ve plaxe;
Et eo si prego tuta ^ente
La qua^ è qui comunamente
Ke me debia intende et ascoltare
De 90 ked eo volio cumtare.
Et el ve dixe meser san Poro:
Inló 0' è 7 tò corCy ilio è 7 tò texoro (*);
(1) In luogo dì discépoli^ o disipuli^ l'autore fece qui uso delb
voce discenti j per ragione della rima con presente; ma il copisU
vi ha interposta un r^ che guasta e la rima e la parola.
(2) Altrove abbiamo sempre rinvenuto omiunca homo; qiA ì
copista ha messo fuori di posto Vh ed obliata la finale tmca. &
nulla di meno è chiaro il significato : Ora ognuno presti mHH^
zione e stia cheto.
(5) Colà ov è il tuo cuore^ ivi è il tuo tesoro. È ìnìeteMatfk h
distinzione ivi fatta tra i due avverbj inlò, ed ilio.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 259
Ouestp digio sapiai, Segnore,
Ki l'intende, el è da honore
E de gloria e de bontà,
E de omiunca utilità,
De grandega e de cortexia,
E de verità sen^a buxia.
Sapiai, Segnor, questo seroion,
Non è miga de bufon (*);
Àn^e (^) en sermon de grande pagura y
D'onde eo si n'ò molto grande rancura (^).
Petro de Barsegapè sanga tenor (*)
Questo Sì fó lo ditaor W
Ke dito questo ditao,
E dal so core si Fa pensao;
Mo el è pluxor (^) ditaori
Ki àn dito de beli sermoni;
Ank'eo yen dirò, se a Deo plaxe,
A quel homo Segnore veraxe
Ki m'an dato cognoscan9a,
Et in lu tenio grande fidanza.
Questo modo di dire è invero troppo basso e disdicèvoie ad
ero oratore ^ eiò che può solo escusare la rozzezza dei tempi,
me egli si accinge a narrare la Passione di G. C, così pre-
ne con questa introduzione il lettore ^ assicurandolo, che non
conto inventato.
Anzi un racconto sì spaventoso.
Rancura per rancore; forse per formare la rima con pagwa.
Sanca tenor ^^ cioè francamente, veracemente. '
Bitaor^ vale a dire: quello che lo ha dettato , come chiara-
e esprime nel verso seguente.
Pluxor^, cioè parecchi, dal provenzale e dal francese più-
s, o meglio dal latino plures.
390 POEMETTO INEDITO
Ora ve volio comen^are e dire,
E per raxon molto ben fenire^
Mo eo prego luta 9ente
Sed eo fallase àvu presente (*^
Ke vu me debiè perdonare,
E no reprehende lo meo ditare.
Et eo ve dirò dra W passion
Ki sostene lo nostro Segnore,
E cXim el resuscitò^
E cum r inferno el spoliò,
E cum el ne trasse li soi amixi
Si cum la scriptura dixe.
Una grande mara velia denan^e v^è dita ^^^
La qual de sovra si è scripta
In sto libro molto bon,
Lo qual si a pluxor sermon;
K'al fó trato da morte a vita
San Labaro de Ebitania;
Così farà de F altra ^ente
Quando el sera lo so placimente;
Poi receve palma e oliva.
Mate^a fan quilli ki la schiva W!
(i) S'io fallassi^ rammentatevi. Sed per se porta suffissa la is
ond' evitare V elisione con eo; aver presente p^r rtcordarsi, aMt-
tirej è modo di dire ancor proprio di pareccbi dialetti.
(2) A meno che non voglia attribuirsi ad errore del cofrista, di
che è molto probàbile^ reca sorpresa il trovare in questo luogo
Tarticolo dra per della^ che è proprio dei dialetti liguri e. di al-
cuni pedemontani ^ sebbene non ha guarì fosse ancora in «so
presso i dialetti delFalta Lombardia^ verbanese- e ticinese.
(5) Denance v'è dita^ vale a dire: vi fu già racconiakh (qRltfO
m ho già testé raccontato, -
(4) Stolti quelli che la ricusano / . -
La cobia fé con K soi frai ^ «
Con lor mangiò in carità:
Pò gè lavò le man e li pèe.
Jesu Xriste filiol de Dee
Cum el fò vendilo ^ in qucla noclo
Dal trailo Juda Scariote «
Per trenta dinar ,*ke più non prese «
Per me^o la gola sen apesse ^^\
D'onde queste cose a vu do»ia ^^^
Za ve cuntarò molt tosto per man ^^-.
Se >!! intendi pur ancora ^*^
Eo no ve farò tropo demora.
Quando Labaro suscitò in Betanìa,
Li Qudè pensòn grande folia^^
E si fon grami et molte tristi
De questo miracolo ki fò Grisle;
E se voren (^^ pur pensare
(1) Passò il giovedì co' stwi fratelli (discépoli). La voco {ohia
per giovedì è ancora propria di alcuni dialetti vèneti, specìalinonte
del veronese. Il Veneziano pronuncia sióba; T antico niìlanosoit
come consta dai documenti, pronunciava giòbbia, e ancora adesso
in molti luoghi del contado è viva la voce gióbia,
(*2) Nella parola ven^uo per venduto si rinnova la poriniitazione
della d in e già più volte avvertitale la desinenza dei participj vèneti.
(5) Apesse per appese^, vale a dire: scappici) per la gola,
(h) Dobbiamo crédere, che il copista ommettcsse in questo luo^o
alcune lèttere, o ne scambiasse altre, poiché la voce doiia^ che
non consuona colla rima, non si connetto colle altre nel periodo.
Forse dèvesi lèggere domàn^ cioè: dimani,
(5) Per man^ vale a dire: per ordine j a mano a mano,
(6) Il verbo intèndere è sempre usato dall'autore^ nel senso di
prestare attenzione.
(7) Foren per ipògliono. è pura forma del dialetto milanofte^ che
tutt' ora pronuncia : viiren.
26S POEMETTO INEDITO
Cum lo posseno a morte trare;
A traimento et a grande torto
Pur voleno far sì k' el sia morto.
E di e nocte van pensando,
El traimento si van cercando,
Cum ìlli possenó olfire^*),
Ke illì no voleno k' A debia vivere.
Un de '1 s^axembla W li Pharisei
E li principi deli (^udei;
Si sen van a Jesu Xriste,
Si lo clamòn per magistro;
In mal dire et in mal fare
Illi sei credevano inganare
Con falsità e con buxia.
De lu pensavano felonìa
Quela ^ente invidiosa,
Bruta e falsa et inodiosa;
No calavano (^) de pensare
Como illi lo possano accusare
D'avanzo lo pòvolo e del segnore
Ke de loro era imperatore.
INo li cessavano del maldire,
Per farlo prender et ol^ire.
In parole l'avraveii repren^uo (*^ ,
(i) Anche il verbo olgire per uccìdere serba la forma costante,
che abbiamo avvertito in oldire per udire.
(2) Axemblarse, per unirsi^ con^enire^^^ voce molto affine al-
Toccitànica ed alla francese $' assembler^ se rassembler.
(5) Non cessavano di pensare. Ancor oggi nel dialetto mOanese
calàj fra gli altri ^ ha il significato di venir meno^ diminuire,
(h) Lo avrebbero ripreso nei detti ^ se pur lo avès$ero ]N)M9.
La forma della parola apràt^en.. del pari che quella dei partiei|ij^
è pretta veneziana.
m PIETRO DA BAUSEGAPfe. S68
Se illi avesseno pur posuo.
El nostro Segnore Jesu Xriste,
Lo qual era bon magistro,
Sape ben lo lor affare
Li lor penseri e li lor andare »*);
Vide la lor iniquitae,
Mo el era plen de humilitae.
Humel m^nte gè respose,
Parlando cum plana voxe
El i asponeva la seri plora <*^,
Parlando con grande mensura (^\
El comenca a semonire.
UH no volevan pur audìre;
E li (^udè mìseno man ale prede ^^\
E si gè trasevano drè (*^.
El fu^i delo tempio e si S'ascose
Ke illi Tavràvan morto a voxe,
Ora sen va de terra in terra,
E li (^udè li fan la guerra;
Ora sen van li ^udei
E li falsi Pharisei
Consiliando molte forte.
Com el Signore omnipoente
A si clamò li soi descentre,
In li que è la fìdan^a (^\
Si li faxc la predican^a,
[) I lor pensieri e la loro condotta.
ì) Egli espone^ loro la Scrittura.
\) Mensura^ per precisione ^ moderazione,
\) Ancora adesso il Lombardo pronuncia prede per pietre, eaeri.
\) Trar drè per gettar contro è maniera lombarda.
\) Nei quali e pura la fede.
264 POEMETTO INEDITO
El gè dixe: ora m^ascoltae;
In Jerusalem mego tornae (*).
Heu ve digo in verità
Ke firò inloga passiona (*).
Li Io filiol 4el Creatore
Com el Segniore pò esser morto ^*)
Sera trahido ali peccatore;
llli me ligaran alo palo
Come fosse pur un latro ;
No gi lagaràn de roba indoso (^'
Dali Qudè da ki al meritofo W
llli spudano suso Io volto,
E diran k' el sia stolto;
Si li daran suso lo galon
E de vergelle e de baston (^);
Tal gè darà suso la maxella,
Ke sangue g^ andarà de qui in terra.
Po' lo meteran in croxe,
(1) Meco tornate. Pare che le vocali ae nelle parole ascoliaes
tornae dèbbansi lèggere come il dittongo latino ae, nel qual caso
avrebbero Todierna pronuncia : ascoltò^ tome,
(2) Che colà subirò i miei patimenti. Sono per lo più derivate
dalla radice fieri le voci del verbo essere; perciò troviamo firò
per sarò. ♦
(5) Questo verso deve eliminarsi^ come intruso per distrazione
del copista. Il senso e le jrime lo esclùdono interamente^ dovendosi
lèggere: Ivi il figlio del Creatore sarà tradito dai peccatori,
(k) Non gli lasceranno veste indosso. La parola lagàper kueian
è ancora viva nel contado milanese.
(B) Lo strano accozzamento delle parole di questo verso rende
assai malagévole indovinarne il significato.
(6) Edi ipergliee di bastoni. Fergella per K>erga è v»ce an-
cora viva nel contado milanese.
DI PIETRO I>A BARSEGAPÈ. 365
Si Tulciran tuti a xoxe (*);
Al tergo di sera levdo,
Da morte suscitao.
Quando el i ave ben predicai,
E molto ben amagistrai,
Vasen drito per la via
Gom li disipuli in conpagnia.
Quando el fó a Belfagie
AI monte de ollive,
Si clamò du deli frai,
Et a lor dise: or ve n'andai,
E si andai intrambi du
In quel castello ki è centra nu.
Li aloga (^) trovari
Una asena con Tasenin;
UH én ligai, e vu li desligai (^\
Et a mi si li mene.
Se vu trovè in lo castello
Ki ve faca alcun revello (*),
(1) Neir ùltimo verso del capo precedente sta scrìtto : ravrd{>an
morto a roxe^ ossia V avrebbero ucciso colle grida. Pare quindi che
qui pure debba lèggersi a voxe, anziché a xoxe , parola d' ignoto
significato.
(2) Ecco una diversa forma del ripetuto avverbio di luogo inloga,
inlòj illoga e simili^ derivato sempre dalle forme latine in loco^
eo locoj ilio loco.
(5) Essi sono legati, e voi slegateli^ e conduceteli a me. Abbiamo
qui una prova del modo col quale dèvesi pronunciare desligai
(che forse dovèasi scrivere d^sligae)^ dalla voce mene colla quale
dev'èssere rimato. E ciò ci somministra novella prova della negli-
genza costante del copista, che scrisse la medésima voce in tante
forme diverse, cioè : andai, andae, andò,
(4) Revello per rilievo, opposizione. Si vede chiaro^ che fu in-
vertito V órdine delle sillabe , per conseguire la rima.
266 POEMETTO INEDITO
Diri , k^ el non abia sognìa (^),
Ke alo Segnor fano besognia.
Illi se metèn in la via
Intrambi du in compagnia,
Et al castello illi andòn
E r asena si desligòn W;
Illi la desligòn li adeso ,
Eia , r asenìn con esa apreso ;
Uli la menòn com esso loro,
Si dan alo Segnore ;
Suso gè mente ^^^ le vestimente ;
Sover l' asena verax mente
Lo Segnor gè fén montare,
Per più suave cavalcare (*).
Elo se mete in la via,
E la grande ^ente lo seguiva.
In Jerusalem va lo Segnore,
Et asai gè fan lo grande honore.
Partìa g'è de quela ^ente
Ke soleveno le vestimente (^^
E rame de palma,
Si le metevano suso la strada ;
La strada van tuti adeguando (^)
(i) Sognia per cura^ pensiero^ dalla voce francese strin.
(2) E slegarono l'asina. È sempre costante la forma regolart
per la formazione delle terze persone plurali,
(5) Per negligenza sta scritto mente in luogo di meteUs ouà
méttono,
(ft) Onde più agiatamente cavalcasse.
(5) Che si lèmno le vestimenta. Per errore il copista seriast
solev^eno^ anziché se lemno.
(6) É molto propria ed espressiva la frase adeguare la pia, pet
tògliere gli inciampi, e rènderla piana'e netta.
• ;.:i^^:
DI PIETIO DA BAISEGAPÈ. 267
La o' era le prede e Io fango ;
Ke la asena dod habia male ,
E ke la vaga pia soave.
Omiunca homo va cantando,
Ei Deo del cel si van laudando;
Osana! Jesu Xriste,
Fané salvi bon magistro^^^;
Benedigio sia lo Creatore
Ki n^ a dato sì bon Segnore !
Tuli quili dela cita
Grandi e piceni, e tal e quali
Incontra vèneno al so Segnore;
Si gè 4an lo grande honore,
Si comMn la Scriptura se trova scripto,
llli gè fén quel honor ki v^è dito.
In Jerusalem si sen andòe
Et in lo tempio si entrée.
Trovò li mercadandia (^);
Tute le merce ?eta via.
Et desbregò tuto lo tempio ^^K
Dise a quili k^ erano là dentro:
Casa mia, et oi, casa de oration,
Fata v' àn speronca da latron (*)!
Fané saki per fa noi salvi, o facci sahi, è maniera propria
?i dialetti vèneti , come dei lombardi.
hi troK^ò mercato. Si vede che sin dal sècolo XIII èrano in uso
le voci merce e mercatanzìa , poiché nel verso seguente
nge : tutte le merci getta via; ma con significato diverso.
Desbregàr, o desbrigàr per sbarazzare, tògliere tutte le cose
e moleste, è voce ancora usata nei dialetti vèneti^ ove ha
il significato di sbrigare, per far presto, spicciare.
Fattn v'hanno spelonca di ladroni. La permutazione della /
268 POEMETTO INEDITO
E po' va via per la terra,
Ke nesun homo no Papella;
No gè fó ki V albregase (*) ,
Ni ki de beve li n'in dasse;
Ma ese de la cita a man a man,
Quidexe milligia ben luitan ^^),
A casa dela Madelena,
E li ave richa cena.
Maria fó alegra forte ,
K^el suscitò lo fradelo da morte.
Si lo receve alegramente,
E po' li dona de l'inguente (^)
Pretioso e plen d'odore,
E sì ne un9e lo Segnore.
Li alò èn albregai (*)
Lo Segnore con li soi frai.
Ma si g'è un falso frado W
Ki Juda traitò fi clamao;
in r nella voce speronca si ripete ancor oggi nel dialetto mila-
nese ^ come in parecchie altre voci da noi avvertite.
(4) Anche Tinversione del posto della r in albregase, per alber-
gasse^ òdèsi tuttogiorno dal pòpolo milanese.
(^) Quìndicimiglia ben lontano. Ho già avvertito di sopra come il
Vèneto in generale inverta il suono delle // ìnolli ^ che in italiano
si rappresenta con gli^ in Igi, Questa influenza della pronuncia
vèneta è qui manifesta nella parola millgia, nella quale il copista
ha di più inserito una L Vedi la Nota (6)^ a pag. 254.
(5) Inguento dice tutt'ora il pòpolo milanese per tihguenfo.
(ft) hi sono albergati. La voce én per sono e albregai per al-
bergai sono proprie del dialetto milanese.
(5) Poiché nel plurale è sempre scritto frai per fratelli o di8o6-
poli ^ non v'ha dubio^ che in singolare dovrebb' èssere frao^ tinto
più che meglio consuonerebbe con clamao, ossia chiamaio. ,
DJ PIETRO DA BARSEGAPÉ. 269
Del Segnore era senescalco,
E canevé si era questo trailo ^^\
Si comen^a a businare (^)
E de grande ramporgnie a trare,
De ^o ke sta Maria feva W,
Und^'al Segnore eia on^eva (^^^
E si deseva entro li frai:
Za ^^^ vegni, si m'ascoltai :
Per que se perde questo unguento
Ke ben vale dinari d'argento?
Ben se porave esser vencù (®) ,
E de bon dinar aver ablù (^) ,
Et aver fato carità
A quili qui àn necessità.
Ora respondea lo Segnore,
E dixe a Juda lo traitore:
Perque vatu W ramporgniando ,
(1) ^ era cantiniere questo traditore. La voce camK>é è ancora
viva nel dialetto milanese. A qual fonte poi il nostro autore attin-
gesse la notizia di questa professione di Giuda^ non ci è dato co-
nóscere.
(5t) Egli comincia a buccinare, vale a dire a mot^morare, ed a
calunniare.
(5) Feva per faceva è ancora usata da alcuni dialetti lombardi.
(4) Poich'essa ungeva il Signore.
(5) Za, per qua è voce vernàcola generale.
(6) Ben potrebbe èssere venduto. Ecco un nuovo esempio della
forma vèneta in porave, e della permutazione della d in f nella
voce vengu.
(7) Qui dovrebbe èssere scritto abiù, voce ancor viva nel con-
tado milanese per avuto.
(8) Perchè vai tu rampognando ? La voce vatu ha forma eccita-
270 POEMETTO INEDITO
E Maria molestando?
Era fato bon lavore,
Ke Fa ungio (^) lo Segaore;
De li poveri avri asaì con vu;
Mo eo no serò sempre con vu.
Dixe li frai alo Segnore, \
Parlando con grande amore :
Di, Segnore, là o'el te pla^a
0' nu devemo far la pascha ?
Et el dixe: or ve n'andai
In Jerusalem quela cita ,
Vu vederi un homo andare
Con un vasello d'aqua portare ,
Et portarà un vasello de aqua;
Dige, ke farò sego la pasca;
Com eso lu ve n' andari,
Et a casa soa demorari.
Li aioga aprestà (^)
De quel ki besognia de ia;
Tute cose a complimento,
Ke no gè sia mancamento.
Questo volio ke vu sapià,
Ke meo tempo si è aproximà.
Du dili frai vano via
Entrambi du in conpagnia.
No calòn , si fon andai (')
nica e vèneta ad un tempo ^ mentre^ cosi il Provenzale, come A
Veneziano dicono ancora : vas-tu.
(1) Ungio per unto^ colla permutazione della t in g propria del
dialetto milanese.
(2) I<pi apprestate,
{3) No calòn per non cessarono, non desistettero. Abbiamo al-
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 271
Drita mente ala cita ;
Lo bon homo avèn veQu;
Si sen ^èn drito a lu;
Lì in presente si li àn dito
Zò ki li manda lo magìstro ;
Ked hel sego voi albregare ^^\
E la festa de pasca li voi fare.
Et illi receve alegra mente,
A casa li mena incontinente.
Li aprestan lo mangiare,
E quel ki g' è mestér ^*> de fare.
Lo Segnor con li soi frai ,
In questa casa én albregai.
In r ora de vespro el g' intrò
Tuti afati si là salutò;
Dixe: frai mei, mandegemo (^),
En tremo a desco e sì cenemo.
Quando illi fon tuti asetai (*),
E' si a dito ali soi frai :
Un grande tempo ò desidrao (*),
(E, leva la man, si a segnao),
De mangiar con tuti vu
In questa pasca k^è vegnu;
appuntato il verbo calm^e col significato d'importare^ come
ato dalla radice latina calere An questo luogo, ha il significato
)roprio di venir meno,
I Ch'egli vuole albergar seco.
E quanto vi è mestieri di fare. Si vede che la frase italiana
mestieri, far di mestieri è molto antica.
1 Mandegemo, per manduchiamo, mangiamo,
) Asetai per seduti è voce lombarda.
I Già da gran tempo ho desiderato.
272 POEMETTO INEDITO
Or mangterao in carità^
A 5Ò ke sia passiona.
Or manduga lo Segnore
In carità con eso loro,
E pò da desco se levòe;
Li soi frai a si clamòe,
E si gè dise: oi, frai mei,
Eo ve volio lavar li pei.
E si respose un deli frai,
Ke san Pietro si clanoia,
E dixe: Meser, ke vota fare (0?
Perquè votu li nostri pei lavare?
Dixe lo bon Segnor veraxe:
Fra Petro (^), sta in paxe;
Quando t'avrò lavai li pei,
Ben tei dirò perqu' el h(f eo (^l
Alo Segnore Petro respose,
E si li dise a piena voxe:
Li mei pei no lavare,
Ni im perpetua no li sugare <*).
Dise lo Segnore ali frai soi :
Si li toi pei no lavarò,
Non avere mego a partire,
Ni a fare, ni anche a dire.
(1) Messer per Signore^ che s?uoi tu fare?
(2) È strano il predicato fra', col quale i mònaci più tardi si
denominavano tra loro.
(5) Ben ti dirò perch' io lo faccia.
(» / miei piedi non laK>erai, ne giammai li asciugherai.
Ancor oggi il Milanese ed il Vèneto usano la terminazione i
nella seconda persona singolare del futuro .^ e la voce migà,
sugar per asciugare.
M nawo AA iiisiifctrE, S73
Uixe Petro: ]icscr^ e* soa té.
Lavarne li pei, e le mao e lo oò ** ;
Fa« Meser. quel ke le piaxe^
Ke tu è me Segaor veraxe.
Quando illi avéuo tati li pei lavai ^
E tati a desco ill*ìo tomai.
Si li corneo^ a magislrare^
E si gè dise ia so parlare:
Questo esemplo e^ v' ò dao ^'^
Deli pei ke r'ò lavao.
Si corno e' li ò la^adi a vu
Ke li debiai lavar inter vu;
E questo ve volio comandare,
Ke ve debiai inter vu amare.
Or se lamenta lo Segnore,
E dixe ali frai lo so dolore;
Si li dixe con grande sospiro:
Un de vu me de' traire!
Li frai ne fon molto dolorosi ,
E molto grami e penserosì ,
Mormorando entre loro:
Qual è quel ki è traitore?
Juda trailo era a desco,
E crida forte: soni' e' deso ^^^?
Lo Segnor si gè respose
Humel mente, in plana voxe:
Tu è dito: sonfé" deso?
Noi palese ni anche per questo (^).
) Co per capo è voce propria del dialetto milanese.
.) Quest'esempio io v' ho dato.
>) Son io desso? Vedi la nota (5), a pag. 256.
) Nm lo paleso neppur per questo. La forma ni amhe ò prò-
i8
274 POEMETTO INEDITO
£1 g'a jì un de li Irai,
Ke san (^ohane fi ctamao ;
In scoso ^*) del Segnore donniva;
Grande fidanca in lu aveva ,
Ke aveva grande dolore
D'eser traido Io so Segnore;
Si le comen^ò a dire:
Ki te de\ Meser, traire?
£1 gè respose humel mente :
Quel farà la traixon (*)
Ki mangiarà questo bocon.
£ lo Segnor dixe a Juda :
Toi, to^sto bocon e sVl mandoga (^);
Quel ke tu à pensao de fere,
Tralo tosto a desbregare<*).
La boca avrì lo traitò Juda,
Tol el bocón e si ^1 manduga.
Quando Tavé mandugao,
Sathanas gè fó intrao;
Da desco se levò , e si 9é via W^
prìamente vernàcola^ perocché i Vèneti dicono gnanca, i Lombardi
gnan,
a) In grembo del Signore ei dormiva. Ecco una voce pretta
milanese^ che dice in scoss per esprìmere in grembo^* e quindi
chiama scossa il grembiule.
(2) É ben ovvia la consonanza di questa voce con trahison fran-
cese^ che significa del pari tradimento.
(5) Prendi questo boccone^ e mangialo. Le voci toi, to\ da é-
gliere, sono lombarde.
(K) In questo luogo desbregare è adoperalo nel senso {Nnopitodi
spicciare. Spicciati presto.
(5) Si alzò dal desco, e se n'andò.
DI PIETRO DA BABSEGAPÉ. 5l7d
E lasa star la compagnia.
Lo Segnor dìxe ali frai :
Sia guarnidi et aprestadi ^^\
E ben acorti et ave^udi (*),
Ke questa nocte siri asaiiudi.
Scandaii^ai vu sari
Quando preso me vederi.
Dixe Petro un dili frai:
(^a no serò scandali^o.
E gè dixe lo Segnore:
Tu avrè lo grande tremore-.
Quando tu vedere li (^udè
E Scrivanti (^) e Pharisei;
Et ancora questo te volio aregordare ^^^;
Kc trea via (^) me di renegare ;
Inanze k^el gallo habia cantao
Trea via m'avrè renegao.
Dixe Petro molto forte:
E' troverò inan^ la morte <*l
Siate agguerriti e pronti.
Bene attenti ed avveduti, poiché in questa notte sarete assaliti.
E Scribi e Farisei.
Aregordare per ricordare è ancora proprio del pòpolo mi-
Trea K>ia per tre i?olte, tre fiate. La voce via per^ fiata è an-
usata in aritmètica^ dicendosi : du via dii fa quàtter, owia :
^xite due fanno quattro.
Io subirò prima la morte. L'influenza della lingua proven-
ielle forme di quella del Bescapè rèndesi sovente manifesta
flessioni dei verbi. Abbiamo visto più volte Iti è onde espri-
tu sei; ora troviamo qui eo troverò , ad esprìmere il JaCuro
'^ò, che nelle lingue occitànica e francese ò iq[>punto (rxw-
276 POEMETTO INEIHTO
Li allri dìseno come fé Petro :
Mori voliemo se l'è mesterò <*>,
E ^.ascaun de nu si sera gramo
De questo ke nu te vederamo ;
Et uQca da ti no samo patire (^
Per laxarse luti olcire.
Or lasemo questo stare,
Ke innante eo volio andare.
Lo Segnor im pei levò,
E li soi frai a si clamò;
Con eso loro el ^é via
Drita mente ad una villa.
Quando illì fon lì arivai,
UH erano stangi (^) et afadigaì;
Li frai se dano alo possare (^),
E lo Segnor ^e adorare.
Si se butò in oriente (^),
Le man levò incontinente ^
E si disc: oi, patre meo.
Ti ki è Segnore del cel,
Se questa morte a ti si plaxe,
Ben la volio portare in paxe^
(1) Ecco un nuovo esempio della frase esser mestieri, per far
d'uopo, abbisognare,
(2) Qui in luogo di samo parire è chiaro che deve lòggeni
s'a{>emo a partire, giacché il significato di questo verso è. it. m*
guente : Né mai ci divideremo da te, e poi continua : per budarci
uccider tutti.
(5) Anche qui la gr ha suono duro come in gè, e quindi, i
evidente : stanchi e affaticati.
(4) Possare per riposare è voce vernàcola lombarda.
(5) Si rivolse ^erso V oriente.
DI F1ETRO DA BAnSEifiAPÈ. ^77
Da k'eo cognosco lo tò talento ^*),
Ben volio soffrire questo tofmeiito^
Per salvare k humana petite
La qual se perdeva inala mente.
Per questo passio W fee debio portare,
Ben volio ke tugi <*) se debati salvare;
Et, oi, dolcissimo patre meo, '
A ti recomando lo spirito- meo.
Quando el ave asè oradho (♦),
A li soi frai se n^é tornào.
loro si dixe cum carità :
No dormk, ma sk vi^ìà W;
Stahi tuti in orattorie,
Ke non intrè in temptatione. .
1) Dappoiché io conosco il Pm vtolere.^ Sebbene il verbo cogno-
sia pretto latino, pure ({ebbo. avvertire) cbe tatti i dialetti
ibardi e vèneti serbarono il suono gf^^ a <|iffereiìsa della lingua
ìana. É pure da notarsi la voce ìalento per volere, volontà.
^) Passio è la voce latina generalmente sancita ad esprimere
Passione di G. C. È però singolare^, come un nome femminile
latino e in italiano, sia fatto mascbile', cosi daU'aiitore, cbe dice
ìTwnaenie questo passio, come dal pòpolo M' vari suoi dialetti, che
ora denòmina el Passio, il racconto della Passione di 6. C. tra-
idàtoci dagli Evangelisti. Ciò deriva probabilmente dalla desi-
za in distintiva dei nomi masdiilir
5) Ho avvertito altre volte, come il Milanese permuti sovente le
1 e schiacciato, màssime nel plorale dei nonóiv'dìeeodo: i< tèi,
è, ossia il tetto, i te»iy cosi: MIT per ltt(lo/e Méf per liaf<;4ia
e tugi ]^eiT^ tutti, ci attesta che allo stéséo modo pronundàtasi
he nel sècolo XHI.
\) Quando egli ebbe alquanto pregato. La voce assèi p^ abba-
iza, assai, è del pari vèneta e lombarda. - '^ '
t$) Non dormite, ma {>egHàiei ' ;• ' '^^ ' ' ■ '«'*>'' ''
S78 POEMETTO INEDITO
Trea via qé ad orare (*)
Al so patre spirituale;
Pagura si à delo morire,
M o in paxe el voliò (^) soffrire ,
Da k^el plaxe alo so patre
In piena pax lo voliò portare.
Et el se retorna ali soi frai;
Si li trova adorminthai;
Or gè dixe lo SegnOre,
E si gè dixe con grande amore:
Or dormì e si posse
K^el meo tempo è aprosimao.
Juda trailer desliale,
Apensando lo grande mate (^)
Et apensando lo grande dolore
De traire lo Segnore,
No cala dì e nocte pensare ^*) ,
Gum el ne possa haver denare;
El se n^andò ali Qudei,
Per vender lo fìliol de Deo.
Gomenca dire inter loro:
Or m^ ascoltai, belli segnor,
Un grande tempo avi querudo,
(4) Tre volte andò a pregare.
(2) f^oiiò per volle, ci è nuova prova dello sfono coA quale ai
tempi del Beseapè si evitavano tutte le irregolarità dei Terbi^ lÉi*-
sime nella formazione dei tempi passati e dei participj. Poatjaiw
asserire^ che le règole gramaticali a ciò destinate èrano Moate»
cezione. •
(5) L'uomo zòtico del volgo suole ancora premèttekv V eiiftaica
a al verbo pensare. .. ' -^ '
(4) Non cessa di pensare dì e notte.
DI PffiTRO PA BAtBSGAPÉ. 979
Domandò et an voliudo ^^^
Quel ke se di&e re deli (giudei ^
E dixe ke 1- è filici de Deo;
Se vu'l vork, e' vel ^darò (*\ :
Entro le man vel meterò;
Questo volìo ke vìi sapiat,
Ke volto esser ben pagaa
Li <^udei fon adun (f^
Gonseliando pw inter lur
De quel kià dito lo traitò,
K^el voi vender lo $egaor.
In lor conselio àn ordedao
Ke Juda fi^ (^) ben-pagao.
Trenta dinar d^artento, : ,
Questo sera lo pagamento^
Si li fan venir li in presente,
Si ràn pagao iooootinente.
Quando Juda fó ben p9gM^ ;
E li dané ave governao^^),^
(i) Lungamente avele cercato^ dinumdaio ed anche voluio. È chia-
ro ^ che il copista ha per errore scrìtto domondOj, ìa luoga di do-
mandai o dotnandao. La voce an per anche è ancora usata tra i
Lombardi.
(SI) Se POI lo voletCj io vel darò. La permutanone della l iu r
nella voce t7ori è propria del dialetto fliilan«s|B^ del pari che la
flessione finale.
(3) In questo componimento è ripetuta più. volte la frase èteere
ad un per unirsi^ adunarsi. , ..
(4) Fissa per fosse òdesi ancora in tneltt luoghi del contado mi*
lanose.
(B) Ecco un nuovo esanpio_del.y^bo gppemàr j^^.tW^^»
custodire. Vèggasi la Nota (i) a pag. %Ì9.^ ., ...o,i. si
280 POEMETTO INEDITO
Dixe: Segnop, ora mMntendi:
L^omo è ve^ao e scaltrio (*),
Ke remo sa de pluxor arte,
Ke lo cognosco ben in parte.
Per 90 volio ke vu sapiaì,
Ke vu sia pur ^ente asai,
E de le arme ben guarnidi,
E tuti afati me seguidi.
Àndarò inan^e, e vu apreso;
Quel ke baxarò, el sera deso;
Vu lo pilià e si 1 tegnarì;
Farine po' quel ke vu vori.
Et illi cridan: sia, sia,
No v'astalè, W si, andemò via.
Juda se mete in la via
Gom li Qudei in conpagnia.
Tal porta spada, e tal fol^on W,
E tal cortelo da galon W;
UH gè van con grande lumere W ,
(1) Uuomo è avveduto e scaltrito > Pare che in luogo di vefoo
debba lèggersi aveguOj come altrove si è visto.
(2) Non sostate (non indugiate), partiamo. Il verbo astalarri
per sostare^ sospèndere, è affatto sconosciuto cosi ai dialetti^ come
alla lingua italiana.
(5) Folción per grande falce ^ coltello potatorio, è voce an-
cora viva in tutto Tagro milanese.
(4) Cortelo da galón significa quel coltellaccio , che un tempo
solca l'uomo del. pòpolo portare al fianco pendente dalla cintola.
Ancor oggi il Vèneto ed il Lombardo pronunciano corféto o cortèi
in luogo di coltello, colla sòlita permutazione della / in r.
(5) LUmera o liimiera per làmpada è ancora in uso preèso il
pòpolo milanese.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. È%i
E con lanterne et cervelere (*>.
Or va via Io traitore
Dritamente alo Segnore,
E si dixe a Jesu Xriste:
De' te salve, oij mpgisti^e!
in quelo logo Tr presente
Sì Tà baxao incontiBentei;
E Jesu Xriste dixe a lue:
A mi perqiiè è vegnue W?
Li (^udei si Io pillan.
Si gè ligòn de drè le man.
Or lo comenQÒn a4)lastemàre,
E de grande guan^ade a dare;
L'un Io tira, e Taltrolo fere (*^,
E Taltro gè va criando dreo.
Li altri frai fucino via W,
Lasòn stare la eonpa^ìa ^
De pagura ke illi àn abiudo
Quando ilio se videno assalitido.
Un gè ne fó ki se defese
Quando lì l'avevano preso;
Zo fó Petro l'un deli frai
Ki à lo cor telo ben amolao (^);
La voce cervelere che assai probabilmente signhSca cèrei^ o
€j se non è una nuova alterazione del copista^ è voce inte-
te perduta.
Perchè sei tu venuto a me ? Ecco un nuovo esempio del
è per seij dal latino e dal francese tu es.
Fere per ferisce, com'è tutt'ora in uso nella poesia italiana.
Fugìno per fuggirono , in luogo di fucìn. Questa volta il co-
iiior dell'usato^ vi aggiunse una o alla n.
Amolao^ o molao, dice ancora il Veneziano per aguzzato; il
irdo dicej?votó.
283 POKMETTO INEDITO
Si Io trase fora dela guadina ^^K
E vasen a loro con grande ira
Ki era habluto (^) contra lo Segnore
Si taliò Foregia (^) ad un de loro.
E Jesu Xriste si la piliò
Et incontinente gè la soldo (^),
E si à digio alo so fìra^
Gum la grande humilità :
Petro, mete lo cor telo tò,
E si lo torna i.n lo logo so;
Ke agiadio sol ferire (^)
A gladio è degno de morire.
Dixe lo Segnore ali i^udei,
Ke gè ligòn le man de drè:
E con spade e con lan^on
Preso m'avì com^un latron;
Za fue il tempio spesa fiada (^)
Là dentro ke v'amagistrava;
Vu, (^udei, no me prendìsti,
Ni nesuna fiada me tenisU.
(1) Guadina per mgina^ o fodero è voce ancora viva nei dia-
letti vèneti.
(s) Dalla strana forma di questa voce^ probabilmente guasta per
òpera del copista , non ho potuto ritrarre verun significato.
(5) Oregia per orecchio in gènere femminile è voce ancor pro-
pria del dialetto milanese.
(4) Soldo per saldò, attaccò , dicesi ancora dal pòpolo niilaiMse.
(5) Il copista colla sua consueta negligenza scrisse agiadio ii
luogo di a gladio, com'è ripetuto nel verso seguente; e quindi il
significato di questi due versi è: Chi colla spada suol ftrire è de-
gno di morire colla spada; ciò che fu reso con lieve modificaiioM
nel vecchio proverbio: Chi di coltel ferisce, di coltel peritee.
(6) Qui è d'uopo lèggere: Già fui nel tempio spesse fiate.
DI FIBTAO l>A niMmàPÈ. Stt
Ei g^è un soxero de Cai&x
Ke voi saver qud vitrei fiix i^\
Sì nel domanda palex« mente
Ve^ndo quiii ki gMn presente*
^ Ei gè responde lo Sonora
Gum plane^ e eon amora:
In io tempio ho predieao,
In palese et non m priyao.
In sinagoga et in eontradi,
Là oe li Qadei én congrègàdi;
Onerine quili ki m^àn ol^<^)^
Ke molto speso g^in àbiù;
Illi ve dlran la veritìi
De quel ke K a magisirè.
Un deli (^udeì lì in presente
Levò le man incontinente,
Si gè de tal W suso la maxella,
Ke sangue gè igé ininft^ (^) in terra;
Forte crida centra luì : . ■
Tu mala mente responi^.
Responde a lu lo fiKol de Deo,
Alo crude falso Qudeo;
Humel mente et in grande paxe,
Di^e lo bon Segnòr veraM *
i ) ^pvt un suòcero di Cai fa, che Ptio/ éapite qml pila éi meni.
frase far la vita è propriam^te lombarda.
2) Chiedetelo a gueUt che m'haimo udito.
[5) Qui dobbiamo créderà^, che restasse nella iieaiia del callista
parola schiaffo^ o guandaias oi altra eqaivalsatei
;4) In intro in terra caatieae par eerto <|iialeiie sillaba 41 trop-
. a meno che non intmdesse eipriiiisre:.«iii enùre.ien^,.
384 TOEMRTTO INEDITO
Se digo mal, rendi provan^a ^*\
E si monstrai testimoniane;
Se digo ben, perqué me dai,
Digando eo la veritai ?
La (ente rea e malvaxe e falsa
Si menòn Xriste a Gaifaxe;
A furo (*) et a grande ira
Con tra lu lo populo crida ;
San (^oliane e san Petro
No se tolevano ^ deo (^).
Un grajide fogo era in la casa
0^ la (ente se scaldava ;
Petro ^é là mollo tosto
Ke poca roba aveva indoso.
In quelo tempo era sorada (^),
E tuta nocte aveva vegiado;
Or se scalda pianamente ^^).
Una ancella ke lì era
A Petro pari molto fera (^J;-
Incontra lu eia i à dito:
Tu è de quili k' erano con Xristo.
Responde Petro, e si M negòe;
(1) Provanca per prova è forse licenza del poeta per conseguire
la rima.
(2) Non v'ha dubio, che qui deve lèggersi furor o furore,
(5) Forse deve lèggersi dreo, volendo esprimere, che Pietro e
Giovanni non gli stavano appresso, ma bensi a qualche distanzi.
(4) Dovrebbe dire sorado, come richiede il senso e la- riint, e
significa raffreddato. La voce sordr per raffreddare, ossia diotnìr
freddo j è viva generalmente nei dialetti 'vèneti.
(K) In questo luogo il copista obliterò di trascrivere un verto,
che dovea rimare con pianamente^ e formare il distico:
(6) Si fece a Pietro con alterigia.
DI PlETaO DÀ BARSiSGikPÉ. 89&
Oi, femcna, dise, quelo niente no spe (^l
Un^ altra ancela lì m presenta
Si a dito lo someliante:;
Petro aferma e sicura. <*),
K^ei noi cognosce ni Ì yide nnca <^\
Un altro homo dise a Retro:
Tu eri con Jesn Na^^arend; '■
La toa loquela: lo^ manifesta.
Petro ^ura e si protesta:
]Ni lo cognosco, ni lo so.
Trea fiada lo renegò. >
Lo gallo cantò lì V presente;
E Petro Todi incontinente.
Quando el^i lo gallo xantare, ^
Si s^à comenfà ar^;ordare
De quelo ke i aveva dito
Lo segnor De Jesa Xriste>
Ked el lo deveva renegare
Àn^e k'el gallo devese cantare;
Vergonca n'avé e dolore,
K^el renegò lo so Segnore;
Or se confò a lagremare (^^^
E de grami suspiri a trare.
Li principi deli (^odéi*
Sacerdoti e Phariseii,
Quando tornòn tati adim ,
i) Non lo conosco punto.
2) Zurdr per giurare è maniera {iroprta.dei Vèneti.' ^
[5) Che noi conosce, né lo vide mai. Troviamo epstanleiiUHiie
oa per mai, dal latino tmquam. </. ^
[1^) Ora cominciò a piàngere. ISm v'ha. dqfaie^ di&^ doveva
ivere cometifò. . . :t-r;.r»r.'!*;': jìvi* 'TÀhA 'Vi\;ùifùi v
286 POEMETTO INEDITO
Grande coiisello fan enter loro.
Eri centra Xriste àn ordenao
Ke a morte fi^ condemnao.
Illi menano Xriste a Pillato
lit ànio fato la legato ^').
Juda vide, lo Segnore
In grande pene et in dolore
Amaramente et a grande torto
Dali (^udei dever fi morto (*);
E pensa ke Vk mal fato,
E voleva retrare in dreo lo ptto (*l
Si sen va ali (^udei,
E domandò lo filiol de Deo.
Illi resposeno incontinente,
Ke illi ne voleno far niente.
Lo falso Juda peccatore
Li dinar qetò enter loro;
Dal bon Segnore se desperò
Et incontinente si Tapicò.
Pillato clama lo filiol de Deo,
E dixe: è tu re deli (Judei?
Et responde Jesu Xriste,
Et si gè dixe: tu è djto ^*).
Li principi deli (^udei,
Sacerdoti e Pharisei
Li comem;ano acusare,
E de falsi testimonii dare.
(i) Legato^ per giùdice^ àrbitro.
(2) Dover èssere ucciso
(3) E voleva annullare il contratto. Ancor oggi il milanefe é
ce: tira in drè nel medésimo senso di annullare.
(k) Maniera latina, letteralmente tradotta da dtxifliV tu haiéM
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 387
Pillato dise al Segnore:
Odi que te dixe qiiestor (*^?
Ke illi te dan teslimonianfa ,
E con tra ti fan provan^a.
Lo Segnor sta humeimente,
No gc responde de niente.
Pillato kc a grande torto vide,
Jesu Xriste voi fi morto.
Ad falsità et a buxia
Ulcirc io voleno per invidia*
Laxsa lì lo filiol de Deo^
E vasen fora ali Qudei.
Illi én congregai lì apresso,
Et a lor dixe lì adesso:
Vu avi ordenao,
Ad omiunca pasca de fi laxao (^'^
Un de quili ki aveseno offeso ,
(Je in vostra possa fosse preso.
Qual voli ki vaga in paxe
D'cntre Xriste e Barabaxe?
Tu ti crian: Barabaxe;
Quel voliemo kc vaga in paxe;
E criano molto forte,
Jesu Xriste (i^a morto.
Pillato responde , et a lor a dito :
Que sera de Jesu Xriste?
Non à fato nesun torto,
Perqué devesse esser morto;
No trovo in lu ^ cason ,
(I) Questor per costoro.
(SK) Che ogni anno nel giorno di Pasqua sia liberato dal carcere.
288 POEMETTO INEDITO •
Perqué in lu abià rason (')
De far Xriste degollare,
JNi a tormento tormentare.
E li (^udei crian ad alta voxe:
Pur moira, moira in la croxe (^)
Crucificare pur lo voiicmo
Sor la croxe delo legno.
Pillato vide lo rumore
Kc illi fan contra M Segnore ,
Ke niente el gè jova ^^\
Quando per lu el li pregava;
Ma maior iniquitae
Li cresceva pur assae (*);
Venir el fé de bela aqua
In un vaxelo k^à nome la ca^a ^^);
El le mane si se lavòe ,
Et un donzello a si clamòe^
(1) Perchè in lui abbiate ragione o causa.
(2) Moira per muoja; il Milanese direbbe: cKel mora ; ed il
Vèneto: ch'el mora,
(5) 2j0va per 9tot;a è pronuncia vèneta. La rima peraltro e la sin-
tassi accennano all'errore del copista, che dovea scrivere giowiXKk,
(4) Gli dispiaceva assai. Nel dialetto milanese dicesi rincrès per
rincrescere,
(5) Forse ai tempi del Bescapè chiamàvasi ca^ il catino, o b
catinella , che serve a contener Taqua destinata a lavarsi le mani.
La voce cazza peraltro nei dialetti vèneti ed in lingua italiani
esprìme solo il ramaiuolo ^ che a guisa di cuccbiaja serve a trai'
portar Taqua dai grandi recipienti nel catino. Questo medèsifflo
strumento dicesi in dialetto milanese ixizza^ e chiamasi poi cazsA
la cazza di pìcciola dimensione^ che serve a mestare e seoddtaf^
le vivande.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 289
K' el gc portasse un mantilc (^) ,
Et ali (^udei comenca dire:
Segiior, co me lavo le man.
Vedente vui tuti per man W;
Ancora si è a loro digando:
K'eo no volio esse colpando ^^^
In lo sangue de questo homo.
Li (^udei disseno a lu:
Tuto sia sover nuj
Sovra li filio ke nu habiemo
Tuto lo peccao recevemo.
Ala per fin Pillato de Xriste ic de bailia,
Ke illi fa^^no qo ke illi voliano
Per soa grande folia.
Illi perdonòn a Baraban,
E tolén Xriste a man a man;
Si lo despoliòn tuto nudo/
Si com'el fosse pur mo' nassudo (*),
E no gè lasòn de roba in dosso.
Fora la trasen molto tosto,
l) Questa voce, ch'è pure italiana ad esprimere tof^agliola o
ietta j sì pronuncia ora dal Milanese manttn; quando peraltro
1 esprìmere il pannolino destinato a rasciugarsi, lo distingue
nome di sugamàn.
l) Jl cospetto di K^oi tutti. L'aggiunto per man significa aduno
[ino, vale a dire : iiessuno eccettuato,
5) Colpando per colpàbile o colpévole. Qui per certo il copista
3blìtcrato un verso, che collegando insieme il periodo do-
jbc rimare e formare il dìstico col verso seguente, il quale
zìo rimane solo e staccato. Di una tal negligenza abbiamo già
3, e troveremo nuovi esempi.
i) Appena nato. La frase pur mo'per appena^ di fresco, fu
pre di buona lingua, e deriva manifestamente dal latino ntox.
19
290 POEMETTO INEDITO
Po^ se lo ligòn alo palio,
Si com^el fosse pur un latro,
E de vergelle molte grosse
Si lo ferivano sover le coste.
E tanto gè de (^) per le bra^e e perle gambe,
Ked el pioveva vivo sangue;
E la carne bianca molto s^ascoriva ^^\
Più negra ka coldera eia si pariva ^^\
D^una corona li fan presente
Fata da spine ben ponente.
Più ka lesena ePera aguda (^),
Suso lo co si gè Fan metua;
Et illi gè la metén de tal virtù ^^\
K' el sangue fora g'è insù (^) ;
E d^una porpora Tàn vestio^
A 90 k'el fi?e ben screnido (^).
D'avanzo gè stan in finogion W
Per far de lu deresion;
(1) Qui il copista ha dimenticato la n caratteristica del plora-
le, ond'esprimere : gli diedero,
(2) Sascoriva per s*oscuravaj anneriva.
(5) Parea più nera ch'una caldaja, È tutt'ora proprio del basso
pòpolo e del contado milanese il pronunciare cold per caldo; di
qui appunto coldera per caldaja.
(4) Essa era acuta più che lésina. La voce lesena è propria di
tutti ì dialetti vèneti , mentre il Milanese pronuncia lema,
(5) F'irtù per forza^ giusta il significato radicale della parola.
(6) Che il sangue gli uscì fuori.
(7) Screnido per schernito. Giova avvertire Tuso di questa voce
nel sècolo Xllii, essendo per avventura una delle anticbe radki
itàliche.
(8) Gli stanno d'inanzi in ginocchioni. Il Vèneto pronuncia an-
cora oggidì in zeìiogión^ ed il Lombardo in genogiàn.
DI IMETRO DA BARSEGIPÉ. 391
E per iniquità e per grande ira
Tuto lo pòvelo sen scregniva ^*) :
E si desevano a mala fé:
Deo te sahe, meser lo rex!
In Golgatha va li i^udei
Con eso lo filiol de Deo (*\
Li (^udeì vìdeno un homo
Ke Simon aveva nome;
Si gè fan la croxe portare
E grama mente lo voi fare .^^^;
I^o sei atenta a contradire,
Kc gran pagura ha del morire.
Quando illi fon là andai,
E luti afati congregadi, •
Lo povolo cria tuto a voxe:
Pur moira Xriste in la croxe!
« Ora fó Xriste li ari vado,
E mollo tosto Tàn crucificado.
Là suso in la croxe si rapicòn,
Le man e li pei si g^ ingiodòn (^);
Or lo comencan a ferire
Si com'homo k'ili voleno olcire;
Et in me^o de du latrone
Xriste sostene passione.
Com eso loro in croxe levao
Tutto il pòpolo lo 8chernÌK>a,
I Giudei vanno sul Gòlgota col figliuolo di Dio. È da no-
il modo con esso in luogo di con, che non senza eleganza è
a usato nella buona lingua.
E lo fa a mal' in cuore ^ di mala voglia.
È comune così ai dialetti lombardi come ai vèneti il verbo
ià, inciodàr per inchiodare.
292 POEMETTO FNEDITD
Et in me<;o loro è ^udigao.
L'iin era reo et peccatore,
Forte screniva lo Segnore;
AF altro ne fice grande peccao (*),
Marce gè vene e pietà;
A Jesu Xriste marce clamoe,
E dixe: Meser, in lo regno toc
Quando vorrè li andare,
De mi te debii aregordare.
E Jesu Xriste si gè dixe:
Ancoi sere mego in paradiso W.
Lo Segnore vide la matre stare
Plangorenta e grama strare (*),
Dolorosa e molto trista
Con san (^ohane evangelista.
Intrambi du prese a clamare,
L'uno aFaltro a comandare (*). .
A la matre si dignoe:
Oi^ (emina y ecco lo filiol toc.
Al disipulo disc apreso,
Zò era (^ohane li adeso:
Ecco la matre toal,
(1) L'altro n'ebbe gran compamone. È frase eomune e generale
nei dialetti vèneti e lombardi il far pecà, per aK^er compassione, o
destar compassione. Giova notarla come usata anche ai tempi del
Bescapè,
(2) Oggi sarai meco in paradiso,
(5) Strare non ha verun significato; forse dovea ripètere stare,
o qualche verbo di simile significazione.
{i^) Comandare per raccomandare^ dalla radice latina cotnendore.
Quindi il significato deirintiero periodo è il seguente : Gem Cristo
chiamò a se S. Giomnni e fa Madre Maria, e cominciò a raccfh
mandare l'una alV altro.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 293
Et elo la tén ormai per soa (*^.
Quand^cl vene a traversare ^^\
Ad alta voxe prese a clamare:
Oi^ patre meo, domine Deo,
A ti comando lo spirito meo;
Et oiy patre meo celestiale^
jNo me dibli abandonare!
E la soa testa si inclinòe,
E da beve domandòe.
E un deli (^udei fó tosto acorto;
Axeo con fere g'avé sporto (^).
E quando el n'avé ben cercao (*), .
Et ali Qudei dise: el è consumao.
Ora traversò Jesu Xristc W ^
Quando el ave questo dito.
Ora plance e plura sancta Maria
Del so filiol, ke la vedeva
In la crox esser penduo,
Despoliado e tuto nudo;
) Ed ei la tenne ormai per ma (madre).
) Quando si sentì venir meno, E strano il verbo traversare ,
esprìmere il passaggio da questa all'altra vita.
) Gli porse aceto con fiele. Il Veneziano pronuncia ancora aséo
aceto; il Milanese, asé. La voce fere per fiele poi attesterebbe
la permutazione della / in r ^ che abbiamo già avvertita in
3 barena ed altre, per gola^ balena ^ ec, era un tempo più
iiente che non ai giorni nostri.
) Cercao per assaggiato. Questo senso traslato, ma pure espres-
del verbo cercare^ è ora affatto perduto.
) Il Bescapè non volle valersi del verbo morire^ né d'altro di
il significazione, parlando di Gesù Cristo; ma ripete il verbo
jrsare, cioè passare da un luogo ad un altro, come fece Cri-
che sceso alle regioni inferno, e poi sali al cielo.
294 POEMETTO INEDITO
Dal co ali pei el sanguenava <*>,
In la croxe o' el picava (*) ,
E passionado molto forte
In la crox o^ el pende in morte.
Li ^udei pieni de venin
Sifge mbnòn Tavogal Longin ^^);
E Longin Favogal apenào W,
La lan^a gè mise per lo costào;
E per si grande for^a lo feriva,
Dentro dal core el la sentiva;
E fora per la sancta plaga
. Si insì sangue et aqua.
Lo sangue e Faigua vene in placa W,
Et el sen lavò li ogi e la faca;
Li ogi sen lavò e li menton W,
Posa vide più claro ka un falcon.
Quando el vide^ si lagremò,
Et in greve colpa si clamò.
El vene al sangue, e si'l covri W-
Et a Deo tanto servi,
Tanto gè fé servisii da bon grao W,
(1) Dal capo ai piedi versam sangue.
(2) Ov' era appeso,
(5) Non mi fu dato scoprire la radice deirepìteto avogal dato &
Longino, che sappiamo èssere stato un mìlite romano.
(f^) jipmiao per impietosito ^ mosso a compassione.
(5) Plaga^ cioè sul piazzale ove sorgeva la croce. Forse l'autore
si valse di questa voce per la rima con fa^a,
(6) Dopo aver detto nel verso precedente, ^he Longino se «o
lavò gli occhi e la faccia, ripete lo stesso sostituendo a faccia h
voce mentori^ cioè il mento^ perchè acconcia alla rima con fiikim»
(7) Si accostò al sangue (versato al suolo), e il ricoperse,
(8) Grao per grado^ giusta la pronuncia veneziana.
DI PIETRO DA BARSEGAPÉ. 295
K' el fó po' martiro clamao.
Posa s'è leva un tempo tale (*),
Ke fó molto greve e mortale.
Tuto lo mundo s'atenebrie,
La nocte fó da me^o die (^^;
Peslelentie e terremoti,
Da meco di de vene nocte;
Tuta la gente si se smariva,
Asai g'en fó ki sen pentiva (^K
Per gè fé ben lo re Pillato,
K'el se lavò da quel peccato.
A mala mente et a grande torto
Jesu Xriste si è morto.
Tuta la terra si tremòe
Quando Xriste traversoe.
Multi corpi én suscitadi,
E da morte én su levai;
La luna, el sol si se obscurì,
El tempio grande se despartì ^^^.
DeuSy aida ^^\ dix sancta Maria,
Questa si è grande malvasia (^)
Ki à fa sto ^udeo
In lo dolce filiol meo.
Or clama e dix sancta Maria:
) Qui il nome tempo è adoperato per procella j temporale ,
' è tiitt' ora in uso in tutti i dialetti cispadani.
) Tutto il mondo fu coperto di tenebre, sicché fu notte a mezzo
orno.
) Ve n'ebbero molti che si pentirono.
) Spartisse per fèndersi, divìdersi è ancora vivo nei dialetti
)ardi.
) ^ida per ajuto, soccorri. In italiano dicasi pure aita.
) Malvasìa per mahagitàs iniquità.
POEMETTO INEDITO
F'u ke trav^ersai per la via^
E lai e qvai a mi vegi ^*>,
Lo meo dolor si vederi
S'al n'è nesun lo someiante
j4l meo dolor ki è cotanto.
Sin g' invida le soe serorc ^^\
Kc sego plangan sto dolore.
Or plangan e pluran molte forte
Del so fìlio, k^ela yè morto
A gran peccao e mala mente
Flagelao, e grave mente.
Deus^ aida, dix sancta Maria,
Plangemo tuie in compagnia;
Plance mego le me serore,
Planai mego lo grande dolore^
Planai mego del meo filiol,
D'ond'eo ne porto lo grande dolo^
Ke sempre è stado bon e Itale ^
Sanga peccao e sanca male^
Da k^el insì dal meo ventre^
Casto e puro è viVudo sempre;
E da k'el fó ingenerao^
Sanfa macula è alevado;
Sempre à servido ali ^udei
Lo dulcissimo filiol meo;
Dal meo filio illi àn ahluo
Tufo quel ke li àn voliudo.
(i) j4 ììw gìmrdate, È manifesto, che qui l'autore imprese a
voltare letteralmente nella sua lingua la lamentazione del Profeta:
O POS qui transiti^ per viam^ altcndite^ et videte^ si est dolor w«l
et dolor ineus,
(2) Serore per sorelle^ dal Ialino sorores.
DI PISTRO DA BERSEGAPÉ. 297
Per inv>idia^ et a grande torto
Li ^udei si me Vdn morto.
Quando ePavé 90 dito et a tuta fiada,
Si fó in terra strangosada (*\
Le tre Marie g'én presente
Le que^ si n'én grame e dolente,
E le ne portan lo grande dolore
De la morte del Salvatore.
Plan^en tute in compagnia
Con la Vergene Maria;
Or plancen tute tre serore
Con grangi suspiri e con dolore ^^>
Del bon Segnore Jesu Xriste,
Lo qual in crox è ca finito,
Si com^eo ve n'ò aregordào,
E denan^e n^abiemo parlào.
Certo li Qudei si ne fén sogura
Conlra '1 Segnor ie fén cura;
UH perdonòn a Baraban;
Xriste olcìseno a man a man ,
Ki era iusto, e bon Segnor;
E quelo era latro e traitor,
Et, oi tapia, miseri, dolenti!
Com poivo esser grami sempre (^)
Li latron miseri Qudei,
Aver morto lo filio de Deo?
) Cadde a terra angosciosa e si?enuta.
) Grangi suspiri per grandi sospiri. La permutazione della d
nella voce grangia è la stessa della t in c^ che abbiamo av-
to più sopra.
I Come poterono èssere sempre tristi. La voce poivo è forse
ala per incuria del copista.
298 POEMETTO INEDIXO
Oi, Deus, dida, sancto patrc,
Com pensòn questo a fare,
K^el mundo aveva in soa bailia,
Pensar de lu cotal folia?
E lo fiol de Deo veraxe
Tuto lo recevè in paxe,
Ke ilio fó prò e forte (*) ,
Et obediente de fin ala morte;
Ouand'el vene a traversare,
A lor degnò a perdonare;
Al so albergo el g'invidò,
Quando lo co el gMnclìnò.
Et oi, Jesu Xriste Deo veraxe,
Manda a nu la toa paxe.
Lì im presente era un homo,
Ke Josepo aveva nome,
Et era d'una terra maralvaxia (*);
Vene a Pillato, e si 'I queriva (^);
E questo Josepo era bon e liale,
E molte ie desplaque questo male,
E dixe: eo son stao tò soldaero (*),
Ni anche altro da ti no quero ^^),
Se no quel propheta, s'el te plaxe;
K'el volio melere entro lo vaxe.
(1) Poiché egli fu prode e foì'te.
(^) Non sapendo come interpretare questa voce, l'ho trascritta
letteralmente come sta nel còdice. Egli è per altro evidente^ che
qui Tautore parla di Giuseppe d'^rimatea.
(3) f^enne a Pilato, e il richiedeva,
{h) Io fui tuo soldato. È singolare l'affinità, forse accidentale, tn
questa voce soldaero e la corrispondente inglese soldier,
{&) Ne altro da te chieggo.
DI PiBmo^ HI nusKAPÉ. SMi
Pillato g^e» dà la parolla (*>^
Ke con la bopa^^reotura la lolla W^
S'iù fa^ $oa volontà, . #
Ke 9a no li aera veda (*>•
Josepo Pillato r^ratià,
Et a Jesu Xriste ai è rotornà.
Et Josepo e Nioodemo
Si gè desclavò te matt e li^iei (^>,
Per amore e per grande servixio
Lo trasseno (OSO dd cracifixoW,
Et Josepo aveva un bel pano .
Lavorào e ben feto;
Iniò dentro si l-involfò W,
E po^ 4 portan via da inld;
Si Io portòn al monumento
Ke ole più ke no la plomento O;
(1) Pilato gliel promette,
(2) Che ccm buona pace se lo prenda. Tutti i dialetti vèneti e
ombardi fanno sempre uso del verbo tògliere per prèndere^ il
]ual ùltimo è esclusivamente proprio della buona lingua. Cosi il
Milanese direbbe : ch'el n*eì tSja; fo/ A>Ji(; ed H Vénesianò: et w
lo toga; tò; tolìloj per esprimere : mh^^rmidàiprmidi/prenièitlo.
(5) Ne faccia ciò che omle, eAe non gli mrà vietato. Fed/àrs e
ì>edà^ per vietare è affatto igiiplo ai dialetti eispadand, che fiiitno
Qso del verbo proibire.
(4) Gli schiodarono le moni ed i piedi «•
(5) Lo trassero giù dalla croce. La voee jroao per gfWfOj è f/m^
pria del Veneziano. - - .
(6) Colà dentro Pinvolse. Il MOanese direbbe :«ir4 inpolUi.
(7) Che olezza ben pia che nmHiea.H vo^bo efarderiva nÉanif»»
stamente dal latino oierf. L'espressibDe, dbe no /Kè'iaanierà tslta
propria del dialetto lombarda ineora io uso. Ho poi Ibterpretalo
plumento per melissa, come l'ertMi aromfttieii pftb idipmÉla e -^
, • ' ■. . \k ' i: ^^>** .. Ili;- ii * y : y^? • i i W - ■ ? • *;.» ; i^r
300 POEMETTO INEDITO
E qucle sanctc compagnie
Et asè plura le tre Marie,
K^elle portòn per bon tallento
Lo sancto pretioso unguento.
Lo sancto corpo si è ingorvernìo ^*).
L^ anima sen (é aF inferno drita.
Quando ad inferno fé Jesu Xriste,
Passò serpenti e basilischi.
Tanto g'intrò e ferro e forte,
Ke tute se dexbrixò le porte (2);
Le porte rompe e dexbrixò,
E Lucifero incadenò;
Lucifero se mise in cadena,
E li soi amixi trase da pena.
Quando el trase fora Eva et Adame,
Isac, Jacob et Abrame,
Isaia ne a trato in quela dia,
Natan prophela, et Ysaia,
nota, e come quella che in lingua provenzale denominàvasi ap-
punto piment. Da questa radice medésima trassero forse gli Spa-
gnuoli il nome pimiento da loro dato al pepe, ossia al capsku$
annuus.
(1) La voce ingorvernìo è certamente alterata dal copista, che
vi aggiunse un r e vi omise una t, dovendo scrivere ingovemito,
che meglio consuonerebbe colla rima dritto, e derivando dalla
radice governare^ che abbiamo appuntata alla nota (2),pag. 245, si-
gnifichereb])c riposto deposto,
(2) Che tutte si spezzarono le porte. Seguendo la règola costante
dovrebbe èssere scritto dexbrixòn per il plurale. In questa voce è
manifesta l'affìnità col briser dei Francesi, e col brechen dei Te-
deschi, che hanno il medésimo significato. Eguale affinità serbi
altresì col verbo sbregàr dei dialetti vèneti e collo sbregà del ini-
lanese, che significano lacerare, stracciare.
DI PIETRO DA BARSEGÀPÈ. 301
Ei propheta Sacariel,
Jeremia et Israel (*);
S'in trase Moises et Aaron,
David profeta e Salamon,
E luto Io povol de Israel,
E la compagnia de Moises,
E thomasen et anoe (^^
Inlora parti li bon dati re\
Quando F inferno el spoliò,
Al monumento retornò;
Al ter^o dì k'el resuscitò,
Partise da li, e si sen'andò,
E si sen ^é in Gallilea,
Per fufire la ijente (^udea.
Le tre Marie portòn un unguento,
E si sen^andòn al monumento,
Là oe Tera metuo; si guardòn;
Lo sancto corpo no gè trovòn.
Lo sancto angelo g^ apari
Li o' era le tre Marie,
E tute tre suso un predon (^)
Si stasevano in grande pensaxon <*);
E fén sembianza de tremore,
Quando eie videno lo splendore.
) Forse voleva esprimere Esdra^ forzandolo alla rima.
) Ilo trascritto questo verso tal quale sia nel còdice^ onde il
re di me più sagace possa indovinarne il significato. Vorrebbe
per avventura : e Tomaso, ed anche Noè? Il senso e la rima
vi ripugnano; ma non è chiaro.
) Abbiamo visto preda per pietra^ che ancor oggi nel contado
ii préa; ora troviamo predòn per masso, gran pietra.
) Pensaxon per meditazione, pensiero. Forse la desinenza è
forzata per la rima.
302 POEMETTO INEDITO
Lo sancto angelo si Ai a salutoe,
Po' le queri, e domandoe;
E si gè disse con grande amore:
Non abià vu ^a timore;
Mg que aspectàvu (*), tre Marie?
Eie resposeno, e si desevano:
Nu aspectemo lo Deo possente.
Ki è ìnsuo del monumento;
Ke ancoi aPalba del maitin
Aparì un sancto pelegrin;
Nu Fatendemo e li soi ministri,
Ked illi cuintan ^^\ k'el sia Xriste,
K'è verax padre e Segnore,
Ke de tuto lo mundo è creatore,
Ke soffrì la grande pena,
Ke l'à vecu la Madelena W;
Andrea e Petro lo van cercando,
E li discipuli e li altri sancti.
Dix r angelo: vu queri Jesu Napiro
Crucifìcao dali (^udei?
In Gallilea ve n' andari;
E li aloga lo trovarì.
Or ve n'andai. Le tre Marie
Cum sancta gratia replenìe
Didi W ad Andrea et a Pelro
(4) li pronome posposto al verbo interrogativo eolla forn»
aspectà'Vu, accenna alla rimota influenza dei dialetti occitànici e
francesi : che aspettate ?
(2) Cuintan per raccontano. Il Milanese odierno direbbe ctmMi.
(5) Poiclhè la Maddalena lo vide,
(li) Didi è senza dubio errore del copista, che dovea scrivere
dixe, dissero.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 303
Et ali altri sancti kil rcqvicrono,
A sancta Maria et a san (^oane,
Ke li alò Io trovaran.
In Gallilea ^é lì sancti,
Là o^ era suscita dolo e pianti
La soa matre gloriosa,
Kè fó de Deo regina e sponsa,
E soa matre et soa filia;
Questo fó grande meravelia t
Et elio filiol e patre .
Si com' el vose comandare <*).
E in alo ter^o dì k^ el suscitò
Ala Madelena se monstrò;
E la Madelena entro Torto era;
E Jesu Xriste §é là o' ePera;
E quela prese a guardare,
E Jesu Xriste vide lì stare.
Quela a lui si sen'andò,
Et ali soi pei si se butò;
E li comen^à mercè clamare,
Si com' el' era usada fare.
E Jesu Xriste si la segnore (^) ,
Partise da lì, e si sen'andoe.
A san Petro et ali altri frai
Plnxor fìada si s'è monstrà;
E per terra e per mare
Pluxor fiada a lor g' apare.
I Siccome ei volle coìimndare.
) Per nuovo errore sia scritto segnore in luogo di segme;
a dire : la benedisse. Cosi almeno riciiiede il senso e la rima
304 POEMETTO INEDITO
Una sema (*) k'i eran vegnui
In t^una casa tuli aduni,
Molto grami et penserusi
(Per li Qudei eran ascusi),
Avevan serao le fenestre e li usgi (^>,
Et in grande pagura stavan tugì;
Molto staxevano in grande error,
Quando Jesu vene intre lor;
Jesu Xriste vene in metjo,
Et a lor parlò adesso;
Entre lor vene, e disse: stè in pax.
E tuli cognovén Dco verax (^).
Pax a vui, el dix a lor,
E'son deso, non abiai timor.
Si ke ^.ascaun T afigurò W;
Ma san Thomax gè dubitò.
San Thomax illora no g'era,
Quand'el vene la sancta spera (^);
Quando Jesu fó ben cognosuo,
E san Thomax si fó vegnuo,
El no crete (^) la verità ,
Fin k'el no tocò le plage;
^1) Qui pare che debba lèggersi una sera^ giacché ^ema^ com'è
scritto nel còdice, non ha verun significato, a meno che non vo-
gliasi risguardarlo come un derivato della radice latina semel, che
appunto -significa una volta.
(2) Aveano chiuso le finestre e gli usci,
(5) Cognovén per riconóbbero,
(4) Sicché ciascuno il riconobbe.
(5) Spera è per me voce ignota , giacché la significazione di
sfera che ha in nostra lingua mal s'addice in questo luogo.
(6) Crete per credette. Nuova trascuranza del copista.
DI PIETRO DA BARSBGAPÉ. 3Ù5
E lo Segnor dixe: Thomax.
No cri tu ke sia Dee verax?
Vedi le man, vedi li pei,
Vedi le plage, fradi mei.
E Jesu Xriste si annuntià;
Beati ki vite ^*), e ki crederà!
Ma più beato sera colù
Ki no vite, e crederà a nu!
Inlora sape sen^a tenore W,
Ke fera ben lo verax Segnore.
Quando fó si ferma la creden^'a^
La pasca fén per alegran^a.
Tri di avevano ^i^unao ^^),
Per lo Segnor ki fó penao;
Ki no mangiaven, ni bevevano,
Per grame^a k'ili avevano;
Ma lo Segnor si li alegra,
De sancta manna si li sa^ia;
Cum pianeta e con mensura,
Si g' averse la Scriptura <*),
Ked ili cre9ano con la mente ^
K' el sia deso verax mente.
Quaranta di apari a lor
Jesu Xriste lo Salvalor;
De sancto regno k'el gè parlava,
E de ben far li amagistrava.
f'ite per vide.
ylllom seppe senza riserva (senza alcun dubio).
{Hcunao por digiunato. Nuovo esempio della frequente per-
ione della d in e.
Apre loro la Scrittura. Averse per apre è voce ancor viva
alclti vèneti. 20
306 POEMETTO INEDITO
E poMìxe ala soa matre,
Ke la se debia confortare;
In breve sarà in tal compagnia ,
Ke mai no sentirà de iagnia ('),
Più luxerà lè speritale ^*),
Ke no fa stella ornale;
Sempre staremo mi e lè
In la marce del patre meo,
A reclamare solo timore (^^
Marce per tuti li peccatore.
Lo patre meo si creò lo mando
De fin al cello in lo profundo (^);
E cel, et airo, et aqua, et terra,
E luto quanto sover el'era.
Za intro loro m' à trametuo ,
E mal cambio me n^àn ren^uo (^>;
Vu sa ve ben la verità,
Si cum'eo fu crucificao;
La mia morte e' ò lasao scripta,
E cum^eo son tornao in vita;
E vu diri entro li sermon
La mìa morte e la mia resurrection.
(i) Lagni per lamenti, e laynàss o lagnarse, per querelarsi son
voci comuni a tutti i dialetti cispadani.
(2) Forse significa spirituale, cioè: Ella (Maria) fatta spirito^ri-
splenderà ben più che stella mattutina,
(5) Cosi sta scritto , né è possìbile darne fondata inlerpreta-
zione. Bensì potrebbe darsi, che l'ignorante copista invertisse il
posto di due vocali , scrivendo solo timore, in luogo di solito
more, ciò che darebbe un giusto senso al periodo.
(4) // Padre mio creò l'universo, dall'alto de* cieli sino alPaUm»
(5) E me n'han reso un cattivo concambio.
DI METRO DA BARSEGAPÈ. 307
E dixe ancora a (^oane et a Petro^
Curi) io luundo era lo so guerero;
Lo mundo ve laso, e si M refudo,
Quel mundo si no m^à cognosuo;
Al mundo vigni, al mundo cognovi,
E lo mundo no cognove mi (^).
Così ve digo e ve responso,
Ki è con mego no si con U mundo ^^K
Vedente loro el se levò, '
In Paltò cello si sen^andò;
In quelo regno glorioso,
D^ avanzo alo so patre pretioso.
Li disipuli delo Segnore
'An abiù lo grande dolore,
Li que romasen 50SO in terra <^^,
In dolor et in grande guera;
Und'al Segnor li a laxadi
K^ el no li à sego menadi;
E si in romasi de dreo
In quelo monte de olive;
Et levan li ogi inverso cel.
Et al Segnor si guardano dreo.
Du angeli veneno adesso a loro,
Si com plaque al creatore,
Molto belli et avinenti (*>,
y4l moìido venni ^ il mondo conobbi^ ed il mondo non mi
ìbe. Sono evidenti le radici e le forme latine.
Chi è con me , noìi sia col mondo.
Essi che rimasero giù in terra.
Anche la voce ax>i?enente, ossia di vago aspetto^ era dunque
coH'odicrno significato anche ai tempi del Bescapè.
308 POEMETTO INEDITO
Vestidi de bianco, e belli e ^enti (*);
Si gè diseno incontinente:
Oue favu (^^^ qui , bona ^ente ?
Là suso in cello perquè guarda,
Drè alo Segnor, là o' el è andà?
Si com Favi ve^uo montare ^
Lo veri ^a 50S0 tornare.
E li angeli si ^éno via W
Entrambi du in conpagnia;
Là suso in celo si én tornadi,
Là illi staràn sempre exaltadi.
Li disipuli vano vìa;
Ouela bona compagnia
In Jerusalem sen van ascusi
Molto grami e penserusì,
Und'el Segnor li abandonò;
Perqué in terra li lasò,
K' el no se li menò dreo
Ouand^cl montò là suso in celo.
Lo Segnor si li amò tanto,
K'el gè tramise lo Spirito Sanclo;
Jli dise du vene in lor (*>,
Aprisi fon de grande amor,
E de seno e de scriptura ,
(1) Forse significa cinti, qualora non fosse una sincope di gen0-
(2) Che fate voi qui, buona gente?
(5) E gli angeli partirono,
(ft) Ho trascritto questo verso come sta nel còdice, ma non mi
fu dato ridurlo a chiara lezione, correggendo gli errori del co-
pista che lo rèndono oscuro. Si \ede peraltro che dovrebbe ^gni-
ficarc: jdppena lo Spirito Santo scese in loro, furono comprisi
da grande amore , ce.
DI PIETRO DA . BARSSGAPÉ. 899
E de grande bona ventura^ ' ^^ .
E de sapientia e de bontài, :. i»
E de tuta grande lialia.
Grande mente én confortai ^ ^
K'illi se teneno asegurai; .
Spirito Sancto si è in lor ^ •.-
Ki gè dà forga e valor,
E grande seno e grande iftentorisi;.
De dire delo S^nor de gloria; ,; .
E quando illi se veneno a despaiilire,
Tuli se baxòn aèn^a mentire (,*>.
Ora se despargeno p^r lo tnundoiC'^,:
E digando ad omionca beano , }>^
Ke Jesu Xriste si fó^naorto : -
Amaramente et a grande tbtto^w -
E da morte è su leraa^.
In alto cel si n^è andao;. .
E van digando in palese .
La sancla vita ked el fawva; : ^
Gum'el vene in questo mundo, '.
Per scampar omiunca homo. n.
Dele man de vegio antieo
Sathanas crude inimigo;; N
E van digando ste novelle
E per cita e per castello, . • .
Là o^ è li grangi imperatori (^),
Marchixi e conti e grandi segnori (^);
) E quando si separarono, si baciarono cordialmente.
) Si spàrseno per lo mondo. • • - V. -. \.
) Là ove sono i grandi imperatori. ■- ' ' :. • .
) Se non bastassero la lingua, io stile e l'intero <6Milo< del
onto a pòrgerci idea esatta dell'assetata 'TénèsaDA^dall'AMiiire ,
340 POOIETTO RIEDITO
Palexe mente , ve^ntc omìomo
De questa saneta passìon
Ke sostene Jesa Xrìste^
Lo qual fó lor magistro.
No temeven de niente,
Ke illi no deseseno palex mente;
Ke illi no spianasene <^^ la scriptm*a
Là o^ eFera la più dura.
Tuta ^ente amagistrando,
E Io batexemo predicando.
Meravelia quel kMlli dìseno
Dek fé e del batesemo^
Predicando la Trinitai,
Ke omiunca homo vegnia a cristinità.
Asai dela 9ente segueno lor
E con la mente e con lo cor;
Predicando franca mente,
La Gesia (^) cresce grande mente;
Tuto lo mnndo va parlando
De 90 ke quisti van digando,
E de seno e de savere, ^
De grande vertù ke illi paren avere.
Lo patre Deo creatore
Grande vertù si^ fa per lor ^^);
No vene a lor a men de niente (*),
K'cl con lor regna sempre.
potremmo ora appuntare i marchesi ed i cwiti del sècolo d'An-
gusto!
(ì) Splanaseno per illustrassero.
(2) Il Lombardo pronuncia ancora adesso Giesa per Chiesa.
(5) Per mezzo loro fa grandi mirécoli.
(4) Pare che debba intèndersi: Non ricuso laro cosa ahmm.
Df PIETRO DA BARSEGAPF. 91 k
Et a lor sì fé una impromessa,
Kq a lor fó de grande grande^a <*);
Ked el nolia abandonare W^
Fin k^el mundo sia durare,
No a fidel li soi corpi ,
Ke per lu debiano esser morti.
Or se stan d'avanzo li re.
Predicando la sancta fé;
D'avanzo conti e marchixi,
Et afermano in palex,
Ke Jesu Xriste si è Segnor
Verax, patre et salvator;
K' el fé cello et la terra,
E descendé in la pon^ela;
Recevé morte verax mente ^
Per salvare la humana ^ente;
E cum'el ter^o d'i e! resuscitò,
E cum r inferno el spoliò,
E trase fora li soi amixi,
Si cum la Scriptura dixe.
Incadenò lo inimigo,
Quel superbo vegìo antigo;
E trase fora et Àdame et Eva,
E tuli li bon ke lì era;
Li propheti e li sancti patriarchi ^^\
E li menò in vita eterna.
Non v'ha dubio che in luogo di grandega qui doveva èssere
o: allegrezza.
Qui troviamo un esempio del verbo latino nolle volgarizzato:
ì non {coglia abandonare il mondo, finché sarà per durare.
I Quivi il copista obliterò un verso, che, rimando con patriar-
[lovea compiere il distico.
312 POEMETTO rif EDITO
E li aloga li governa <*\
E ki voi il andare
In questo a demorare,
Tegnia Xrisle per so Deo,
E lasa stare lo van e reo;
Tegnia la fé drita e veraxe.
E fax^a quel ke a Xristc pfóxe;
Et adora in Trinità
La divina maiestà;
E sclìivic Satanaxe,
Omiunca idola se destruga <^),
Entro lo fogo se conduga,
Ke non àn intendimento,
]Ni alcun cognoscimento;
Ben è raxon ke le siano destruge,
E tute afate siano conbuste.
Ouisti regi et imperatori,
Conti e markixi e grandi segnori
Si fon irati contra li descentre -
De Jesu Xriste omnipoente;
Si li fan marturiare,
E de grande pene durare,
In la croxe pene soffrire,
Taliare le teste, e morire;
Hi se leganao scortegare ^^\
(1) Ed ivi li conserva. Giova avvertire il costante uso del verbo
goK^ernare per porre in serbo, custodire,
(2) E cosa strana il trovare il nome ìdolo in gènere femmìiifle.
Forse Tautore dal nome latino neutro plurale idola trasse la ca-
ratteristica del femminile volgare.
(5) Colla sòlita negligenza il copista scrisse leganao in laogodi
laga^an, vale a dire : lasciavano, dal verbo lagà, sul quale lèg-
gasi la nota (*) a pag. 264.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 313
An?e ke ìllì volìano Deo negare *);
Et si stano molte forte.
Et in grande paxe toleno la morte ^-\
Alegramenle e cum bon core,
Si ke la morte no gè dorè ^■^\
En cosi van l'anime de lor
In paradiso alo so Segnor,
In questo logo resplendente,
E li stan alegramente;
Jesu Xriste lo bon Segnor
Si gè fé a lor grande honor.
Li sancti corpi pretiusi
Privadamenle fin ascusi,
Sepelidi e governadi (*) ;
Tuti son sanctificadi,
Deo fare per lor vertù ^^^
Segondo kello ^^^ ke nu avemo ve^u.;
Cesie g' è fate alo so honor (^^ ;
In» nostra terra n'è pluxor.
Clamemo marce a Jesu Xriste,
Lo qual si è verax magistro,
Kè n'dia gratia de ben fare;
Questi due versi insieme significano: Eglino (gli Ap(>stoIi)
dava no scorticare piuttosto die rinegare G. C.
Toleno la morte per subiscono, o rtcèi?oiio la morte. È co-
; l'uso del verbo tògliere per prèndere, richere.
Il dialetto milanese si fa di nuovo manifesto nella voce dorè
uole^ essendo ancor viva la voce dòr colla stessa significa-
Governodi per riposti; veggasi la nota (2) a pag. 245.
Iddio operò prodigi per mezzo loro.
Il copista per negligenza scrisse kello per quello.
Chiese ( cioè templi ) furono edificate in loro onore.
314 POEMETTO INEDITO
Kc nu abicmo vita eterna
D^ avanzo Patta segnorìa
Gum quella nobel compagnia
In secula seculorum. //men.
Petro de Barsegapè si voi ancora
Tractar, e dir del Segnore,
K'el vorà dir e fare,
E li bon e li rei ^udigare*,
E se vu volisi, bona ^ente,
Questo dito ben intende,
Sì ven dirò in grande parte
Si cum^ el è scripto in queste carte;
Et eo prego per bon amore,
Ke vu debiè intende, boni segnor,
E vu donan (*), ke sì presente,
Prego ke vu debiai intende;
Onesta non è pan9anoga d'inverno W^
(3),
Quando vu stè in grande so^orno
E stè a grande asio a pè del fo^
(1) In questa voce o fa d'uopo trasportare rultima n inana l'a
elle dovrebb'essere e^ formando cosi e voi donne, che siete prt
senti; oppure staccare la sìllaba an che significa anche^ piirc^ leg-
gendo : e voi purc^ o donne, ec. Ancor oggi il Milanese pronuncia
nel plurale i donn per le donne,
(2) Qmsta non è fàvola d'iw?emo; vale a dire di quelle che «
raccontano al fuoco nelle lunghe sere d'inverno. La voce fOsnsA-
nega è ancora viva nel dialetto milanese colla stessa significauooe
dì fola.
(3) In grande socorno qui significa : per lunghe ore.
(4) Tutto questo verso con lievi modificazioni s'accorda neBc
forme col dialetto milanese odierno. E ^e ne state agiatamenk a
pie del focolare.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 34 5
Cum pere e pome quando e' lejo (*);
Mo se vu intendi ben la raxon,
Vu si n'avri grande pensaxon W;
Se più de prede no seri duri,
Vu vi n'avri de grande pagure (^^;
Si intendi questo sermone
Ke ve volio dire per raxon,
E se vu ve de ben ad intendimento,
Qualche cosa n' avivo imprende W.
Quel homo si è malo ke tropo s'asegura
In avere grande ridiede e stare in aventura (*);
Ke i' ò veguo ventura e grande rikeje
Ki én devenue a grande baserà.
Lo secolo è fragele e vane;
Tal g' è anco, no g'è doman;
Zascaun devria pur pensare
En (^) in ben dire et in ben fare;
E sovra li quatro pensamento ,
Ond' omo vene a salvamente.
Lo prumer si è de strapasare ^^) ;
Con pere e mele quand' io leggo.
Ye avrete argomento di grande meditazione,
5ono costanti le forme vernàcole di pagura per paura,
per pietra^ e simili.
gualche cosa ne apprenderete.
n questo luogo aventura e {pentura^ com'è ripetuto nel verso
te , significano pròspera fortuna.
^er errore deiramanuense è scritto en per et,
U primo si è quello della morte. Ancor oggi nel dialetto mi-
rùstico la i di primo viene scambiata in ù, dicendosi elpriim.
5 strapasare è la stessa che l'italiana trapassare per morire;
bìamo già visto usata dal Bescapè l'altra: traipersare collo
significalo.
Sì6 POEMETTO INEDITO
E Io segondo de resuscitare;
Lo terfo si è del paradiso;
LfO quarto è inferno; 90 m' è viso.
Ki penserà sovra quisti quatro,
Za no farà mortai peccato;
E quel ke no gè pensarà,
Se ben el vive, mal g'avrà.
A verno dito de questo mundo,
E de que è fato Pomo;
E cum Xriste vene in terra
In la sanctissima pol^ella;
E cum el portò grande passion/
Per nu aver salvation;
Ancora g' è un poco a dire;
No ve recresca del odire,
Com Io Segnor omnipoente
Zudigarà Fumana ^ente.
Alo gudisio, al dì de Tira
Ke li sera de grande ruina,
E li sera podestà
Forte mente acompagnià,
E la celestià cavalaria,
Zoe li angeli gloriusi,
Cum tuti li sancii pretiusi;
Li sera Io grande splendore,
Ki resplenderà cum fa <*) lo sol ;
La divina maiestà,
Pretiosa podestà,
Jesu Xriste possente,
Molto forte e grande mente
(i) Odesi tutto giorno nella bocca del pòpolo lombardo com!
per siccome, del pari che.
DI PIETRO DA BARSEGAPK. 31 7
Se penerà suso la cadrega ^*)*5
E d'avanzo lu la nobel schiera,
E ciireri e tubaturi (*) ,
E li grangi e li menuri (^^;
Omiunca persona debia li andare
A qiielo aregno genera (*^;
Molto tosto e prestamente
Asemblarà tuta la ^ente;
Le grande vertue dal cel vera,
In Josaphat la condurà
L'altissimo verax Deo^
Per ^udigare Io bon dal reo.
Mo li sera si grande fortuna ^^^
idrega per sedia è voce comunemente usata nel dialetto
1 ; il vèneto dice : carega. Qui per altro dobbiamo interprc-
[• trono.
ubator chiama il Milanese il pùblico banditore^ perche fa
aba^ o tromba.
i grandi e i subalterni , vale a dire: tutta la gerarchia
quelt arringo generale. Il copista ha messa anche qui fuori
la n, che dovea precèdere e non seguire la gf, formando
diccvasi ancora volgarmente rengo e rengaj ma qucstia
)mparve del tutto dai dialetti^ dacché cessarono le concioni
la prova evidente della prevalenza del dialetto vèneto nella
critta del sècolo XIII ci porge là frase : sarà sì grande
ond' esprìmere una tremenda procella , mentre il Vene-
stingue appunto ancora oggidì col nome di fortuna le
le più pericolose e più fatali dell' Adriatico. Che tale è
ire il significato di questa voce, è chiaro dai versi seguen-
ilice: che farà turbare il sole, la luna, le stelle e gli eie-
jc. ec.
3ÌS POEMRTTO INEDITO
Turbar fena Io sol e la luna ^*) ,
Le stelle del cel e li alimenti (^) ,
E Taire e tuti li firmamenti.
E ben vcl dixe la Scriptura,
Ke li apostoli avran pagura^
Quando illi vederan lo cel piegare (^^5
E li archangeli an tremare.
Mo quando quili avran tremor^
Que porà dire li peccator, -
Kc no saran mundi ni lavai
Dali crudelissimi peccati?
Multi poran esser dolenti,
Ke là no trovaran parenti,
Ke posa Tun l'altro asconder,
Ke molto avran desi a dir (*).
Oi Deo, cum seran beati
Killi, k'eran W iusti trovati!
Partir i avrà lo Segnore
Si cum fa lo bon pastore,
Ki mele le pegore da Tuna parte ^
E lì capri li mete desvarte (®);
K' el meterà li bon dalo lado dextro ,
E li malvaxi dalo' lado senestro;
(i) In luogo di fena lèggasi farà,, essendo manifesto T errore
del copista.
(3) Qui pure in luogo ài alimentij dèvcsi lèggere elementi
(3) Piegare per piegare; cioè^ quando vedranno il cielo ICDW-
porsi.
(4) C/ie mollo avranno a pensare a se stessi,
(ìi) In luogo di k'eran^ lèggasi ke firan o seran ^ vale a dire:
che saranno trovati giusti/
(6) E mette i capri in disparte.
1)1 l'IETRO DA BARSEGAPÈ. 349
E si farà comandamenti,
Kc omiunca homo intenda queta mente
La sen lentia k^el voi dare,
E manifesta lo ben dal male.
Ki avrà fato ben , so sera ,
E cum eso iu Io trovarà ^*) ;
Ki mal avrà fato, Io someliente,
Cum eso Iu el sera sempre (^).
Ora arenga ^^) Jesu Xriste
inverso lì bon dalo lado drito W,
E a lor dixe lo bon Segnor,
Cum grande pianeta e cum amor:
Vu, benedicti, veni a mi,
Ke vu siai li ben venui!
Vegni via alo regno meo,
Ki v^è aprestado dal patre meo;
Fame e sede me vedisti,
Grande pietà de mi avisti;
Vu facisti caritae,
Vini e pane me deste asae;
Vu me vedisti peregrinare,
Cum esso vu me fisi stare <^^;
Nudo me vedisti e mal guarnido,
E ben da vui fue vestido;
Infermo me vedisti et in prexon,
Chi avrà fatto del beiie^ sarà suo^ e lo troverà sempre in sé
Similmente chi avrà fatto il male, lo porterà sempre seco.
Arenrjn per arringa.
Rivolto ai buoni dal lato destro.
Presso voi mi ricovraste.
320 POEMETTO INEDITO
De mi portasi compassion (*);
E se eo veneva povero o nudo,
Cum alegreya fu recevudo;
Per carità m^ albregasti ,
E vestimente me donasti;
Sed eo fu^ infermo et amalao ,
Da vu fiva ben revisitao (^);
Molto n'avisi pesan^oa e dolo^^),
Sicum'eo fose vestro filio. *
Diran li iustì ad una voxe
Là o' sera la verax croxe:
Quando te videmo, patre sancto,
Ke nu te servimo cotanto (*)?
Dix li insti ancora a Xristo:
Di, Meser, quando fó questo,
Ke nu te videmo in povertà,
E ke nu te fessemo carità ?
E lo Segnor dirà a loro
Humelmente con grande amor:
Quando vedisti lo povero stare
D'avanzo vu marce clamare^
Nudo e crudo (®) e mal guarnido,
(i) Di me aveste compassione.
(2) S'io fui infermo ed ammalato^ da voi veniva rifocillato. In
luogo di re{>isitao dovrebbe lèggersi revisiao^ cioè refiziao, come
tutt' ora dice il Veneziano ond* esprimere rifocillato.
(3) Ne aveste grande afflizione e dolore. La voce pesangoa deriva
manifestamente dalla provenzale pesance che appunto significa af-
flizione, e dalla quale ebbe orìgine la voce castigliana pesadumbre.
(4) Quando avvenne^, o Padre santo , che noi ti pedemmo e ti
servimmo in tal modo?
(5) É frase ancor viva presso i dialetti vèneti, ond'esprimore b
{»erfetta indigenza d'un infelice, il dirlo: nudo e crudo.
DI PIETRO DA BÀRSEGAPÉ. 8S4
E mal cal^ado e mal vestido,
Sostenìr fame e sede,
De lor yen file grande marce ;
A vu ne prese pietà,
Vui li albergasi in carità;
De vostro aver ie fisti ben (*);
Et eo tal don ke a vu ne yen , .
Vu seri sempre beati ^
Benedicti et incoronati,
Ke quando vidisti li mei menor,
E gè fisi ben per lo meo amore (') ,
Inlora lo fisi a mi ìnsteso (^),
Ke gascaun de lor era meo messo.
Mo è venuta la saxon (^) ,
Ke vu n^avrì grande guiardon (^);
Gum esso mego in lo regno meo *
Sempre stari d^ avanzo lo pafa*e meo;
Li iusti pon stare onne (^) in paxe;
Zo ke g^è dito mo'ge plaxe.
Zoan lo dixe, Marco et Matheo
Et anche Luca lo dtsipulo de Deo,
Lo rex de gloria si li apellare,
Et a presente domandare
Colle vostre sostanze li beneficaste.
E li beneficaste per amor mio.
allora lo faceste a me medésimo.
Ora è giunto il tempo. È ovvia l'affinità ddla voce saxon
ccìiknìcai saisonj, ch« significa stagione^ ed anclie tempo.
Anche ia voce guiderdone quivi corrottamente espresia nella
I guiardon y se è ^ come pare indubitato, di origino fennlni*
1 introdotta nella nostra lingua da paraoobi sÒQolL
Onne per tutti, dalla voce latina omtie«.
di
322 POEMETTO INEDITO
Quili k'in dala man senestra^
Ke no fon digni de la destra.
E po' parla Io Segnore
Da lado senestro, o'èM dolor:
Maledicti, andàven via
In la grande tenebria,
Entro lo fogo eternale,
Ke sempre mai devi li stare
Cam lo crudel ìnimigo,
Lo diabolo vegio antìgo.
No me valse marce clamare,
Ke vu me volisi albregare;
Va me vedisi afamado,
Nudo e crudo, et amalao;
Non avisi pietà,
Ke a mi fisi carità;
Vu no credisti ali mei ministri
Ke dela lege erano magistrì;
Ke ben savevano la doctrina,
Ki è veraxe medesina;
Da fare ti mei comandamenti,
Vu ve ne mostresi molto liuti (*),
E mala mente si én recevui
De quili k' erano infirmi e nudi;
Vu me vedisi incarcerao,
Povero e nudo e despoliado;
Eo soffri dolor e tormento,
Et afamao e sedolento ^^\
(1) Neir eseguire i miei precetti vi mostraste molto lenti, hlnogo
di Unti lèggasi lentia cioè restii, come richiede anche la rinUt.
(2) Sedolento per assetato è voce nuova che non ha rìsMitro
in verun dialetto.
DI PIETRO DA BAR8EGAPÉ. 333.
Et in carcere et in prexon
Sostenì fera passiona
Et molto grande infirmi tà;
De mi non avisi pietà;
No me volisi sovenir
Per uno pogie guarire (*).
Responde li peccator
Con grande dolia e con tremor:
Mo' quando te videmo int'al besognìa (*>,
Ke unca de ti non avessemo sognià (^)?
Se altra persona, nel dìssese,
A nu no par k^el g^el credesse (^);
Ke nu te vedesemo infirmità,
Ni soffrir necessità,
Ni quando te videmo nudo essere,
Povertà, fame e sede.
Responde lo bon Segnor,
E si dirà incontra lor:
Quando vu vedissi lo povera stare
D'avanzo vu marce clamare,
Ke a lor fasisti carità,
Vu non avisi pietà.
llli se reclamòn da me.
Torna difficile restituire questo verso alla sua. vera lezione;
peraltro che dèbbasi intèndere : Non mi voleste eocoàrrere
potessi gitarirè.
È caràttere proprio di tutti i dialetti cispadani 1' esprìmere
posizione neh o nello colle parole infel,
Sognia per cura^, dal provenzale e dal firaneese soin^ come
ao altrove avvertito. V. la nota (ì) a pag. 266.
Se altri, fuor di te , cel dicesse , ci pare che nessune gléei
ebbe.
324 POEMETTO INEDITO
Non avisi in lor marce.
Or ve n'andai, vu mala {ente,
Entro lo fogo k' è tute ardente.
Maledicti et blastemai
Vu stari là sempre mai,
Ke quando vedisi li minimi mei
Ke ve querivano lo ben per Deo <*\
Vu non volisi unca albregare^
Ni gè dese bever né mangiare.
Mo quando lor non albregasi
A mi medesimo lo vedasi (^).
Lo merito ke devri avere
In proximan Favi vedere (');
Vu andari in fogo ardente,
Grudel e pessimo e boliente,
In greve pu^a et in calor,
In tormenti et in dolor
Infimo, grande e tenebroso
Ke molto è forte et angososo.
A provo dela grande calura (^)
, (1) Che K>% chiedevano elemòsina in nome di Dio.
{i)j4 me medésimo il ricusaste. Torna supèrfluo l'avvertire^ come
in tutti questi verbi , oltre ai tanti errori ed alle molte inesattes-
ze, il copista omettesse sempre la t, scrivendo volisi^ albregasi s
vedisi, vedasi, in luogo di solisti, albregasH, vedisti, f>edasii, e si-
mili, nei quali tutti ha serbata la i della flessione latina, in luogo
della e finale italiana.
(3) In breve lo i?edrete. Forse deve lèggersi in prooeimum, op-
pure in proximam, sott'intendendo horam.
(4) Nel contado milanese dicesi ancora a prov, oppure a prof,
ond' esprimere appresso, che è appunto il significato di a provo in
questo verso del Bescapè. Ne abbiamo un esempio nel Canto XII
deir Inferno deirAlighleri ^ al verso 95^ ove trovasi a pMOOO poro
DI PIETRO DA BARSGGAPÉ. 335
Avri sì pessima fregiura (*),
Ke tuli cridan: fogo, fogol
E ca mai no trovari bon lego;
E fame, e sede avri crddel;
Ma non avri lagie ni mei (^);
Inan^e avri diverse pene
De crudelissime cadene;
Ad un ad un siri lìgai,
E molto firi martnriadi
De scorpion e de serpenti,
E de dragon molti mordenti
Ki van per eoe e devoràre (*>;
Mo si no ve poran luiare W ;
E quili marturii seran tanti,
Doli, angustie, cridi et pianti,
resso; ed ha egual significato Va prob del Provenzale, non
rope dei Latini, dal quale verisimilmente tutti gli altri
regiura per freddo. Ho già avvertito l'uso del Lombardo di
re sovente le tt e le dd in ce ed in gg schiacciati. Infatti,
adesso pronunciasi frèè^ o frèg^ per freddo. DaUe pre-
sservazioni la versione italiana di questo periodo è la se-
oppresso all'ardente calore avrete « intenso freddo ^ che
deranno: foco ^ foco! Anche la voce fogOj come è scritta,
che la seguente logo^ ha la pura forma veneziana, mentre
ìse pronuncia fòg^ log,
)bianio un nuovo esempio della permutazione delle Uìng,
rola lagie per latte^ che ancora adesso il pòpolo milanese
ia laè.
[ voce eoe è certamente storpiata dal copista, sicché toma
ficile indovinarne il significato , che pur dovrebbe ^sere
i còglier e j afferrare,
uiare, forse per dilaniare; anche questa voce pare muti-
copista.
326 POEMETTO INEDITO
Ki ve para mille anni una bora (^);
E più seran nigri ka mora ^^^
Quilli ke v'àn marturiare;
E ca mai no devrì requiare (^).
Or stari destrugi e malmenai ,
E dala mia parte siè blasbemaì.
Quand'el avrà sententiao,
Et asolvudo et condempnao ,
Et condempnao li peccatori
Entro lo fogo infernore,
Molto tosto e ben via^o
Gè darà lo grande screvago ^^)
In la scuira tenebria
Gum demonii in compagnia.
In quella dura passion
No g'è più redemptionl
Lasemo stare li condempnai,
K^illi seran li mal fadai;
E digemo deli asolvui;
(i) È comune ai dialetti vèneti e lombardi la frase: memorar
mille anni un' ora^ ond' esprimere^ che il tempo parrà molto lungo
per l'intensità del dolore.
(2) Siccome il copista non fece uso di lèttere majAscok^senon
per le sole iniziali d'ogni verso ^ così non si può determinnre^ 9t
per mora egli intenda una Negra ^ o Etiope^ oppure il frutto del
rovo (rubus /ru^tcostis) che spesseggia nelle nostre siepi ^ e che
distlnguesi col nome di mòra,
(3) Nei dialetti vèneti dicesi ancora requiàr^ nei lombardi r^piià,
per riposare, ai^er pace,
{K) Nei dialetti vèneti scravazzo significa dilwiOj rù^sdo d^Or
qua. Pare quindi che qui debba intèndersi^ che^ pronunciala la fit-
tale sentenza, immantinente precipiterà lo stuolo dei peccatori nel
tenebì'oso regno insieme ai demonj.
DI PIETRO DA BARSEGAPÈ. 337
Onilli seran li ben venui.
Vu ki m'odi et ascoltai,
Et in vostro core pensè,
E vu vori ben odire
Zò k'el Segnore ve manda a dire;
Vu sempre mai stari con lu,
Ni 9a no sa partir da vu;
E si ve dark vita eternale
E gloria celestiale;
E de nela di ase alu paxe (^)
E a quilli, ke le soe ovre faxe.
In lo libro de vita li iusti si én scripti,
Et lauda da Deo e benedigli;
Cum Jesu Xriste la compagnia
llli faran Falbergaria
In lo regno resplendente ^^\
) Ho trascritto questo verso letteralmente come sta nel còdi-
sebbene mi sembrasse, che debba ridursi alla lezione seguen-
E Deo ne la dia, se a lu plaxej vale a ^ dire: E Dio ce la
eda (la gloria celestiale), se a lui piace.
) Questo è rùltìmo verso del Poemetto del Bescapè serbatoci
3Òdice archintèo, o piuttosto, come sembra, sin qui trascrisse
pista, né procedette oltre, sebbene appaia manifesto^ che po-
linee dovèano mancare al compimento del medésimo. Ora ,
me con questo verso medésimo è terminata là pàgina , cosi
nnunzìare la continuazione del perìodo sospeso^ trovasi a' piedi
L pàgina stessa il richiamo della prima parola del verso che
a seguire, che é d'amnfo; ma nella pàgina che segue, in luogo
i continuazione del Poemetto, trovasi un'orazione pme in
are, evidentemente scritta da altra mano, e con lingua e modi
rsi, sebbene presso a poco dello stesso tempo. Nell'averso di
ta carta, che é l'ultima del còdice, dopo la preghiera ^ trò-
i alcune dichiarazioni scritte collo stesso caràttere della pre-
ra. La prima é questa :
328 POEMETTO INEDITO DI PIETRO DA BARSEGAPÉ.
Pietro da Barxegapè^ ke era un fantOHj
' Si à fato sto sermon.
Si compilliò e si Va scripto
Ad honor de Jesu Cristo.
Qui peraltro devo osservare ^ che in tutto il corso del Poemetto il
nome dell' autore è ripetutamente espresso de Barsegapè j e non
mai da come in questa nota^ né colla x in luogo della s. Oltre a
ciò soggiunge^ ch'era un fantòn; e poiché fantòn è voce strana^
priva di significato^ dobbiamo lèggere santm^ cioè, ch'era un san-
t'uomo; ciò mostrerebbe chiaramente, che Fautore era già morto,
quando fu scritta questa dichiarazione , e che quindi non può in
venin modo èssergli attribuita. Se V Argelati , che pel primo fece
menzione di questo còdice., ed il Giulini che appuntò V errore
della data^ avessero avvertita e l'imperfezione del Poemetto, e la
scrittura diversa delle ùltime due pàgine, ed il vero significato di
questa nota , ne avrebbero dato certamente un diverso giudizio.
La seconda dichiarazione , a differenza della prima, che risguarda.
l'autore del Poemetto , si riferisce al tempo in cui il còdice fti.
trascritto , ed è la seguente :
' In mille dtixento sexanta e quattro
Questo libro si fò fatOj
Et de junio si era lo prumer di
Quando questo dito se fenir;
Et era in secunda dictùm
In un venerdì abassando lo soL
Ilo già avvertito nella Prefazione V errore dell' amanuense che
scrisse sessanta in luogo di settanta, giacché solo l'anno 1374 con-
corda colla indizione e col giorno e mese indicata Aggiungerò ora,
che questa data si riferisce al tempo in cui il còdice fu sfcrittOj e
non già al tempo in cui fu dettato il Poemetto dall'autore^ il
quale, come consta dalla prima nota, non era già più. E quindi ne
viene , che l'età del Poemetto risale ancora verso ^ e forse avanti
la metà del sècolo XIII.
IX.
ELLE LINGUE GERMANICHE
DELLA LORO GRAMMATICA.
22
S^S^SSS^S^aBSSm
irermanìche , sin dai tempi di Roma, quasi per tadtfii coa-
^enzione degli scrittori, chiamaroi^si tutte j(ioelIe iiazipjù, c^
ilcuni secoli prima dell'era nostra^ coprivaiiograa parte del-
* Europa settentrionale., ehe poi si sparsero in Uitle le pror
incie del decadente impero occidentale, ed i cui dlsfcetndenjti
lanno tuttavia grandissima pii ne nei destini della jtta^Aa'
Suropa, non che di parte dell' Anierica , dell' Arrica, deÌji*<^U
K deir Australia, Tàitoni,, Sucvi, Tculterì, Sicambri^ Cjben^sd,
^auci, Brutteri, Marsi, Tubanti, Catti, Frisi, Bufavi^ Tiuigiì,
Srmunduri, Menapii, Taurisci, Ti^f*ingi, JlarcoBiianni^ Qaadi,
Sruii, Alemanni n Vàndali, Goti^ Franchi, Barj^dì^ AjQgU,
^assoni, Langobai'diy Juti, SVetoni, Suìoqi.f Noroaaom, Ya-
eghi, ed altri popoli ancora loro congiunti e con diversi npioi
[istinti, appartennero tutti alla grande fam^sU^ delle nazioni
;ermaniche. ,
Col progresso dei tempi, le tante migrazioni,' le flattaa^iooi
erpetue , ed i tanti accozzamenti del genere umano , • cang^-
ono interamente l'aspetto dirq[uestt numerosa JamigUa di pò-
oli, e la dispersero in tante regioni, e la mesciriarono ad
Itre genti greche, latine, basche, gaeliche, cambriclie, ^ve,
nniche, semitiche e turebe. Alcuni scomparvero interaniente ,
soza lasciar traccia; altri ^ fondendosi in naziou| d'alira ori-
ine, cangiarono nome e natura; altri, aggruppandosi fra Iojto
icdesimi, formarono nuovi popoli misii, ai quali fu dagli. storiai
ppiicato un diverso nome : co§l che , in onta ai soccorsi dei-
istoria, della geografia, della tradizione e dei mopumenti, in-
ano cerchiamo nelle tante nazioni supèrstiti le vestigia di vaij
mtichi popoli germanici.
I Teutoni, che con formidabile moltitudine niinacblaf^nQ là
omana republica, pienamente sconfitti da Mario, àndaréno poi
332 DELLE LINGUE GERMANICHE
confusi nel nome generico di tutta la nazione. I Marcomanni,
i Quadi, i Gcpidi ed altri popoli, fondendosi nei Goti, forma-
rono con questi un solo pòpolo, e con essi frammisti poi
alle tante nazioni meridionali, smarrirono la propria nazioDa-
lità. I Franchi, dopo aver collegalo sotto il nome loro i Teut-
teri, i Catti, i Brutleri, i Camavi, i Cauci, dopo aver regnalo
dal Reno ai Pirenei, dopo aver riedificato T impero d'Occi-
dente, si fusero nelle nazioni cello-latine, e perdettero qaasi
ogni traccia della loro origine germanica. Gli Angli, i Séssooi,
gli Juti, ed una parte dei Frisi, invadendo la Gran Brettagna,
si amalgamarono a quelle nazioni celtiche, e più tardi fram-
misti ancora ai Dani ed ai Normanni, che li soggiogarono, Goih
corsero a formare la potente nazione inglese. I Vareghi, eom-
posero il primo nùcleo della potenza russa, ma si dispersero
per entro le nazioni slave da loro sottomesse. I V&ndali, dopo
aver signoreggiato ambo le opposte rive del Mediterràneo, e fon-
dato in Àfrica un dominio, che estendevasi dalle Colonne d'Ercole
alla Cirenaide, lasciarono solo un' orma del loro passaggio in una
provincia della Spagna. Gli Svevi ed i loro confederati anda-
rono compresi nel nome collettivo di Alemanni; poi furono da
Clodoveo sottomessi ed incorporati coi Franchi; poi riebbero
nome nella Germania moderna per perderlo di bel nuovo. Gli
Slavi e gli Ungari frattanto s'impossessarono d*una gran parte
delle terre di queste nazioni, nel mezzo delle loro antiche sedi;
nuovi interessi e nuove leghe li congiunsero, e li scomposero
più volte nei tempi moderni; nuovi costumi e nuove credenie
successero al prisco culto d'Odino, e di Thor; cosicché appena
trovansi incontaminate poche reliquie dei primitivi popoli ger-
manici nella remota Islanda, difese da un mare inóspìte e dalla
sterilità del suolo ; e altre poche in alcuni recessi della Frisia,
ove, sebbene minacciati dalle onde del Zuydersee, che ingojò
successivamente le loro città e i villaggi, i pochi Frisoni im-
perterriti si conservano all'ombra della loro povertà,
immuni dalle invasioni straniere K
* Il celebre Malte-Bran , parlando dell^ indole di questo valoroso [
ebbe a dire : Dlx-huU siècles ont vu le Min changer son coun^ et tOeétM
engloutir ses rivages; la nation Frisonne est retlée débout^ comme tm mmft
meni hUtoriquej digne d*intér esser également Ics descendans dei Fnmoi^éa
Anglo-Saxons et des Scandinaves. Vedi, Précis de Géographie uni9er$elle, fr
rÌ8j 1810.
E DELLA LORO GRAMMATICA. 335
A sviluppare T immensa compàgine di tutte queste stirpi venne
fin dallo scorso secolo chiamala in sussidio la Linguistica, la
quale in breve córso di vita, già riempi molte lacune di quel-
Tintricatissima istoria. S'iniziò lo studio di tutte le lingue set-
tentrionali moderne, e se ne accertarono le grammatiche ed i
dizionari; vennero dissotterrati antichi monumenti di nazioni
estinte; si ricomposero le vetuste lingue da tanti, secoli perdute;
si sottoposero a confronto i moderni idiomi cogli antichi, e sopra
questo fondamento si stabili una quasi compiuta classificazione
di quei popoli.
Tutte le lingue germaniche finora note, vennero prima di
tutto compartite in due grandi famiglie, distinte ^per singolari
proprietà grammaticali, e sono: la famiglia delle lingue tento--
nichcj e quella delle scandinaviche. La prima comprende tutte
quelle lingue germaniche, antiche e moderne, che furono, o
sono parlate sul continente europeo, al di qua del Baltico, é
nelle Isole Britanniche. La seconda comprende le lingue par-
late in Islanda, nella penisola scandinava e nelle isole danesi,
oltre alle antiche colonie svezzesi nella Finlandia e lungo le
coste orientali del Baltico, appart(^,nenli alla monarchia russ»^
le quali conservano in parte la lingua svezzese.
La numerosa famiglia delle lingue teutoniche si suddivide in
due rami, denominati, per la rispettiva posizióne geografica,
meridionale fhochdeutschj, e settentrionale fniederdeutseh^ o
plattd'eutschj. Al primo ramo appartengono: l'antica lingua dei
Franchi e degli Alemanni (althochdeutsch), e la moderna tede-
sca (neuhochdeutsch) mista dei due dialetti meridionale e setten-
trionale, e determinata primamente da Lutero colla sua versione
della Bibbia. Al secondo appartengono : la lingua gotica, detta an-
cora da molti mesogotica; l'antica lingua sàssone (^altnieder-
deutsch, allsàchisich) ; l' anglo-sàssone, mista di varj dialetti
dell'antica sàssone; l'antica e la moderna frisica, l'inglese
e r olandese colla fiamminga (niederlàndisch). Qui dobbiamo
osservare, che i linguisti discordano intorno ài postò da asse-
gnarsi alla lingua gotica. Il celebre Malte-Brun, che là consi-
derava come sorella secondogènita dell'antica islandese, la col-
locò nel gruppo delle scandinave; mentre il dotto danese Erasmo
Rask, che sospinse più avanti di tutti lo studio delle lingue
settentrionali , la ripose fra le teutòniche meridionali. Noi ab-
biamo altrove accennato le principali ragioni, che ci indussero
534 DELLE LINGUE GERMANICnE
a considerare la gotica siccome anello intermedio che insieme
congiungc i due gruppi meridionale e settentrionale, e perciò
abbiamo preferito riporla accanto all'antica sàssone, alla quale
più che ad ogni altra si accosta col suo sistema fonetico, e
con certe forme distintive.
La famiglia delle lingue scandìnaviche comprende infine Tantlea
e la moderna islandese, la svezzese diffusa ancora in Finlandia
ed in Estonia, e la danese parlata con qualche yarietà nella
Danimarca propria, e nella Norvegia. Per maggiore chiaresxa
porgiamo la seguente tavola:
Lingue germaniche distinte in due famiglie
TEUTONICHE
McìHdionali
{Hochdeutsch)
Settentrionali ( Niederdeuttch )
Tedesca anUca Gotica (GotMsch j o Masogothisch),
(altkochdeutsch) lingua degli anticlii Goti e deUa versione
Hngua dei Fran- biblica di Ulflla.
cl|| , Alemanni , Sassone antica ( Altniederdeutsch , o
Svevi, ec. Mtsàchsisch), lingua degli antichi Sassoni,
Tedesca mo- e di tutte le nazioni che abitavano la Ger-
dema(neuhoch' mania seltcnl rionale.
deutsch) parìaia Anglo-Sassone { Jngel-Sàchsìsch) , mi-
con varj dialetti sta dei dialetti degli antichi Sassoni , An-
in tutta la Ger- gli e Juti.
mania meridio- Frisica { Mtfriesisch) ^ parlata dagli
liale, forma il antichi Frisi e Cauci, e con varie modifi-
fondo della lin- cazioni ancora adesso dai Frisoni moderni,
gu» scritta, cosi In varj dialetti, a Hindelopen, nella Frisia
della Germania propria, a Schiermonnikog, nel Saterland
superiore, come e nella Frisia settentrionale,
deir Inferiore, e Sassone tnodcrna (N'euni^ierdculsck , o
di . varj popoli Netuàchsisch o Plattdeutsch) , parlata in
delle proviniDic varj ci iulelti nella Germania settentrionale,
russe del BaU Olandese e Fiamminga {Neuniederlàn'
tico. dischj Dutch) parlata nei Paesi Bassi «
ossìa nelle Provincie olandesi e in gran
parte del Belgio.
Inglese (IVeuengliscìi) , lingua doidi*
nante della Gran Brettagna.
SCAHDinVKV
Iskmim'jm'
Ueaj (AUmt-
disch o /itti-
diteh), litfit
degù entieU
Scandinavi e
deUeanUcheai-
ghe.del Horte;
8i parla e scrive
ancora o||Idi
quasi ineoali-
minata « mVI-
slanda.
SVBZÉMSS
( àehwediOiìn
Ungoa piilÉte
in viij dUBlU
In tutu la 8n-
zia e FiBlaadta.
Danae (Di'
ntfcA), pprìaU
con qualche va-
rietà nelle iMle
danesi, nelk
Jattanda eil b
Norfcfia.
E DELLA LORO GRAMMATICA. 335
Tra i primi che propagarono lo studio delle lingue setten-
trionali merita singolare menzione F inglese Hickes^che nel suo
Tesoro pubiieò, fin dal principio dello scorso secolo, gli ele-
menti grammaticali delle lingue anglo-sàssone, meso-gotica,
francìca ed islandese. Gli tennero dietro i celebri Schilter, Ju-
nius, Marshall, Lye , Somner, Peringskjóld, Wilkins , Wormio,
Manning ed altri, che illustrarono varie delle antiche lingue
germaniche, e ne publiearono successivamente le grammatiche
ed i lessici. L'olandese Lamberto Ten-Kate tentò tracciare una
classificazione ragionata di tutti quegli idiomi. Ma questi studj
non furono con particolar cura coltivati , e diretti ad alto e
nobil fine , se non verso la fine dello scorso secolo , e meglio
ancora nel presente.
Abbiamo dimostrato in un precèdente lavoro ^ quanto con-
tribuissero air illustrazione dell'antica lingua gotica Ihre, Sti-
ernhielm^ Benzel, Fulda, Reinwal, Knittel, Zahn., Gasti^ioni,
Massmann, Sjerakowsky ed altri; in simil guisa venne illustrata
l'antica lingua islandese da varj dotti in Danimarca e Svezia.
Molte delle antiche saghe furono publioate, tradotte ed iilu-r
strale, per opera del celebre isterico Suhm e àeìV Istituto
Arna-Magneano, al quale negli ultimi tempi successe la Regia
Società degli Antiquarii del Norte. Questa, fra i tanti studj
diretti air illustrazione delle patrie antichità, intraprese la pu-^
blicazioue di tutti gli antichi manoscritti nordici, colle versioni
in latino e danese. Oltre a ciò Groeter, Kofod-Àncher , La»-
gebek, Nyerup, Thorkelin, Afzelius, Thorlacius, Rafn ed altri
posero in chiara luce tutto quello che si riferisce alle anti-
chità , alla mitologia , al diritto ed alla primitiva letteratura
seandinavìca. Gou tutti questi materiali il celebre Rask comi-
pose una grammatica ed un dizionario delfantica lingua islan-
dese , e una dottissima dissertazione suir origine di queir i-
dioma, e sulla affinità sua colle altre lingue japeliche \ Dopo
le quali opere di Rask comparve alla luce, nel i829, T inge-
gnosa Grammatica isterica delle lingue danese, islandese e
svezzese del professore Peterssen ^.
• Beliquie del testo d' Ulfilaj edite dal Conte C. O. Ccatigliòni {Politecnico^
voi. II, pag. 461).
' Undersògelse om del gamie NordiskCj cller Islandske Sprogs OprindelsCj
for fatteti af R, K. Rask, Kjòbenhamj ibis.
3 Del DanskCj Norskc og Svenske Sprogs Hisfor̀j af N. M. Peterssen,
Kjóbenhavìij 1820.
536 DELLE LINGUE GERMANICHE
La lingua degli antichi Frisi ebbe ad illustratori Wiarda,
Heltema, Schwartzcnbcrg, Epkenaare, Wierdsma e Branlsoia,
che ne publicarono, tradussero e commentarono gli antichi mo-
numenti, somministrando ampia materia a Rask jper la com-
pilazione della grammatica, e all'altro distinto danese Outzen
per la redazione del Dizionario. Tra i più benemeriti di que-
sto interessantissimo idioma merita singoiar menzione il dotto
nostro corrispondente I. II. Halbertsma, commentatore di Gi-
berto lapiks, ed autore di preziosi scritti linguistici >.
L'antica lingua sassone, sebbene esclusa dalla letteratura
germanica fin dai tempi della riforma religiosa , fu ricomposte
ed ampiamente illustrata dai dotti Schmellcr, Kinderling, Mone,
Baumann e Holl'mann di Fallersleben, che ne resero di publiea
ragione i principali monumenti, quali sono il poema di Heliand,
TArmonia degli EvangeUi di Taziano, ed il poema allegorico
Reineke Vos.
Huydecoper, T instancabile Wiltems, Siegenbeek, Blommaert,
Van der Hagen ed altri molti illustrarono tutti i monomenti
deir antica lingua neerlandese.
L' Anglo-sàssone, già riprodotta in chiara luce nelle erudito
opere di Hickes, Junius, Lye, Wilkins, Thwaites, e Manning, ebbe
negli ultimi tempi più profondi illustratori in Conybeare, Schmid,
Price, Thorpe, Ingram, Thorkelin, Kemble, Turner, Palgraye,
Bosworth e Rask, i quali ultimi due lasciarono i migliori trat-
tati grammaticali di questa lingua.
Finalmente anche T antica tedesca meridionale (hochdeuUch)^
minutamente analizzata negli ultimi tempi, per le laboriose cero
di Graff, VVackernagel, Fulda, Lachmann, Docen, Massmann,
Hoffmann, Schmeller, Van der Hagen, Benecke, ec. Per eyitare
le troppo frequenti ripetizioni , abbiamo taciuto nel (corsò di
queste rapide citazioni il nome dei due fratelli Grimm, che in-
defessamente contribuirono air illustrazione di tutti quegli an-
tichi e moderni idiomi. Le belle edizioni delFEdda, del poema
dei Nibelunghi, delie antiche leggi germaniche, ec. publicate
con dotte osservazioni dal dott. Jacopo Grimm, basterebbero
ad assicurargli queir alta riputazione, di cui meritamente gode
• Tra i promotori e cultori delia letteratura frisica soii degni d'onore
varj altri eruditi ,. come Postiiumus , Wasscnberg, Uoekslra, Hocuffl, Wlclio^a*
Uuber^ ec.
E DELLA LORO GRAMMATICA. 337
in Europa , e la quale non potrà mai venir meno nella rico-
noscenza dei pòsteri.
Quest'uomo raro, scorgendo negli antichi documenti delle -
lingue germaniche molti punti che le ravvicinavano assai più
che non appaja dal confronto delle moderne , e trovando un
considerevol numero di documenti atti a determinare^ pel corso
di venti secoli circa , le successive variazioni , ch« recarono à
tutti questi idiomi le vicende dei tempi , concepì la gigantesca
idea di tesserne un'istoria filosofica mediante una grammatica
comparativa e cronologica, la quale, mostrandone i tratti di-
stintivi, ne mostrasse allo stesso tempo la commune origine da
un tipo commune. La prima parte di questo pregevolissimo
lavoro vide la luce a Gottinga, nel 1819, con un'introduzione,
nella quale l'autore, mostrando il disegno dell'opera, ed an-
nunciando alcuni principali risultamenti delle laboriose sue
speculazioni, enumera le tante fonti, alle quali attinse i mate-
riali per la redazione della grammatica di tutti quegli idiomi^.
Per procedere coir ordine richiesto dalla natura,, egli distribuì
tutte le lingue germaniche cronologicamente, partendo dalle più
antiche, e discendendo gradatamente alle moderne e tuttora
viventi. Non è mestieri accennare , come tutti questi moderni
idiomi siano derivati direttamente dagli antichi; è noto ad
ognuno, che la moderna lingua tedesca derivò dalla lingua degli
antichi Franchi ed Alemanni, combinata con quella degli anti-
chi Sàssoni; l'attuale olandese , che prima dell'Unione delle
Sette Provincie, chiamavasi fiamminga, si formò sulle ruine delle
antiche lingue sàssone e frisioa; l'inglese derivò dall'anglo-
sàssone , la quale alla sua volta surse dalla mescolanza degli
antichi dialetti sàssone, anglo e juto; e le attuali lingue seau-
dìnaviche, danese e svezzese si formarono suU' idioma reso il^
lustre dagh antichi Scaldi, cioè sull'islandese, che si conservò
quasi intatto, fino ai nostri giorni, nell'Islanda.
Ciò nullostante, confrontando tutti questi moderni idiomi coi
tipi primitivi dai quali emanarono , si trovano talmente diversi
da quelli, che, non ostante la più profonda cognizione dei mo-
derni, non si possono interpretare gli antichi; senza un lungo
studio speciale; tante sono le modificazioni, a cui nel corso di
pochi secoli gli antichi idiomi ebbero a soggiacere! Ora codeste
» Deutsche Grammatik von Jacob Grlmm, GóUingen^ 1819-5^.
538 DELLE LINGUE GERMANICHE
modificazioni non poterono esser T opera d'un istantaneo rivol-
gimento operato nelle moderne generazioni; ma bensì un lento
effetto del tempo, che a poco a poco cangia l'aspetto di tolte
le cose. Di fatti , poco dopo il mille , generalmente parlando ,
tutti gli antichi idiomi si scomposero , o disparvero , come
risulta dai monumenti posteriori a quell'epoca; e sappiamo
d'altronde che tutti gli idiomi moderni, poco più, poco meno,
non furono determinati colle forme che attualmente li distin**
guono, se non verso il 1500. Periochè ci rimane un inter-
vallo d'oltre quattro secoli, durante il quale le antiche lin-
gue, sottoposte quasi a fusione novella, subirono quella gnui
trasformazione , onde ricomparvero poscia a novella vita e eoo
si diversa forma nelle moderne. In simil guisa le moderne hit-
gue meridionali, l'italiana, la francese, la spagnuola e la fòt-
toghese, non ricomparvero colle attuali lor forme, che deri-
varono dagli antichi dialetti rispettivi ^ se non nel secolo XIU
all'incirca , dopo che la lingua latina , dalla quale trassero tanta
copia di materiali, erasi per varj secoli rifusa, sotto T influenza
delle tante nazioni straniere componenti il vasto imperio ro^
mano, o in esso penetrate, non che delle nuove discipUne deUa
moderna civiltà.
Ciò premesso, siccome non era possibile tracciare un* istoria
compiuta delle varie fasi delle lingue germaniche, senza segair
passo passo tutte quelle intermedie modificazioni, che sono
quasi anello tra le antiche è le moderne, cosi il doU. Grioun,
considerando il sovraindicato intervallo come il medio evo delle
lingue germaniche, costruì sui monumenti di quel tempo le
grammatiche di tutti questi idiomi intermedi , denominandoli:
mittelhochdeulsch , miltclniederdeiUsch , mittelniederlàndÌ9di ,
mittelenglmh , ossìa alto- tedesco del medio evo, basso-iedeico
del medio evo, ec, ce. , e distribuì quindi nella sua granuna-
tica tutte le lingue germaniche nell'ordine seguente:
Goiisch Gotica
Lingue anliclie
cluiranno soo
incirca
fino al ijoo
Mlhochdeitlsch Alto-tedesca antica
AUnicdcrdeulsch Basso-tedesca antica
Jngelsàchsiich Anglo-séssone
Altfriesisck Frisica antica
Allnordiich Nordica antica, o islandese
I inm H * f 'I Mittelhochdeulsch Alto-tedesca del medio evo
Lingue aei lempi i j^mdniederdeutsch Basso-tedesca del medio evo
M - ««"««^ oi Ai.n i Millelniederldndisch Fiamminga o neerlandese del med. ev©.
1 100 nno al itfoo| j^n^^icngUsch Inglese del medio evo
E DELLA LORO GRAMMATICA. 339
f Netihocìideulsch Tedesca propriamenle delta
k NcunicdcrdeuUch Basso-tedesca , o sàssone moderna
Lingue moderne yNeuniedcrlàndisch Olandese moderna
dal ittoo incirca {NeunordUch Islandese moderna
Ano a noi jSchwedUch Svezzese
!Dàni8ch Danese
\Neuenglisch Inglese
L'idea di coordinare nella medesima grammatica tutte le suc-
cessive fasi intermedie , per le quali una lingua passò prima
d'acquistare le attuali sue forme, è veramente nuova e filo-
sofica. Egli è pur bello il vedere, come dalle molteplici fles-
sioni e dalle ricche forme delle antiche lingue sàssone ed islan-
dese, Tarte della parola sia passata a poco a poco alFestrema
semplicità delle grammatiche inglese e danese, senza perdere
punto del suo vigore e delle sue attrattive! Vi s'intravede in
certo modo tutto il corso della mente umana nella evoluzione
del pensiero, e l'istoria del pensiero medesimo. Ma non era
egualmente filosofico e giusto il voler rappresentare tutta la
serie di quelle successive modificazioni in una supposta lingua
di transizione, che propriamente non fu mai. Quando una lin-
gua, bastevole ai bisogni ed alla condizione fisica e morale
d'una nazione, è determinata sopra regole costanti, attraversa
più secoli, senza soggiacere a sensibile alterazione. Ma quando
il popolo che la parla, cangiando religione, costumi e territorio,
risorge a nuovo modo di vita e diverso ordine di cose^ e sentendo
imperioso il bisogno di chiarire con nuovo processo d'idee il pen-
siero, imprime diversa forma al linguaggio, s'inoltra lentamente
nella modificazione di questo, e solo di mano ija mano che una
generazione va introducendo una nuova forma, quella che vi suc-
cede dimentica insensibilmente l'antica, e ne introduce una se-
conda; e cosi procede di generazione in generazione, finche ridotto
il regime intellettuale a livello del mondo esteriore, senza av-
vedersi, si arresta, mette in ordinanza tutte le modificazioni e
le ampliazioni date al suo novello modo di rappresentare il nuovo
modo d esistenza, e, stabilitele come càrdini fissi, vi si adatta
ciecamente per nuovo corso di secoli, finché un ordine novello
di cose tragga le future generazioni a nuova riforma.
Cosi appunto avendo proceduto le nazioni germaniche, quando,
messe in prossimo e continuo contatto colle nazioni meridionali,
abbracciarono col nuovo culto anche la civiltà novella, ne con-
segue che, durante tutto il corso di quella rigenerazione, non
540 DELLE LINGUE GERMANICHE
ebbero, propriamente parlando, lingua stabile e fissa; ma, come
abbiamo altrove dimostrato svolgendo le origini di nostra lingua ^
ogni anno del medio evo era un passo verso un nuovo Un-
guaggio; e quindi il voler accertare le regole fondamentali della
lingua di queir instabile intervallo , è lo stesso che voler deli-
neare i contorni d"un albero dall' ombra fugace che progetta
sul suolo; tanto più, che alla continua mobilità naturale della
lingua aggiungevasi ancora, in quell'era di transìziooe, il ca-
priccio e l'esitanza degli scrittori, i quali, simili a nocchiero
senza bùssola, erravano incerti sul loro cammino. Ora, se
ogni anno, ogni paese, ogni scrittore aveva il proprio modo dì
inflettere i vocaboli e d' esprimere i suoi pensieri , come sarà
mai possibile racchiudere in una sola grammatica, come appar-
tenenti ad una medesima* lingua, tante diverse forme, che non
furono mai contemporanee, né mai furono generali? Giova ci^
dere, che se all'autore si fossero affacciate simili considera-
zioni, forse non si sarebbe accinto all'ardua impresa di co-
stringere tutte quelle lingue intermedie in forma di grammatica;
e non avrebbe avvalorato la supposta esigenza di certi dialetti
misti , come quello del poema eroico sulla lotta di Hildibrath
e Hadubrant, nel quale, anziché ravvisare uno speciale dialetto
misto, sembra più ragionevole riconoscere con Bouterweck lo
sforzo d'un Sàssone che tenta scrivere nel dialetto francieo. Le
forme diverse hèvan, hewen^ hèhhan e himil, alcune delle quali
si riscontrano altresì nel poema di Heliand, non potranno por-
gere fondata prova sulla patria dell'autore di quest'ultimo,
come pur si vorrebbe.
Prescindendo per un istante da tutte queste consideraziem,
e riguardando tutte le lingue intermedie , ordinate dal dott
Grimm nella sua grammatica, non già come lingue proprie di
una data età, ma come rappresentanti in complesso le varie
forme assunte da quegli idiomi nel mentovato intervallò, non
vediamo come non abbia seguito lo stesso procedimento anche
perle lingue scandinavìche; ma passi di salto dall'antica islan-
dese alle moderne svezzese e danese, senza curare i gradi in-
termedj, pei quali nel corso di quattro secoli anche queste lin-
gue passarono prima d'assumere le attuali lor forme. Questa
• Vedi la Memoria inlilolala: Origine e sviluppo della lingua italiaiu
{Politecnico^ voi. UI^ pag. 123}.
E DELLA LORO GRAMMATICA. Sii
mancanza riesce tanto più sensibile, quando consideriamo, che
i dialetti nordici posseggono considerevol copia di documenti
del medio evo, i quali avrebbero potuto fornire ampia materia
a compilar la grammatica di quella lingua intermedia. Il cele-
bre professore Kolderup-Rosenvinge publicò in tre volumi in
quarto gli Statuti e le leggi danesi del medio evo, aggiungen-
dovi la versione danese e dotti commenti. Le tante leggi pro-
vinciali della Svezia e della Norvegia, appartenenti alla stessa
età, non contengono minor dovizia di materiali, come appare
dalia bella edizione di Collin e Schlyter. Oltre a ciò , il trat-
tato che ha il titolo di Konunga-styrilse (istituzione dei re),
la raccolta delle leggi ecclesiastiche della Zelanda , publicata
da Thorkelin * , e molti altri importanti documenti, sarebbero
state fonti preziose, come lo furono poi pel professore Peterssen,
che ne trasse ottimo partito nella sullodata istoria delle lingue
nordiche.
Un* altra osservazione oseremmo fare intorno all'ordine ge-
nerale di quest'opera, e più particolarmente intorno alla di-
stribuzione delle materie. Se si riguarda all'intrinseca tessitura
di tutti gl'idiomi della famiglia germanica, vi si scorge una
mirabile consonanza; ma assai più nel dizionario, che non nelle
inflessioni e negli artificj grammaticali. Il doppio articolo óra
premesso, ora posposto ai nomi , le differenti forme delle voci
passive, il diverso modo d'inflettere le principali parti del di*-
scorso ed il vario ordinamento della frase, pongono una troppo
grande separazione fra le lingue scandinaviche e tutte le teutoni-
che, sicché si possano raccogliere in un solo quadro, come fa l'au-
tore. Similmente le proprietà, che distinguono i dialetti della
Germania settentrionale da quelli della meridionale , sembrano
abbastanza evidenti, perchè non si possa assimilarle In un mi-
nuto confronto. Saremmo quindi d'avviso, che l'autore avrebbe
meglio raggiunto l'alto suo fine, qualora avesse separati i tipi
principali, come levarle tinte d'una tavolozza, apponendovi
immediatamente e di séguito le successive modificazioni a cui
ciascuno soggiacque nelle varie età. Per tal modo il gran qua-
dro dell'opera, che ora è frastagliato in mille brani, e nel
quale tante lingue si trovano confuse, verrebbe ripartito in pic-
coli quadri separati e indipendenti, in ciascuno de' quali più
• Thorkclins sammling af Danske Kirkelove, KjóbenhaPnj 1787.
343 DELLE LINGUE GERMANICHE
facilmente si potrebbe scorgere con una sola occhiaia V anda-
mento delle singole lingue, dalla origine loro fino a noi. Al-
r intento poi d'instituire un generale confronto fra le sepa-
rate membra del vasto corpo , avrebbero meglio potuto ser-
vire, alla fine di ciascun libro, alcuni prospetti che rappresen-
tassero il riassunto comparativamente ordinato di tutte le os-
servazioni nel libro medesimo svolte. E perciò il seguente
prospetto sarebbe riescilo forse più consentaneo alla natura ed
al fine delF opera.
Lingua gotica
IV.
Frisica antica
Ncerlandese del m. evo
Olandese moderna
li
Sàssone antica
Scissone del medio evo
Sàssone moderna
Teutònica aulica
Teutònica del m. evo
Tedesca moderna
HI.
Anglo-sàssone
Inglese del medio (
Inglese moderna
Islandese aulica
Islandese del medio evo
Islandese moderna
Svezzese
Danese
Con simile distribuzione, oltre che ogni parte, sebbene parte
integrante del tutto, potrebbe reggere isolata e da sè,.si ver-
rebbe a conseguire ancora meglio T intento dell' autore, di
porgere allo studioso un sussidio per fondarsi neir intima co-
gnizione della lingua nativa; giacché per conoscere la nalora
e l'organismo della propria lingua, non è necessario al germano
meridionale lo studio delle scandinaviche o delle ncerlaadesì,
come non è quello delle teutoniche al giovine danese od islan-
dese.
Ma queste considerazioni non torranuo , che la superficiale
idea sin qui abbozzata di quest'opera, non basti a mostrar
Ttilta importanza della gigantesca impresa del dott. Grimm, e
la somma dottrina e le laboriose veglie che il suo componi-
mento richiedeva. A mostrarne il merito intrinseco ed i veri
vantaggi, valgano pochi cenni sul contenuto dei primi quattro
volumi, finora venuti in luce.
Prima di publicare il volume secondo, fautore diede, nel 1832,
una seconda edizione del primo, e vi produsse un lunghissimo
trattato intorno alle lettere proprie di tutti gl'idiomi germanici,
per rappresentarne il sistema fonetico , e gettare insieme le
fondamenta del connesso ordine ortografico.
E DELLA LORO GRAMMATICA. 343
Abbiamo già in altro scritto * dimostrato di qual momento
sia il sistema fonetico delle nazioni per io studio comparativo
delle lingue» e come ne sia necessario un diligente esame, per
determinare con certezza i rapporti delle nazioni che le parlano;
ma abbiano dimostrato altresì, che i principj costituenti il si-
stema fonetico d*una lingua debbonsi raccogliere dal labbro
stesso della nazione che la parla, e non dagli scritti, i quali li
possono rappresentare solo in modo imperfetto, e più sovente
riescono fallaci od equivoci, per la generale insufficienza di tutti
gli alfabeti conosciuti, e per la varia ed arbitraria applicazione
e combinazione dei medesimi segni a rappresentare suoni af«
fatto diversi. Se questo è vero per tutte le lingue viventi e
meglio conosciute, del cui sistema fonetico non è possibile for-
marsi idea dietro la sola scrittura , senza un apposito studio
della natura delle lettere medesime , e senza che la viva voce ^
del maestro supplisca alle loro imperfezioni , quanto più non
dovrà apparir manifesta T impossibilità di stabilire la pronunzia
e l'ortografia di lingue estinte da secoli, sul mero fondamento
di pochi manoscritti malconci dal tempo, ed alterati dai copia-
tori? Ciò premesso, faremo le seguenti avvertenze: 1.° varj
erano gli alfabeti usati dalle antiche nazioni germaniche, cioè,
il runico, il gotico, T anglo-sàssone ed il latino, delle cui let-
tere , massime nel runico e nel gotico , non si può assegnare
con certezza, in molti casi , il preciso valore ^. Ì° La maggior
parte di quegli alfabeti furono dai popoli germanici presi in
altre lingue, ed adattati alle proprie, cosicché non v'ha dubbio,
che varj di quei segni vi prendessero un valore diverso dal
primitivo, come vediamo neir applicazione dell* alfabeto greco
alla lingua gotica, e del latino alle slave e finniche, alle viventi
germaniche, e persino ai dialetti affini della stessa famiglia la-
tina. 3." Molti degli antichi manoscritti germanici non sono
• Vedi la Memoria: Sullo studio coìnparativo delle lingue {Politecnico j\oL II,
pag. 161).
> Egregiamente csprimevasi a questo proposito il rinomato Ualberlsma ,
nell' opera intitolata : Boiworth's Origin of the germanio and scandinavian
languagea, London ^ lasG^ pag. Sis.
AH knowledge in Ihis mailer depends upon the written letterSj and upon
delermining the sound of those letters. This however is a very difficult task.
There is no connection at ali between marks and audible sounds : the letters
serve more to indicate the genuSj than the species of the sounds j and use
alone con teach us the shades of prommciation.
344 DELLE LINGUE GERMANICHE
originali^ ma copie fatte in età posteriori, e forse pi^so a na-
zioni diverse, cosicché non si poteva conservare sempre intatta
la vera forma dei luogo e dei tempo al quale i documenti ap-
partenevano. 4.*^ Non è certa resistenza d'un sistema ortogw-
fìco generale^parlicolarmente nel lungo intervallo di transizione»
al quale nuUadimeno la massima parte dei manoscritti appar-
tiene; ma ogni scrittore, come aveva un dialetto proprio, aveva
un suo sistema ortografico, come appare dalle tante variaoti
dei manoscritti di quella età. Potremmo citare ad esempio di
questo disordine ortografico gli stessi manoscritti nostri dd
medio evo e dei secoli ancora posteriori, nei quali troviamo
indistintamente scambiato nel medesimo paese il 6 in v, il v
in u, Vu in h, e viceversa^ la x in ss, le consonanti geminate
in semplici; disordine, che non avendo sovente altra origiBe
,che r arbitrio degli scrittóri, trarrebbe facilmente in errore chi
si attentasse a spiegarlo altrimenti.
Tutte queste considerazioni mostrano troppo evidente Tim-
possibilità di stabilire una fondata dottrina delle lettere proprie
dei singoli antichi idiomi germanici; e sebbene il dott. Grimm,
intento a superare le più gravi difficoltà, abbia congiunto a la-
boriose speculazioni profonda dottrina ed acutissimo ingegno,
non potè preservarsi dal cadere nel labirinto d'un intricato
sistema, costrutto secondo un parlicolar suo modo di vedere e
di sentire. Appunto per questo non possiamo comprendere, come
egli condanni quelli che fanno uso delle lettere gotiche ed an-
glo-sàssoni nella publicazione dei rispettivi documenti, mentre,
per renderne i suoni perfettamente identici colf alfabeto Ialino,
r editore sarebbe sovente costretto ad alterarli, o interpretarli
a suo talento, rappresentandoli con una combinazione di lettere,
che non conviene egualmente ai varj sistemi ortografici, intro-
dotti presso tante nazioni. La difficoltà che la lettura di questi
caratteri presenta, non è ragione che possa prevalere ai sovrt-
dctli inconvenienti, tanto più che i caratteri gotici ed anglo-sas-
soni derivano immediatamente dai greci e dai latini, dei quali
non può ignorare il valore chi coltiva simili studj.
S'egli è impossibile, sulla semplice norma degli antichi mano-
scritti, stabilire con certezza il compiuto sistema fonetico di
tante nazioni, non ne viene perciò che non si possano fino ad
un certo punto determinare, almeno sommariamente, i caratteri
principali; e quindi con quella osservazione non intendiamo dire
E DELLA LORO GRAM^IATiGA. 345
che l'autore dovesse trascurare affatto questa parte importan-
tissima della grammatica; ma bensì che ia trattasse con quella
somma cautela che un soggetto cosi arduo e dubio richiedeva,
anziché costruire un sistema ipotetico di suoni per questa e
per quella lingua» per condurre poi lo studioso a quelle con-
clusioni ch'egli voleva. Cosi, per esempio, Timportauza ch'egli
attribuisce alle vocali a preferenza delle consonanti, è tanto
sistematica, quanto insussistente; ed è contraria all'ordine na-
turale, nonché all' opinione universale dei linguisti, che rico-
nobbero sempre nelle consonanti la vera ossatura del sistema
fonetico delle nazioni. Gli Orientali spinsero ancora la cosa più
oltre, mentre da loro o non si scrivevano le vocali, o se ne in-
dicava solamente il posto nei vocaboli; ciò cbe> mostra mani-
festamente qual caso ne facessero. Il voler poi pretendere che
le vocali presso le nazioni germaniche fossero più persistenti
che non presso i Gre^i ed i Latini, viene a smentirsi piena-
mente dal fatto.
Prima d'entrare nei particolari, crediamo opportuno riportare
un brano di lettera d' un dotto nostro corrispondente olandese;
che cade appunto in acconcio sul fatto nostro. On saity cosi
egli scriveva non ha guari, que Grimm et autres font autant
et plus de cas des voyelles que des eonsonnes; en vous deman-^
dant, MonsieuVy V explication de ce phénomène, je vous débite
mon opinion. Les Alkmands se piquent d'étre les vrais Ger-
mani de Tacite, et par conséquent frères des GotiìSj des Chau-
ces, des Frisons, des Anglo-Saxons, etc; mais ils voient fort
bien que leurs eonsonnes ìie leur accordent pas cette place ;
au contraire elles leur destinent celle de neveux abàtardis.
Le développement, ou plùtot l' endurcissement des eonsonnes ^
est une mar que irrécusable de l'àge des langìies et des dia,"
lectes. Frater, dens, sont plus anciens que brothar, thunthus,
qui à leur 'tour sont plus anciens que l'allemand pruoder,
zand. Dans les voyelles au contraire les Allemands ressem-
bleiit autant que nous aux Gotlis, et voilà pourquoi ces mes-
sieurs, pour se rapproclier d* avantage au vrai sang des Ger-
mani, inettent les voyelles au premier rang. Lasciando a parte
le opinioni, e venendo ai fatti, varranno a far conoscere la si-
stematica condotta dell'autore alcune delle tante osservazioni,
che ci venne fatto d' appuntare qua e là nella lettura di que-
st' opera.
23
346 DELLE LINGUE GERMANICHE
Prima di tutto egli stabilisce una divisione di vocali in pure
e torbide, che a nostro avviso è affatto imaginaria; e chiama
pure a, o, u, torbide e, 6, té; che anzi considera la e piuttosto
come una corruzione deil*a^ che come una vocale primitiva, «
pretende^ che abbia cominciato a figurare come vocale dì^ìuta,
soltanto coir antica lingua franca ed alemanna, perchè nei pri-
mitivi caratteri runici non si trova rappresentata con segno
proprio. A questo potremmo rispondere, che dagli Orientali si
scrìvevano propriamente tre sole vocali, sebbene ne avessero uà
numero maggiore; e Fautore non ignora, che le nazioni set-
tentrionali portarono le loro rune dall'Asia; cosicché non si
potrebbe trarre argomento alcuno, quand'anche nelle antiche
rune mancassero i segni d'altre vocali. Oltre ciò rantore stesso
(pag. 2) confessa, che la maggior parte degli antichi scritti
runici furono alterati dai copiatori che li tramandarono; epperò
l'alfabeto runico desunto da quei frammenti potrebbe fornire al
più un principio di prova. D'altronde se, come non v*ha du-
bio, l'antico germanico era un dialetto d'una lingua più antica»
perchè non avrà tratta da quella colle altre vocali anche la e1
In simil guisa procedendo, egli asseris.ce (p. 11), che negli
antichi dialetti germanici la geminazione delle consonanti è molto
rara , mentre abbiamo contraria testimonianza nei monumenti
gotici, presso i quali è frequente. Cosi egli colloca a torto fra
le lettere composte la sch e le aspirate dei moderni Tedeschi,
le quali invece, presso gli Slavi, gli Armeni, e le tante nazioni
semitiche, vennero sempre e giustamente riconosciate come sem-
plici , e rappresentate con segno proprio. Che se i Tedeschi ,
adattando alla loro lingua l'alfabeto della latina, che mancava
di questi suoni, furono costretti a rappresentarli coHa eombi*
nazione di varie lettere, questo non potrà in verun modo can-
giarne la natura.
Quando l'autore si fa a rintracciare le fondamenta dell' an-
tica prosodia germanica, si appoggia all'analogia delle lingae
greche e romane, e vuole che, siccome queste dalla quantità'
delle sillabe passarono nei tempi moderni agli accenti» cosi le
lingue germaniche abbiano seguito eguale procedimento. Ora,
perchè l'analogia servir possa di prova, sarebbe necessario di-
mostrare 9 che tale è la legge universale delle lingue , ciò che
sembra impossibile nel caso nostro , poiché le lingue greca e
latina non sostituirono l'accento alla quantità, se non dopo aver
E DELLA LORO GRAMMATICA. 347
oltrepassato il culmine del loro perfezionamento» e propriamente
al tempo della loro massima decadenza; mentre le lingue ger-
maniche avrebbero subito questo cangiamenta al tempo del loro*
primo sviluppo, ciò che rendè inopportuno il paralello. Egli
era forse più naturale, ed egualmente appoggiato all'analogia,
il riconoscere che, siccome i Latini fondarono la prosodia loro
sulla quantità delle sillabe, ad imitazione dei Greci, cosi le na-
zioni tedesche fondassero la propria sugli accenti, ad imitazione
delle moderne lingue meridionali. L'attore parte dal prinoipio,
che siccome molte voci attualmente lunghe e monosillabe erano
anticamente dissillabe, ed avevano lunga la seconda, cosi la prima
dovrebbe essere stata breve, poiché, posando il tono sulla se-
conda , varia doveva essere la quantiti^ della prima; e ne fa
Tapplicazione alla lingua latina « della quale riferisce alcuni
esempj. Ma qui, senza avvedersi, confonde la prosodia antica
eolla moderna dottrina degli accenti, afiRatto . sconosciuta agli
antichi e di natura affatto diversa , mentre la quantità delle
sillabe poteva essere e lunga e breve, vi cadesse, o no, T ac-
cento. Tanto è vero, che le lingue latina e greca offrono indi-
stintamente voci dissillabe, nelle quali le quantità ^variano in
tutte le combinazioni |>ossibili *"", , ^ "","'*'. Oltre a ciò è
a notarsi, che i principj della prosodia latina sono in cé)*ti casi
diametralmente opposti a quelli della germanica, mentre in la-
tino la vocale seguita da due consonanti generalmente è lunga,
e lo è sempre se è seguita da una consonante raddoppiata. Ma
in tedesco invece suole avvenire il contrario, massime se la
vocale è seguita da consonante doppia. Quindi è assolutamente
falsa r induzione, ch'egli ne vuol ricavare, che il raddoppia-
mento delle consonanti, ed il prolungamento delle sillabe operato
dalfA posposto, hanno la medesima origine; poiché il primo
abbrevia la sillaba, accentuandola, laddove il secondo, accentuan-
dola, la prolunga. Se quindi questi due effetti sono analoghi
nella teoria dei toni, sono invece opposti nell'antica prosodia,
e potrebbero servire a provare^ che questa si fondava piuttosto
sulla dottrina degli accenti, che delle quantità.
Troppo sottili, e quindi impossibili ad applicarsi nei casi
pratici, sono le distinzioni che il dott. Grimm tenta avvalorare
(pag. 108) intorno ai dittonghi tu> io, eo, mentre gli scrittori
germanici, egualmente che gli esteri, erano troppo incostanti
nell'uso dei medesimi, e sovente li confondevano del pari che
348 DELLE LINGUE GERMANICHE
le consonanti d , t , ih. Nella nota dello stesso paragrafo egli
pretende dimostrare che diutiscj teudiscus (tedesco) deriva dalla
radice thiuths, e non da ihiuda, poiché il derivativo possessivo
dovrebbe essere thiudaivisks. V analogia per altro e V uso eo-
stante delle lingue germaniche ci mostra invece che se, nianna
forma mannisks , anche thiuda deve formare thiudisks, e ne
abbiamo una chiara conferma nella gotica versione dell* epistola
ai Gelati, testé publicata dal conte Ottavio Gastiglioni.
Ogniqualvolta Fautore trova negli antichi monumenti fatti
centrar] al suo sistema, é troppo facile ad imputarlo alla fal-
lacia dei copisti, ed a moltiplicare le eccezioni, le quali talvolta
sorpassano le sue regole. Cosi attribuisce ad errori di scrfttarà
i tanti esempj dei dittonghi oe, oi , che si riscontrano nella
cantica di Villeramo; pretende falsa la lezione LtitQM-aniio in-
vece di Liutprandoj come pure di tutti gli fif\ che a. suo cre-
dere devono essere tu, oppure vi; e quando trova il nome di
Hessen (Assia) derivato da quello degli antichi Ghatti che Ta-
bitavano, impugna la verità isterica piuttosto che ammettere
lo scambio del t, in s.
Più oltre fautore s'interna in nuove distinzioni, per deter-
minare la differenza tra il t; e la /; e qua trova un errore,
là crea un' eccezione , mentre in sostanza tutta la difficoltà è
sciolta quando si consideri T attitudine organica, sia orale, sia
auriculare, propria delle nazioni germaniche. Non vediamo noi
rinnovarsi lo stesso tutto giorno dai tanti, i quali anche stabi-
liti da molt'anni in Italia, non mostrano di distinguere il i'
daliy^ il b dal p, il d dal t, ec? Les Àllemands, ci scrivevi
scherzando, ma giustamente, il succitato nostro corrìspòndeite
olandese , peuvent bien prononcer toutes les consonne^, mali
ils ont V'organe de Voul assez imparfait, pour ne pouvoir ea
discerner toutes les nuonces. Si un Allemand entend quw
Hollandais va à la chasse des beren (degli orsi), il veni Ore
du parti, et tuer lui aussi les peren (le pere). ^
Al contrario, T autore attribuisce altrove (pag. 173) a varietà
di pronuncia ciò che deriva puramente dall' imperfezione della
scrittura. È noto, come presso tutte le nazioni che adottarono
l'alfabeto latino, la lettera e avanti le vocali e, i, si proniuci
diversamente che avanti Va, Vo tYu; non é quindi da. sor-
prendersi se, nelle glosse d'Isidoro si trovano le due fome
diverse fleische, scheinit, e scaffan, scriban^ per rappresentare
E DELLA LORO GRAMMATICA. 349
il medesimo suodo. Ora siccome la forma sch fu adoperata da
altri scrittori a rappresentare il suono sci italiano, tanto diverso
dair altro ski, cosi il nostro autore attribuisce all'idioma d'I-
sidoro una pronunzia diversa, e di più pretende, che la pronun-
zia del suono sci incominciasse dalle voci che Kanno Te e Vi,
e passasse poi a quelle che hanno Va, Vo e Vu; ciò è un
confondere stranamente i modi di scrivere colla pronunzia, gli
effetti colle cause. Che sé Isidoro e tanti altri scrittori germa-
nici erano incostanti nel rappresentare la sibilante sci, questa r
circostanza non può somministrar prova favorevole o contraria,
mentre era solo conseguenza dell'imperfezione dell'alfabeto, e
della mancanza d'un sistema ortografico, che vi supplisse. Non
è mestieri ricordare , come ancora oggidì , mentre i Tedeschi
rappresentano quel suono colle lettere sch, gli Inglesi invece
adoperano le sole sh, e gli Svezzesi le sk; cosi tra le nazioni
romane, mentre l'Italiano usa se avanti e ed i, e sci avanti a,
0, u, il Francese invece ed il Portoghese fanno usò delle eh,
che in italiano rappresentano il suono duro del k, e nello spa-
gnuolo quello del ci italiano.
La causa che indusse V autore a quella strana opinione , si
è r aver voluto sostenere, che negli antichi monumenti tedeschi
la e, avanti l'è e Vi, equivalesse a ke,ki, ciò che sarà forse
vero in alcune glosse; ma Taziano, Kerone, Notkero, ed altri»
non usano mai la lettera e in simil guisa, non trovandosene uu
solo esempio. Per dimostrare che il fatto era tale nell'antica
lingua sàssone, egli si appoggia alle voci ecid, cruci, palèncèa,'ec.
nelle quali attribuisce al e il suono duro del k. M^a se avesse
osservato, che ecid era pronunziato dall'antico germanico ezih,
e dal moderno essig; che cruci viene pronunziato dagli odierni
Tedeschi kreutz, e dagli Inglesi cross; che palèncèa corrisponde
all'antico germanico pallanz^ onde forse il nome di PcUencia
in Ispagna, e di Pallanza sul Lago Maggiore, in tutti i quali
derivati non riscontrasi ombra di k, non avrebbe certamente
attribuito questo suono al ce, ci degli antichi Sàssoni.
Parlando poi della lingua anglo-sassone, l'autore, non po-
tendo opporsi alle prove che militano contro la sua opinione,
confessa, che in luogo dell' anglo-sassone ce, ci, ey, le lingue
romane usano la z, o la ce italiana; che il Frisone vi impiega
le sz, tz; che lo Svezzese, sebbene usi la lettera i^ la pro-
nunzia come il Tedesco tsch, simile all'italiano ci; che anche
5S0 DELLE LINGUE GERMANICHE
rislandesc, servendosi del k, lo raddolcisce, interponendovi ud
j tra il k e Ve. Ma, ad onta di ciò, finisce per mettere in
dubiò , se fgli Anglo-sàssoni raddolcissero , o no , la e avanti
Ve e Vi; e si fonda suirosser> azione, che il e avanti a, o, u
forma alliterazione con ce, ci. Ma qui egli non pon mente, . che
ralliterazione degli antichi Germanf qon era fondata paramente
sul suono, come le nostre rime ; ma bei^sl sulla forma materiale
del segno, e che tutti i sistemi ritmici ci forniscono esempj di
tali irregolarità. Anche la prosodia fraiìcese si appaga talvolta
della forma materiale , de V oculaire , come si esprime Olivet
nella sua Prosodia francese, anziché della pronuncia. D'altronde
non solo egli è fuor d'ogni dubio , che la e raddolciva avanti
Ve e r^V, ma egli è certo ancora che lo stesso A dei Sàssoni
assunse nelle isole britanniche il suono della ce italiana in
molti vocaboli ; suono , che posteriormente passò in retaggio alla
moderna inglese, la quale pronunzia church, chief, ec, eh rap-
presentando il suono della nostra ce. Ora siccome questo saono
non si ritrova precisamente identico in veruna delle altre lin-
gue germaniche, egli è certo, che nella lingua anglo-sàssone fa
introdotto dalle nazioni celtiche colà stanziate e sottomesse, le
quali, mentre sostituirono al loro antico idioma. la lingua dei
conquistatori, vi adattarono la nativa loro pronuncia. Troviamo
ancora Tidentico fenòmeno nei dialetti lombardi, i quali scam-
biano il suono duro delle voci italiane chiodo , chierico , cìm-
mare, chiaro, nelf altro più dolce ciod, cèregh, dama, dar, ee.
Dal che si può trarre argomento per credere , che le nazioni
celtiche della Gran Brettagna avessero una più stretta analogia
coi Celti cispadani, che non coi Galli propriamente detti, ai qiudi
è assai verisimile che questo suono fosse affatto sconosciuto.
Potremmo qui aggiungere una serie d'osservazioni intono
alla teoria sviluppata dal dott. Grimm per le altre lettere , e
specialmente per le gutturali, che gli presentarono i fatti meno
conciliabili col suo sistema, essendo questo, in fine, sempre di-
retto a mostrare l'affinità del gotico coi dialetti germaniei me-
ridionali. Impresa assai difficile invero, mentre il sistema fone-
tico, ch'è pur di sommo rilievo air etnògrafo, ci rappresenta
invece la lingua gotica molto più affine alle scandinaviche ed
alle germaniche inferiori. Ci basterà per ora avere accennata
l'impossibilità di fondare una teoria certa dei suoni di lingue
estinte, desumendoli dai segni che li rappresentano; poiché sic-
E DELLA LORO GRAMMATICA. 551
come i segni sensibili non hanno altro rapporto coi suoni » se
non quello che assegnò loro la recondita convenzione delle
nazioni che li usavano, cosi, finché non ci vengano rivelate le
fondamenta di questa convenzione, qualunque tentativo, rivolto
a scoprire quei rapporti, non potrà essere se non sistematico
ed ipotetico.
Il dott. Grimm non ommise d'adattare al suo sistema anche
la teoria delle flessioni, nel secondo libro, ove prende a trattare
delle declinazioni e delle conjugazioui. Anche qui egli entra
in una folla di raffinatezze grammaticali, le quali, stancando il
lettore, rendono arduo Tuso della sua grammatica. Dopo aver
moltiplicate le declinazioni e le, conjugazioni , talvolta oltre i
limiti della precisione e della chiarezza, introduce una nuova
distinzione grammaticale , separando le declinazioni e conjuga-
zioni forti dalle deboli. Chiama forti (starké) le più ^antiche ,
e pròprie xlelle radici primitive; ikboli (schwache) quelle delle
voci derivate, nella cui forma venne intrusa una n per le de-
clinazioni, od altra consonante per le conjugazioni. Questa di-
stinzione, quand'anche giusta, rende più complicatala tessitura
dell'opera^ ed accresce il già soverchio numero delle suddivi-
sioni.
Quanto ai verbi, egli propone quindici conjugazioni di verbi
per le lingue gotica e germanica; quattordici per l'antica sas-
sone, anglo-sàssone, frisica ed islandese; mentre i varj filologi
che compilarono la graifnmatica di queste lingue, ne additano
un numero assai minore. Cosi il rinomato autore produce tre
forme per i passivi gotici, delle quali la terza, essendo perfet-
tamente identica alla prima, si potrebbe ommettere, comunque
appartenente alla terza conjugazìone debole. Qui si potrebbero
in quella vece introdurre più opportunamente i varj esempj,
che offrono i rescritti deirAmbrosiana publicati posteriormente
dal conte Castiglioni.
Mentre dall'una parte si estese alquanto nella teorica delle
conjugazioni delle antiche lingue gotica, islandese, anglo-sàsso-
ne, ec, lo troviamo poi troppo arido nelle conjugazioni dell'antica
lingua frisica, delle quah non dà che un cenno, senza citar le
fonti dalle quali le attinse. Basti il dire, che in una sola pagina egli
racchiude tutte le flessioni di quattordici conjugazioni di verbi,
compresevi le osservazioni ed eccezioni rispettive. Ommette poi
interamente le conjugazioni dei verbi inglesi del periodo di
353 DELLE LINGUE GERMANICHE
mezzo , per modo die anche per la lìngua inglese manca in
parte quest'importantissimo anello intermedio, come per le scan-
dinaviche.
Il secondo ed il terzo volume^ che insieme ammontano a 1800
pagine, racchiudono T interessante teoria della formaziotie delle
varie parti del discorso. È questa forse la parte più importàote
dello studio grammaticale, sebbene quasi ignorata dagli antichi,
e troppo negletta dai moderni. Nello studio comparativo delle
lingue è dì sommo rilievo , perchè rivela rapporti , che noe
lasciano dubbj sulla loro affinità , o differenza , ciò che non è
sempre vero dei rapporti etimologici sovente fallaci.
Possiamo considerare lo sviluppo filosofico di questa dottrina
come opera dei nostri giorni , dovuta particolarmente ai Ge^
mani, tra i quali Adelung, Buttmann, Grotefend, Becker e Rask,
che ne mostrarono l'utilità e l'importanza, e ne applicarono
i principj a varie lingue. Dopo aver appreso T artificio osilo
in una lingua per la formazione dello parole, il dizionario non
atterrisce più lo studente, che se lo vede, quasi per incanio,
di grosso volume ridotto a poche carte. Le radici di tutte le
lingue son poche assai, e i nove decimi circa delle parole che
impinguano i nostri vocabolarj sono derivate, per modo che lo
' scolare esperto della formazione delle voci, ne ha già appreso
i nove decimi. Taylor, nella sua edizione del Dizionario greco-
latino di Schrevelio, introdusse una raccolta di sentenze, le
quali comprendono tutte le voci greche primitive; ed il testo
greco occupa appena quattro fogli; si picciolo è il numero degli
elementi, dai quali si genera la ricchissima lingua grecai^
Non possiamo qui dissimulare, che, nella gramipatica del dott.
Grimm, avremmo desideralo vedere questo trattato premesso
alla teorica delle flessioni, ciò che sarebbe stato senza dnbio
più consentaneo all'ordine naturale; giacché egli è chiaro, che
debbasi premettere la divisione ragionata delle parti del discorso
alle regole particolari di ciascheduna ; e la divisione delle parti
del discorso porta seco la necessità di stabilire coi caratteri ebe
le distinguono anche le leggi della loro formazione. 11 dotto
autore amò meglio posporla, e noi non vorremo certamente
apporglielo a colpa. Certo è , che mostrò di conoscere ed ap-
prezzare la somma importanza di questa teorìa, coi profondi
studj manifestati ne' due citati volumi, nei quali trovasi larga-
mente profusa tutta la dottrina dal soggetto richiesta. Ma,
E DELLA LORO GRAMMATICA. 3£IS
tre ammiriamo l'impassibile costanza e T indefesso zelo nel rac-
cogliere tanti e si preziosi materiali , non possiamo imaginare
che alcuno voglia e possa percorrere quasi due . mila pagine
fitte y generalmente composte di semplici parole staccate, di
cifre, e di abbreviazioni e citazioni, interrotte da diversi carat-
teri, ed in varie lingue. La distribuzione di tanti materiali, ed
il modo con cui vi sono rappresentati, sembrano veramente de-
stinati a mettere alla prova la pazienza del più impavido e
freddo speculatore. Lo studioso che vi cerca le leggi proprie
d'una data lingua per la formazione delle sue voci, è costretto
a balzaì*e di qua, di là a tentone, per cercarvi le linee sparse
che vi si riferiscono, e per leggere una sola pagina, deve per-r
correrne cento. In quella vece il linguista che vi cerca ì rap-
porti delle leggi delle varie lingue, ^1 quale oggetto soltanto
l'ordine delle materie sembra diretto, ^i trova una congerie di
fatti , senza dilucidazioni, e talvolta senza appoggio, dai quali
poco vantaggio può ritrarre, se prima non chiede a sé stesso
come e dove e perchè?
Oltre a ciò, sembra che Fautore, troppo inclinato alle sotti-
gliezze metafisiche, ed alle divisioni all'infinito, abbia voluto
semplificare le radici, anche dove ne manca del tutto il fonda-
mento. Finché egli divide la voce inglese drinker, nella radicale
drink, e nell'affisso derivativo er, che serve a cangiare l'attri-
buto in soggetto, anzi ad unire soggetto ad attributo nella stessa
voce, la cosa è tanto chiara, quanto esatta. Ma se poi riprende
la radice drink, e suddividendola in drin e k, ci presenta anche
quest'ultimo come affisso derivativo» avremo diritto di chiedere,
quale sia il primitivo significato, di ditin, e quale influenza vi
eserciti Taffisso kf Ora tale è appunto il modo dell'autore, il
quale (pag. 279) divìde le jparole inglesi bench, stork, thank^
folk, work, ec, e dichiara le finali eh, k, affissi derivativi, senza
esaminare se ben, stor, than , fol , ec. siano poi vere radici ,
quale ne sia il valore, e simili^
II quarto volume, che vide la luce nell'anno 18^7, non è
minore degli altri, e contiene presso a mille pagine egualmente
fitte, con un prodigioso numero di notizie. Ivi il chiaro autore,
tratta della sintassi, e ne sviluppa teoricamente e praticamente
le due prime parti. Egli divide questo trattato in cinque se-
zioni: nelle due prime, che formano il soggetto di questo vo-
lume, prende ad esaminare la proposizione {semplice, conside-
55^ DELLE LINGUE GERMANICHE
rata nel nome e nel verbo; nella terza comprenderà le le^i
della proposizione composta; nella quarta tratterà della con-
giunzione e della negazione; nella quinta finalmente si estenderà
sulla disposizione ordinata delle varie parti del discorso, nelie
sentenze. Per modo che se» dopo la sintassi, T autore intende
sviluppare ancora le regole della prosodia e della versificazione,
presso le varie nazioni germaniche, dobbiamo ancora aspettarci
per lo meno due grossi volumi, a compimento di qu^ta granir
matica laboriosissima e monuuientale.
Il metodo è lo stesso dei volumi precedenti; tutto vi jè egual-
mente ordinato, secondo il suo particolar sistema, ed egaalmeate
copiose e fitte vi sono 1q citaiiioni. Se non ohe vi si mostra
meno arido neir esposizione di quanto appartiene airindole par-
ticolare delle varie lingue, e da profondo conoscitore della loro
tessitura e dei loro monumenti, presenta numerose osservaiioiii
affatto nuove ed interessanti. Verremmo ad oltrepassare i con-
fini d* una Memoria, se dovessimo entrare nei particolari di que-
sto volume, il quale ci fa sperare, che T autore voglia estendersi
più convenevolmente nella quinta sezione, come quella che, me-
glio d'ogni altra, è atta a rappresentare la filosofia delle lin-
gue., ed a mostrare i caratteri irrefragabili dei loro rapporti.
Se non che, per quanto riguarda le antiche lingue, l'impresa
ci sembra superiore ai mezzi; i quali v per la lingua gotica,
per la francavo per l'antica sàssone in particolare, si rìdueono
a mere traduzioni^ anzi a traduzioni dei libri sacri., le quali,
per la natura del soggetto, esigendo rigida fedeltà alla lettera,
dovettero allontanarsi talvolta dalla costruzione più consentaBei
al genio delle diverse lingue. Epperò al filologo , che sa tali
documenti cerca le leggi della costruzione degli antichi idiomi,
non rimane altro sussidio, fuorché d'adattarsi ciecaoiente. a
queste violente inversioni prescritte dalle circostanze, o inter-
pretare arbitrariamente Fordine naturale, che le varie parti
del discorso avrebbero dovuto seguire in ciascuna liiìf;aa. -
Gonchiuderemo, riassumendo quanto abbiamo sin qui esposto,
che la Grammatica del dott. Jacopo Grimm è una mìtiiera ine-
sauribile delle più preziose notizie sui principi costituenti gl'i-
diomi germanici ^ non che sulla loro letteratura antica e mo-
derna; ma perchè tutte queste notizie possano riuscire di verace
vantaggio ai coltivatori di simili studj, è prima necessario che
siano alquanto depurate dall'influenza del sistema, che le reae
E DELLA LORO GRAklMATICA. * %&ÌS
sovente pericolose e sospette, e più di tuttoancora che sianci
convenevolmente ordinate, e òon maggiore chiarezza esposta ^
sviluppate. Facciamo quindi voti, che qualche dòtto seitentrio-
naie, interpretando la mente deirilluBtre autore, si accidga a
questa utilissima impresa, e renda atta quest'opera ad essere
posta nelle mani della gloventìk , alla quale è riservato racco-
gliere le tant utilie deduzioni, che da simile lavoro possono sca-
turire. Mav perchè le deduzioni siano giuste, naturali e spon*
taoee , è duopo sopratutto che il rifonditore della Grammatica
del dott. Grìmm si spogli di qualsiasi prevenàone, e da osser-^
vatore imparziale esponga i fatti quali sono ^ e non quali do-^
vrebbero essere, per giungere a conclusioni prestabilite. Ove poi,
nella rifìisione dell'opera, venga ordinandi»* in serie separate
le successive modificazioni cui soggiacque nei secoli ciascuna
lingua, risulteranno molto più sensibili le varie lacune dall' au-
tore lasciatevi, massime nello sviluppo delle lingue scandina-
viche, e di alcune fra le teutoniche inferiori, quali sono: la
frisica moderna, l'inglese dei tempi di mezzo e la moderna
sàssone, considerata ne' suoi molteplici dialetti.
Oltre a ciò, per conseguire pienamente il fine, al quale una
grammatica isterica deve ordinarsi, sembra ancora necessario
che, mentre si vanno gradatamente enumerando le varie mo-
diflcazioni subite da una lingua, si accennino nello stesso tempo,
per quanto è possibile, le varie cause estranee che più vi con-
corsero. Per tal nv>do, ojitre al far manifesta Toriginé delle
tante irregolarità che rendono difficile lo studio delle lingue ,
e rendono perplesso l'etnògrafo, vengono ancora opportunamente
distinte tutte le forme che le lingue assunsero spontaneamente,
nel corso dei secoli, da quelle che vi furono per violenza in-
trodotte dalle altre nazioni.
Un altro desiderio ci resta a manifestare prima di lasciar
questo grave argomento, ed è, che il nobile esempio dell'autore
possa essere sprone ad altre nazioni, e trovar valenti seguaci,
che s' accingano air impresa di tessere V istoria filosofica delle
varie loro lingue. Una simile impresa sarà senza dubio fe-
conda de' più felici effetti, ed aprirà vastissimo campo alle spe-
culazioni dei pòsteri. Allora almeno avremo preparati, come
osserva egregiamente il dott. Grimm, i veri materiali per la
primitiva istituzione della gioventù, la quale in tutto il mondo
incivilito consacra gli anni più preziosi della vita allo studio della
3!I6 DELLE LINGUE GERMANICHE E DELLA LORO GRAMMATICA.
lingua latina, senza altro fine che la lettura di quei classici. .
Raccogliamo pure ed insegniamcr i precetti delle antiche lingue,
ma rappresentiamole come studio fondamentale di .quelle di
cui dobbiamo valerci negli usi communì della vita, come fonti
da cui queste scaturirono, e come congiunte alle lingue d* altre
nazioni, che vennero considerate per secoli come tante raizc
diverse. Ma non risvegliamo le rivalità, non introduciamo le
passioni nella scienza! Abbiamo bisogno di scoprire la verità,
di mostrare coll'irrefragabile testimonianza dei naturali rap-
porti, che siamo fratelli. Poco monta se tremila anni fa gli an-
tenati nostri conquistassero il mondo , o , come le tribù pro-
scritte dei Paria, errassero ignobili per forèste e deserti 1 Apriamo
senza ambagi il libro dell' universo , e svolgiamone le miste-
riose pagine: questa è la gloria alla qUale dobbiamo aspirare.
SUI
CANTI NAZIONALI
DEGLI SLAVI
J
^ i . ^:
\ i sublìmi quadri che la natura semplice ed iaculta offre
egli è pur commovente allo slraniero, che osa inoltrarsi
ìospiti gioghi della Servia, della Bosnia^ deir£rzegovina,
nte-Negro, della Dalmazia^ lo scorgere un vigoroso stuolo
ani pastori, raccolti all'ombra d' anlkltìssima pianta* in-
id un canuto vecchio, che col flebile liuto sulle ginòc-
>sorto nelle avite tradizioni^ ripete loro canzoni amorose,
lai e gesta di guerrieri. La quiete che regna in quelle
denti attorniate d'inaccessibili balze, gli armenti sparsi
là senza custodi, la xeciprocanza degli afletti, la sempli-
i costumi, le lagrime che talvolta i modulati accenti del
traggono da queir attònita turba,, formano mirabile con-
col pugnale che scintilla al fianco delle donzelle, e col
) archibugio che pende dagli òmeri del pastore.
;ta nazione, ammiratrice della sublime natura, sobna,
mente proclive alla vita campestre, oltremodo gelosa dei
ritti e della sua liberta, percorrendo le native montagne
anna pastoreccia in una mano e T archibugio al'dorso,
le cure della vita, ora guidando gli armentiv ora com-
lo i nemici. Anch'essa ebbe i valorosi, che caddero
patria e per Cristo, e ne immortalò le gesta con cdrmi
ti; ma invano ricerchi i nomi degli antichi suoi bardi,
ergamene cui affidarono le loro saghe. Qui la natura e
maestoso e ridente profusero ovunque il dono delia
e della musica; i vecchi, nelle ore di riposo, ripetono
i canti che appresero dai padri^ e mentre, col racconto
rodezze degli avi, informano gli animi alla virtù^ col di-
I le sciagure della patria, li infiammano contro i nemici.
)ta nativa attitudine alla poesia, commune a tutte quasi
litive società , appare oggimai generale presso lotte le
360 SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
nazioni slave, e il prodigioso numero di canzoni nazionuli, che
si vanno qua e là raccogliendo presso gli Slavi di Russia ^ di
Polonia, di Boemia, di Lusazia, d* Ungheria, d' Illiria, potrebbe
porger materia di paragone colle memorie dei rapsodi Oreci,
degli Scaldi di Scandinavia , dei Bardi di Scozia. Noi non ver-
remo rimescolando le antiche controversie sulf autenticità dei
poemi d'Omero e d'Ossian. Diremo però, che i molti canti na-
zionali proprj delle popolazioni illiriche^ somministrano un chiaro
esempio d'antiche poesie sparse in una vasta regione e cod-^
servate oralmente, le quali, aggirandosi per lo più sopra le tra-
dizioni d'un popolo, ed essendo modellate sulla natura del
luogo che le inspirò, potrebbero, opportunamente distriboite,
comporre un complesso regolare e proporzionato neUe varie
sue parti. Che anzi ve n'ha taluna che, per aippiezza di tes-
suto e regolare condotta, forma un compiuto poema.
Prima però d'entrare nei particolari di quest' argomento, giova
premettere alcune notizie istoriche e geografiche intorno alle na-
zioni alle quali questi componimenti appartengono, ed alla lifigoa
in cui furono esposti. E prima di tutto avvertiremo, che il nóme
di nazione serbica non è qui ristretto ad esprimere ìF, piccolo
numero di Slavi che vive nell'attuale principato di: Serbia o
Servia, ma comprende altresì tutte le nazioni illiriche le quali,
sebbene separate da varj secoli, palesano una Gommane origine,
e parlano dialetti d' una medesima lingua.
L'antico Illirico, ai tempi romani, abbracciava la vasta regione
posta fra l'Adriatico, il Danubio, il mar Nero e il monte Emo;
ed i suoi abitanti primitivi formavano un numeroso popolo
strettamente collegato coi Traci. Verso la nielà del aecplo yi,
questa parte d'Europa, devastata dalle frequenti guerre degl'im-
peratori, e dalle repentine invasioni degli Unni, dei Goti, de||
Avari, venne inondata da immenso sciame di Slavi ^ ,i quiE .
furono poi distinti coi varj nomi di Bùlgari, Servi, Bosnii, Croali,
Slavoni e Dàlmati. Alcuni istorici, conservando Taptica deno-
minazione data dai Romani al paese , li indicarono con^pliosai-
vamente col nome d' lllirii. Naturalmente inclinati alla vita jia<
cifica e sobria, gli Slavi, tosto che furono a prossimo contatto
colle incivilite nazioni meridionali, abracciarono il Cristianesimo,
nel corso dei secoli VII, Vili e IX^ e fondarono diversi regni,
che, dopo essere stati a vicenda più o meno potenti, fiorono
da nuovi invasori alla loro volta distrutti. Le rivalità che, fis
SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 361
dàlia toro prima comparsa nella istoria, li trassero tra loro ad
aspre guerre, e la varia sorte cui furono alternamente soggetti,
cadendo sotto la dominazione di principi italiani, tedeschi, mà-
giari e turchi , finirono a separarli in tante nazioni distinte ,
interrompendo fra loro ogni commercio.
Tra i primi i Bùlgari furono battezzati da Cirillo e Metodio,
benemeriti propagatori del Cristianesimo presso le nazioni slave,
cui providero eziandio d' una versione dei libri sacri. Il regno
loro fu in continua guerra contro i Serbi, i Greci, gli Ungarì
ed i Turchi. Dopo aver trionfato dei Serbi, caddero, neir an-
no 1175 sotto il dominio degP imperatori greci, dal quale pas-
sarono, nel 1396, sotto il giogo ottomano, e vi trassero una
calamitosa esistenza fino ai di nostri. Ma non ostante Tintro-
dùzione delf Islamismo nelle loro terre, si serbarono fedeli alla
chiesa greca. Alcune migliaja vivono ancora in Macedonia, colà
trasportati dal torrente delle vicende.
I Serbi, propriaménte detti, furono governati per alcuni se*
coli da principi nazionali , chiamati Shupan. Otto re e ^ue
imperatori discesero dalla' chiara stirpe Nèmanic. La loro isto-
ria è pure una serie continua di guerre contro gì' in^peratori
bizantini, e i chan dei Bulgari, dai quali furono per un istante
soggiogati; ma liberatisi ben presto, si riordinarono, e divennero
oltre modo potenti, sotto il loro czar Stefano Duschan, il quale
dettò all'imperatore di Bisanzio condizioni di pace, e domiaò
sulla Serbia, sulla Bulgaria e sulla Macedonia. Air immatura
sua morte, i suoi Stati furono divisi da varj piccoli principi»
tra i quali il valoroso Lazzai*o peri a Kossovo, combattendo
per la religione e la libertà ^ È questi uno degli eroi celebrati
nelle canzoni serbidie, le quali tuttora odonsi ripetere fra i
monti che furono il teatro delle sue gesta.
Indeboliti dalle discordie intestine, i Serbi, nel 136S, sog-
giacquero al dominio turco , «sotto il quale fremettero fin quasi
ai nostri giorni. Negli ultimi tempi però un raggio di libertà
rifulse ancora sul loro orizzonte; poiché, resi solo tributarj
della Porla e retti da un principe nazionale, possono far riso-
nare liberamente fra le loro balze i canti che rammentano la
> ^ella slessa battaglia cadde eziandio il sultano Amurat I , per mano di
JUilosc Obiliò, genero di Lazzaro Grebliànoviò.
24
562 SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVi.
memoria di Duschan, di Lazzaro, di Marco Kraljevic e di Aglia
Àsan ^
Oltre a quelli che compongono la popolazione delf attuale
principato di Serbia, trovansi alcune migliaja di Serbi neirim-
pero austriaco, più particolarmente nel BanàtQ, e nelle cont^ 1
meridionali d'Ungheria, da Semlino a S. Andrea presso Bada,
i quali vi si rifuggirono , in varie età , per sottrarsi al flagello
ottomano. Fin dal 1690, il patriarca Arsenio III emigrò dalla
Serbia in Ungheria con trentasette mila famiglie; e nel 1737,
Arsenio lY segui le sue tracce, con un numero ancora mag-
giore; ciò che portò una ferita insanabile all'agonizzante col-
tura di quella nazione.
I Bosnii, dopo essere stati uniti ai Serbi fino al secolo XIV,
fondarono un regno separato, che comprendeva il Monté-Jiegio
e l'Erzegovina, cosi chiamata dopo che Federico III confieri
al principe Stefano il titolo di Duca {Herzog). Ma questo rqjao
ebbe assai breve durata, perocché nel secolo seguente cadde
in potere degli Ungari, e nel XYI divenne preda dei Tanihi,
che vollero imporre ai vinti il Corano. La maggior parte peri,
in onta alla scimitarra turca, si conservò fedele al<]lristianesiiiMS
ed appartiene alla chiesa greca; cento mila in circa sono eat-
tolici.
Di tutti gli Slavi che formano parte dell' antico regno di
Bosnia, i soli Montenegrini non furono mai soggiogati dai Tll^
chi; ma fra le inóspìte rupi sì reggono a forma di republiea
militare, cui presiede il vescovo con assai limitato potere.
I Croati fondarono verso Tanno 640 un regno nella regioM
da loro attualmente occupata , dopo averne espulsi gli Avan.
Alcuni scrittori pretendono , che questa tribù stanziasse ià
Europa, prima ancora degli altri Slavi meridionali; alla qoak
opinione prestano forte argomento alcune impronte fisiche e
morali, che li distinguono dagli altri tutti, e la posizicae Um9
> Con UD trattalo fra la Porta e la Serbia, guarentito dalla Rassia, laSièfbia
venne riconosciuta semplice tributaria della Porta. 11 Firmano spedito tuia hi
guari dal Gran Signore al basclà di Belgrado , tra varj privilegi , accorda é
Serbi ancora i seguenti: la piena libertà de! culto; la facoltà di BcegUefti
«capi del loro governo; T indipendenza delP amministrazione; T integrila. del*
r antico territorio; la libertà di commerciare in tutto l'impero ottomano eoa
passaporti serbici; la facoltà di stabilire scuole, stamperie ed ospitali; ria»
terdizione a tutti i Turchi di risiedere In Serbia, eccetto i presldj d^
fortezze , ec. ec.
SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 363
più ÌDollrata verso il centro d'Europa. Ma la loro istoria è
molto oscura, e resa ancora più incerta dalle discrepanze degli
scrittori. Cerio è, che sostennero lunghe e sanguinose lotte con-
tro gli Ungari, ai quali furono poscia aggregati per eredità; e
formando parte del regno ungàrico, passarono poi con questo
sotto la dominazione austriaca, alla quale obbedirono, senza
interruzione, fino al presente.
Gli Slavoni si stabilirono nella piccola striscia di terra com-
presa fra la Drava e la Sava; anche il loro regno fu di breve
durata, poiché furono con quello di Croazia incorporati nel-
r Ungheria, quando Lepa, sorella dì s. Ladislao, riunì sul capo
fraterno le due corone. Cogli Ungari passarono poscia air ob-
bedienza austriaca.
I Dàlmati stanziarono lungo le coste dell* Adriatico, da Fiume
fino a Càttaro, e vi fondarono ai tempi dell'imperatore Era-
clio un regno che conservò T antico nome di quel paese.
Dopo aver lottato con varia sorte contro la républica veneta,
passarono per diritto di successione sotto la corona ungàrica,
de' cui dominj formano parte ancora. Nel regno di Dalmàizia
intendiamo comprendere eziandio la piccola républica di Ragusi,
la quale, sebbene per tanto tempo separata d'interessi politici
dalle terre circostanti, può riguardarsi come culla e sede della
cultura illirica.
Vi si comprendono inoltre quei Morlacchi che, sebbene ap-
partengano ad una famiglia distinta, formano parte dei Dàlmati,
e parlano il medesimo dialetto. Sogliono i Dàlmati cattolici ap-
pellare Yalacchi (Vlach) i loro fratelli addetti alla chiesa greija;
e quindi hanno dato ad altri il nome di Morlacchi (Morvlach),
che significa, secondo alcuni, Yalacchi neri; secondo altri, con
più ragione. Vaiacela marinimi; diciamo con più ragione, poi-
ché infatti i Morlacchi di Rotar e delle pianure di Segna e di
Knin non sono bruni, ma biondi.
Ora, tutti questi popoli, abitando da varj secoli le regioni
dell'antico Illirico j furono collettivamente designati dagli scrit-
tori col nome commune di Illirii , i soli Bùlgari eccettuati ; i
quali, avendo adottata la lingua illirica, sebbene corrotta dalla
vetusta forma della primitiva e dalle voci turche, devono pure
esservi compresi. Siccome poi, non ostante la separazione non
interrotta da tanti secoli , e il dominio di tante nazioni alle
quali soggiacquero^Jconservarono presso che intatta la medesima
564 SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAM.
favella, cosi venne applicato anche a questa il nome d'Illirica.
Ma negli ultimi tempi essendosi osservato da moderni scrittori,
come fantica denominazione d'IlUria cangiasse più volte si-
gnificato nel corso di pochi secoli, a misura che il fliUtaare
continuo delle vicende politiche ne allargò, o ristrinse i confini,
e trovandola quindi troppo vaga a precisare i limiti entro i
quali quest'idioma si parla, l'abbandonarono, e vi sostitairoDO
r altra di nazione e lingua serbica. Siccome peraltro qn^ta se-
conda denominazione non è meno impropria della prima ^ e
vale solo a destare frivole rivalità nei varj membri d'una me-
desima famiglia , cosi comprenderemo tutti questi popoli , che
dalla Stiria e dalla Carintia si estendono tra TAdriatico ed il
Danubio sino al mar Nero, nel nome collettivo di Slavi merir
dionali , il qual nome si potrà applicare egualmente alla loro
lingua, ove non si voglia preferire quello d'Illirica.
Riassumendo: questa lingua si parla, con lievi modificazioni,
da oltre cinque milioni di Slavi sparsi in Bulgaria , in Mace-
donia, in Servia, in alcune contee meridionali delF Ungheria,
in Bosnia, in Erzegovina, nel Monte-Negro, in Dalmazia, Sia-
venia, Istria, Croazia, Garniola, Stiria e Carintia. Le. differenze
de'suoì dialetti sono di poco momento, e consistono principal-
mente nella pronuncia. Il chiaro ricoglitore dei loro Capti
nazionali, il benemerito Wuk Stephànovic Karadcic \ il quale,
nato in Serbia e dedito sin dalla prima gioventù allo stadio
della patria lingua , ne percorse con occhio indagatore tutto il
dominio , appuntò fra tutte quelle nazioni tre soli dialetti , e
sono: l.** il dialetto erzegovinico, parlato in Erzegovina; ' Monte-
Negro, Bosnia, Dalmazia, Croazia, Carintia, e nella parte su-
periore della Servia fino a Matschva, Valjevo e Karanovac;
%^ il ressàvico parlato in Branitscevo , fino al Timok , in
Ressava , nel distretto di Parakin ed in Kriscevac fino a Kos-
sovo; 3.^ il sirmicOj parlalo in Sirmia, in Batschka, nel Banato
di Temesvar, ed in Servia, tra la Sava, il Danubio e la Morava «.
Di qui si scorge, come egli escluda da questa famiglia i Bul-
gari, che in numero di oltre mezzo milione, trovansi sparsi in
Bulgaria e Macedonia. Di fatti, oltre che i primitivi alifitanti di
questa regione, coi quali i Serbi si fusero, non erano in ori-
« Narodne Srbske Piesmej ec. ossia, Raccolta di Canzoni serbiche. Ujpsia,
184i. Voi. 4.
> Per quanto spetta alla classificazione di queste lingue eil «Ila lóro lettera-
tura veggasì il mio Aliante Linguistico d'Europa, Yol. I, pag. sex
SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 365
gine Siavi, ma Traci, come abbiamo accennato, vi sì aggiunsero
poi altre nazioni; e ne risultò un popolo misto di Slavi, Greci,
Albanesi e Tatari. In una proporzione presso che eguale, anche
il dialetto ivi parlato assunse voci di tutte le disparate hngue
di quelle nazioni, cosicché si può con ragione riguardarlo come
dialetto distinto; ma non cessa per questo d'essere un dialetto
slavo affine al serbico, col quale ha communi alquanti caratteri
fondamentali.
Se la separazione degli Slavi meridionali in tanti piccoli Stati,
se la varia loro sorte ed il continuo commercio con nazioni
diverse non influirono ad alterare sensibilmente la comniune
loro favella, era però naturale che dovessero contribuire al vario
suo sviluppo, accelerandolo colà, dove fioriva uno Stato, e ral-
lentandolo sotto Toppressione straniera. Cosi avvenne di fatti,
e possiamo dire, che quasi tutte le previncie a vicenda ebberq
letteratura propria, senza che T incremento dell'una abbia po-
tuto esercitare influenza neir altra.
Tra le cause che principalmente coneorsero a tracciare una
divisione indelèbile nello sviluppo letterario dei dialetti slavi
meridionaU^ dobbiamo annoverare la religione^ per la fatale se-
parazione della chiesa greca e della latina. II. primo monumento
scritto che si conosca presso quei popoli comparve col Cri-
stianesimo nella versione delle sacre Carte. Siccome furono prò*
pagate per le predicazioni di missionari greci e latini, ne venne,
che i primi introdussero presso gli Slavi orientali l'alfabeto
cirillico^ ed i secondi fecero uso del latino presso gli occidentali.
Questo semplice fatto, che in origine fu naturale conseguenza
della posizione delle varie proviucie, bastò col tempo a separare
i Agli della chiesa greca da quelli della latina; imperocché
quando la corte di Roma, proscrivendo la versione biblica 4i
Metodio, impose a tutti i fedeli Tuso della latina o della greca,
quelli che vi si opposero, tra i quali i Serbi propriamente detti,
conservarono l'alfabeto cirillico, ed i Dàlmati che possedevano
la versione slava della Bibbia neir antichissimo alfabeto glagoU-
lieo, attribuito a s. Girolamo, ottennero dal Pontefice di valersi
della propria lingua e di quella versione nelle pratiche reli-
giose; per modo che sin da principio tre furono gli alfabeti
che vi prevalsero *. Comunque inefOcace sembrar possa questa
* Veggasi a questo proposito la Kota(«) a pag. xxxix net precedente diiworfto
Sulla Vita e svfjli Scritti dct conte C O. Castigttoni.
366 SUI cANTr nazionali degli slavi.
diversità d'alfabeti, essa influì particolarmente presso quei po-
poli ad impedire la formazione d' una sola republica letteraria,
unico mezzo per determinare una lingua , e avanzar rapida-
mente nelle istituzioni civili.
A questa prima divisione si aggiunse una seconda, presso
gli Slavi cattolici; perocché gli Slavoni ed i Croati, che usavano
r alfabeto latino, adottarono nella loro letteratura profana un
sistema ortograGco diverso da quello dei Dàlmati; onde avvenne
che, mentre tutte quelle genti potevano conversare facilaìente
tra loro per communanza di dialetto, non s'intendevano negli
scrìtti per discrepanza ortografica, e i loro libri appartennero
esclusivamente alla rispettiva provincia. Fu questa una delle caose
che tennero divisi i letterati di Serbia da quelli di Slavonia e
dr Dalmazia. Per questo appunto ciascuna provincia ha lette-
ratura propria e indipendente , pur parlando una medesima
lingua.
Per buona ventura vi si apprestò rimedio ai nostri giorni,
coir introdurre una nuova ortografia semplice e ragionata, che
si adottò da molti Slavi meridionali, i soli Serbi eccettuati, i
quali conservano l'alfabeto cirillico. Da questa riforma, la cai
diffusione è in parte dovuta ai benemerito dott. Lodovico. Gaj,
dobbiamo riprometterci i più fausti effetti ; e facciamo voto, che
quella generosa nazione si spogli delle rivalità municipali, e tutta
si unisca sotto una norma commune a formare una sola lette-
raria republica.
A rallentare lo sviluppo delle lettere illiriche contribuì ancora
Tuso dell'antica slavònica, ossia lingua ecclesiastica, nella quale
furono compilate sin dai primi secoli molte opere preziose sacrf
e profane. Più tardi gli Slavi meridionali coltivarono pommnne-
mente la latina, sopratutto dopo le vicende della riforma reli-
giosa; e l'italiana ebbe molti cultori in Ragusi e nelle Provin-
cie più occidentali dell' Illiria; cosicché se fiorirono in varie età
le lettere e le scienze in Serbia ed in Dalmazia, principalmente
in Ragusi , l'Atene degli Slavi marittimi , sotto la direzione di
dotti italiani e greci, che vi trovarono ospitale rifugio dalla stra-
niera persecuzione , la lingua nazionale vi rimase per lunga
stagione negletta.
I primi che sentirono la necessità di coltivarla e farla stru-
mento del sociale progresso, furono i Dàlmati, i quali, se ere-
diamo a Làscari, Caboga e Gradi, ebbero distinti poeti nazionali
sur CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 367
sin dai secolo X. Con tutto ciò ì primi padri della poesia illi-
rica apparvero solo verso la fine dei XV in Ragasi, e iiirono
Giorgio Darne, Sigismondo Menze, Marco Yetranic e Niccolò
Dimitri.
L' abate Ignazio Giorgi, il più lodato poeta dello scorso secolo,
sopranomò i due primi il Petrarca ed il Boccaccio degli Illirici.
Sigismundus Menzius , così egli si esprime, inter poetas illy-
ricos primu8 , celate cocevus Georgia Dar scio ; nam ineunte
anno 1500 uterque floruit. Ausim ex his alterum Petrarcham,
Boccacium alterum illyricce poeseos appellare; nam et elegantia
idiomatis et sententiarum suavitasin ipsis passim eminet. Sulle
traccie di questi padri della poesia nazionale mossero nel corso
del secolo XVI molti distinti scrittori, tra i quali citeremo An-
drea Subrànovic, Niccolò Noie, Francesco Lùccari, Marino Bo-
resic, Domenico Ragnina, Simone e Domenico Zlataric, Savino
e Francesco Bódolì, i due Bona, Andrea Soi^o, Stefano Gozzé
e Marino Mazibradic. In particolare Ragnina e Zlataric promos-
sero il nazionale incivilimento, voltando nella patria favella le
principali produzioni straniere. Dopo questi comparve Gianfrau-
cesco Góndola, il quale apprestò, forse primo fra gli stranieri,
una bella versione della Gerusalemme liberata, e avendo solle-
vato alla perfezione il Dramma nazionale, fu venerato dai pòsteri
come il miglior poeta della nazione. Nel secolo precedente, Ye-
tranic avea tradotto dal greco V Ecuba d'Euripide, Lùccari il
Pastor fido, Domenico Zlàtarie T Elettra di Sofocle e Y Aminta
del Tasso, Bona la Giocasta.
È pure dà osservarsi, come eziandio gli ecclesiastici; seguendo
il generale impulso, secondassero gli sforzi della nazione; ma i
loro tentativi di volgarizzare i libri sacri, furono repressi. Ban-
dùlòvic tradusse, neiranno 1613, gli Evangelj e le Epistole, dei
quali non si permise la stampa. Cionullostante Kascic e molti
ecclesiastici di alto ordine publicarono nel vulgare dialetto molte
opere destinate all'istruzione religiosa, che contribuirono a spar-
gere anche nel popolo i semi della civiltà.
Dopo questi preliminari, abbiamo tutta ragione di credere,
che, fiorendo allora in Dalmazia le classiche lettere, anche le
nazionali vi si sarebbero rapidamente perfezionate; se non che
la fatale sventura che, nel 1667, sepelll Ragusi sotto le sue
ruine, troncò troppo presto rincominciata carriera, ed il se-
colo XYII terminò nello sqiiijllore d'un triste silenzio, solo in-
368 SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVL
terrotto da qualche lugubre canto nazionale, che il padre An-
drea Kascic Miossic poi raccolse e publicò.
Ristaurata Ragusi dall* orribile disastro, anche le lettere ri-
presero r interrotto corso. La lingua vulgare trovò un caldo
difensore neir abate Rosa, il quale ebbe a vantarsi pabllcamehte
d'aver cacciata in perpetuo bando T antica slavonica. Egit tra-
dusse con rara diligenza tutta la Bibbia ed altre opere sacre,
ed inviatele al sommo pontefice, chiese infruttuosamente il per-
messo di sostituirle alle antiquate versioni slavoniehe. Con tutto
ciò non cessò mai, finché visse, di promuovere la eultara deH'i-
dioma nazionale, il quale fu interamente sostituito alla liogtta
slavonica, e ordinato con grammatiche e dizioiiàrj.
Già fin dal principio del secolo XVIII aveva cominciato il
padre Cassio ad illustrare le fondamenta della lingna valgare
nell'opera intitolata: Institutionum linguce illyriew libri duoi
Romae, 1604; ed il padre Micalia aveva fissate quelle del-^
rortogi*afia , nel sjuo Thesaurus linguce illyritce: LaurmH et
Anconm, 1651^ le quali opere, non essendo coronate da felice
successo, furono poi seguite dalla grammatica e dal dizionariOi
che Ardelio della Bella publicò a Venezia neiranno 1728« Ivi
l'autore propose una nuova ortografia, perchè fosse eomtnaDe
a tutte le provincie dàlmato-serbiche ; ma non fu più avven-
turato de' suoi predecessori.
Sul principio del corrente secolo, Giovanni Vokiggi propose
un terzo sistema d'ortografia, che non fu seguito, nel dizionario
illirico-italiano' tedesco % il quale è preceduto da breve gram-
matica. Pib commendevoli sono: il Lexicon laiino-italieo^Ufiri'
cum, publicato a Vienna, nell'anno 1801, da Gioachino StvUi»
la Grammatica illirica d'Appendiui, stampata in Ragust neHSOBi
e l'altra più recente di Babukic, intitolata: Grundzuge der UH-
rischen Grammatik. Wien, 1839.
Mentre i Dàlmati si dedicarono con ardore ad illnstrare 11 dia-
letto nazionale, gli Slavoni non si mostrarono inclinati a se-
guirne l'esempio, e prender parte in una causa commane. Oltre
che presso loro le lettere non furono in verun tempo con. par-
ticolare cura educate, la lotta delle fazioni religiose contribal
ancora a soffocarne per tempo il nascente amore. I propaga-
tori della riforma religiosa, esposero nel dialetto del popolo le
* lìicsoslovntk HUricskogaj iialianskoga i niniacskoga ^ ti Bectu. (Vienna).
SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 569
loro dispute; ma la loro caduta sventò quei primi tentativi, e
presso i pochi scrittori fece preferire alla lingua vulgare la la-
tina, sino ai di nostri. Ecco le principali cause, per le quali
il nativo dialetto venne generalmente, trascurato presso gli Sla-
voni. Ciò nullostante anche tra loro qualche studioso contribuì
airincremento degli utili studj; come tale merita particolare
menzione il professore Katancic le cui opere, benché latine,
sono ricche di filologiche dottrine sul dialetto slavonico.
I Serbi, propriamente delti, ed ì Bosnj loro confinanti fecero
uso dell'antica lingua slavonica, fin quasi ai nostri giorni, e
quindi li troviamo fra gli ultimi che si prestarono a nobilitare
il dialetto nazionale. Soltanto verso la metà dello scorso secolo,
nacque in Temesvar un uomo destinato a scuoterli dall' inerzia,
e risvegliare in loro T amore della lingua nativa. Fu questi Do-
sitei Obràdovic, il quale, dopo aver percorso per venticinque anni
tutta r Europa, riportò neirinculta patria le adunate cognizioni,
e tentò inalzare il dialetto all'onore di lingua scritta. Per ve-
rità egli non ebbe, prima di morire, il conforto di trovar se-
guaci della bella impresa, e mori nell'anno 1811, senza aver
compenso alle sue fatiche. Ma il seme vitale era sparso, e non
tardò a germogliare rigoglioso, per opera di Davidovi^ e Wuk
Stephànovic Karadcic, i quali , protetti da un principe magna-
nimo, fecero ogni sforzo per condurre i loro cittadini a scri-
vere come parlavano. Davidovid publicò in Vienna, dal 1814
al 1822, una gazzetta politico-letteraria, la quale, essendo scritta
in lingua serbica, sparse una benefica luce nella sua patria.
Wuk Stephànovic compilò una grammatica ed un dizionario %
sulla norma dei migliori lavori consimili delle più eulte lingue
d' Europa.
L'instancabile Jacopo Grimm pagò un tributo di stima al-
l'autore, trasportando in tedesco questa eccellente grammatica,
corredandola d'osservazioni e d'una dotta prefazione, alla quale
abbiamo attinte molte notizie, non che l'analisi del poemetto che
abbiamo scelto a corredo di questa breve dissertazione.
II chiaro esempio di que' valenti produsse il desiderato effetto
sull'intera nazione. Luciano Musei tzky fu meritamente applau-
dito come poeta lirico; Milutinovi^ descrisse epicamente la guerra
patria dell'anno 1812, e publicò alcune tragedie. Altri valenti
» Srbski jRiecnik; u BccUj lOis.
37U SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
coltivarono con felice successo varj generi di letteratura; gli
sforzi della nazione vengono promossi dalle cure di quel go-
verno, per modo che abbiamo ragionata speranza di veder
quanto prima rigenerata quella nazione, e la sua letteratara
messa al pari di (juella degli altri popoli slavi.
Fra i lavori, coi quali Wuk Stephànovic Karadcic illustri
la sua lingua e la patria, è sommamente commendevole la d-
tata raccolta di canti nazionali. Tutti i popoli slavi, come ab-
biamo accennato , ebbero da natura una particolare attitudine
alla musica ed alla poesìa; e la manifestarono con un prodi-
gioso numero di canzoni popolari. Varj dotti d^ogui nazione
si diedero a raccogliere queste testimonianze irrefragabili delle
congenite facoltà dell' umana natura, e delle antiche tradizioni
di quei popoli. Sono generalmente note le raccolte di canzoni
boeme, polacche, russe, ce. illustrate dai chiari linguisti Hanka,
Dobrowsky , Dietrich, Celakowsky; Swóboda, Busse, Kascic,
Rollar S e gi^ tradotte in varie lingue. Ma fra le nazioni slave
primeggia T illirica, come quella che possiede maggior copia di
simili componimenti, e la cui lingua meglio si presta alla va-
rietà dei concetti ed all'armonia del metro.
Il chiaro Stephànovic, ammirando sin dagli anni giovanili que-
sta prerogativa della sua nazione , dedicò lunghi studj a rac-
cogliere dal labbro dc'suoi queste native inspirazioni, e tra-
scrivendole fedelmente, ed ordinandole per tempi, quanto era
possibile, le diede alla luce in quattro volumi. Racchiuse nel
primo le canzoni amorose, nelle quali le passioni più delicate,
sebbene in contrasto coi rozzi costumi, sono dipinte colle più
nobili imàgini. Distribuì nel secondo e nel terzo tutte le poesie
eroiche, nelle quali vengono celebrati i valorosi che versarono
il sangue per la patria e la religione; e vi si vedono talvolta
» J(for Swaloslavic. Ikldengescwg vom Zugc gegen die Polouzer^ avi dem
Altrussischen neu iibcrselztj ce. von ITcìiccslaw Hanka. Prugni mi, — Huìoh
pia Kralodworskyj wydan od f^àslava Ilanky. w J'razCj I8i9. — hussisehe
Volks-mdrclicn herausgegeben von Dietrich. Leipzig j I85i. — Fùrsl fVìadi'
mir itnd dessen Tafelrunde^ herausgcgchen von Busse. Leipzig j I8I9. — tV-
lakoivskyj Slovnnskè Narodni Pisnc, w Praze^ IC2». — Koniginnfwfvr llond'
scriftcn; Sainmlung allholimischen Gesàngej herausgegeben von Swòboda. Prag,
i«2». KasciCj Itazgovor ugodni iiitrodna Slovinskoga. v Mleszij I7tt9. — PÌ9Hé
^icviske Udii Slovcnskego . w Uhrich . Pest ^ 1023. — Malo-rossitkija pesni,
Moskaw 1821). — Nàrodnió Zpiewanky^cili Pisne svelské slowakuWj od Jana
AoUàra, fV Dudjne^ lus».
SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 371
ì uiodernì campioni, travestili ed involti negli antichi miti degli
avi. Dispose nel quarto una selva di poesie sacre e profane,
raccolte più tardi, alcune delle quali potrebbero ordinarsi nei
precedenti volumi. Non solo tutte queste popolari poesie odonsi
ancora dalla bocca dei pastori, nel mezzo delle loro montagne,
ma molte altre , che col tempo si potrebbero raccogliere , se
la peregrinazione per quegli inóspiti monti fosse meno perigliosa.
Tra gli eroi , che trovansi celebrati nella maggior parte di
esse, primeggia Marco Kraljevic, al cui padre la tradizione at-
tribuisce la fondazione della fortezza di Scùtari, ed il quale
colle più segnalate prove di valore , tentò salvare la patria
agonizzante dall' oppressione ottomana. La varietà dei colori,
coi quali le prodezze di questo eroe sono descritte, desta sempre
nuovo interesse in chi sa gustare le bellezze di quella lingua.
Se quelle canzoni fossero artificiosamente ordinate, potrebbero
formare una compiuta descrizione della vita e delle imprese
di Kraljevic, come nei canti d'Omero, di Virgilio e di Ossian
trovansi descritte quelle d'Ulisse, d'Enea e di Fingallo.
Non appena quest'opera vide la luce, che varj giornali let-
terarj di Germania, d'Inghilterra, d'Olanda, tributarono ad una
voce sensi di lode e riconoscenza alla dottrina del ricoglitore, il
quale non cessò di ben meritare della patria con nuove fati-
che «. Non mancarono eruditi che, per far conoscere alle loro
nazioni le peregrine bellezze di quelle poesie, le traducessero
in varie lingue. L'instancàbile Bowring, che sfiorò presso che
tulle le letterature d'Europa, le trasportò in lingua inglese.
La sempre lodata Talvi ne voltò buon numero in lingua tede-
sca a Halle. Gerhard ne publicò una seconda versione a Lipsia,
e v'introdusse varie canzoni ommesse dalla Talvi; e Còlze
quasi nello slesso tempo ne diede una terza versione a Pie-
troburgo.
Dolenti che l'esempio non siasi per anco seguito dagli Ita-
liani, ai quali, per quanto sappiamo, quest'opera non fu an-
cora annunciata, crediamo far cosa gradita ai lettori, ollren-
donc un Saggio nel sunto d'un componimento, il quale, per l'or-
dine col quale è svolto, e per essere composto di oltre 1200 ver-
si, può risguardarsi come un breve poema.
* Piavania Zernogorska i Hcrzcgovacka. u Leipzigu, i857. — Narodnc
Piccane Poslovize, Na Zatigna^ 1 836.
372 SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
LE NOZZE DI MASSIMO CERNOJEVIÒ.
Ivan Ccrnojcvic, il potente signore di Shablak, si reca a Ve-
nezia con tre tonnellate d'oro, per chiedere sposa a suo figlio
Massimo la figlia del Doge. Il Doge si mostra lungamente av-
verso. Ivan, pertinace nella impresa, profonde Toro apportato,
ed in capo a tre anni ottiene la bramata promessa. La sposa
accetta T anello, e si fa patto di celebrar le nozze dopo che Ivan,
ritornato a Shablak, vi avrà fatto il ricolto del grano e del vino.
Ivan prende congedo, dicendo, che condurrà seco mille con-
vitati; invita il Doge a mandare altretanti Latini ad incontrar
lo sposo, e soggiunge: Fra tutti questi e quelli, nessuno sarà
bello quanto mio figlio e tuo genero, il Doge , punto dalle in-
aspettate parole : Or bene , risponde; s* ella è cosi , ino figlio
avrà giojellie ricchi doni; ma, guai a tCj se mentii Ivan ritorna
a Shablak; ma qual fu il suo stupore, quando rivide il figlio tal-
mente malconcio dal vajuolo, che appena uno fra mille potevasi
dir più deforme.
La moglie, accortasi, del suo turbamento, gli chiede se gli si
fosse per avventura rifiutata la donzella, o gli increscesse il pro-
fuso denaro? Egli risponde: ottenni la fede della fanciulla;
ella è assai vezzosa. Nulla mi cale dell'oro: ben sai, che ne ab-
biamo in Shablak ripiena una torre, sicché non appare che un
obolo vi manchi. Mi cruccia solo d'avere attestato al Doge che,
fra mille Serbi e mille Latini, nessuno sarebbe avvenente a/ por
di Massimo; ed ora^ poiché lo trovo fra mille e milk il pttt de-
forme, temo una vendetta.
La moglie lo colma di rimproveri. Perchè sei tu ito oltremare
a cercare una sposa al nostro Massimo? Non ve n /la for»e di
vezzose ed illustri nelle nostre terre^ e nelle circostanti castella
a noi soggette? Ivan arde di sdegno, e grida: Nessuno ardisca
pronunziare parola su questo sinistro argomento: se alcuno
verrà a porgermi gli augurj suoi, gli strapperò colle mie mani
gli occhi. Questa minaccia corre di bocca in bocca » e nessuno
ardisce proferir motto sulla malaugurata ventura.
In tal guisa passano nove anni. Sul principio del decimo, ar-
riva un messo, con lettere del vèneto congiunto: Se tu acquisti
un prato, o lo irrighi e lo coltivi^ o lo affidi alle care altrui,
affinchè la brina e la neve non cadano sugli appassiti fiori.
SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 373
Cosi devi condur teca la figlia , della quale chiedesti la fede, o
lasciarla libera, sicché possa congiunger sf ad altro sposo.
Questo messaggio conturba Ivan, e poiché non si vede intorno
alcun ministro, al quale palesare il suo dolore, si volge alla con*
sorte, e le chiede consìglio: se debba, eolla risposta , riporre la.
nuora in libertà di scegliere altro sposo , o tener la data pro-
messa? La moglie risponde: Possente Ivan Cernojeviè, e quando
mai le mogli hanno prestato consiglio ai mariti? Quando verrà
quel giorno, in cui potranno prestarlo, esse, cui fu data lunga
la chioma, e breve la men^e? Tuttavia prosegue: Sareèòe ingiu-
sto inanzia Dio, e vituperoso in faccia agli uomini rinunziare
alla donzella. La sventura può cogliere qualunque mortale; se
i nostri nuovi congiunti sono saggi e buoni ^ non ci daranno a
colpa il terribile morbo da cui nostro figlio venne assalito. Che
se temi là guerra, è tu raduna , non già mille, ina due mila
compagni, scegli i più valorosi, dà loro i più generosi destrieri
e vanne a prendere la sposa.
Ivan imbaldanzito scrive al Doge: In breve io verrò a te;
poni a guardia alcuni de* tuoi. Tòsto ch'io giunga alla spiaggia;
fa che m ritrovi le tue navi. Trenta cannoni dall' alto dei ba-
luardi daranno il segno della mia partenza.
Non appena ebbe inviata questa lettera , che ordinò allo seri*
vano di apprestare fogli d'invito a quelli che dovevano fargli
scorta. Invia la prima lettera a Bar ed Ulein (Antivari e Dulci-
gno), terre del suo dominio, al voivòda Milosch Obrenbégovic ,
il quale dev'essere il primo fra i compagni di quella spedizionne
nuziale, e deve condur seco molti de' suoi. La seconda viene
spedita sulle rupi di Monte-Negro , al suo nipote Giovanni Ca-
pitano. Qnesti deve condur seco almen cinquecento de'suoi , ti
essere paraninfo della leggiadra Latina. Cosi, soggiunge, io e tu
avremo i primi onori. Manda la terza lettera a Kuc ed a Bràr
tonoscic, al voivòda Lrkoviq Ilia, colla quale gli impone di recarsi
a Shablak con tutti i snoi. La quarta s'invia a Sceremetovic,
in Drekaióvice, con queste espressioni: Raduna tutti i figli di
Drekalóvice, fino al verde Lim *. Quanto maggiore sarà il nu-
mero, tanto meglio per te !
Invia la quinta nella città di Podgoritza, presso Scùtari, per
tutti i suoi numerosi congiunti , al celebre guerriero, a Falco
» Fiume che separa la Servia dalP Erzegovina.
574 SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
Kujundcic Gjaro. Non fraporre indugio; ma t'affretta a me con
tutti i tuoi riccamente vestiti. Raduna tutti i congiunti , i mi^
liti piìji valorosi ed i più bei cavalli. Siano questi magnifica'
mente addobbati con selle e gualdrappe turche e lucicanti ar-
mature ; indossino quelli vesti di seta e di velluto purpureo ^ le
quali alla pioggia ed al sole si fanno più rubiconde e spkn-
denti: assettino al capo i più ricchi ornamenti, sicché non v'ab-
bia tra i Serbi o tra i Latini più ricco vestimento. I Latini
profondono tutto lo splendore nelle vesti; ma ruìn hanno il mae-
stoso aspetto, né gli occhi scintillanti dei valorosi figU di Pud'
goritza.
Ciò fatto, invita con messi, e senza lettere, i prodi di Shabluk
e dei contorni. Tutti i messi vanno rapidamente: e tatti i capi-
tani e i guerrieri della Servia, dopo i più solleciti preparativi, si
radunano a torme, e s'affrettano a far parte del nuziale corteg-
gio. A quell'insolito movimento, a quel magnifico spettacolo,
accorrono da ogni parte i vecchi ed i figli dei campi. Questi
gettano l'aratro; i pastori abbandonano l'armento, e tutti s'af-
follano nella spaziosa pianura alle falde di Shablak, ove Io stuolo
dei prodi deve radunarsi.
Allo spuntare del di, Giovanni Capitano, il figlio della Sjorella
d'Ivan, destinato ad essere paraninfo, sale sulla torre di Shablak,
accompagnato a qualche distanza da due fidi. Come infausta co-
meta gira lo sguardo sulla raccolta turba , e guata i cannoni
delle torri. Giunto alla cima, incontra Ivan Cernojevic, che in
atto di sorpresa, gli chiede: Oie vuoi tu qui si di matiinof
Giovanni gli rammenta il grave pericolo che sovrasta alle sue
terre , se le lascia senza difesa , e lo prega a trasceglier quelli
che debbono scortare la sposa a Shablak. Gli rappresenta come,
restando tutta la terra indifesa, era a temersi improvisa irruzione
dei Turchi, essendo che il viaggio a Venezia non si potria com-
piere in meno di quaranta giorni. Dopo ciò, gli racconta on in^
fausto sogno della trascorsa notte , nel quale vide un'orribile
procella infuriare sopra Shablak; repente scoppiare il fulmine,
che atterrò il tempio e smosse le più dure pietre; l' altare cadde
sul capo di Massimo, il quale nuUostante sopravisse. Agitato,
dopo il racconto di questo sogno sinistro, rinuova più calde pre-
ghiere ad Ivan: Zio, mandate solo i convitati.
Sdegnato Ivan, rampogna il nipote: Iddio, esclama, vibrerà
il ?uo flagello sopra il tao capo! I sogni sono ombre fallaci
SUI CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 375
della notte. Dio solo è la pura verità! Arrossisco pur troppo
d'avere indugiato cotanto, e lasciata la sposa per nove anni
negletta; egli è tempo ormai di celebrare le nozze! Quindi
manda il nipote agli artiglieri, coir ordine di caricare i cannoni,
e dare il segno della sua partenza; ne rende avvertiti tutti i se-
guaci;) onde non si sgomentino, né lascino balzare nelFaqua i
sorpresi cavalli. Cosi fu fatto: il cupo tuono dei bellici strumenti
odesi rimbombare tra Teco dei vicini monti, ed imprime un senso
di terrore negli animi degli astanti; alla fine vi succede un grido
di gioja, e si mettono in cammino.
Di mano in mano, che la festevole turba s'allontanava oltre
i monti e le patrie campagne, tornava la serebità nei loro petti.
Dai lontani spaziosi campi del mare vedevano i naviganti on-
deggiare i bellicosi destrieri e le aste lucidanti. Ivan Gernojevtc
era attorniato dai suoi; da un lato cavalcava T intrepido Milosch,
e Massimo dall'altro. Poiché il buon vecchio ebbe chiesto silenzio
a tutti, cosi lor parla: Udite, fratelli, il mio consiglio. Un giorno
io feci protesta al Doge, che fra mille de' miei scelti compagni
ed altr etanti Latini, nessuno sarebbe avvenente quanto mio figlio.
Per mala ventura, il morbo lo rese fra tanti più deforme, ed
io sarò detto mentitore dal mio vèneto con-giunto. Or dunque,
poiché il voivòda Milosch ha fra tutti il più maestoso sembiante,
io m'avviso, ch'egli indossi le dorate piume e le principesche
insegne di Massimo, e rappresenti lo sposo, finché abbiamo con-
dotta in patria la nuora.
Nessuno del numeroso stuolo osa risponder parola , poiché
tutti temono Timpeto feroce di Massimo. Finalmente , dopo un
cupo silenzio, Milosch risponde: Tu sei il nostro principe; tu
induci Massimo ad acconsentirvi di buon grado, ed io farò come
ti piace; ma colla sacra promessa, che tutti i presenti che ver-
ranno fatti dai novelli congiunti allo sposo restino miei, A piena
gola rise il vecchio Ivan , e «t, soggiunge, tutti i presenti sa-
ranno tuoi; nessuno li divida teco; e al ritorno in Shablak,
altro ne aggiungerò io stesso; da guest' ora ti prometto unpajo
di calzari ricamati d' oro, adorni di ricclie gemme, la mia tazza
d'oro pesante, e cingerotti al fianco una sciabola preziosa.
Ciò detto, si posero a Milosch le dorale piume di Massimo*, e
la comitiva raggiunse la spiaggia del ceruleo mare, ove trovate
le venete navi, s'imbarca, e con prospero vento approda a Ve-
nezia.
376 SUI GANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
Tutti s'affollano intorno agii stranieri per contemplare lo
sposo, di cui tanto varia avca suonato la fama. Giungono i figli
del Doge, e conducono il creduto cognato sulla loggia del pala-
gio ducale, mentre gli ospiti s' adagiano in altre case. Tre giorni
furono concessi al riposo. Allo spuntare del quarto, un araldo
li invila a raccolta, e in brevi istanti la numerosa Qoorte trovasi
unita nell'ampio e magnifico ostello ducale. .
Mancano ancora gli sposi; dopo breve intervallo, compare fi-
nalmente il marito, ed ecco dietro a lui i figli del Doge ^ che in
atto di congedarsi, gli recano i doni. Il primo gli guida un fo-
coso destriero, che agile Scalpita sotto il peso delforo che lo:am-
manta. La sposa lo segue con un grigio falcoae; il secondo gli
reca una magnifica sciabola d' oro. Che cosa gli offriranno i vec-
chi genitori? 11 prin\o gli porge un cimiero, adorno di preziose
piume e d'un largo diamante, che abbaglia lo sguardo di chi
mira il guerriero; la madre... oh! la madre gli arreca la sua
sventura! una camicia di purissim'oro, non tessuta, ma lavorata
a maglie; intorno al collare avvolgesi un aureo serpente; dalla
sua testa sporge preziosissima gemma , al cui fulgore gli sposi
potranno rimirarsi senza lampada , quando saranno raccolti la
sera nella stanza nuziale.
Chi è quel vecchio venerando, dalla lunga canuta barba ^ che
lentamente si avanza, sorreggendosi con auree gruccie? Gli è il
fratello del Doge, lo zio della sposa; egli ha sotto braccio una
cosa mirabile, che attrae gli sguardi di tutti. Ecco, ei getta sugli
òmeri dello sposo un prezioso mantello , del quale nessun re-
gnante, neppure il Gran Signore, vanta il simile. È di porpora;
e la fodera costa trenta borse d'oro. La sposa era. sua figlia
adottiva, poiché dalle sue mogli egli non ebbe prole.
Massimo osserva tutto in disparte , con animo corrucciato,
sicché colla commozione sua tradisce quasi il secreto. Finalr
mente tutti gli òspiti prendono T ultimo congedo , e oiano mano
che escono per T ampia porta del palagio, a ciascuno di loro si
porgono ricchi doni. Recansi tutti alle navi , spiegano le vele al
vento, giungono al campo avanti a Shablak, d'onde erano partiti
con grida giulive , e ove dovranno ora versar lagrime dolorose.
E cosi avvenne!
Giunto presso Shablak, Massimo, con alcuni de' suoi, sproni
il destriero, impaziente di riveder la madre. Milosch danzavi
leggiadramente sul corsiero, tra il paraninfo e la sposa; e ve-
SII CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI. 377
dcndo Massimo allontanarsi, stese a questa la mano. Ella, che
sin allora lo avea pudicamente riguardato tra il velo> rigettò im-
provisa il velo dietro le spalle, e gli stese le braccia. Tutti quelli
che ne furono testimoni finsero di non vedere; ma Ivan, cui
sìmil gioco non garba, sgrida la sposa perchè porga amplessi ad
uno stranio, e dice: non è questi tuo marito; e le narra come
fosse costretto dalla sventura ad ingannare astutamente il Doge,
e come in ricompensa abbia promessi a Milosch tutti i ricchi
presenti de'suoi.
Sdegnata la sposa, arresta sull'istante il destriero; Non ti
lusingare ch'io m'inoltri d' un passo j finché Milosch non abbUt
reso i doni. Qual folle consiglio fu il tuo? Che importava a
me la sventura di Massimo? Il volto non è il cuore; io l'avrei
sposato egualmente, senza fare ingiuria né a voi, né a' miei.
Le parole della donzella sgomentano Ivan ; egli chiama intorno
a se i compagni, e li invita a giudicare di quella contesa; ma
nessuno osa proferir parola, poiché tutti erano testimoni della
promessa , ed avevano annuito ai patti. Allora Milosch si fece
inanzi , e disse: Ivan , non hai tu fede? tu che promettesti in
nome del Dio vivente! Tienti il corsiero, la sposa e la sciabola:
io te ne faccio un dono. Ma giura, che non darà mai la camicia ,
né Telmo, né il mantello, che vuol recare in patria a vanto dei
suoi.
I compagni lo lodano, e gli danno grazie dell' amore ébe mo-^
stra alla concordia ; ma la donzella non vuole transazioni; troppo
le grava perdere tanta ricchezza, e sopratutto' l'aurea camicia.
Perciò richiama Massimo ad alta voce. Ivan atterrito , poiché
Massimo é troppo impetuoso e proclive alle risse, tenta calmarla,
promettendo di darle quant'oro voglia, tosto che siano giunti
alle torri di Shablak ; ma la sposa non ascolta promesse, né pre-
ghiere, e le sue grida giungono alle orecchie di Massimo.
Questi rivolge il destriero , e raggiuntala , le chiede che cosa
brami? Ella affannosa risponde: Massimo, tua madre non avrà
il conforto di rivederti; che importa che tu sia l'unico suo
figlio? Ella non ti rivedrà. La tua lancia porterà il tuo cada^
vere, ed il tuo scudo coprirà la tua tomba! Perchè cedesti ad
un altro le riccìiezze de' miei? S'abbia pur Milosch tutto il
resto, ma troppo mi duole dell' aurea camicia, che per tre anm
ho trapunta io stessa , sicché non mi reggeano più gU occhi.
Oh! quante volte pareami baciare in essa il guerriero, cui do-
378 Si:i CANTI NAZIONALI DEGLI SLAVI.
i^eva essere sposai Massimo j mio sposo, ascolla: Se non rti
quei doni allo straniero, ti giuro, die non farò pia oltre un
passo; ma volgendo il destriero alla spiaggia del mare, pren-
derò una foglia dell* albero Scemiscikla , e la segnerò di «m-
gue, e l'affiderò al mio grigio falcone , onde la rechi al vecchio
genitore; egli radunerà i Latini, e volerà ad atterrare Shablak^
e vendicare V insulto.
À tali detti si corruccia l'animo di Massimo, e faribondo
sprona il destriero , che sanguinoso e spumante spicca orribili
saiti. Nessuno osa trattenerlo; impaurili tutti gli cedono il passo.
Milosch con un sogghigno, esclama: ove corre Massimo, con
quelV impeto forsemiato ? Ma questi, gli piomba addosso, gli vi-
bra la lancia, lo coglie tra le piume, nel mezzo della fronte, sic-
ché cade esangue. Poi gli recide il capo, lo ripone nella bisaccia*
e tolta la sposa dalle mani del paraninfo, vola a recarne novella
a sua madre.
Eterno Iddio! Sia lodata mai sempre la tua volontà! Ma chi
non torse lo sguardo inorridito dalla strage accanita che successe
alla caduta del maestoso capitano? 1 suoi congiunti, riguardatisi
attonitamente , si gettano furibondi a vendicare la morte del
duce. La scarica dei loro archibusi copre l'orizzonte d'una densa
nube; il fragore delle spade e delle lancic, il cozzare degli elmi
e degli scudi , rese più orribile la mischia.- In breve le madri
furono immerse in perpetuo dolore; le sorelle si avvolsero in
nero velo; le spose ritornarono vedove al tetto paterno.
Ivan Cernojevrc nuota in un lago di sangue. Quella terribile
giornata preparò perpetue angoscie al suo cuore. Egli invoca
Iddio che mandi un vento a sperdere quella nebbia , e ^ ri-
schiari il campo , e gli conceda di veder T esito della mischia. Il
vento soffia e dissipa la nube. Ivan gira rapido lo sguardo, e
vede miseranda strage. Guerrieri e cavalli mutilati; ode i so-
spiri dei feriti, e palpitante s'avanza; cerca tra il sangue egli
estinti suo figlio; in quella vece passa accosto a Giovanni Ca-
pitano moribondo; ma no'l riconoscendo, prosegue. Quello, eoa
fioca voce il rampogna: Possono dunque i ricchi doni nuzM
renderti cotanto altero, che non degni d'uno sguardo lo sven-
turato nipote moribondo, e ti allontani senza chiedergli delle
sue ferite? Il vecchio si volge stupito, e visto il nipote langaente,
versa amare lagrime; guarda le sue ferite, e scòrgendo, che vi-
cina gli sovrasta la morte, gli chiede di Massimo e della sposi»
INDICE
Prefazione Pag. t
Della Vita e degli Scritti del conte C. 0. Castiglioni . « » xv
Orìgine e sviluppo della Linguìstica » 5
Della Linguìstica applicata' alla ricerca dalle origini itàliche «> 3t
Prospetto topografìco-stalìstico delle Colonie straniere d'Italia'* 45
Della letteratura popolare dell' Epiro » 77
Origine^ diffusione ed importanza delle lingue furbesche . ^ ^^^
Studj sulle lingue romanze . . » IW
Ordinamento degli idiomi e dei dialetti italici. . . « . « 165
Poemetto inèdito di Pietro da Barsegapè » 198
Delle lingue germaniche e della loro grammatica . .. . » 331
Sui Canti nazionali degli Slavi » 5M
►»-*®^> <« '^
VA*mruv^»^<^^S^f^
.::::o:Ì^^
OPERE LINGLilSTfCHE
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Vinln ÌU Diiileili EitiiKìimi. — Piivlv, 111. Dìalerti Pctìumftiit-a-
nu — * Milano, Ucniuixloni, !B53. Con ima cufiu lòpt}ifràffrH.
Pm^h L(j«iuRt>E liHÉDiTE DEL ^ÉcOiJuXlJL^ — Milano, ìlcjTtiirf^ini,
l^t'iO* Coti im fav-simUc. — EdiziouG di 150 tìéismpkirL
OPERE SOTTO AI TORCHI
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mento (kUUmtim lingua azieca sarà puhlk^ltì in 5 tihpemvi
e formerà un grmm volume in-^J^fCOn Oic-'timik.— ^i/^^o»*?
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